Finché Amore e Fama naufraghino nel nulla, ff di Elena

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Elena_R
view post Posted on 6/6/2005, 19:06




Titolo: Finche amore e fama naufraghino nel nulla
Autore: Elena_R
Genere: Fanfiction
Stato: In corso

Commenti: Qui

Breve descrizione da parte dell autore:

Ed eccomi tornata sulla scena con una nuova ff... Non c'è nessuno spoiler ed effettivamente questa storia è AU che, per i non esperti, significa Alternate Universe, ovvero si parla di un mondo che si discosta in alcuni tratti o completamente da quello originale di, in questo caso, Amy Shermann Palladino, meglio conosciuta come Palla.

Per chiarirvi un po' le idee vi spiego la situazione: Lorelai non è scappata di casa a sedici anni e ha sposato Chris, anche se vivono ugualmente a Stars Hollow; non ci sarà nulla di JJ, perché: 1 Lor è sposata (...), 2 lei e Luke non sono nemmeno amici, non si frequentano e sono puramente dei conoscenti che al max si salutano. Luke possiede il locale, ma non ci lavora (la sua occupazione è un'altra e la saprete fra qualche riga ); Rory frequenta l'ultimo anno alla Chilton; Dean potrebbe comparire, ma non sta ne è mai stato con Rory; Jess abita sopra il locale insieme ad un altro mezzo teppista, non con lo zio, e ovviamente è il solito cattivo ragazzo.

Il titolo della ff è l'ultimo verso di “Quando paura mi prende di morire” di John Keats (che uomo straordinario!) e il pezzo che cito è l'ultima parte della poesia.

Il mese scritto all'inizio di ogni cap è per chiarirvi l'ambientazione e farvi controllare lo scorrere del tempo.

In questo momento ho un po' paura... siate clementi!





Finché Amore e Fama naufraghino nel nulla





[...] Quando sento, amica bella d'un momento,

che mai più ti guarderò né mai godrò più

dell'incantato potere dell'amore senza tormento -

allora sulla spiaggia del gran mondo solo e pensoso resterò,

finché Amore e Fama naufraghino nel nulla.




Ottobre: Trasparente come l'acqua

Il sole stava già colorando di rosso tutto ciò che aveva intorno quando arrivò nella radura che si trovava a poche centinaia di metri dall'inizio del boschetto artificiale che Taylor Doose aveva creato intorno al lago.

Sentiva la maglietta e i pantaloni appiccicati alla sua pelle sudata un po' per il caldo anomalo di quei primi giorni d'autunno, un po' per l'ansia di quell'incontro assolutamente fuori programma.

Nelle ultime settimane era sparito dalla circolazione; Lane, alla quale non sfuggiva un solo pettegolezzo, le aveva parlato di una vacanza on the road che lui e il suo coinquilino si erano presi prima dell'inizio dell'ultimo anno di liceo, ed era proprio quel duo a farle paura, perchè insieme erano capaci di combinare solo disastri e mettersi in guai molto seri. Le leggende metropolitane avevano iniziato a viaggiare alcuni giorni prima, in coincidenza al loro ritorno a Stars Hollow, e seppur alcune fossero esagerate, un fondo di verità dovevano averlo: droga, furti, rave e persino un paio di notti in prigione. Conoscendo Jess sapeva che erano tutte situazioni in cui avrebbe potuto trovarsi.

Appoggiò la schiena ad un albero mentre i concitati cori d'incitamento riecheggiavano nello spazio aperto insieme al suono di pugni, calci e gemiti. Aveva passato mesi a chiedergli di non farlo più, a cercare di convincerlo a smettere, perchè si faceva del male inutilmente e lo faceva anche a lei, ma non aveva mai ceduto alle sue suppliche e continuato a lottare per qualche decina di dollari da spendere in birra e sigarette. Aveva trascorso ore interminabili nell'attesa di vederlo arrivare con ferite sul viso, labbra e naso sanguinanti e ogni volta la scena era stata la stessa: si siedeva al suo fianco, toglieva la giacca lasciandola cadere sul pavimento mentre a lei toccava medicarlo facendo attenzione a non fargli provare troppo dolore. Poi le chiedeva scusa, lei lo ignorava, lui la baciava e tutto veniva dimenticato fino all'incontro col successivo sfidante. Ogni volta gli concedeva il suo perdono e tentava di avere fiducia in lui e nella sua bravura, perchè dopotutto vinceva sempre, ma un giorno sarebbe arrivato qualcuno molto più forte, che gli avrebbe fatto seriamente male e ora lei non c'era più per curargli le ferite.

Trattenne le lacrime e cercò di focalizzare il suo avversario riconoscendo Jason, il ragazzo che aveva tradito e lasciato per stare con lui; non riusciva a capire se stesse avendo la meglio perchè, nonostante stessero picchiando forte, nessuno dei due aveva ancora lividi vistosi. Era in circostanze come quella che avrebbe preferito odiarlo e dirgli quanto fosse stupido venire preso a pugni per guadagnare soldi di scommettitori che speravano in un suo KO, magari anche un ricovero in ospedale; avrebbe voluto che il suo disprezzo lo facesse rinsavire, visto che l'amore non aveva funzionato, ma dentro di sé sentiva che Jess non l'avrebbe mai ascoltata.

