CORIANDOLI SU TIMES SQUARE

« Older   Newer »
  Share  
Francis82
icon12  view post Posted on 29/1/2008, 21:57






Titolo: “CORIANDOLI SU TIMES SQUARE”
Autore: Francis82
Genere: Rory e Jess
Stato: in corso

Commenti QUI




Dopo parecchi mesi e tante riflessioni, mi sono rimessa a scrivere.
Devo essere sincera: non ero convinta del tutto di volerlo fare, temendo di non avere abbastanza tempo da dedicarvi… per questo motivo, vi chiedo scusa fin da subito se noterete dei ritardi nel postare i vari capitoli.
Come risposta alle mie incertezze, ancora una volta, Rory e Jess mi hanno raggiunta nell’inconscio: anche questa FF è il risultato dell’elaborazione di un sogno fatto settimane fa.
E’ ambientata alcuni anni dopo la fine di “Gilmore Girls”: vi troverete, per questo, davanti a personaggi ormai diventati adulti e che hanno già percorso un pezzetto della loro strada nel mondo.
Mi piace immaginare questo futuro per Rory Gilmore e Jess Mariano… un futuro nel quale, quando meno ce lo si aspetta, il passato può riemergere di colpo.
Buona lettura (… e, come sempre, aspetto i vostri commenti! :rolleyes: )

Ps: Noterete che mi sono presa una piccola “licenza poetica”… un personaggio vi ricorderà la sottoscritta… che vanitosa, lo so! :ihih:



Le risate fragorose di un gruppo di passanti infreddoliti filtrarono per un solo istante dalla porta d’ingresso del ristorante, soffocate poi dalla solerzia di un impettito cameriere, pronto ad accogliere l’ingresso degli ultimi clienti della serata ed impedire che l’aria gelata penetrasse in quelle stanze arricchite da pesanti broccati ed invadenti profumi speziati.
Lo sguardo di Jess venne completamente rapito da quella infinita serie di convenevoli, ripetuti meccanicamente ogni volta che il prezioso portoncino di legno lucido si spalancava dinnanzi ai suoi occhi e qualche signora impellicciata ne varcava maestosamente la soglia: ne sorrise sarcasticamente e infilò la mano nella tasca interna della giacca per estrarne una stilografica ed un libretto dalla copertina di pelle nera un po’ consumata.
Ancora con un ghigno divertito stampato sulle labbra, iniziò a scrivere con avidità, come se temesse di perdere quella improvvisa ispirazione da un momento all’altro.
Un colpo di tosse lo interruppe all’improvviso, costringendolo ad alzare lo sguardo leggermente infastidito: “Che c’è?”.
“Vuole staccare la spina almeno per stasera, mister Kerouak?” disse, con tono di rimprovero, il ragazzo seduto davanti a lui.
“Non stacca mai da certe cose, Mike… eppure lo dovresti conoscere, ormai!” accennò ad una risata il giovane accanto a lui, colmando fino all’orlo l’ennesimo bicchiere di vino rosso.
“La verità è che non si trova a suo agio in questo posto...” una voce femminile fece capolino, dall’altro lato del tavolo, evidentemente divertita.
Mike alzò le mani in segno di resa: “Non vorrete prendervela ancora con me, vero? La decisione è stata presa democraticamente!”.
“Andiamo, amico… hai puntato i piedi per una settimana e la chiami decisione democratica? Diciamo piuttosto che ci hai presi per sfinimento!” commentò Charlie, cercando nel contempo di sollevare la complessa decorazione di zucchero posta in cima alla propria fetta di torta al cioccolato e lasciandosi andare ad un: “Ma le fanno progettare a degli ingegneri queste cose?”.
Rispose piccato, Mike: “Certo, se fosse stato per voi avremmo festeggiato il Capodanno al chiosco degli hot-dog qui all’angolo!”, indicando l’esterno della grande vetrata alle proprie spalle.
“Non sarebbe stato male…” sussurrò Jess, alzando appena per un secondo il sopracciglio all’indirizzo della fanciulla dai capelli neri, la quale continuò a soffocare una flebile risata dietro al prezioso tovagliolo di raso rosso.
“Bel modo di ripagarmi: sapete quanto mi è costato prenotare questa serata? Ho dovuto corrompere un bel po’ di gente per farci avere il tavolo che state cinicamente criticando...”.
“Non dev’essere stato così spiacevole…” insinuò l’amico, facendo notare anche agli altri commensali lo sguardo languido che una delle cameriere insisteva nel lanciare a Mike, praticamente dal momento del loro arrivo al locale.
“Susy è solo un’amica, lo sai!” finì per arrossire.
Soltanto all’udire quelle parole, Jess distolse definitivamente l’attenzione dai propri appunti: “Allora è per questo che ci hai trascinati qui?” esclamò stupito, richiudendo poi il libretto con gesto secco.
Sentendosi tutti gli sguardi puntati addosso, il suo interlocutore si defilò codardamente, afferrando rapidamente la giacca dallo schienale della sedia: “Emergenza nicotina! Se non vi spiace, vado a fumarmi una sigaretta qui fuori!”.
“Avanti, Mariano… prendila come un’esperienza di vita!” sorrise Charlie, seguendo a ruota l’amico verso l’uscita, già con la sigaretta tra le labbra.
Infilando la penna nella tasca della giacca, Jess prese a sbuffare: “Dio, mi sembra di essere qui da una vita! Hai notato che in qualsiasi direzione rivolgi lo sguardo ci sono bottiglie di champagne da centinaia di dollari l’una e chilometrici vassoi di tartine al caviale?”.
“Per non parlare della signora del tavolo dietro al nostro: hai visto il diamante che porta al collo? E’ grande come una noce!” continuò a dargli corda Francis, sussurrando e coprendosi timidamente la bocca con le mani.
I due continuarono a bisbigliare per qualche altro minuto: con una buona dose di compiacimento, mescolata ad un pizzico di perfidia, scandagliarono ogni angolo del locale alla ricerca di aristocratiche vittime da fare a pezzi, finché Mike non tornò al tavolo con espressione stranamente cupa e colpevole.
“Cos’è successo? Susy è scappata col cuoco?” riprese a ridere la ragazza, gettando sguardi complici agli amici.
Il giovane si lasciò scappare dalle labbra un breve colpo di tosse, sventolandosi un foglietto davanti al viso: “Molto peggio…”.
Qualche minuto dopo, i quattro amici uscirono da quello stesso preziosissimo portoncino di mogano, ridacchiando davanti alla sua espressione da cane bastonato: “Mica male come serata! Ti sei giocato un intero stipendio della libreria, amico!”.
“Per un lunghissimo istante ho creduto che quell’aggeggio infernale volesse ingoiare per sempre la mia carta di credito…” sospirò lui.
Le lamentele del poveretto vennero bruscamente interrotte dalle smorfie elettrizzate di Charlie, mostrare con gesti insistenti le lancette dell’orologio scorrere veloci: “Vi rendete conto che mancano meno di dieci minuti allo scoccare della mezzanotte? Tutte le belle donne di Times Square staranno aspettando il mio arrivo per essere baciate all’alba di questo nuovo anno!”.
“Come no!” gli batté amichevolmente una mano sulla spalla, Jess.
Accelerando il passo, raggiunsero in breve la 6th Avenue, fino a ritrovarsi all’interno di una folla quasi claustrofobica: “E’ inutile che fai quella faccia, Mariano! Sei tu che hai detto: mi piacerebbe tornare per una sera alle mie origini!”.
“Già, mi ero dimenticato di quanto fosse caotico tutto ciò!” commentò lui, alzando il colletto della giacca e lanciando uno sguardo minaccioso ad un tizio che continuava senza tregua a spintonarlo da dietro.
Francis avvolse con le braccia le spalle degli amici, cercando di coinvolgerli nella spensieratezza generale del momento: “Andiamo, non fate i brontoloni proprio ora! E’ uno spettacolo meraviglioso! Guardate lassù!” e indicò loro la grande sfera di cristallo Waterford, giunta quasi al termine dell’asta alla sommità del One Times Square.
L’atmosfera magica che parve respirarsi tutt’intorno fu straordinaria: luci, colori e musica sembrarono essere ovunque palpabili nell’aria e attirare come una calamita l’attenzione di quel fiume di persone, del quale a stento si riusciva ad individuare la fine.
E’ strano come, in situazioni del genere, la gente sia capace di mostrare il meglio di se: tirar fuori il lato infantile… quello che ci spinge ancora a meravigliarci davanti all’arrivo di un nuovo anno… che ci fa pensare di poter essere migliori e sperare in un futuro felice per noi stessi e per le persone che amiamo…
Come è inevitabile fare i conti con l’anno che si sta per abbandonare… o, più in generale, con il passato… quel passato che certe volte viene a bussare alla nostra porta per farci riflettere sugli errori o su quel poco di veramente buono che abbiamo combinato…
Lo sguardo di Jess si perse momentaneamente in quel frastuono, per poi posarsi sul sorriso di Francis, tutta concentrata a contemplare il cielo illuminato da fari colorati, come fosse una bambina finita per caso davanti ad una vetrina straripante di dolciumi: come in un brevissimo flashback, la rivide apparire sull’uscio della libreria… un caschetto nero, raccolto in una sottile fascetta dorata, ed un paio di profondi occhi verdi… zuppa di pioggia dalla testa ai piedi, a causa di un acquazzone improvviso che aveva mandato in tilt mezza città… rivide quella sua espressione fiera, nel gesto di estrarre, da sotto il cappotto umido, un album da disegno pieno di fotografie… gli sembrò perfino di udire nuovamente le sue parole: “Ho letto su un quotidiano che fate mostre d’arte in questa libreria… beh, io sono l’artista che fa per voi!”.
Da quel pomeriggio di fine ottobre, Francis, con la sua risata contagiosa, le chiacchierate fino a notte fonda e la passione smodata per i mercatini dell’usato e la pizza italiana, divenne uno dei suoi punti fermi… una di quelle persone che entrano nella tua vita come un tornado, ma che, allo stesso tempo, ti par di conoscere da sempre… persone delle quali non riusciresti più a fare a meno.
Il sorriso, a tratti malinconico, si spostò poi su Charlie e Mike: compagni di mille disavventure, ma editori dall’intuito geniale… spesso un po’ impacciati, soprattutto con il genere femminile, e dediti alla filosofia del “vivere alla giornata”… persone in grado di riempirti la vita e renderla speciale… anche nei momenti di maggior difficoltà, quando mandare al diavolo ogni cosa e scappare sembrerebbero la scelta più facile, specialmente per uno come Jess Mariano.
Nel contemplare ancora per qualche istante quegli strambi individui, coloro che rappresentavano una costante essenziale delle sue giornate, il ragazzo fece un breve bilancio di quella fetta della propria vita passata a Philadelphia: sorrise di nuovo, ma questa volta di stupore… stupore nel constatare di considerarsi, dopo tanti anni troppo spesso sprecati a detestare se stesso, una persona finalmente felice.
“Dieci… nove…” il conto alla rovescia spezzò quel suo momento d’introspezione e lo fece ripiombare nel frastuono dei festeggiamenti newyorkesi.
Abbozzò una risata nell’osservare Charlie litigare col tappo di una “preziosa” bottiglia di spumante, comprata poche ore prima al market sotto casa: “otto… sette… sei…”.
Si domandò da dove provenisse quella folla in tumulto… quante storie fantastiche fossero racchiuse in quegli sguardi sconosciuti, in quelle risate liberatorie e speranzose: guardò intorno a se, come nel tentativo di comprendere almeno un frammento di quella insolita realtà che gli si presentava davanti… una minima traccia che potesse essere utile al capitolo finale del suo nuovo libro…
Frugò nei comportamenti di quella moltitudine inesplorata con una curiosità quasi infantile, finché… finché… si, finché qualcosa di inatteso non attirò la sua attenzione di colpo, facendogli dimenticare tutto il resto: qualcosa gli diede l’illusione che il silenzio fosse calato brutalmente intorno a se… che il cuore avesse accelerato il proprio battito quasi al punto da esplodere in mille pezzi…
Sentì di non potersi muovere, quasi come fosse in preda ad un veleno paralizzante.
Cosa poteva aver provocato una simile reazione?
Un paio di occhi celesti erano apparsi all’improvviso, mescolandosi poi a mille altri volti, comparendo e scomparendo all’interno della folla gesticolante di Times Square.
“Cinque… quattro…” quei numeri sembrarono non avere più alcun valore, né tanto meno quella enorme sfera luccicante sopra la sua testa.
“Tre… due…”.
Confuso e quasi spaventato, trovò la forza di spingersi un paio di passi più avanti e riuscì a scorgere l’intero viso: fu allora, in un brevissimo ed indimenticabile istante, che capì di non essere stato vittima di una splendida allucinazione… ebbe la conferma di ciò che la sua anima aveva già compreso da qualche secondo…
Vide quello sguardo meraviglioso allinearsi magicamente col proprio e, subito dopo, inumidirsi appena per l’emozione… quelle labbra sottili e perfette schiudersi lentamente, lasciandosi andare ad un timido sorriso… quelle piccole mani affusolate scivolare lungo il bordo del cappotto fino a chiuderlo delicatamente e saldarsi dinnanzi al ventre.
Non avrebbe mai potuto dimenticare quella grazia… avrebbe riconosciuto quell’innata eleganza in qualsiasi altra parte del mondo si fossero trovati…


