Le parole che non ti ho detto, ff di Elena

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Elena_R
view post Posted on 16/12/2004, 22:20




Titolo: Le parole che non ti ho detto
Autore: Elena_R
Genere: Fanfiction
Stato: Conclusa

Commenti: Qui

Breve descrizione da parte dell autore:

per chi ancora non avesse iniziato a leggerla...

avevo letto di una lettera di GG che è stata tagliata: si tratta di una scena in cui Jess scriveva una lettera a Rory; il primo paragrafo è preso dalla suddetta scena, il resto è mia invenzione. ho pensato che una breve ff ci stesse bene... ditemi che ne pensate, ok?





LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO (parte 1)



“Stavo sfogliando questa copia di... e mi sono accorto che è tua. Suppongo che se mai finirò questa lettera, dovrei mandarti anche il libro. Mi dispiace di essermene andato in quel modo, ma ho dovuto farlo. Dovevo vedere se c'era qualche altro posto dove le cose possono essere diverse. Dove io posso essere diverso. Voglio solo qualcosa...di diverso.

Nulla di tutto questo a che fare con te. L'altra sera ce l'avevo con me stesso, col preside Martin, con tutta la scuola e ho scaricato la mia rabbia su l’unica persona che non lo meritava. Ti vedo già piegata in due dalle risate, perché di solito non dico questo genere di cose, ma so che mi mancherai. Non pensare che non tenga a te, perché è esattamente il contrario, ma devo allontanarmi da Stars Hollow e cercare di capire.

Non c'è niente di chiaro in queste righe, non trovi? In fondo sono confuso quanto le mie parole e spero che la prossima volta che ci vedremo potrò darti le risposte e le spiegazioni che meriti.

Immagino di doverti ringraziare per tutto...

Non ho idea di come finire questa lettera, quindi forse è meglio che lo faccia e basta.

Buona fortuna per l'Europa, Yale e tutto il resto.

Jess.”




Rilesse la lettera ancora e ancora, incerto se spedirla fosse la cosa più giusta da fare. Forse a Rory non importava più nulla del libro o di lui o delle sue spiegazioni; forse, come aveva detto al telefono, aveva già voltato pagina ed era andata avanti con la sua vita. Ma non poteva lasciare che le cose restassero così in sospeso tra loro e sentiva che una conclusione doveva essere scritta anche da parte sua.

Imbustò il foglio di carta senza indugiare oltre e lo mise casualmente tra le pagine della raccolta di poesie di Ginsberg; impacchettato il tutto entrò, trascinandosi, tra le porte scorrevoli del rumoroso ufficio postale. Aveva davanti solo un cliente, e stava per girare i tacchi ed andarsene quando l’impiegato gli rivolse il suo sorriso di cortesia, visibilmente fasullo, e gli chiese cosa poteva fare per lui. Jess esitò per diversi attimi e quell’omino con gli occhiali e i baffetti si appoggiò alla sua sedia in attesa che si decidesse, con un sorrisetto di derisione al posto di quello che gli aveva rivolto prima. Per un istante mise da parte le riflessioni sulla spedizione e desiderò prenderlo a pugni –dopo avergli gentilmente tolto gli occhiali, ovviamente. Ma forse quell’odioso burocrate in tutta la sua piccolezza, perché dopotutto era il semplice dipendente di un sistema che faceva acqua da tutte le parti, e presunzione, perché credeva di avere qualche immaginario potere conferitogli da una scomoda sedia dietro ad una scrivania, aveva ogni ragione per ridere di lui: si trovava ad un banco postale con un pacco da spedire e se ne stava immobile senza dire nulla. Ma quel libro non era suo ed era giusto che tornasse al suo padrone o padrona. Avrebbe potuto togliere la lettera e renderlo anonimo, anche se lei avrebbe capito lo stesso, ma ormai era tardi e non poteva farsi prendere in giro più di così. Sospirando gli porse il pacchetto e lo guardò mentre spariva tra le avide mani dell’impiegato. Ora non c’era più via di ritorno e Rory stava per ricevere una bella sorpresa; pensò a come avrebbe potuto reagire, l’immaginò con la faccia disgustata davanti alla sua calligrafia, sperando però che una volta lette le parole che aveva scritto con tanta fatica i suoi lineamenti si sarebbero addolciti…

-… Stars Hollow, Connecticut?- chiese quell’uomo in conferma dell’indirizzo. Jess non aveva sentito nulla oltre l’ultima parte, ma asserì ugualmente: in città si conoscevano tutti e Kirk faceva il postino: anche se fosse stato sbagliato –ma ne dubitava, perché lo conosceva fin troppo bene- quel pacco sarebbe arrivato a destinazione: ormai non poteva nemmeno sperare in un disservizio.

Pagò e se n’andò, ignorando il saluto di congedo di quell’uomo che, se lo sentiva, continuava a ridere di lui.



Quell’estate sarebbe rimasta in assoluto la più bella della sua vita. Viaggiare in Europa, visitare quegli stupendi luoghi traboccanti di cultura, respirare l’aria di un mondo antico di migliaia di anni, ridere con gli italiani, dormire in rozzi ostelli insieme ai tedeschi che avevano riempito uno zaino e lasciato casa per girovagare in lungo e in largo il loro stesso paese, mangiare crêpes nelle crêperie di Parigi con Edit Piaf che cantava in sottofondo… era stato stancante, ma un’esperienza come quella era unica e averla condivisa con sua madre la rendeva ancora più speciale.