Alcune ore prima lo aveva visto camminare per strada ed era certa che anche lui l'avesse notata, perchè aveva sentito i suoi occhi su di sé, eppure l'aveva completamente ignorata; non avrebbe mai più ricevuto le sue attenzioni e le sue carezze e si odiava, perchè nonostante fosse passato molto tempo, sentiva ancora la sua mancanza ed era pronta a tutto purché tornasse ad interessarsi a lei.

Per una frazione di secondo i loro sguardi si incontrarono e in quel momento di distrazione vide chiaramente Jason sorridere e colpirlo nello stomaco facendolo piegare in due e accasciarsi al suolo. Sentì la nausea salirle lungo l'esofago e arrivare alla gola: solo un altro colpo e avrebbe potuto finirlo una volta per tutte, ma all'improvviso i ragazzi smisero di gridare e fuggirono in tutte le direzioni, Jason compreso. Jess si alzò da terra dolorante mentre intorno a lei si formava il vuoto; un rumore si faceva sempre più vicino, ma non riusciva a muoversi, ipnotizzata dagli occhi che tanto amava e che diventavano più grandi man mano che lui si avvicinava.

“Che diavolo ci fai qui?” le chiese prendendola per un braccio con le sue mani sudate e trascinandola il più lontano possibile dal luogo del combattimento.

“Derek mi ha detto-” s'interruppe quando lui si fermò di colpo rendendole difficile mantenere l'equilibrio. Non capiva cosa stesse succedendo e in un attimo si ritrovò sul prato su cui era caduta dopo che l'aveva spinta; “Jess”.

“Shh,” la zittì sdraiandosi sopra di lei mentre i loro corpi combaciavano perfettamente come i pezzi di un puzzle. Ubbidì in silenzio, come aveva sempre fatto, e assaporò quel momento: il suo odore era forte, lo sentiva entrare nei polmoni, riempirli e credette che se avesse respirato profondamente e a lungo forse avrebbe continuato a sentirlo anche quando non sarebbe stato più con lei. Non gli tolse gli occhi di dosso per un solo istante, cercando di memorizzare i cambiamenti nel suo viso, i capelli più lunghi rispetto al passato, la barba incolta; la sua maglietta era sporca di terra e umida, sul collo aveva alcuni fili d'erba. Allungò una mano per toglierli, ma Jess, che da quando si era posizionato inspiegabilmente su di lei non aveva fatto altro che guardarsi intorno nervosamente, spostò il suo viso di colpo.

“Stai al gioco,” le disse e, senza aspettare una risposta, la baciò.

Aveva supplicato Derek di dirle dove avrebbe avuto luogo l'ennesima lotta clandestina ed era entrata in quel bosco decisa a chiedergli spiegazioni e per cercare di fargli cambiare idea: l'aveva lasciata, ma lei voleva ancora stare con lui. Si sarebbe aspettata un rifiuto, un no, o di essere completamente ignorata: invece le stava sopra e la baciava come ai gloriosi tempi in cui la mano che le stava sfiorando la guancia e l'altra che si insinuava sotto la sua maglietta erano la norma. Sentì il sapore salato del sudore e quello metallico del sangue sulla lingua: non se n'era accorta prima, ma doveva essere stato colpito in faccia perchè su un labbro aveva un piccolo taglio. Non si allontanò da lui, ma finse che ciò che sentiva fosse il sapore amaro delle sigarette, di quelle Malboro che un giorno lo avrebbero ucciso e che non le piaceva, ma che lo contraddistingueva da tutti quelli che erano venuti prima di lui.

Si lasciò andare, felice che avesse cambiato idea da solo, e le sue stesse mani partirono alla riesplorazione di quel corpo che non aveva toccato per mesi quando il rumore di passi catturò l'attenzione di entrambi interrompendo quel momento: qualcuno si schiarì la voce e tra le loro bocche soffiò di nuovo il vento caldo di quella sera.

“Tempismo perfetto, zio Luke”, disse sollevando il suo peso da lei e sedendosi sull'erba gialla bruciata dal sole.

“Per te sono lo Sceriffo, ragazzino”, rispose Luke Danes aggiustandosi il cappello in testa mentre guardava minacciosamente il nipote che si era ritrovato tra i piedi l'anno precedente.

“Allora tempismo perfetto, Sceriffo Luke”, ripeté sapendo quanto a quell'uomo il suo modo di fare stesse sui nervi.

“Credi di essere divertente?” gli chiese ignorando di proposito la sua precedente affermazione, “Che ci fai qui?”

Arrossì quando Jess puntò il dito su di lei, sudata, con i capelli in disordine, il fiato corto e la maglietta che le scopriva la pancia che prima aveva toccato con quelle stesse dita e gli rispose: “Mi sembra chiaro”.