image

 
Top
Francis82
view post Posted on 12/3/2008, 17:36





Prima di tutto, chiedo perdono per il ritardo mostruoso col quale mi ritrovo a postare questo secondo capitolo. :unsure:
L’importante, però, è che sia riuscita a completarlo… :wub: e che finalmente lo possiate leggere.
Prometto di non farvi più aspettare così tanto tempo. :B):
Non vi anticipo nulla e vi lascio immediatamente alla lettura, ve lo meritate… come sempre, spero vi piaccia e aspetto commenti :timido:




“…uno… buon anno!!!” quel suono riecheggiò all’istante in ogni angolo della strada, mescolandosi alle urla gioiose della folla in delirio e al rumore sordo di tappi di sughero sfrecciare nell’aria pungente della notte.
Jess non si curò minimamente di quel vortice di entusiasmo… si lasciò semplicemente sfiorare da tutto quel trambusto, senza reagire.
Rimase immobile.
Gli occhi, a tratti infastiditi dalle luci invadenti della festa, bloccati su di lei, altrettanto inerme.
Si sorrisero ancora… come se un’antica complicità si fosse riaccesa… scrollata di dosso uno strato di polvere lungo cinque anni…
Lo sguardo acuto di Jess seguì con avida curiosità ogni battito sinuoso di quelle sue lunghe ciglia spezzare soffi di vento freddo… gli parve ancor più bella di come l’avessero conservata i propri ricordi confusi e spesso sofferti.
Il tempo sembrò dilatarsi… rallentare i gesti delle persone… rendere sfocato il contorno di tutte quelle sagome muoversi frenetiche…
Non avrebbe distolto per nulla al mondo l’attenzione da lei, ma, prima che avesse il tempo di rendersene conto, un gruppo di persone si frapposero tra di loro, spezzando la magia di quell’incontro inaspettato.
“Ehi, Mariano! Che fai imbambolato a quel modo?” Charlie ricomparì alle sue spalle, piazzandogli a forza un bicchiere di spumante nella mano destra, dal quale traboccò un po’ di liquido, finendo sulla manica della giacca.
Nemmeno quell’intrusione riuscì a distogliere Jess dal tentativo di rintracciare, tra mille altre visi, l’unico per il quale valesse la pena di essere lì in quel momento.
Si alzò sulle punte dei piedi un altro paio di volte, spingendo lo sguardo fino al limite delle proprie possibilità: più i secondi scorrevano inesorabili, maggiore era il sentimento di frustrazione insinuarsi nella sua mente.
L’aveva avuta a pochi metri da se per dieci lunghissimi secondi…
Scostò a forza un gruppetto di ragazzini fermatisi dinnanzi a lui e riuscì in questo modo a spingersi qualche metro più avanti, senza però riuscire ancora a scorgerla: andiamo, il destino non poteva avergli giocato un tiro così crudele!
Questa volta fu Francis a raggiungerlo, preoccupata per quel comportamento inspiegabile: “Ehi, Jess! Cosa c’è? Sei strano…” disse, afferrandolo delicatamente per un gomito e dondolandogli dinnanzi agli occhi il calice già mezzo vuoto.
Il ragazzo si limitò a consegnarle il proprio bicchiere ancora intatto e a biascicare un confuso: “L’ho vista… sono certo che fosse lei!”.
Il sorriso radioso della ragazza cercò di stemperare la tensione: “Di chi parli?”.
Dopo essersi strofinato gli occhi col palmo delle mani, l’amico inspirò profondamente: “Era lei, Francis…” e, dopo una lunga pausa, terminò: “…era Rory!”.
Gli occhioni verdi della ragazza si spalancarono di colpo, illuminati dai fasci di luce colorata che avevano iniziato a roteare in modo vorticoso sulle loro teste: “Oh, mio Dio…”.
“Non è stata un’allucinazione, te lo assicuro! Mi sono girato da quella parte e lei… lei era lì!” insistette lui, indicandole poco lontano la zona nella quale aveva perso le tracce della fanciulla.
Dopo essersi guardata intorno per qualche altro secondo, Francis lo afferrò di nuovo per il braccio, trascinandolo fin sul marciapiede opposto, dove trovare un briciolo di tranquillità per poter ragionare: “Ok, ok…”.
Il solito sangue freddo di Jess venne meno in quella strana situazione, lasciando il posto ad un nervosismo che gli impediva di rimanere fermo: “Non capisco… davvero, non capisco perché mi sento così…ma guardami, sembro uno stupido!”.
“Non sei uno stupido, Jess!” cercò di rassicurarlo lei, intenerita da quel comportamento impacciato: “Tu ed io lo sappiamo cos’ha significato quella ragazza nella tua vita…”.
“Rory Gilmore!” digrignò i denti lui, abbassando lo sguardo sul marciapiede.
“Non dobbiamo lasciarla andare, Jess… bisogna cercarla!” insistette lei.
“Rory Gilmore…” ripeté di nuovo, con le mani in tasca ed un’espressione improvvisamente assente.
“Cerco di avvertire anche Charlie e Mike! In quattro avremo maggiori possibilità di trovarla!” e fece per allontanarsi.
“Fermati!” la bloccò lui, trattenendola istintivamente per una mano.
“Ma… devo chiamare…”.
L’amico non sembrò voler allentare la presa: “Lascia stare, Francis…”.
Cercando di liberarsi, la ragazza abbozzò un sorriso incerto: “Jess…”.
“Non sei tu che mi hai insegnato il potere del destino?” ribatté lui, mentre i tratti del suo volto parvero irrigidirsi in modo quasi innaturale.
Francis rammentò perfettamente l’ultima volta in cui aveva avuto occasione di intravedere nello sguardo di Jess una luce molto simile a quella che ora si ritrovava, suo malgrado, ad osservare: si trattava della vigilia di Natale di un paio di anni prima…
La punta di una scarpetta di vernice rossa fece capolino dalla fessura della porta d’ingresso dell’appartamento dell’amico: “Ti ho riportato i due dischi di Bob Dylan che mi avevi chiesto, Mariano!”.
La voce si perse nella musica dal volume assordante che aveva già inondato di note l’intera stanza: dopo aver ribadito la propria presenza un altro paio di volte, senza ottenere il minimo cenno di risposta, Francis si spinse fino al corridoio dal quale sembrava provenire quel frastuono.
Percepì una strana sensazione, un’inquietudine che la portò a muoversi a piccoli passi tra le camere dell’appartamento apparentemente deserto.
Fu la porta socchiusa della camera da letto ad attirare la sua attenzione: la luce accesa le sembrò un indizio sufficiente per potersi spingere fino al termine del corridoio.
Affacciatasi all’uscio della stanza, vi rimase immobile per qualche secondo, colpita dalla scena che le si era presentata davanti agli occhi: Jess se ne stava seduto a terra, con le ginocchia piegate in modo scomposto… la schiena appoggiata ai piedi del letto… la testa buttata all’indietro, ma sorretta dalle mani incrociate dietro la nuca… gli occhi chiusi…
Intuì subito che qualcosa, in quello scenario apparentemente normale, non andava: sul tappeto vide sparsi un sacco di fogli scritti a mano… alcuni di questi sembrarono essere stati accartocciati più volte e poi spianati con le mani…
Non riuscì a capire di cosa si trattasse con precisione, anche se non le sembrarono appunti per un libro: per quanto fosse in grado di ricordare, Jess aveva sempre usato i taccuini di pelle scura sui quali abbozzare idee e spunti.
Per non parlare di quella musica assordante: canzoni dure e sofferte, messe apposta per impedire alla mente di lavorare troppo… evitare di ricordare qualcosa di scomodo, probabilmente…
Bussò tre volte con le nocche della mano destra sullo spigolo della porta e notò lo sguardo di Jess spalancarsi di colpo: non sembrò spaventato… soltanto un po’ imbarazzato.
“Non volevo darti noia…” si scusò lei, arrossendo lievemente.
L’amico si affrettò a sfregarsi le mani sul volto, quasi nel tentativo di cancellarvi possibili tracce di un momento di malinconia: “Come sei entrata?”.
“La porta era aperta e…” rispose, arretrando di un poco.