Lane era talmente curiosa di sapere tutto che le aveva fatto un terzo grado insostenibile per qualsiasi criminale interrogato dall’FBI e Rory le aveva raccontato dettagliatamente ogni monumento e ogni città, ogni persona che avevano conosciuto. Tornare a Stars Hollow era stato meraviglioso: ora vedeva la città sotto un’altra luce e le sembrava ancora più bella. Tutti le avevano accolte a braccia aperte e lei e sua madre erano al centro dell’attenzione da diversi giorni. Da una parte era felice che tutti fossero così interessati a loro, ma dall’altra cominciavano a diventare troppo pressanti. Però erano pur sempre una distrazione e lei n’aveva proprio bisogno, perché se avesse ripreso a pensare tutto sarebbe andato a rotoli. Ora doveva concentrarsi su Yale e su quello che ancora le mancava, perché domani sarebbe stato il grande giorno e si sarebbe trasferita a New Haven. Poi non avrebbe più avuto energie per pensare ad altro che allo studio e ne era grata.

Le valige erano quasi pronte e presto Lorelai sarebbe tornata a casa e avrebbero passato l’ultima serata insieme. Era triste, perché non avrebbe voluto lasciarla da sola, ma era arrivato anche per lei il momento di crescere e staccarsi dal nido e mamma chioccia. Aveva vissuto per troppo tempo sotto le sue ali protettive e un cambiamento non le avrebbe fatto altro che bene. Decise di pensare a cosa ordinare per cena e si avviò verso l’ingresso, dove tenevano i depliant di tutti i take-away che si trovavano nelle vicinanze.

Ma trovò un pacchetto col suo nome scritto sopra.

Kirk aveva portato la posta quella mattina, ma lei era fuori con Lane ed evidentemente era stata sua madre a prenderla e a lasciargliela lì. Erano passate almeno dieci ore da quando era rientrata e non si era accorta di nulla. Lo prese e iniziò ad aprirlo mente si dirigeva nella sua stanza, ma si bloccò sotto la porta quando vide cosa conteneva: Ginsberg. Quello era un suo libro, lo ricordava benissimo, e ricordava benissimo di averlo prestato ad una persona. E come dimenticare CHI era quella persona?

Sfogliò lentamente le pagine completamente scribacchiate da Jess e si chiese perché doveva sempre rovinare tutto, anche i libri. Non pensava più a lui, o almeno ci provava con tutte le sue forze, perché a volte non riusciva a cacciarlo dalla sua testa, ma almeno si sforzava. E ora che tutto sembrava andare meglio lui doveva riapparire e sconvolgere ancora il suo equilibrio. Improvvisamente però i suoi appunti ai margini s’interrompevano e Rory si chiese se aveva finito di leggerlo: non era da lui lasciare i libri a metà e nemmeno non scrivere cosa pensava. E dalla prima metà spuntò una busta bianca che la fece sussultare. Aprì le pagine del libro e lesse i primi versi della poesia che conosceva molto bene, perché era una delle sue preferite, “Canzone”: “Il peso del mondo, è amore. Sotto il fardello della solitudine, sotto il fardello dell’insoddisfazione, il peso, il peso che trasportiamo, è amore. Chi può negarlo? Nei sogni sfiora il corpo, nel pensiero costruisce un miracolo…” perché aveva messo una lettera proprio lì? Era stato un caso o l’aveva fatto apposta per dirle qualcosa? Lo odiava, perché nonostante si sforzasse al limite della sopportazione, non riusciva a capirlo. Credeva di avercela fatta mesi prima, ma poi lui se n’era andato e lei si era trovata a vagare nel buio.

Aprì la busta e lesse lentamente le parole che le aveva scritto: quella credeva una lettera di spiegazione finì solo col confonderla maggiormente e maledì Jess per essere entrato ed uscito dalla sua vita in quel modo così assurdo.

-ciao tesoro!

La voce di sua madre la colse di sorpresa e sobbalzò sul letto vedendola apparire all’improvviso nella stanza; -ciao, mamma.

-e quello cos’è? Ah, il pacco che è arrivato stamattina. Kirk voleva aprirlo per controllare che non ci fosse una bomba fatta artigianalmente da qualche fondamentalista della zona. Ovviamente gli ho detto di no, perché noi conosciamo solo persone per bene e di Stars Hollow, al massimo qualcuno di Hartford e comunque è gente che non ha idea di come sia fatta una bomba e così se n’è andato borbottando qualcosa che non ho capito, perché nel momento in cui ha girato le spalle ho deciso di ignorarlo e sbrigarmi ad uscire, dato che ero già in ritardo. Cos’è? Un regalo? Il tuo compleanno è tra più di un mese.

-no, è solo un libro.

-ti hanno spedito un libro? È qualcuno che ti conosce bene se si prende la briga di comprare un libro e spedirtelo.

-no, questo libro è mio.

-te lo sei mandato da sola?

Rory alzò lo sguardo e incontrò quello stupito di sua madre; -no. L’avevo prestato.. a Jess. Me l’ha rimandato.

-e ti ha scritto una lettera- aggiunse sua madre indicando il foglio che Rory aveva abbandonato sul letto quando era entrata. Erano passate settimane da quando aveva visto sua figlia con quell’espressione sul viso e odiava doverla vedere ancora: se avesse potuto l’avrebbe ucciso.

-so che è una domanda stupida- continuò –ma stai bene?

-andrà meglio- rispose la ragazza accompagnando le sue parole con un sorriso –inizia ad ordinare quello che vuoi, io arrivo subito.

Guardò sua madre scomparire di malavoglia dietro la porta e riprese tra le mani il libro: “Non c’è riposo senza amore, non c’è sonno senza sogni d’amore—pazzi o gelidi, ossessionati da macchine, il desiderio estremo è amore—non può essere amaro, non può negare, non può contenersi se negato: il peso è troppo grave, —deve dare senza nulla riavere, come il pensiero è dato in solitudine in tutta l’eccellenza del suo eccesso.” Respirò a fondo per trattenere le lacrime che volevano lasciare i suoi occhi e che avrebbero fatto allarmare sua madre più del dovuto: era la loro sera e Jess non l’avrebbe rovinata. Dopo tanta sofferenza le uniche cose che le restavano di lui erano un libro scarabocchiato e un buona fortuna: non meritava altri pianti da parte sua.



Fine prima parte





Per chi non conosce Ginsberg e vuole leggere per intero questa poesia, la trascrivo qui e in inglese (la traduzione che ho, fatta dalla Pivano, è buona, ma sono favorevole alla lettura in originale e comunque Song è comprensibilissima). È una delle mie preferite di Ginsberg, quindi niente commenti negativi su di lei, ok? Se poi volete dirmi che la ff fa schifo, prego, accomodatevi.


Song


The weight of the world

is love.

Under the burden

of solitude,

under the burden

of dissatisfaction

the weight,

the weight we carry

is love.

Who can deny?

In dreams

it touches

the body,

in thought

constructs

a miracle,

in imagination

anguishes

till born

in human--

looks out of the heart

burning with purity--

for the burden of life

is love,

but we carry the weight

wearily,

and so must rest

in the arms of love

at last,

must rest in the arms

of love.

No rest

without love,

no sleep

without dreams

of love--

be mad or chill

obsessed with angels

or machines,

the final wish

is love

--cannot be bitter,

cannot deny,

cannot withhold

if denied:

the weight is too heavy

--must give

for no return

as thought

is given

in solitude

in all the excellence

of its excess.

The warm bodies

shine together

in the darkness,

the hand moves

to the center

of the flesh,

the skin trembles

in happiness

and the soul comes

joyful to the eye--

yes, yes,

that's what

I wanted,

I always wanted,

I always wanted,

to return

to the body

where I was born.






Edited by Reflecting Light - 16/7/2006, 12:23
 
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Elena_R
view post Posted on 28/12/2004, 20:56




Vorrei rubare qualche riga per ringraziare tutti coloro che stanno leggendo o hanno letto in passato le mie fanfic, e in particolar modo JoMarch, Lavanda e Phi Phi perchè hanno lasciato i loro commenti nell'apposito spazio, Castagna perchè è stata ed è una mistress mitica e una fantastica creatrice di banner e Pheebe che sta ospitando le mie fatiche sul suo sito: grazie! auguro a tutte voi un 2005 meraviglioso e ricco di sorprese e di successi.
Elena

Le parole che non ti ho detto (parte 2)




Era un salto nel passato ogni volta che pensava a lui e questa era peggio delle altre.

Sentire nella mente le sue parole, immaginare il suo profumo o di toccare i suoi capelli faceva male, ma la consapevolezza che dopotutto si trattava di momenti realmente esistiti e che l'avevano resa felice, di tanto in tanto attenuava quel dolore e certi giorni era riuscita anche a sorridere di fronte ai ricordi.

Ciò che spesso la lacerava erano quelli che risalivano al periodo precedente, quei giorni, anzi mesi, che stavano tra il suo ritorno a Stars Hollow e la sera della maratona di ballo. Vederlo con Shane in palestra, per strada, al locale, il giorno in cui era arrivata da Washington mentre la baciava contro quello albero, la sua bocca sulla sua, quelle mani avide sul fondoschiena di quell'antipatica bionda tinta; era stata una pugnlata al cuore, perchè aveva ingenuamente sperato che l'avrebbe aspettata nonstante il suo silenzio prolungato. Jess non aveva mai saputo nulla delle ore passate davanti ad un foglio, dei mal di testa di cui aveva sofferto perchè non riusciva a mettere nero su bianco ciò che pensava di lui, della loro amicizia, di quel bacio e di ciò che aveva significato per lei. Non riusciva a scrivere che voleva che occasioni come quella si ripetessero in futuro, ma che era necessario parlare con Dean prima. Se quella volta gli avesse scritto, alcune cose sarebbero state diverse e non poteva permettersi di commettere lo stesso errore, anche se la situazione era differente e nulla sarebbe cambiato.

Ora si trovava ancora una volta nel suo peggior incubo: seduta alla scrivania con una penna in bocca ed un foglio immacolato davanti agli occhi su cui avrebbero dovuto esserci parole per lui, parole per Jess.

Spostando lo sguardo sul libro che le aveva rimandato e sulla lettera che gli stava sopra le venne in mente un fattore che fino a quel momento non le era passato nemmeno per l'anticamera del cervello: non aveva l'indirizzo.

Emise un sospiro di sollievo perchè, non avendo il recapito del destinatario, non era obbligata a rispondergli. Poteva ignorare il libro, la lettera e Jess, e andare avanti con la sua vita cancellando i vecchi ricordi, formattando il cervello come se fosse l'hard disk di un computer.