Si alzò di scatto, raccogliendo i fogli dal pavimento con una strana foga per poi buttarli dentro una scatola, lasciata aperta tra le pieghe delle lenzuola: “Questo non ti dà il diritto di fare ciò che ti pare, non credi?”.
“Hai ragione… Il fatto è che ho chiamato più volte, ma la musica era così alta che non mi hai sentita…”.
Il tono del giovane divenne sempre più freddo: “Senti, non ho voglia di discutere… dimmi cosa volevi e finiamola qui…”.
“Ti ho soltanto portato i dischi che mi avevi chiesto!” rispose lei, un po’ seccata da quel comportamento fastidioso.
Al suo protendersi, Jess si limitò ad afferrare le due custodie di cartoncino e ringraziarla con un brevissimo cenno del capo.
“Mi vuoi dire cos’è successo?” insistette lei, con tono preoccupato a causa di quella reazione immotivata.
L’amico non la degnò di molta considerazione, allontanandosi di spalle per sistemare i dischi tra gli altri album da collezione, su una delle mensole della libreria: “Niente che ti riguardi! Ti decidi ad andartene o no?”.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso di quella conversazione assurda e spiacevole.
La giovane afferrò la maniglia della porta e, sbattendola dietro di se, prese la strada verso l’uscita: “Vai al diavolo, Mariano!”.
Pochi passi frenetici la condussero al pianerottolo, fin quando una mano non l’afferrò di colpo, trattenendola sul primo scalino.
“Cosa vuoi? Me ne sto andando, come volevi!” alzò la voce lei, all’indirizzo dell’amico.
Quando, voltandosi di scatto, incontrò di nuovo i suoi occhi, notò che erano profondamente diversi da come li aveva lasciati, pochi secondi prima: un velo di tristezza li aveva privati di ogni luce… le linee del volto irrigidite… la presa delle sue mani stranamente incerta e tremante…
Fu allora che abbandonò ogni ostilità, abbassando il tono: “Cosa ti ha ridotto così, Jess?”.
Appena un paio di minuti dopo, si ritrovò di nuovo in quella camera da letto: Jess la fece sedere a terra, accanto a se, prima di ricominciare a parlare: “E’ iniziato tutto questa mattina… stavo preparando i bagagli per andare a trovare Liz, TJ e la bambina… Mi sono messo a cercare un vecchio libro di racconti che ho conservato per regalarlo a Doula…” raccontò, accennando ad un sorriso.
Dopo una breve pausa, la sua espressione tornò triste: “Non ricordavo di averla nascosta lì dietro, altrimenti non ci avrei nemmeno messo mano!” e, posando la scatola piena di fogli sul grembo di Francis, scostò lo sguardo.
L’amica prese a caso uno dei fogli stropicciati in cima alla pila e iniziò a leggerne il contenuto: “Cara Rory, è passato più di un mese dal nostro ultimo incontro e, come uno stupido, mi ritrovo a pensare di nuovo a te, seduto alla finestra di questo buco d’appartamento alla periferia di New York. Sono rimasto qui, nonostante avessi preso la decisione di andarmene chissà dove e ricominciare una nuova vita. Si, me ne sto qui a rimuginare sul senso d’impotenza che mi attanaglia ancora. Non sono felice. Non so nemmeno se lo sono mai stato realmente, da quando sono nato… Ciò che so è una cosa soltanto: gli unici frammenti di gioia che riesco a rintracciare a fatica nei miei ricordi sono sempre legati a te. Ho sbagliato… ho sbagliato sempre… e l’ho fatto soprattutto nei tuoi confronti. La notte non riesco a prendere sonno, senza prima aver rivisto nella mia mente la tua espressione, ferita e confusa, nel dirmi di andarmene una volta per tutte dalla tua vita… una vita in cui, ormai, non c’era più posto per un fallito come me…”.
Quando la ragazza smise di leggere, si creò un silenzio pesante tutt’intorno.
Dopo un lungo sospiro, Jess riprese il proprio racconto: “Ho continuato a scrivere lettere per settimane… Non ne ho spedita nessuna…”.
Con delicatezza, l’amica ripiegò il foglio e lo posò dove lo aveva trovato: “Devi averla amata profondamente…”.
Le sue labbra si schiusero lentamente, prima di sussurrare: “Penso che non smetterò mai di amarla…”.
Francis ripensò a quelle parole, mentre il cuore le batteva per l’emozione di quel momento: il destino stava davvero donando a Jess una seconda possibilità?
Tuttavia, l’amico non parve volerla ascoltare: nel suo sguardo riuscì a scorgere soltanto un segno di resa.
Agitata, insistette: “Cosa vuoi dire?”.
“Semplicemente che ci siamo persi per l’ennesima volta! Se il destino avesse voluto che c’incontrassimo davvero, non l’avrebbe allontanata da me… è un segno, non facciamo finta di non capire!”
Francis scostò la sua mano con dolcezza e, tenendola tra le proprie, gli si avvicinò lentamente: “Non permettere che la paura ti privi di questo momento… il destino esiste, è vero… ma non lo puoi interpretare soltanto in questo modo… il destino di cui tu stai parlando è lo stesso che ti ha permesso di incontrare il suo volto tra milioni di altri, Jess! Guardati intorno e dimmi se non è un segno del fato il fatto che tu abbia visto proprio lei tra tutte queste persone!”.
Digrignò i denti di nuovo, prima di sollevare le spalle in segno di resa.
La fanciulla insistette, cercando i suoi occhi rivolti al marciapiede: “Non puoi mentire con me, lo sai! Fai finta di arrenderti, ma in cuor tuo vorresti correre da lei, ovunque sia in questo istante! Non è così?”.
“Smettila, ti prego…” sussurrò lui, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
“Non scappare… non farlo anche questa volta!” continuò.
“Scappare? Da che cosa dovrei scappare?” sbuffò lui, alzando nuovamente il colletto della giacca per ripararsi da un soffio di vento freddo, e osservandola tramutare la propria espressione in un sorriso appannato da un velo di commozione.
“Da lei…” e si voltò nella direzione indicatagli improvvisamente dall’amica, con un timido cenno del capo.
Fu così che la vide, ad appena una decina di metri da se… irrigidita dal freddo, immobile al centro del marciapiede… stretta stretta nel proprio cappotto di lana nera… i capelli raccolti in un elegante chignon che le lasciava scoperto il profilo del collo sottile… i movimenti impercettibilmente aggraziati, coi quali continuava ad accarezzare la stoffa morbida delle maniche… l’indimenticabile candore della sua pelle, illuminato da un velo sottilissimo di cipria che la faceva sembrare una bambola… le gote accese da una impalpabile sfumatura color pesca…
Jess rimase inerme ad osservarla, per la seconda volta in quella strana serata: scrutò ogni centimetro della sua sagoma stagliarsi nell’aria fredda della notte, come nel terrore di poterla smarrire ancora.
I loro occhi nuovamente uniti da quel filo immaginario che sembrò non essersi spezzato nemmeno a distanza di cinque anni.
“Eccolo, il potere del destino, Jess…” sussurrò Francis, prima di allontanarsi compiaciuta e scomparire di nuovo tra la folla festosa di Times Square.
Il ragazzo sospirò un paio di volte, prima di trovare la forza di muovere un solo passo: quando lo fece, cercò di mascherare ogni tipo di emozione dietro un’apparente sicurezza di se.
Con mani in tasca e movimenti sicuri, la raggiunse: si fermò ad un paio di metri da lei, ma fu certo che quel leggerissimo profumo di miele, percepito nell’aria, provenisse dalla sua pelle… una fragranza rimasta impressa nei propri ricordi, come se non fosse passato che un giorno dal loro ultimo incontro…
Si sorrisero, senza parlare, e rimasero ad osservarsi l’un l’altro, con espressioni divertite, per qualche minuto.
Il silenzio fu interrotto dalla voce calda e delicata di Rory, la prima a rompere gli indugi: “Buon anno, Dodger…”.