Computer.

Certo. Come poteva far finta di nulla quando viveva nell'era della globalizzazione e dell'hi-tech? Bastava collegarsi ad internet e in meno di trenta secondi avrebbe avuto l'indirizzo di tutti i Mariano d'America e riducendo la ricerca a "California" e "Jimmy" non sarebbe stato difficile trovare quello che cercava. Non aveva scusanti.

Scrisse “Jimmy” su un pezzo di carta, come se potesse dimenticarlo; sentì una lacrima scendere lungo le guance e giurò di detestare quell'uomo che le aveva portato via il ragazzo. Se quel Jimmy non si fosse mai presentato a Stars Hollow lei e Jess avrebbero fatto pace e lui non se ne sarebbe andato: era così facile biasimare gli altri... Accartocciò l'infausto foglio e lo getto nel cestino, dove altri giacevano da alcuni giorni. Aveva passato una settimana intera a quella scrivania e ancora non era riuscita a trovare una soluzione. Lasciò scivolare la penna sul pavimento seguendo con gli occhi la caduta libera dal legno del suo tavolo da lavoro al parquet che attutì il colpo, lasciando che un suono ovattato risuonasse nella stanza occupata solo da lei e dalla sua disperazione. Passandosi una mano tra i capelli e sbuffando rumorosamente, si alzò di scatto, raccolse l'oggetto e prese con sé un ennesimo foglio di carta, poi uscì a passo svelto sperando di poter usare quell'indirizzo entro poche ore e non dover più pensare a Jess e a ciò che aveva da dirgli.




Alzando gli occhi ormai stanchi a furia di leggere constatò che dall'ultima volta che aveva controllato l'orologio la lancetta non aveva ancora lasciato lo stesso quarto. Ultimamente i minuti gli sembravano ore e i giorni settimane: era in California da meno di un mese e non ce la faceva già più. Forse quella di mollare tutto per seguire suo padre non era stata la sua idea più brillante, ma in fondo quando mai aveva preso una decisione giusta in tutta la sua vita?

Dopo i casini combinati da Luke aveva riposto segretamente la speranza di un futuro migliore in Jimmy. Non voleva improvvisamente una famiglia affettuosa -quelle smancerie continuavano a fargli schifo-, tantomeno qualcuno che lo mantenesse -condizione alla quale non era abituato dato che nella vita si era sempre guadagnato tutto. Desiderava solo una seconda possibilità per cercare di rimettersi in piedi.

Jimmy lo ignorava la maggiorparte del tempo; a volte Sasha lo costringeva ad avvicinarsi a lui e a chiedergli come stava, se andava tutto bene. Erano conversazioni che duravano dai venti ai trenta secondi e ben presto suo padre decideva che non valeva a pena sprecare il suo tempo con lui, così se ne andava con la scusa di prendere una birra fresca dal frigorifero.

Lily, quella strana bambina che girava per casa come un fantasma, gli aveva rivolto la parola in rarissime occasioni e da parte sua riceveva solo un enorme senso di vuoto e indifferenza. Passava la maggiorparte del suo tempo rinchiusa dentro un armadio a leggere, non parlava con nessuno, non pareva avesse amici: era isolata dal mondo reale e non era certamente normale. Liz gli aveva sempre rimproverato di essere stato un bambino troppo introverso e taciturno, ma Lily era esagerata persino se comparata a lui.

L'unica a non averlo trattato con freddezza nemmeno per un momento era la compagna di Jimmy: Sasha. Lei, alla quale quella situazione avrebbe dovuto sembrare più assurda in assoluto, era la sola a non passare in una stanza fingendo che lui fosse invisibile. E per quella disponibilità a volta si sentiva in colpa: era stato suo padre a cercarlo nel Connecticut; era stato suo padre a rivolgergli la parola; era stato suo padre a farlo litigare con Luke.

Era stato per suo padre che aveva lasciato quel poco che aveva e in cambio non stava ricevendo nulla.

-Jess.

Alzò gli occhi e lo vide davanti al televisore, le mani in tasca e il solito cappellino abbassato sugli occhi: faceva fatica ad avere un contatto diretto con essi, e lui era abituato a guardare le persone negli occhi quando parlava.

-stavo pensando... -iniziò. Vedeva quanto fosse imbarazzato, quasi terrorizzato e gli veniva voglia di prenderlo a pugni, perché non faceva nulla per migliorare le cose. Forse non era vero che non aveva bisogno di una famiglia. Forse il vuoto lasciato da suo padre doveva essere colmato, soprattutto ora che non aveva più suo zio.

-pensavo che... sì, insomma... ormai sei qui da un po' di tempo e forse è arrivato il momento di parlarne.

Fece un vago cenno positivo con la testa, confuso da quell'improvviso avvicinamento, ma non ebbe il tempo di elaborare immediatamente qualcosa da dire, perché Sasha rientrò in casa gridando che la pizza era arrivata ed era ora di mangiare. Lui e Jimmy si mossero quasi nello stesso istante con la stessa coordinazione di movimenti e per un secondo Jess pensò che erano davvero padre e figlio: due idioti alla stessa maniera.

-ah, Jess- lo bloccò la donna prima che si sedesse- è arrivata questa per te.

Prese la busta che gli stava porgendo incredulo, perché nessuno aveva il suo nuovo indirizzo ed era quasi impossibile che a qualcuno potesse venire in mente di scrivergli.

Ma quando lesse il suo nome scritto a mano realizzò di sbagliare.

-non c'è il mittente -gli fece notare Sasha incuriosita da quella lettera sperando di estrapolare qualche informazione sul misterioso figlio del suo uomo -hai idea di chi possa essere?

Se non l'avesse guardato in faccia la sua domanda sarebbe rimasta senza risposta, perché il ragazzo si limitò ad accennare un "sì" con la testa mentre rimetteva la sedia sotto il tavolo anzichè sedersi.

-non mangi?-gli chiese vedondolo allontanarsi dalla sala da pranzo.

-no.

-dove stai andando?- continuò suo padre sperando segretamente in una risposta esplicatoria e articolata.

-fuori!- gridò chiudendosi in fretta la porta dietro le spalle senza dare ulteriori spiegazioni.

Riuscì a fare solo pochi passi oltre il cancello, poi si interruppe bruscamente appoggiando la schiena contro il ferro delle sbarre; si accorse che le sue dita tremavano al contatto con quella busta esattamente come quando stingevano una sigaretta: era nervoso e il motivo era che non aveva idea di cosa aspettarsi da lei. Aprendola sentì distintamente il suo profumo, ma non era ancora pazzo al punto da non rendersi conto che si trovava in mezzo allo smog cittadino e la sua mente si stava prendendo gioco di lui.

"Non ricordavo che l'avessi tu, grazie per avermelo restituito: immagino che nelle tue tasche bruciasse come una brace. Una parte di me spera che tu possa trovare quello che cerchi. L'altra, la tua ragazza, avrebbe voluto che tutto fosse andato diversamente. A quanto pare cerchiamo la stessa cosa, solo che lo facciamo agli antipodi degli Stati Uniti. Ci sarebbe tanto da dire, ma ormai non ha più senso farlo, non credi?

È strano scrivere la parola fine, ma immagino che sia l'unica cosa che resta da mettere tra noi.

Buona fotuna anche a te.

Rory"


Lasciò che tutto il suo corpo si rilassasse contro quel supporto e si accorse di aver trattenuto il respiro tutto il tempo.

Lo ringraziava, ripeteva quanto fosse stato idiota, chiudeva definitivamente ogni tipo di rapporto tra loro, uccideva persino la speranza di una, seppure improbabile, relazione a distanza. E gli dava un in bocca al lupo.

Cos'altro poteva scrivergli? Forse sperava segretamente che gli chiedesse di ripensarci o che gli dicesse che se avessero parlato avrebbero potuto risolvere molte cose. Forse desiderava che gli chiedesse di tornare e quest'ultima speranza gli faceva paura perché, come era già successo l'anno prima, per lei lo avrebbe fatto: avrebbe rimesso in discussione tutto, suo padre, la sua vita, ogni cosa. Ma lei non gli aveva scritto nulla di simile e, anzi, aveva chiuso con lui una volta per tutte: evidentemente Rory non era poi così innamorata come aveva proclamato al telefono. O molto più probabilmente cercava di rispettare la sua decisione e lui preferiva pensare che si trattasse di quella seconda opzione.

Mise la lettera nella tasca dei pantaloni e rientrò in casa: Jimmy aveva detto per la prima volta di volergli parlare e lui, per la prima volta, era veramente disposto ad ascoltare.


fine seconda parte.. la terza e ultima arriverà presto!
 
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Elena_R
view post Posted on 7/3/2005, 22:17




mi scuso in anticipo se ho fatto passare tanto tempo... università assassina (ma bellissima e divertentissima. andate tutti all'univeristà, gente!l'istruzione è importantissima!)
dato che pheebe ha messo il banner del capitolo sul suo sito e a breve aggiornerà anche la ff ho deciso di postarvi il capitolo, ma ad una condizione: dopo aver letto DOVETE lasciare un commento così quando domani sera dopo una lunga giornata verrò a dare una controllatina al sito vedrò tante belle parole per la mia ff o almeno lasciatemi gli auguri per il mio comple: autorizzo lo spamming solo per questa occasione (moderatori a cuccia, sto scherzando...)

ci sono un paio di espressioni volgari e sono passati un paio d'anni da LPCNTHD2parte. l'unica cosa che mi preme particolarmente specificare è che Rory non è stata con l'omino di melassa.
scusate se le poesia all'inizio del capitolo è in inglese, ma non ho trovato la traduzione e io non credo di essere capace di tradurla.
e ora la smetto di scrivere e vi lascio leggere in pace ...

Le parole che non ti ho detto (terza ed ultima parte)

If you wait for me then I'll come for you
Although I've travelled far
I always hold a place for you in my heart
If you think of me, if you miss me once in a while
Then I'll return to you
I'll return and fill that space in your heart

Remembering your touch, your kiss
Your warm embrace
I'll find my way back to you
if you'll be waiting



-potrai venire ogni volta che vorrai per una pizza... o una birra, anche se hai solo diciotto anni, ma... al diavolo, una birra non ha mai fatto male a nessuno.

-mi cacci di casa e mi istighi all'alcol?

-non ti sto cacciando di casa. Tecnicamente questa non è casa tua... qui ci sono Sash e Lily, e--

-e tu non vuoi sconvelgere ulteriormente la loro vita continuando a dare un tetto a tuo figlio. Ho capito, Jimmy: domani sarò fuori di qui.