image

 
Top
Francis82
view post Posted on 11/4/2008, 19:35





Sono costretta a chiedervi nuovamente perdono del ritardo, ma la maledetta università deve avere la precedenza su questo genere di cose, purtroppo. -_-
Dunque… siamo arrivati al primo punto cruciale di questa FF… :wub:
Come aveva intuito Anya, ho cercato di prolungare l’attesa dell’incontro per farvelo gustare meglio… evitare di cadere nella banalità di un “normale” incontro… perché nulla, nella storia d’amore fra Jess e Rory, potrà mai essere banale… ce lo ha insegnato quel genietto di Amy (…la prima a farci attendere la bellezza di 25 PUNTATE, prima di vederli ufficialmente insieme!)…
Non mi resta che farvelo godere, questo fatidico incontro… buona lettura, care literati… :timido:




Al suono di quel dolce appellativo, Jess si lasciò sfuggire dalle labbra socchiuse una risata talmente breve da risultare quasi impercettibile: per un istante fu come se avesse avuto ancora dinnanzi a se qualcosa di estremamente familiare, qualcosa che era convinto di aver perduto lungo la strada tortuosa della propria vita… come se, per magia, il tempo lo avesse sollevato da quella folla oceanica e trasportato indietro di 11 anni… si fosse ritrovato sbalzato di forza in un buco di paese nel mezzo del Connecticut… davanti ad una ragazzina del liceo, solo in apparenza simile a tutte le altre… dallo sguardo dolce e pungente al tempo stesso… dotata di un’arma infallibile, quel sorriso talmente sincero da mostrarsi capace di abbattere qualsiasi barriera difensiva posta al proprio cospetto… una fanciulla dalle curve un poco acerbe, ancora castigatamente nascoste dentro una felpa scura troppo grande ed un paio di bluejeans...
Chiuse gli occhi un momento, come per trattenere la tenerezza di quell’immagine che da tanto tempo non lo veniva a cercare… chiuse gli occhi per conservarne il brivido, lasciarlo scorrere silenzioso lungo la schiena: “Non posso credere che tu lo ricordi ancora…”.
Riaprendo gli occhi, la vide annuire col capo… mentre l’emozione della fanciulla venne tradita da una sfumatura rosea accendersi sul profilo delle sue gote, appena illuminate dalle luci della festa che incombeva tutt’intorno.
Restarono in silenzio per qualche altro istante, ancora noncuranti nei confronti della scia rumorosa che continuava a circondarli: secondi di cui Jess si servì per perdersi di nuovo in quegli splendidi occhi blu… occhi che, per molto tempo, lo avevano inseguito… ridotto a pezzi… a passare lunghe nottate sui libri, nel tentativo di eliminare ricordi taglienti come lame affilate.
Li ritrovò belli come un tempo.
Tuttavia, qualcosa gli parve diverso… una semplice sfumatura, forse, ma che balzò immediatamente in cima alle sue attenzioni: non si trattava più dello sguardo di una giovane pronta ad affrontare il mondo… la luce particolare del coraggio e, allo stesso tempo, dell’incoscienza che guida nei primi passi verso la maturità…
Erano chiaramente gli occhi di una donna… una vera donna, ormai sicura di se e delle proprie azioni…
Si domandò cosa nascondessero, dietro quel celeste a tratti abbagliante: chissà quali esperienze avevano vissuto, in tutti quegli anni… quali meravigliose cose avevano avuto la possibilità di osservare… quante esperienze li avevano riempiti di immagini indimenticabili… quante volte avevano pianto di gioia… quante altre di dolore…
Colei che in tante occasioni gli aveva parlato a cuore aperto dei propri sogni, era riuscita a trasformarli in realtà?
Quale tipo di vita si era costruita, durante tutto quel tempo?
Un vortice di domande a cui avrebbe desiderato porre risposta anche solo grazie a quei giochi di sguardi che si erano continuati a lanciare dal momento del loro incontro.
La verità è che trovava splendido anche soltanto il rimanere fermo a guardarla… senza che nessuno dei due emettesse il minimo suono, all’infuori dei respiri trasformarsi in sottili nuvole di vapore nell’aria gelata…
Qualche istante e Jess percepì, in quel carico di emozioni accavallarsi sui propri sensi eccitati, una sensazione diversa, esattamente all’altezza della bocca dello stomaco: la paura di perderla di nuovo.
Il pensiero di poterla vedere scomparire, in quella serata incantata, lo incupì di colpo.
Strinse i pugni all’interno delle tasche della giacca, e decise d’interrompere suo malgrado quella splendida quiete, abilmente riempita, fino a quel momento, dalla muta complicità dei loro occhi: “Ti va di fare due passi insieme?”.
Nell’ulteriore silenzio che seguì a quella domanda, il petto di Jess sembrò voler esplodere dalla trepidazione.
Rory rimase immobile a guardarlo per un paio di secondi che parvero un’eternità, quasi meravigliata da quella proposta.
Più probabilmente, fu l’intera situazione ad averla resa un po’ insicura.
Fece appena un passo e, sorridendo, infilò lentamente la mano sotto il braccio di Jess: “Con molto piacere…”.
Nascondendo abilmente la sensazione piacevole nata da quel contatto fisico improvviso, il giovane lasciò scivolare la propria mano su quella della ragazza ed iniziarono a camminare.
Mille parole invasero le loro menti, senza che nessuna di queste riuscisse apparentemente ad arrivare fino alle labbra: quel feeling speciale che avevano provato a livello epidermico negli ultimi minuti avrebbe retto al peso delle frasi di rito, degli inevitabili convenevoli?
I passi lenti e rilassati non servirono molto a tranquillizzare Jess, mentre Rory parve adattarsi più facilmente, con la sua solita grazia e classe, a quella strana situazione.
La musica si affievolì, nell’allontanarsi da Times Square verso una delle strade laterali, lasciando il posto al rumore regolare ed elegante dei tacchi della ragazza sul freddo cemento del marciapiede.
La coda dell’occhio del giovane scese allora maliziosamente sulle sue gambe affusolate, scivolare tra le pieghe della preziosa gonna di raso nero, che spuntava per qualche centimetro dal bordo inferiore del cappotto.
Lo sguardo continuò a seguirne il profilo, fino a terminare in quelle deliziose scarpette di vernice, decorate sulla punta con minuscole pietre verde smeraldo che luccicavano ad ogni passo nel buio della strada.
La osservò, con un solo gesto deciso e sexy, sciogliersi i capelli sulle spalle e sorridere della sensazione piacevole delle ciocche liberarsi nell’aria.
Non poté evitare di notare quanto avesse sviluppato una propria sensualità particolare, quella ragazzina di provincia che arrossiva ad ogni sguardo particolarmente insistente: un atteggiamento aggraziato e provocante al tempo stesso… qualcosa che non aveva trovato in nessun’altra delle donne con le quali aveva intrecciato relazioni, seppur brevi, in quegli ultimi anni.
Dopo qualche decina di metri, Rory rallentò il passo, fino a fermarsi al centro del marciapiede ed allentare la presa dal braccio del proprio accompagnatore, al punto di staccarsene completamente.
Percependo quel suo sottrarsi apparentemente immotivato, Jess si voltò indietro, confuso: “Qualcosa non va?”.
Rory lo tranquillizzò, abbozzando una risata un poco imbarazzata.
All’espressione ancor più stupita di Jess, la giovane sospirò: “Questi non siamo noi…”.
“Che vuoi dire?”.
Rory allargò le braccia, indicando la strada percorsa fino a quel momento: “Questi… noi due che misuriamo le parole… che passeggiamo in silenzio…”.
Jess annuì col capo e continuò ad ascoltarla: “E’ tutto così strano! Sono passati anni… Mio Dio, sono passati cinque anni dall’ultimo nostro incontro… Quando ti ho notato, in mezzo alla folla, mi si è spezzato il respiro, lo giuro. Non so bene come dovrei reagire a tutto questo…”.
Jess riprese a camminare, questa volta nella sua direzione, fino a fermarsi a pochi centimetri dal suo viso e guardarla intensamente, probabilmente come soltanto lui aveva sempre saputo fare.
La ragazza sospirò, prima di riprendere a parlare: “Sono felice di averti rincontrato, Jess. Certo, ne è passata di acqua sotto i ponti… siamo sicuramente diversi… più grandi e più maturi…”
Il suo sguardo s’illuminò, prima di tornare ad essere seria: “Ciò non significa che quello che è rimasto del nostro rapporto debba per forza trasformarsi in qualcosa di così freddo e formale. Per come entrambi siamo fatti… per ciò che c’è stato… Torniamo ad essere, almeno per una sera, i vecchi Jess e Rory... che ne dici?”.
Jess non parve avere la forza di staccare i propri occhi da quelli della fanciulla, in trepida attesa di una conferma alle proprie parole.
Si rese conto che cinque anni non erano stati che un battito di ciglia per quella loro storia… per ciò che li aveva legati… per la passione che li aveva travolti fino a perdere la ragione e cercare di sfuggire l’uno dall’altra…
Provò nuovamente quel desiderio che, per mesi e mesi, aveva cercato di cancellare con ogni energia rimastagli in corpo… quel desiderio che aveva cercato di appagare nel letto di altre donne, senza alcun risultato… il desiderio di lei… soltanto lei… la sua indimenticabile Rory.
La mano del ragazzo tornò a scivolare sulla sua e, afferrandola in maniera ancor più salda, la avvicinò nuovamente al proprio fianco.
Inclinando la testa fino a sfiorare con la fronte quella della ragazza, abbassò lo sguardo a terra, teneramente: “Potremmo ancora sederci su una panchina e guardarci le scarpe…”.
“Lo sai che non mi sembra più così stramba come idea?” sorrise dolcemente lei, aggrappandosi col suo esile peso al braccio del proprio cavaliere.
Finalmente ogni esitazione e preoccupazione svanì nell’aria fredda della notte sempre più inoltrata, mentre le sagome dei due giovani si allontanarono all’orizzonte, al ritmo incessante dei festeggiamenti del nuovo anno.


image

 
Top
Francis82
view post Posted on 11/5/2008, 11:05






Come sempre in ritardo, vi posto il nuovo capitolo della FF… mi rendo conto che sia fastidioso aspettare tanto, ma faccio quello che posso e spero tanto che la lettura vi ripaghi dell’attesa… :rolleyes:
Grazie ancora per i meravigliosi commenti che lasciate e spero di leggerne di nuovi… buona lettura a tutti… :fiori:


I rumori finalmente affievoliti, permisero a Jess di godersi un po’ più in tranquillità il cielo stellato di quella interminabile notte misteriosa: col naso all’insù ed i gomiti appoggiati ad una ringhiera di ferro battuto, attese per qualche istante che Rory tornasse da lui, dopo essersi allontanata per appena un paio di minuti.
Abbandonando la contemplazione del firmamento farsi sempre più imponente sopra di se, abbassò la testa, ruotandola leggermente in direzione della fanciulla, senza però farsi notare: la spiò con la coda dell’occhio gesticolare al telefono e, di tanto in tanto, mettersi a camminare nervosamente sul bordo del marciapiede, tenendo stretto il colletto del cappotto con una mano per ripararsi dal vento.
Non si rese conto dell’insistenza con la quale il proprio sguardo finì di nuovo per concentrarsi su di lei… come se non esistesse altro tutto intorno… non percepì la propria avidità nel carpire ogni minima sfumatura di quel suo atteggiamento sicuro e adulto, così diverso da quello che era in grado di ricordare limpidamente ancora, dopo cinque anni: fu come se inconsciamente sentisse di non dover perdere nemmeno un istante di lei, nell’incertezza di quanto sarebbe durata quella loro stranissima rimpatriata.
Soltanto quando gli occhi della fanciulla incrociarono i propri, Jess fu costretto a scostare l’attenzione sul lato opposto della strada, abbassando il capo col volto imbarazzato: il suo gioco era stato miseramente scoperto.
Udì il ritmo regolare dei suoi tacchi avvicinarsi a se e risollevò la testa.
“Perdonami. Era una telefonata, in parte, di lavoro… Non potevo proprio evitarla!” sorrise candidamente lei, mostrandogli il cellulare ormai spento finire sul fondo della borsetta.
“Lo sai che mi è sempre piaciuta la tua intraprendenza!” commentò: “Tuttavia, mi devo abituare a questa nuova situazione… intendo al fatto che parlare con te significa ormai parlare con una donna in carriera”.
La ragazza si mostrò lusingata, stringendosi ancora nel cappotto, per ripararsi dall’aria, man mano che i minuti scorrevano, sempre più pungente: “Donna in carriera… uhmm… mi è sempre piaciuta questa definizione. Però non mi ci sento ancora completamente…”.
Senza nemmeno accorgersene, Jess le avvolse le spalle col proprio braccio, cercando istintivamente di riscaldarla: “Finora mi hai parlato della campagna di Obama alle presidenziali… del tremendo caffè che hai dovuto bere alle conferenze stampa dell’Illinois… e di quando ti sei addormentata nello sgabuzzino di un albergo, nel tentativo di intervistare David Bowie…”.
“Ero certa che quel racconto sarebbe diventato il tuo preferito!” scoppiò a ridere lei, pizzicandogli il braccio divertita: “Quando mi ritrovai a buttar giù l’esperienza di quella notte, non potei fare a meno di pensare a te…”.
Improvvisamente, il ragazzo s’intenerì: “Pensare a me?”.
Rory non si rese conto immediatamente del valore che quella semplice frase avrebbe potuto assumere agli occhi di Jess, e riprese a raccontare: “Si, te lo assicuro! Ricordo che rimasi al computer fino a tardi, per poter consegnare la bozza la mattina successiva… Per cercare ispirazione e, allo stesso tempo, evitare di appisolarmi sulla scrivania, mi misi a frugare tra i miei vecchi cd ancora seppelliti sul fondo degli scatoloni del trasloco a New York…”.
Il ragazzo la lasciò continuare, senza fiatare: “Quando ripescai la copia di “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars” ripensai a quel pomeriggio di maggio a casa di Luke, durante il quale discutemmo per ore su quale fosse in assoluto il miglior disco del 1972…”
Rory socchiuse gli occhi, forse nel tentativo di figurarsi una scena che la sua mente aveva teneramente conservato intatta: “Tu insistetti per farmi riascoltare quell’album, dalla prima all’ultima traccia, con una tale impetuosità che finimmo quasi per fare a botte sul divano… mio Dio, sembra passato un secolo!” e, riaprendoli, il sorriso parve appannato da un velo di rimpianto.
Jess si accorse della piega che avrebbe potuto prendere quella conversazione fatta di ricordi: ancora poco e quella splendida complicità avrebbe rischiato di trasformarsi in un doloroso resoconto di ciò che della loro storia sarebbe potuto essere, ma che purtroppo non è stato…
Fece di tutto per cambiare discorso, evitare ad entrambi l’ennesima dose di veleno: quel rinfacciarsi vecchi errori, ormai divenuti ospiti scomodi nelle loro coscienze maturate dal passare degli anni.
“Però quell’articolo ti ha permesso di essere finalmente assunta al Times!” sorrise, nascondendo a fatica l’inquietudine dovuta al frammento di vita passata appena riaffiorato.
“In effetti, hai ragione. Ottenni il colloquio perché Daniel, uno degli assistenti del vice direttore, lesse quel brano e lo trovò particolarmente ironico e interessante…” e anche sul volto della ragazza tornò a spuntare un sorriso di quieta serenità.
“Mi piacerebbe leggerlo…” sospirò lui.
Dopo qualche secondo di silenzio, dal capo abbassato della ragazza, si udì un tenerissimo: “E io vorrei tanto che tu lo leggessi…”.
Il cuore di Jess sembrò stringersi in una morsa fortissima, al suono di quelle parole: non lo aveva dimenticato… nonostante centinaia di chilometri li avessero separati per mesi e mesi interminabili, qualcosa della loro vecchia complicità si dimostrò più vivo che mai… come braci a cui basta appena un soffio di vento per riaccendere una fiamma che, nascosta e silenziosa, aveva continuato ad ardere al di sotto della cenere…
Si guardarono negli occhi intensamente per un paio di secondi che parvero non aver mai fine: una sorta di elettricità sembrò percepibile nell’aria tutt’intorno e, nonostante il freddo fosse ormai talmente invadente da congelare perfino i pensieri, le guance della fanciulla si accesero dall’emozione.
Sarebbe stato facile approfittare di quell’istante speciale.
Facile lasciarsi andare alla parte più romantica di certi ricordi scomodi… sciogliere per un solo momento le rigide catene della razionalità…
Si trattava però di un uomo e una donna, non più dei ragazzini che vivevano d’istinto la loro passione… non più due adolescenti lasciarsi andare a baci appassionati tra le vie, eccentriche e perbeniste allo stesso tempo, di un paesino del Connecticut.
Fu Rory la prima ad abbassare lo sguardo, probabilmente spaventata da quel carico di emozione che non sembrò essere in grado di reggere, nonostante tutto.
“Non so quanto champagne tu abbia bevuto, ma… a me ci vorrebbe un bel caffè!” sospirò poi.
“Vedo che certi vizi sono destinati e non esaurirsi mai, eh?” abbozzò una risata lui.
“Scherzi? Il consumo di caffeina, nelle mie giornate al Times, si è quadruplicato!” continuò Rory, spalancando gli occhioni azzurri nel buio della notte newyorkese.
Jess si guardò intorno, nel tentativo di ricordare quale fosse il bar più vicino al quartiere in cui si trovavano in quel momento: “Potremmo andare da Sam, la caffetteria accanto al negozio di fiori, che ne dici?”.
Il dito indagatore della giovane gli si piazzò dinnanzi al volto: “Dico che è da troppo tempo che non frequenti Manatthan… quel locale ha chiuso almeno un anno fa, Mariano!”.
“Accidenti, hai ragione… Prometto che, da stasera, vedrò di colmare le mie lacune!” si grattò la testa con gesto colpevole, lui.
“Nel frattempo, vieni con me… Ti farò assaggiare il migliore caffè della zona!” e la mano di Rory finì di nuovo sulla sua, in un gesto dolcemente familiare.
Camminarono ancora per un paio di isolati, chiacchierando allegramente di come fosse cambiata New York, da quando Jess l’aveva abbandonata per preferirle il nuovo fermento culturale di Philadelphia.
Il ragazzo s’incantò ad ascoltare quanto di ciò che aveva amato in quelle strade fosse mutato, a distanza di tempo… e ancor di più rimase affascinato dal modo in cui tutto ciò gli venne descritto, con minuzia e passione, dalle parole di Rory.
Capì quanto per lei fosse diventata importante quella città, le fosse entrata dentro l’anima… esattamente come era stato per lui, appena qualche tempo prima…
Improvvisamente, la giovane rallentò il passo, fino a fermarsi completamente: “Siamo arrivati, Dodger!”.
Jess alzò lo sguardo dai propri passi, ma non vide traccia di insegne luminose o tavolini apparecchiati: “Mi stai prendendo in giro?” sorrise.
La ragazza gli indicò il portone alle proprie spalle e, frugando all’interno della borsetta, estrasse un mazzo di chiavi tintinnanti.
“Stavi parlando di casa tua, per caso?” scoppiò a ridere lui.
Prima che Jess avesse il tempo di reagire, Rory spalancò dinnanzi al suo sguardo perplesso il portone di metallo scuro: “Esattamente. Il caffè delle ragazze Gilmore non si batte: è la ricetta perfetta!”.
L’amico, seppur lusingato, s’irrigidì dinnanzi a quell’invito improvviso: era già stato emozionante rivederla e riscoprirne la complicità… entrare materialmente nel suo mondo, avrebbe di certo riacceso sentimenti ancor più importanti…
Il rischio di bruciarsi, gli apparve davvero elevato.
Rimase fermo al centro del marciapiede, nascondendo i pugni chiusi dentro le tasche della giacca, e la osservò salire un paio di gradini: era bellissima e lo voleva con se, in quel momento.
Sentì la testa girare dall’emozione, ma si trattenne dal farglielo notare in qualsiasi modo possibile.
Quando non lo percepì alle proprie spalle, Rory si voltò stupita, per poi guardarlo teneramente: “Cosa c’è che non va?”.
Come avrebbe dovuto risponderle?
Avrebbe dovuto ammettere di aver paura di lei… aver paura del desiderio che si era reso conto di provare ancora nei suoi confronti?
Jess Mariano o, per meglio dire, l’uomo che era diventato, non avrebbe mai ammesso una tale debolezza: inspirò profondamente e, accennando ad un sorriso, seguì la scia di profumo lasciata al suo passaggio, salendo qualche gradino e richiudendo il portone cigolante alle loro spalle.



image

 
Top
Francis82
view post Posted on 14/6/2008, 10:43





Sembrava impossibile, ma finalmente eccovi postato il nuovo capitolo. :lol: ;) :lol:
Per farmi perdonare, è parecchio lungo e spero tanto vi piaccia. :wub:
Come ho detto in passato, per altre fanfiction… preparate i fazzoletti… :cry:
Buona lettura!