-Jess, non c'è fretta puoi prenderti tutto il tempo che vuoi.

-ho detto domani. E così sarà.




Con un solo sorso finì la terza birra della serata. Quella sera aveva aspettato la mezzanotte per sgattaiolare fuori da casa senza salutare nessuno. Gli era dispiaciuto per Sasha: lei era stata l'unica a trattarlo con un po' di umanità, ma allo stesso tempo non aveva mosso un dito per impedire a suo padre di rispedirlo in mezzo ad una strada; forse quelle sue gentilezze erano state solo apparenza, bieca ipocrisia sbandierata per farsi bella e comprensiva agli occhi del compagno. O magari aveva provato a parlare con Jimmy per convincerlo a cambiare idea e non ci era riuscita. Preferiva pensare che si trattasse della prima ipotesi, perchè così non avrebbe dovuto sentirsi in pena anche per lei.

Quella notte aveva dormito -o ci aveva provato- sulla spiaggia e all'alba aveva preso il primo pullman per New York: era rimasto ore ed ore su quel sedile impolverato a tentare di lasciarsi anche quell'esperienza alle spalle, ma più ci provava più la rabbia nei confronti di suo padre cresceva: Jimmy sarebbe rimasto un eterno Peter Pan che non voleva vedere le responsabilità nemmeno con un binocolo e lui non poteva fare nulla oltre che i bagagli e tornare da dove era venuto.

Era rimasto da Liz per un paio di settimane, poi aveva trovato un appartamento da condividere con un alcuni ragazzi e ora aveva un tetto sulla testa suo, un lavoro, uno stipendio che gli permetteva di pagare l'affitto e l'indipendenza per cui aveva sempre lottato, ma non si sentiva bene come avrebbe dovuto.

Allungò la mano e afferrò il rum di un amico e prima che lui potesse protestare ingurgitò il liquido scuro e infuocato: era arrivato ad un punto in cui, nonostante fosse imbevuto d'alcol come una spugna, non riusciva ad ubricarsi. Era un aspetto positivo, perchè gli evitava rogne con i poliziotti di ronda la sera tardi, ma dall'altra parte non poteva nemmeno più sperare in un paio d'ore d'oblio. Alzò gli occhi e si accorse che Jude stava ridendo come un pazzo senza un motivo apparente e per un attimo lo invidiò: era ciò che desiderava anche lui.

-oh oh- esclamò alla sua destra Mike sgranando gli occhi lucidi per via dell'alcol, della stanchezza e del fumo che, come un banco di nebbia, limitava la visuale; -guarda quella!

-ma chi, la brunetta?-gli chiese Jude cercando di focalizzare -wow, quella me la farei qui, su questo tavolo.

-ehi, l'ho vista per primo, quindi il primo giro sta a me. Se la vuoi dovrai aspettare il tuo turno. E tu, Jess, che ne dici? Bel bocconcino, eh?

Lo ignorò deliberatamente: era la norma che quando quei due erano ubriachi sbavavano per chiunque fosse di sesso femminile.

-se fai il bravo potremmo farti guardare- continuò l'amico sorridendo -beh, che fai? Non le dai neanche un'occhiatina? Quella tipa merita, credimi. Guarda che aria da santarellina: sembra una di quelle che vanno a scuola dalle suore.

-sono le più porche, Mike... -affermò Jude con una certa aria di autorevolezza.

Le loro voci iniziavano ad essere fastidiose e per zittirli diede una rapida occhiata nella direzione in cui quegli sbronzi continuavano a guardare e parlare. C'era un gruppo di ragazze, ma la massa di persone in piedi gli rendeva difficile capire dove fosse quella di cui stavano parlando Mike e Jude.

Spostò lievemente la testa per avere una migliore visuale e la vide.

-già, ci sarà da divertirsi.

-piantala di dire stronzate-lo ammonì bevendo dalla bottiglia di Jude, il quale non tardò a rispondergli: -che c'è, adesso fai il paladino delle puttane?

-Jess è geloso- disse Mike -in realtà vorrebbe avere l'onore di farsela per primo. Amico, ci sono delle regole: mettiti in fila e aspetta il tuo turno senza rompere i coglioni agli altri.

Si alzò di scatto, stanco dei loro discorsi, e uscì in fretta dal locale senza voltarsi nemmeno quando Mike urlò ripetutamente il suo nome per richiamarlo al tavolo.




-Jess!

La voce dell'idiota che fino a pochi secondi prima risuonava nel locale con i suoi pesanti apprezzamenti sulla sua presenza e la sua dubbia moralità catturò il suo interesse dopo che aveva fatto l'impossibile per ignorarla. Non perchè in essa ci fosse qualcosa di particolare, ma perchè, nonstante fossero passati mesi, addirittura anni, ogni volta che sentiva quel nome l'istinto prevaleva su tutti i sensi e sulla ragione e, come per un riflesso incondizionato, si voltava per vedere di chi si trattava. Era perfettamente consapevole che si sarebbe sempre trovata faccia a faccia con un volto sconosciuto, eppure continuava a girarsi per avere la certezza che non si trattava di lui.

Tra la folla di giovani in piedi al centro del pub riuscì ad individuare il cafone che non le aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno per un istante e lo vide in compagnia di un altro ragazzo: era palese che fossero ubriachi, perchè il loro tavolo era un cimitero di bottiglie e bicchieri svuotati. La terza persona, il Jess che stava cercando, non c'era e la sua sedia era vuota e spostata rispetto al tavolo.

Allontanò lo sguardo da quei due prima che se ne accorgessero e riprendessero la loro lunga lista di “complimenti” nei suoi riguardi e distrattamente notò qualcosa di familiare. Tra il fumo e la gente si accorse di un ragazzo che sembrava stesse facendo la staffetta per uscire dal locale. Riuscì a vedere le sue spalle purtroppo solo per pochi attimi, ma qualcosa scattò nella sua testa.

Forse la sua mente le stava giocando uno scherzo, forse si stava immaginando tutto. In un'altra occasione avrebbe ripreso a fare ciò che aveva interrotto, ma l'istinto, solito guastafeste, era di tutt'altro avviso: una vocina nella sua testa ripeteva in continuazione un irritante motivetto in cui la esortava a scendere dallo sgabello su cui era seduta.

Probabilmente più tardi se ne sarebbe pentita, ma così fece.

Sentì l'adrenalina scorrerle per tutto il corpo, perchè era diventata improvvisamente matta e stava seguendo uno sconosciuto. Nemmeno Logan e le mille pazzie organizzate dalla confraternita, per quanto eccitanti e divertenti, le trasmettevano un'energia così particolare.

A furia di spintonare ogni persona che si trovava sul suo cammino verso l'uscita riuscì a raggiungere la porta del locale, ma una volta fuori, dopo aver controllato strada e marciapiede in entrambe le direzioni, non vide quel ragazzo da nessuna parte. Sentì la delusione farsi spazio tra tanti sentimenti e spazzare via l'eccitazione che si era impossessata di lei pochi istanti prima. Dopo due anni si era lasciata trascinare dall'illusione che fosse lui, aveva seguito quello stupido istinto - ed evidentemente anche la persona sbagliata. Forse era tutta colpa della gioia per la pausa primaverile o il fatto di trovarsi per il week-end a New York, la sua città, a farle dimenticare che Jess non sarebbe più tornato e che forse avrebbe dovuto toglierselo dalla testa una volta per tutte. Avrebbe fatto meglio a concentrarsi su Marty, che era un bravissimo ragazzo, o magari su Logan, visto che aveva palesemente una simpatia per lei. A volte anche Finn era estremamente gentile e in un paio di occasioni si era chiesta se la vedeva solo come un membro della confraternita o c'era dell'altro.

Si strinse nella giacca che aveva preso con sé uscendo e respirò a fondo cercando si mandare giù l'amarezza per aver perso di vista quel tipo: si conosceva e sapeva che avrebbe continuato a chiedersi per giorni se quello era veramente il suo Jess o uno qualunque.

-ciao.

Non riuscì a trattenere il sorriso sentendo la voce che avrebbe riconosciuto ovunque: beh, il suo istinto ci aveva visto giusto e avrebbe dovuto scusarsi per aver dubitato di lui.

-allora eri tu- disse voltandosi e trovandosi faccia a faccia con un Jess anch'egli stretto nella sua giacca di pelle; -il tuo amico è un idiota.

-soprattutto quando alza il gomito.

-ma resta un idiota.

-non ho nulla da obiettare.

Le sue labbra tendevano al sorriso e, per qualche ragione che avrebbe compreso solo più tardi, lo trovò confortante; aveva sperato di incontrarlo ogni volta che era stata in città o a Stars Hollow per le vacanze, aveva desiderato rivederlo da Luke, perchè sapeva che era tornato dalla California e che di tanto in tanto lui e lo zio si sentivano al telefono, ma allo stesso tempo era sempre riuscita a tenere quelle stesse speranze sotto controllo, non si era mai lasciata andare completamente all'illusione e non se n'era mai pentita, perchè farlo avrebbe solo peggiorato il suo stato d'animo. Ma quella sera era successo qualcosa, forse si trattava di destino, e si erano incontrati in una metropoli di sette milioni di abitanti.

-dovresti rientrare- le consigliò mentre decine di ragazzi e ragazze si muovevano intorno a loro entrando ed uscendo dal locale o passeggiando sul marciapiede -le tue amiche ti staranno aspettando.

-scherzi? Lì dentro c'è una confusione pazzesca e comunque mi hanno vista uscire per seguire un ragazzo: non credo si aspettino di vedermi fino a domani- rispose arrossendo, perchè non sarebbe stata la prima volta che passava la notte fuori e Paris e le altre ormai non ci facevano nemmeno più caso: erano ragazze e le ragazze si divertivano.

Sentì che la stanchezza dovuta ad una lunga settimana di lavoro si stava eclissando lentamente e una domanda che avrebbe dovuto restare muta salì dal suo petto e arrivò alla gola senza che il cervello riuscisse ad impedirglielo: -ti va un caffè? C'è un posto tranquillo-si giustificò ripensando alla sua precedente affermazione sulla folla nel pub - non è lontano.

Aspettò una risposta guardando il suo naso diventare sempre più rosso e i suoi occhi più lucidi e brillanti per via del vento che si era improvvisamente alzato: sentì che stava per piovere e voleva ripararsi prima di doversi fare una doccia vestito.

Sperava di non essere solo a cercare quel riparo.

-ti sembrano domande da fare? Sai perfettamente che noi Gilmore non rifiutiamo mai una tazza di buon caffè. Ma la tua ragazza potrebbe non essere felice di sapere che te ne vai in giro con un'altra...