Al termine della seconda rampa di scale, Rory avvertì il proprio accompagnatore con aria mortificata: “L’ascensore è rotto da più di un mese, ma l’agenzia di riparazioni non si è ancora degnata di richiamarmi!Nel frattempo, sfrutto questa seccatura per tenermi in forma… purtroppo non dev’essere così piacevole per gli ospiti, me ne rendo conto!”.
Jess sorrise di quel suo atteggiamento: trovare in qualsiasi situazione il lato positivo delle cose rappresentava una delle caratteristiche che aveva da sempre amato nel suo carattere solare.
La seguì in religioso silenzio fino all’ultimo piano, nascondendo abilmente il proprio respiro farsi via via più affannato.
Prima di spalancare la porta di legno chiaro, sulla quale erano attaccati tutta una serie di simpatici post-it colorati con messaggi di amici e promemoria, Rory vi si fermò dinnanzi, appoggiandovi le spalle e tenendo una mano ben salda sulla maniglia: “Eccoci arrivati al mio piccolo nido felice!”.
“Nido è la definizione giusta, dopo sei piani di scale…” non poté fare a meno di ironizzare lui, prendendo fiato e sbottonandosi leggermente il colletto della camicia.
L’amica continuò a lanciargli avvertimenti, con l’aria imbarazzata di chi tiene in modo particolare al giudizio della persona che ha di fronte a se: “Non far caso alla pila di piatti da lavare che ti capiterà di intravedere sul lavello della cucina… ah, nemmeno al cesto di biancheria da piegare che probabilmente ho dimenticato accanto al televisore… sono stata parecchio impegnata negli ultimi giorni!” e, facendogli strada, spalancò le braccia sul salotto affacciato all’ingresso.
Fin dal primo sguardo, Jess ritrovò il tocco inconfondibile di Lorelai in parecchi degli oggetti che in breve lo circondarono: da un paio di ingombranti tazze colorate improvvisatesi vasi sopra il davanzale della finestra, alla strana lampada di Hello Kitty posizionata accanto al mobiletto del telefono… ne sorrise, muovendovisi intorno incuriosito come un bambino.
Rory lo precedette da perfetto cicerone, sfilandosi di dosso il cappotto e sospirando della temperatura interna, che finalmente stava ridonando alle sue gote infreddolite un po’ di piacevole tepore.
“Come vedi, per quanto piccolo, ho cercato di rendere l’ambiente il più accogliente possibile! Non ti spaventare se vedi cuscini infilati ovunque: sono per i miei pisolini tra un articolo e un altro, quando i turni di stampa si fanno pressanti… in parte sono anche per amiche e colleghi che si fermano a dormire… e fidati, capita talmente spesso! Questo appartamento è un porto di mare!” commentò, buttandosi sul soffice divano di lana rossa al centro della stanza.
Riviste e quotidiani ricoprivano gran parte dei mobili, insieme a pile di cd e dvd; una libreria di ciliegio, straripante di libri di ogni genere e dimensione, occupava l’intera parete a nord, mentre riproduzioni di Andy Wharol appese si muri dipinti di giallo pallido rendevano l’atmosfera ancor più colorata e allegra.
Una enorme vetrata, dalle soffici tende bianche raccolte ai lati, gli parve un occhio puntato sulla vita piacevolmente caotica della Grande Mela.
“Rispecchia il tuo carattere, non c’è che dire!” sospirò lui, grattandosi la nuca con aria interessata.
La ragazza si sollevò di scatto, dirigendosi verso la cucina: “Ti avevo promesso un caffè, non me lo sono dimenticata!”.
Jess osservò i suoi fianchi, resi ancor più femminili da una fascia di raso ben stretta in vita, muoversi con disinvoltura tra il ripiano azzurro dell’angolo cottura e il frigorifero, ricoperto di calamite che reggevano vecchi articoli del Times e fotografie di tutti i generi: alcuni scatti ritraevano Rory e la madre durante chissà quale buffa manifestazione nell’inconfondibile piazza di Stars Hollow… altri ancora amici e collaboratori dei vari giornali nei quali la giovane aveva lavorato prima di arrivare al Times.
Tutto sembrò a Jess stranamente familiare e rilassante: come se, invece che da un paio di minuti, in quel luogo vi si fosse trovato da sempre.
Da un lato, lo spaventò questo suo sentirsi a proprio agio: probabilmente quella visita non sarebbe durata che il tempo di un caffè… abbandonare quella piacevole sensazione per tornare alla vita di tutti i giorni, conservando tutto questo come un semplice ricordo, non sarebbe stato facile… non lo sarebbe stato perché il distacco da Rory, breve o prolungato che fosse, non era mai stato qualcosa di indolore per lui.
Scacciò dalla mente ogni pensiero malinconico e decise di concentrarsi esclusivamente sul presente: “Nessuna foto con premi nobel e capi di stato?” ironizzò, spiando tra gli articoli appesi.
“Quelle le conservo in un album, sono troppo preziose!” scherzò lei, sollevandosi sulle punte dei piedi, mentre la mano destra frugava in fondo alla mensola alla ricerca della scatola dei biscotti.
Lasciandosi prendere dall’osservarla sgranocchiare un dolcetto e sfilarsi con naturalezza la pesante collana di perle per poi gettarla sul tavolo, il giovane riprese a parlare: “Ancora non posso credere che tu ce l’abbia fatta! Non mi fraintendere… io ero certo che saresti riuscita a realizzare il tuo sogno! Lo sai che ho sempre creduto in te. Quello che mi sorprende è che, pur essendoti trasferita e aver trasformato gran parte della tua vita, non sei cambiata… sei sempre tu… sei sempre la dolce Rory Gilmore…”.
La fanciulla rimase ad ascoltarlo senza fiatare: soltanto dai suoi occhi farsi lievemente lucidi, si poté intuire che quelle frasi l’avessero colpita profondamente.
Si creò istintivamente un silenzio che durò per un paio di minuti, spezzato, soltanto in seguito, dal segnale acustico della caffettiera talmente acuto da far sussultare sia la ragazza che il proprio ospite.
Fu così strano per entrambi essere lì in quel momento… dopo tutto ciò che c’era stato… dopo che gli avvenimenti avevano fatto presagire, per molto tempo, un distacco quasi definitivo…
La giovane si voltò per un istante verso la finestra: probabilmente fu l’impulso di voler trattenere quel mare di sensazioni nel più profondo di se stessa… celare dietro apparente tranquillità un brivido inaspettato e travolgente…
Si spostò con la scusa di afferrare lo zucchero, quando il ragazzo fece per avvicinarsi: Jess intuì il motivo di quel suo sottrarsi repentino e indietreggiò.
Fu come se entrambi non sapessero come gestire l’esiguo spazio che li conteneva, intenti a evitare in qualsiasi modo di superare quella distanza minima in grado di farli sentire al sicuro da possibili colpi di testa.
Nel porgere la tazza fumante a Jess, tuttavia, quel confine invisibile venne per un momento oltrepassato: i delicati polpastrelli di Rory sfiorarono quelli del ragazzo… i respiri si fecero irregolari… l’adrenalina divenne qualcosa di estremamente reale e tangibile nell’aria…
Jess ripeté mentalmente a se stesso che, se non fosse uscito immediatamente da quella stanza, l’autocontrollo mostrato sino a quel momento non avrebbe retto alla vicinanza dei loro corpi e, al tempo stesso, delle loro anime.
Si mosse velocemente verso la porta, senza neppure guardarsi indietro: avesse continuato a fissarla negli occhi ancora un istante, non avrebbe resistito al desiderio di baciarla.
Si morse le labbra, avvicinandole al bordo della tazza, e sorseggiò il liquido caldo nel tentativo di distrarre i propri sensi eccitati.
I movimenti impacciati lo fecero sentire uno stupido: dopo tutto il tempo che era trascorso, si ritrovava ancora a fuggire da lei!
“Dovrei chiederti scusa…” la udì sospirare.
Lo sguardo perplesso dell’ospite, la costrinse a proseguire: “Ti ho privato della compagnia di una ragazza, poco fa…”.
Jess riprese a sorridere, lasciandosi cadere sulla poltrona e posandovi la tazza sul bracciolo: “Parli di Francis…”.
Notò con piacere una sfumatura di malizia, nel suo domandare: “Si tratta della tua fidanzata?”.
Tentennò un momento prima di risponderle: è probabile che lo facesse inconsciamente per tenerla sulle spine.
La scrutò di nuovo, in piedi appoggiata con eleganza allo stipite della porta della cucina… quelle sue dita affusolate che facevano tintinnare il cucchiaino sul bordo della tazza… le labbra avvicinarvisi per soffiare lontano la scia di vapore…
Quando Rory rialzò lo sguardo verso di lui, sgranando i profondi occhi celesti, Jess capì che non avrebbe potuto indugiare oltre senza rischiare di apparire crudele: “No, è la mia migliore amica. So che può suonare strano, detto da uno come me… uno che di amici, veri e propri, non ne ha mai avuti!”.
“Trovo che sia molto carino, invece… Ho notato che ti guardava con grande affetto, lo sai?” continuò lei, buttandosi tra i cuscini e sollevando i piedi sul divano, dopo aver fatto scivolare sul tappeto le preziose scarpette.
“Mi è stata vicina nei momenti peggiori degli ultimi anni… devo ammettere di doverle molto…”.
“Pensavo avessi trovato la tua isola felice a Philadelphia…” Rory si mostrò stupita da quell’affermazione.
“E’ così, infatti! Però ho avuto anche momenti di abbattimento, non lo nascondo. Devo dire che Francis è stata un’ottima ascoltatrice… Quando ho avuto bisogno di sfogarmi, lei c’è sempre stata… ed io, per quel poco che ho potuto, ho cercato di essere presente nei suoi periodi neri…” raccontò lui, riprendendo a sorseggiare il proprio caffè.
Rory rimase ad ascoltarlo senza fiatare: “Sono diventato talmente protettivo nei suoi confronti da finire col prendere a botte un tizio sotto casa sua…” si lasciò sfuggire una risata prima di proseguire: “Da più di un mese continuava a tormentarla con telefonate notturne e scenate di gelosia… Non potevo più restare a guardarla mentre si faceva torturare da quello stupido! Così, nascosto nell’androne del palazzo, ho aspettato che lui si rifacesse vivo e…”.
L’amica si coprì la bocca con entrambe le mani, nascondendo una smorfia di simpatico disappunto: “Non posso crederci… sei sempre lo stesso…”.
“Che vuoi dire?”.
“Vuoi che chieda a Dean di rinfrescarti la memoria? Se non ci fossi stata io nel mezzo, vi sareste presi a botte migliaia di volte…” spiegò, finendo per arrossire.
Jess divenne stranamente cupo: “Una volta mi è bastata…”.
All’improvviso Rory ricordò l’episodio a cui si stava di certo riferendo il ragazzo: una bellissima serata terminata nel peggiore dei modi, con la sagoma di Jess scomparire tra pattuglie della polizia e viavai di ragazzini spaventati.
Per l’ennesima volta, il passato tortuoso era venuto a bussare alla loro porta: rimasero con gli occhi bassi per qualche istante.
Quando Rory li risollevò, notò Jess estraniarsi da tutto e rimanere concentrato sulla parete che gli stava dinnanzi: seguendo la linea del suo sguardo capì cosa aveva attirato la sua attenzione e ne sorrise teneramente.
“Hai individuato qualcosa di familiare?”.
Jess annuì, sollevandosi dalla poltrona: “Uno stile inconfondibile!” sospirò, fino a raggiungere un quadretto dalla cornice rossa un poco scolorita.
Dietro il vetro, due sagome stilizzate con pastelli di cera: una dalla folta chioma di riccioli castani e l’altra paffutella e dalle gote rosse.
“Doula diventerà un’artista, ne sono certa!” commentò Rory, alzandosi e portando con se uno dei cuscini stretto tra le braccia.
Udì Jess abbozzare una risata compiaciuta, prima di proseguire: “E questo dev’essere il piccolo William, sbaglio?”.
“Non sbagli. Sapessi che terremoto quelle due pesti insieme! Se non ricordo male, questo disegno risale a un anno e mezzo fa…” iniziò a raccontare lei, mentre gli occhi le si illuminarono di gioia: “Passai le vacanze di primavera a Stars Hollow e venni ingaggiata come loro baby sitter… Penso di non aver mai mangiato così tanto gelato come in quel periodo: ogni scusa era buona per corrompermi! Ho scoperto di possedere una certa abilità come riparatrice di bambole e trenini elettrici, sai? Fu davvero divertente… Al termine della settimana, non volevano più lasciarmi tornare a New York… il giorno della partenza William si piazzò seduto sulla mia valigia con un broncio adorabile, mentre Doula tentò di trattenermi offrendomi in pegno la sua scorta segreta di caramelle alla frutta…”.
Jess ascoltò ogni singola parola con un nodo in gola che parve stringersi ogni attimo di più: non intenzionalmente, Rory aveva toccato un tasto dolente della sua vita.
Uno dei rimpianti più grossi che lo avevano torturato in quei cinque anni era sempre stato la mancata presenza accanto alla sorella, quella bambina fantastica che stava diventando ogni giorno più grande lontano dai suoi occhi, dai suoi consigli fraterni, dalla sua protezione.
Per non parlare del piccolo William, nato dallo splendido rapporto tra Luke e Lorelai: lo zio non smise mai di aggiornarlo, nel corso del tempo, con dozzine di fotografie che però rimasero testimonianze mute di un rapporto negato dai mille impegni e dai troppi chilometri che li avevano divisi.
Preso da una scia di malinconia, Jess si lasciò andare al sentimentalismo: “Mi è dispiaciuto non essere presente al matrimonio…”.
Rory non sembrò delusa, ma teneramente comprensiva: “Non devi giustificarti, Jess. E’ successo tutto troppo presto…”.
Ciò a cui si riferivano le parole della ragazza era di certo il loro ultimo incontro: quella strana serata a Philadelphia, durante la quale si rese conto di essere riuscita a ferire i sentimenti di Jess più di quanto lui non avesse fatto nel periodo difficile ma indimenticabile della loro relazione.
“Forse dovremmo parlarne, Rory…” sospirò lui, appoggiandosi col palmo delle mani al davanzale della finestra.
La giovane si accostò al suo fianco, perdendosi ad osservare il vuoto davanti a se e mordendosi nervosamente le labbra: “Logan Huntzberger…” e, dopo un brevissimo sorriso, la luminosità del suo sguardo si spense: “Dio, sembra sia da una vita che non pronuncio più il suo nome…”.
Jess la guardò con grande dolcezza: “Ho avuto la conferma che qualcosa era cambiato, entrando qui. Non c’era nulla che parlasse di lui… Non è stato difficile capire…”.
La voce della fanciulla venne rotta dall’emozione: “Non ti ho mentito, Jess… lo amavo davvero… lo amavo con tutta me stessa…” disse, mentre le dita affondarono nella stoffa del cuscino che ancora teneva tra le braccia.
L’amico si limitò ad annuire col capo: nonostante fosse passato tanto tempo, fu come se la ferita si fosse riaperta magicamente… sentì la gola stringersi quasi fino a fargli male… non riuscì a domandarle altro…
Quando la ragazza incrociò il suo sguardo, si rese conto di non essere l’unico a soffrire profondamente a causa di quel racconto: lesse negli occhi di Rory i pesanti strascichi di una delusione ancora cocente e non ebbe il coraggio di chiederle di proseguire… al contrario, si voltò dall’altra parte.
Dopo qualche istante, la ragazza gettò uno sguardo fugace oltre il vetro, poi si allontanò dalla finestra: fece qualche passo per poi lasciar ricadere il cuscino sul divano.
Si voltò ancora nella sua direzione, senza però alzare mai gli occhi dal pavimento: “Mi chiese di sposarlo…”.
Fu per Jess come un pugno dritto alla bocca dello stomaco: per la seconda volta, durante quella conversazione, si ritrovò senza parole.
“Di tutto ciò che successe dopo ho soltanto un vago ricordo: probabilmente è qualcosa di naturale… il cervello elimina certe immagini per evitare che la sofferenza t’impedisca di andare avanti…” continuò lei, accarezzando con entrambe le mani il prezioso corpetto dell’abito, all’altezza del ventre.
Jess conosceva bene quella sensazione: aveva provato quel tipo di dolore per talmente tanto tempo che a stento riusciva a rammentare come fosse stata la sua vita prima di entrare in quel tunnel infernale.
Si limitò ad annuire, ancora una volta.
Rory socchiuse leggermente gli occhi, nel proseguire il proprio racconto: “Se mi concentro riesco a ricordare il fruscio provocato dalla stoffa della toga mossa dal vento… il rumore dei battiti accelerati del mio cuore… la sua voce che mi diceva addio…” e, dopo una breve pausa, li riaprì: “E’ finito tutto senza che nemmeno avessi avuto il tempo di reagire”.
Solo allora Jess ritrovò il coraggio di intervenire: “Mi dispiace che tu abbia sofferto…”.
“E’ stata una mia scelta. Ho deciso di far prevalere il sogno di tutta una vita… sono riuscita a realizzarlo ed è soprattutto per questo che non ho rimorsi… Soltanto, non posso fare a meno di domandarmi dove sarei oggi se la mia risposta fosse stata si…”.
“Non hai più avuto sue notizie?”.
Dondolò il capo: “Nulla…”.
Il silenzio calò di nuovo inesorabile, mentre Jess non poté fare a meno di sentirsi sollevato: in seguito a ciò che era successo durante il loro ultimo incontro, aveva avuto modo di immaginare mille possibili scenari futuri…ognuno di questi finiva per includere necessariamente il giovane Huntzberger al suo posto al fianco di Rory…
Si ritrovò leggermente imbarazzato nel constatare che ogni previsione si era dimostrata sbagliata, volgendo a suo vantaggio…
Guardò di nuovo Rory negli occhi, notandovi una certa inquietudine: quei ricordi le avevano fatto male… e Jess finì per sentirsi in colpa…
Dopo aver rotto quel silenzio raccogliendo rapidamente le tazze ormai vuote, l’amica si diresse verso la cucina, ostentando un sorriso incerto: “Ora smettiamola con questi discorsi tristi...”.
Jess attese qualche secondo, rimanendo solo davanti alla finestra: guardò le luci della festa illuminare ad intervalli regolari il profilo dei palazzi e si perse di nuovo in mille riflessioni.
Ricordò l’amarezza di quell’addio… quel “Non mi merito questo, Rory…” stretto tra i denti… l’espressione colpevole dell’unica donna che avesse mai amato, scomparire dietro la porta della libreria e portare con se anche un pezzo del suo cuore… il terrore di averla perduta per sempre… le notti passate a rigirarsi inutilmente nel letto, cercando un modo per dimenticare il più in fretta possibile…
Non sentendola ritornare, decise di alzarsi e raggiungerla: giunto sulla soglia della cucina, la vide asciugarsi una lacrima col dorso della mano, per poi nascondere la malinconia dietro l’ennesimo sorriso forzato.
“Non devi fingere con me, lo sai…” le si avvicinò di qualche passo.
“Rivederti mi ha fatto uno strano effetto, Jess. E’ come se… come se avessi portato con te un bagaglio di ricordi che non so se sono in grado di sostenere…” e un’altra lacrima finì per rigarle le guance.
“Detesto vederti soffrire…” e, dopo aver abbassato lo sguardo, terminò: “Forse è arrivato il momento di andarmene…”.
Rory spalancò gli occhioni azzurri, ma non disse nulla: rimase immobile, con le braccia incrociate dinnanzi al ventre ed una lieve tristezza sul volto.
Jess afferrò la giacca, avviandosi alla porta, e con una vena di amarezza nella voce la salutò da lontano: “E’ stato bello rivederti, Rory. Mi chiedo se mai riusciremo a parlarci senza finire col farci del male…”.
Lasciò l’appartamento senza voltarsi indietro, mentre quella maledetta morsa allo stomaco parve farsi quasi insopportabile.
Scese di corsa i gradini dell’ultima rampa di scale, nel tentativo di allontanarsi il più in fretta possibile da quella strada, da quel palazzo… da lei.
Ritrovatosi sul marciapiede, mentre i rumori invadenti della festa ritornarono a tratti a rimbombargli nella testa, nemmeno si accorse dei piccoli fiocchi di neve gelata che pian piano stavano imbiancando il quartiere.
Aveva fatto appena qualche passo, quando sentì il cigolio del portone riaprirsi: si voltò e lei era lì, infreddolita e spaventata da quella sua decisione improvvisa.
“Non andartene, ti prego!”.
Jess non seppe bene come reagire: rimase immobile, al centro della strada, con le mani in tasca ed il respiro affannato materializzarsi in nubi di vapore.
La fanciulla parve ancor più confusa: “Non so perché ho reagito così… è tutto talmente strano…”.
“Lo sai meglio di me, Rory… Io non ho fatto altro che portare guai nella tua vita! Non voglio l’ennesima replica del nostro dramma… non ha senso… non siamo più due ragazzini…” ribatté lui, mentre la sua voce risuonò nel vuoto del quartiere deserta.
“Ma io… io…” balbettò lei.
“Dammi retta, è la decisione giusta… per tutti e due…” e, sforzandosi di sorriderle, riprese la propria strada.
Aveva fatto appena quattro passi, quando una frase lo bloccò di nuovo: “Passa questa notte con me…”.
Rimase immobile, coi pugni stretti: il cuore sembrò voler esplodere dal desiderio di lei, pur sapendo che tutto ciò era sbagliato… terribilmente sbagliato…
Probabilmente si sarebbero pentiti di una tale decisione per il resto della vita… avrebbero complicato quel groviglio che, a fatica e col passare di anni, erano riusciti ad allentare…
Tuttavia, anche un eventuale rimpianto sarebbe risultato insostenibile…
Jess fece un lungo sospiro, socchiudendo gli occhi.
In quella confusione interiore, fu in grado di ricordare alla perfezione il sapore dei suoi baci e della sua pelle.
Si voltò di nuovo verso di lei, la guardò prendere coraggio e proseguire: “Quando mi hai lasciata sola, poco fa, non potevo credere che fosse successo di nuovo! In un solo istante, hanno iniziato a frullarmi in testa mille pensieri e centinaia di ricordi… poi ho ripensato ai tuoi occhi in mezzo alla folla di Times Square e qualcosa si è acceso nella mia testa! Credo che averti incontrato significhi qualcosa… ma, soprattutto, credo nel nostro essere speciali, Jess…”.
“Speciali…” ripeté lui con un filo di voce.
“Se tu ed io siamo qui, in questo preciso momento, non è per caso. Nonostante le nostre vite si siano ostinate a portarci lontano l’uno dall’altra, qualcosa prima o poi è sempre riuscito a ricongiungerci! Tutto questo, in passato, mi faceva paura… anche io troppe volte ho preferito scappare… ora non è più così. Sento che quello di stasera è stato un regalo meraviglioso che non voglio perdere a causa di rancori che insistiamo a portarci dietro come un fardello ingombrante… Hai ragione nel dire che noi non siamo più due ragazzini, Jess… ma crescere non significa costringersi a rinunciare!” un luccichio illuminò gli occhi della ragazza.
Jess tornò indietro, con passi lenti e un po’ incerti, senza mai staccare lo sguardo da lei.
Quando si ritrovò ad appena pochi centimetri dal suo volto, si fermò: “Ci faremo del male, Rory… lo abbiamo sempre fatto…”.
Sul viso della fanciulla si accese un sorriso: “Voglio correre questo rischio… ancora una volta…”.
La fronte di Jess si inclinò lievemente, posandosi sulla sua: “E’ una pazzia…”.
Le mani di Rory scivolarono dietro la nuca del ragazzo, accarezzandola dolcemente: “Siamo sempre stati dei pazzi, tu ed io…”.
Le loro bocche si sfiorarono un paio di volte in modo quasi impercettibile nell’aria fredda della notte, finché le labbra di Jess non presero coraggio e, schiudendosi su quelle di Rory, fecero sfociare quel contatto in un lunghissimo bacio pieno di passione.
Sentendola tremare dal freddo e dall’emozione, si sbottonò la giacca e premette il corpo esile della ragazza contro il proprio per cercare di riscaldarla.
Continuò a godere per qualche altro momento del sapore inconfondibile dei suoi baci, cingendole i fianchi con entrambe le braccia al punto da farla sollevare un paio di centimetri da terra.
Quando le loro labbra sciolsero quel magico contatto, allontanandosi le une dalle altre, Rory non poté trattenersi dal sorridere di gioia: “Mi sei mancato, Dodger…”.