-stai cercando di sapere se ho una ragazza?-le chiese riconoscendo l'imbarazzo nella sua voce: potevano essere passati due anni, ma Rory Gilmore restava la stessa ragazzina naïve che arrossiva ai complimenti e tentennava quando cercava di fare o sapere qualcosa che non avrebbe dovuto; -no, non ho una ragazza- le rispose -e il tuo ragazzo invece? È un bohemien, uno dei libertini di Moulin Rouge?

-stai cercando di sapere se ho un ragazzo?- sorrise prendendosi gioco di lui ripetendo la domanda che le aveva fatto poco prima-ti svelo un segreto: al momento sono iscritta al club dei single e da qualche settimana mi hanno addirittura nominata membro onorario.

Jess prese la sua risposta come un via libera e iniziò a camminare in direzione del caffè in cui avevano stabilito di andare procedendo lentamente per darle modo di raggiungerlo. D'un tratto era di nuovo nella stanza piena di libri di quella strana ragazza, esattamente nel momento in cui aveva capito che non era semplicemente la secchiona di turno. Era quella che, senza volerlo, aveva iniziato a farsi spazio e a trovare un posto nella sua mente prima e nel suo cuore poi, un posto che in due anni non era mai riuscito a rimpiazzare con altro; aveva 'avuto' altre ragazze, ma solo nel senso più materiale del termine.

-allora- iniziò per smetterla di pensare a quelle sciocchezze -come va? Che ci fai a New York?

-un tranquillo fine settimana con le mie compagne di stanza: siamo in pausa dall'università e Paris e Tanna volevano passare un paio di giorni nella Grande Mela.

-Paris?- le chiese ricordando il dibattito su Austen e Bukowski -l'arpia della Chilton?

-proprio lei: studia medicina a Yale e viviamo insieme. E tu invece? Che fai qui?

-a New York? Ci lavoro, ci vivo.

-Ero sorpresa quando Luke ha detto che avevi lasciato la California -disse Rory mentre Jess apriva la porta a vetri di un locale semideserto. Entrando venne immediatamente investita dal tepore di un luogo chiuso al riparo dal vento e dall'inebriante aroma del caffè. Non le rispose subito e per una frazione di secondo pensò che non l'avesse sentita, ma poi si accorse di una strana ombra nei suoi occhi mentre apriva la bocca per parlarle: -le cose non sono andate come avrebbero dovuto.

Si mise a sedere ad un tavolo ripensando alla tristezza che le sembrava di aver sentito nella sua voce e all'espressione seria che aveva dipinta sul viso, mentre lui ordinava per entrambi. Non era cambiato: giacca di pelle, sguardo infuocato di chi ce l'aveva a morte col mondo intero, i capelli erano il solito disastro... Lei stessa si vedeva cresciuta, più matura nei lineamenti, ma Jess no: era come se nella sua persona il tempo si fosse fermato a due anni prima, come se avesse smesso di scorrere e l'avesse lasciato il diciottenne che aveva visto l'ultima volta. O più probabilmente Jess non era mai stato come tutti gli altri: era cresciuto più in fretta, aveva vissuto cose che lei non poteva nemmeno immaginare e ora che aveva una vita normale e serena poteva godere degli anni che gli erano stati sottratti quando era solo un adolescente. Il destino li aveva fatti incontrare e ora non aveva intenzione di bere un caffè e perderlo nuovamente per sempre. Non era più arrabbiata con lui, aveva smesso di esserlo da tempo, e voleva ricominciare a vederlo, a parlargli.

-ti va di raccontarmi cos'è successo?- gli chiese, perchè in ogni caso tra loro c'erano due anni di silenzio e un addio che avrebbe dovuto essere diverso; si sentiva quasi in diritto di sapere esattamente come erano andate le cose, conoscere la verità e sentirla dalla sua voce, non da quella di Luke o del preside della Stars Hollow High o di qualcun altro e si sentiva in dovere di dargli quell'opportunità.

La fissò con uno sguardo incuriosito e indeciso cercando di capire cosa voleva: l'aveva seguito, aveva flirtato con lui e ora gli chiedeva la cosa più difficile del mondo: spiegazioni. Le fece un cenno positivo con la testa mentre le due tazze di caffè che avevano richiesto si materializzavano davanti ai loro occhi.

Si trattava di cose di importanza secondaria, di un passato morto e sepolto: cosa c'era di così difficile da tirar fuori? Dopotutto erano solo parole... che non aveva mai detto a nessuno, che erano solo sue, nascoste nel più profondo di sè, in un luogo che ormai aveva chiuso e di cui aveva buttato la chiave. Facevano male e forse era proprio quello il problema. La terapia che si era ostinato ad usare per vent'anni non dava frutti e magari era giunto il momento di cambiare approccio: era il motivo per cui la gente andava dallo strizzacervelli, no? Avere qualcuno che sta a sentire, che capisce -o almeno ci prova.

Tirare fuori il dolore.

Iniziò il racconto di quell'infausta estate tenendo gli occhi sul caffè che lentamente si raffreddava.

Sottecchi vide Rory appoggiarsi allo schienale e, bevendo, ascoltare quelle parole che non aveva mai avuto il coraggo di dirle.

Fine


che devo fare? scappare per evitare le sassate?...

Edited by Elena_R - 7/3/2005, 22:20
 
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2 replies since 16/12/2004, 22:20   1865 views
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