image

 
Top
Francis82
view post Posted on 25/8/2008, 19:53





Mi inchino alle mie lettrici che hanno dovuto attendere così tanto… in mezzo c’è stata la laurea, poi le vacanze… :blink:
Ora non ho più scuse e quindi vi posto il capitolo taaaaanto atteso :rolleyes:
E’ stato sofferto, ma penso ne sia valsa la pena.
Ora il giudizio sta a voi, amiche mie. :wub:
Buona lettura


Passi frenetici risuonarono nella tromba delle scale, mescolandosi a respiri farsi via via più affannosi.
Le mani di Jess non seppero darsi controllo, tanto i suoi sensi vennero annebbiati dal sapore della pelle vellutata di Rory che continuava a scivolargli sotto le labbra.
Percepì le sue piccole dita infilarsi tra le fessure dei bottoni della camicia e sfilarli uno ad uno.
Quel profumo… si, quel profumo parve mandarlo talmente in confusione da rischiare di fargli perdere più volte l’equilibrio tra un gradino e quello successivo.
Giunti quasi a destinazione si resero conto di aver fatto un bel po’ di frastuono perché la porta dell’interno quattro si spalancò improvvisamente ed una minuta signora dai tratti orientali ne sbucò con aria infastidita: “Sono quasi le quattro del mattino…”.
Rory si tappò la bocca con le mani, finendo per arrossire: “Ops!”.
Dopo aver soffocato a stento una risata nell’osservare il proprio cavaliere che cercava di darsi un contegno riabbottonando a fatica la camicia, la ragazza si scusò: “Le chiedo perdono, signora Kashiwa… Torni pure a dormire e le prometto che faremo silenzio…”.
Jess fece allora scivolare un braccio dietro le ginocchia di Rory e, ridendo di gusto, la sollevò: “Non si preoccupi, ora le tolgo dai piedi la signorina Gilmore! Buon anno, signora Kashiwa!”.
L’anziana donna, con espressione assai perplessa, scomparì di nuovo dentro l’appartamento, mentre i ragazzi ripresero l’ardua salita verso l’interno sei.
Sentendola aggrapparsi alle proprie spalle con tutto il suo esile peso e rifugiare il viso ancora infreddolito sotto il profilo del mento, Jess si lasciò andare ad un lungo sospiro… per la prima volta dopo tanto tempo, poté ammettere di sentirsi felice.
Quando Rory scese con eleganza dal quel caldo abbraccio, posando i piedi nudi sul tappeto dell’ingresso e passando timidamente una mano sulla gonna ormai sgualcita, nel silenzio di quella notte misteriosa si guardarono di nuovo negli occhi intensamente.
Nella foga di quel loro bizzarro incontro e nella passione travolgente di quei baci, avevano perso di vista ciò che stava inevitabilmente per accadere.
“Jess…” sussurrò lei, mentre il suo sguardo tradì un velo di paura.
Il ragazzo abbassò il volto per un momento, grattandosi dietro la nuca nervosamente: “Mi sento un po’ strano…”.
Di certo non erano più i due ragazzini costretti a nascondersi in automobile per scambiarsi tenerezze lontano dallo sguardo vigile di Luke… tuttavia si sentirono imbarazzati al pensiero di fare l’amore… fare l’amore per la prima volta, dopo tanti anni dalla fine della loro relazione…
Rimasero in silenzio ancora per un poco, finché Rory non lo prese dolcemente per mano e lo condusse nella stanza accanto.
Si fermarono ai piedi del letto e rimasero abbracciati a lungo: soltanto il rumore regolare dei loro respiri… i movimenti impercettibili delle punte dei piedi… quel farsi cullare dal profumo dei loro vestiti eleganti mescolatosi con l’aria pungente della notte… nulla più di questo per rendere speciale quel momento…
Jess affondò il viso fra le ciocche dei suoi morbidi capelli, mentre una mano continuò ad accarezzarle teneramente la parte della schiena scoperta dal corpetto dell’abito.
Rialzando lo sguardo vide i suoi occhi celesti risplendere sotto il riflesso della luna, l’unica a squarciare con la sua luce pallida il buio della stanza.
Le scoprì la fronte dalla frangetta e vi posò le labbra dolcemente… quando scese fino a baciarle la punta del naso, la percepì sorridere.
“Vorrei che questo momento durasse in eterno…” sussurrò lui.
Rory sollevò le lunghe ciglia nere e lo guardò di nuovo intensamente, posando la mano destra del ragazzo all’altezza del proprio cuore: “Rimarrà dentro di me per sempre”.
Fu in quell’istante che Jess capì… capì che il desiderio di lei non poteva più essere trattenuto da baci a fior di pelle e carezze rassicuranti…
In un istante si trovarono a varcare il sottile confine che sta tra la tenerezza del ritrovarsi ancora innamorati dopo tanto tempo e la passione che scaturisce dal desiderio di fare proprio il corpo dell’altro, fino a diventare una cosa sola…
Il giovane lasciò le proprie mani calde scivolare intorno al suo ventre sottile e questa volta avvertì i muscoli di lei irrigidirsi dall’emozione… le dita raggiunsero la schiena… ne percorsero esperte il profilo, spingendosi sino a trovare sul loro cammino il bordo del corpetto, la cui cerniera si abbassò lentamente…
Senza alcuna fatica sollevò Rory da terra… le mani della fanciulla si allacciarono dietro il collo del proprio cavaliere, mentre le gambe sollevandosi di scatto finirono per cingerne i fianchi.
Rory lo baciò di nuovo con passione.
Lo baciò fino a perdere il respiro.
Lo baciò senza nemmeno percepire il contatto della pelle nuda con la superficie delle coperte.
Continuò a baciarlo, ignorando il rumore lieve delle lenzuola stropicciarsi sotto il peso dei loro gesti eccitati.
I vestiti scivolarono sul pavimento.
Nessun altro rumore… nulla… soltanto i loro respiri…




Gli occhi assonnati di Jess si schiusero lentamente, appena il tempo necessario per darsi modo di ricordare dove si trovasse.
Il profilo destro, ancora affondato nella stoffa del cuscino, si sollevò a fatica.
Pochi istanti e tutto fu chiaro: percepì il respiro lieve di Rory scivolare sulla propria spalla e si girò alla ricerca del suo volto, tentando di non svegliarla con movimenti bruschi.
La fanciulla aveva preso sonno appoggiata alla schiena di Jess… per tutta la notte lo aveva tenuto stretto a se con entrambe le braccia, come nel timore di poterlo smarrire… nella paura inconscia di non ritrovarlo accanto a se al risveglio.
Il ragazzo le baciò la fronte con tenerezza, prima di sottrarsi a quel dolce contatto.
Dopo aver infilato pantaloni e camicia, si mise seduto sul bordo del letto per qualche minuto… soltanto per guardarla dormire… per osservare le curve del suo corpo, divenute così femminili, trasparire dalla superficie delle lenzuola…
Era talmente bella da mozzare il fiato.
Si domandò come fosse stato possibile starle lontano per tanto tempo e cosa sarebbe successo se anni prima si fosse deciso a cercarla di nuovo.
Domande destinate a non avere risposta.
In quel momento, l’unica cosa che per Jess aveva un senso era lei…
Aveva senso soltanto averla a pochi centimetri da se…
Aveva senso poter sfiorare di nuovo quei capelli che profumavano di miele…
Aveva senso soltanto aver fatto l’amore con l’unica donna al mondo che mai avesse amato…
Si allontanò dal letto senza fare rumore e, tenendo le mani in tasca con aria pensierosa, abbandonò la camera.
Raggiunse il divano e si mise a frugare nelle tasche della giacca: quando ebbe trovato ciò che cercava, afferrò una coperta e uscì sul terrazzo.
Si sedette su un piccolo dondolo di ferro battuto a contemplare l’alba, quei timidi raggi di sole farsi spazio a fatica tra gli ingombranti grattacieli di New York e sciogliere quel poco di neve che aveva imbiancato appena il paesaggio urbano.
Con le spalle strette nella coperta, sospirò e sorrise: aprì il taccuino alla prima pagina bianca che trovò ed iniziò a scrivere.
Poco dopo furono gli occhioni azzurri di Rory a spalancarsi sul candore quasi abbagliante delle lenzuola illuminate dal primo sole del mattino: “Jess…” sussurrò con aria estremamente rilassata.
Non udendo risposta, sollevò il capo dal cuscino e si guardò intorno frastornata.
Per un momento si sentì persa: aveva provato quella sensazione molte volte in passato ed il solo presentimento di veder Jess scomparire di nuovo dalla propria vita senza una motivazione apparente la spaventò terribilmente.
Balzò fuori dalle coperte e infilò un paio di pantaloni da jogging ed una felpa, ovvero le prime cose che trovò a portata di mano ai piedi del letto.
Affacciatasi al salotto, sentì uno spiffero di aria fredda provenire dalla porta-finestra affacciata al terrazzino: tutto d’un tratto tornò calma e sorrise.
Non disse nulla… raggiunse Jess all’esterno dell’appartamento e gli accarezzò i capelli dolcemente…
Vedendolo addormentato, si sedette sulle sue ginocchia senza far rumore.
Si raggomitolò tra le sue braccia ancora una volta ed avvolse entrambi in un lembo di coperta.
Soltanto quando Jess la strinse, riprendendo a sonnecchiare, Rory si accorse del taccuino di pelle nera, caduto a terra proprio sotto i loro piedi.
Incuriosita, non poté fare a meno di allungare la mano e sfogliarne rapidamente qualche pagina.
I suoi occhi s’illuminarono: in quelle righe scritte c’era tutta la vita di Jess… le sue passioni, i suoi ideali ed il suo modo unico di guardare il mondo… insomma, tutto ciò che l’aveva fatta innamorare di lui…
Capì soltanto in quel momento quanto profondamente le fosse mancato durante quei lunghi anni di lontananza.
Rammentò con dolore acuto i mesi passati a chiedersi che fine avesse fatto quel ragazzo così speciale.
Aveva convinto se stessa di essere abbastanza forte per dare un taglio netto al ricordo di quella relazione tormentata.
Cinicamente, aveva più volte tentato di catalogarla come una storiella da adolescenti e nulla più.
Non era vero.
Era stato amore, dal primo momento.
Davanti a questi sentimenti riemersi all’improvviso, si trovò a dover rivalutare una fetta importante della propria vita e sospirò davanti a quell’alba meravigliosa.
Giunse all’ultima pagina del taccuino e decise di leggerla interamente: “Avevo deciso di non amare più. Avevo promesso a me stesso che nessuna ferita avrebbe mai più squarciato questo mio cuore ormai duro come pietra. Nessuna donna. Nulla. Avevo deciso di vivere per me stesso soltanto. Convinzioni accumulate per anni, accatastate come mattoni, fino a costruirne un muro ingombrante oltre il quale il mio stesso sguardo non potesse arrivare. Niente più lei, nessun orizzonte. Da ieri notte nulla di tutto ciò ha più importanza: distruggerò questo muro con le mie stesse mani, fino a farle sanguinare. Tutto perché ora ho lei. Ho lei come mai l’avevo avuta prima d’ora. Lei è l’orizzonte… lei è la mia vita…”.
Rory trattenne il fiato sino all’ultima parola.
Con le mani che iniziarono a tremare, richiuse il taccuino e tornò a rannicchiarsi tra le braccia calde di Jess…
Dopo aver sospirato, guardò di nuovo il sole innalzarsi davanti a se… davanti a loro… e cominciò a piangere in silenzio.
Eccolo, l’orizzonte…

image

 
Top
5 replies since 29/1/2008, 21:57   1955 views
  Share