Si sentì morire: nessuno aveva mai saputo nulla di ciò che c'era stato tra loro. Quella storia era rimasta segreta per motivi particolari e Jess non aveva alcun diritto di decidere da solo a chi parlarne, soprattutto se si trattava dello sceriffo che avrebbe potuto farsi sfuggire quel particolare in qualsiasi momento. Luke Danes posò gli occhi su di lei e la fissò per alcuni secondi senza dire nulla; cercò di non distogliere lo sguardo da lui e mostrarsi decisa e sicura, ma il peso del suo muto giudizio era difficile da sopportare.

“Sei la figlia di Christopher Hayden” affermò solennemente.

“Sì, signore”.

“Non dovresti frequentare gente come lui”. Quello che sarebbe dovuto essere un consiglio suonò alle sue orecchie come un altro ordine, questo però meno gradito.

“E tu vuoi dirmi cos'è successo?” continuò riportando la sua attenzione sul nipote.

“Intendi quello che non è successo perchè tu ci hai interrotti?”

“Intendo il motivo per cui ora il tuo labbro sta sanguinando e hai l'aspetto di uno che è appena stato preso a botte.”

“Le nostre abitudini sessuali non ti riguardano”, insisté mentre Rory si faceva sempre più piccola, ma non osava contraddirlo per non metterlo nei guai con la legge, “e non mi sembra educato parlarne davanti ad una signora.”

“Hai la bocca cucita, eh? D'accordo, stavolta passa, ma la prossima tu e i tuoi amici trascorrerete un po' di tempo al fresco a schiarirvi le idee,” lo minacciò facendo un passo indietro, poi ripensandoci e indicando lei aggiunse: “Tu, vieni con me: ti riporto a casa; se tuo padre lo sapesse ti rinchiuderebbe in camera e butterebbe via la chiave.”

E aveva ragione. Si alzò sperando che Jess dicesse qualcosa per fermarlo o le facesse capire che era tutto ok e si sarebbero rivisti entro breve; invece restò immobile sull'erba che disegnava la sagoma dei loro corpi, mentre i suoi occhi erano talmente freddi da farla rabbrividire.

Un diversivo. Una scusa. Ecco cos'era stata.

Trattenne le lacrime e non disse nulla, poi seguì lo sceriffo nella sua auto maledicendosi per aver messo piede in quel bosco ed essere così debole per ogni cosa che riguardava lui.




Jason Kennedy era il ragazzo perfetto sia per lei che per i suoi genitori: era dolce, premuroso, divertente, ottimo studente della Chilton, di buona famiglia, altruista, impegnato nel volontariato.

Gli piaceva uscire, fare tardi, andare alle feste, ma faceva tutto con classe e astuzia senza fare insospettire Bob e Amanda Kennedy, suo padre e sua madre.

Non aveva mai preso una multa in auto né un richiamo a scuola; era tra i più popolari studenti, soprattuto grazie alle sue doti sportive. Aveva conosciuto Derek dopo una partita tra licei e in qualche modo erano finiti in un pub a festeggiare insieme uno stupido pareggio. All'epoca vivevano entrambi ad Hartford, ma Derek si era trasferito a Stars Hollow quando se n'era andato di casa dopo l'ennesima lite con i suoi e aveva abbandonato gli studi: da un mese aveva affittato l'appartamento (due mini-stanze e una cucina) sopra al locale dello sceriffo e condivideva le spese con un ragazzo, anch'egli nuovo in città. Lui e il suo coinquilino avevano deciso di dare una festa per inaugurare la nuova casa e Jason era stato invitato: di conseguenza a lei toccava il compito di accompagnarlo. Ci sarebbe stata anche Lane, la sua migliore amica, e non le dispiaceva affatto passare un po' di tempo con le due persone più importanti della sua vita. Dato il target di ragazzi non era stato necessario vestirsi in modo troppo elegante come ai party organizzati dalla sua famiglia e per una volta era felice di poter uscire con un paio di jeans e una maglietta.

“Mi chiedo come gli sia venuto in mente di prendersi un appartamento sopra una tavola calda.”

“E' molto funzionale: ogni volta che avrà fame gli basterà scendere un paio di gradini e avrà ciò che vuole nel giro di pochi minuti”, rispose al suo ragazzo mentre entravano dall'ingresso posteriore del locale.

“Pensi sempre al cibo,” la rimproverò attirandola a sé per la vita, “Non ho ancora capito come fai ad essere così magra. Dovrebbero studiarti.”

“Credo che gli scienziati abbiano cose più importanti del mio metabolismo a cui pensare. Cos'è questa confusione?” chiese sentendo la musica assordante. Jason le sorrise e gridò per risponderle: “Sono i Clash, li conosci?”

“Certo, ma potrebbero abbassare il volume: non si riesce a parlare,” urlò faticando a sentire la sua stessa voce.

“Dovresti dirlo a Lane, è lei la dj stasera” le disse indicandole la coreana alle prese con i suoi strumenti. Si allontanò da lui e dopo aver salutato un paio di persone riuscì a raggiungere l'amica: “Lane!”

“Rory” esclamò abbassando leggermente il volume.

“Sei bellissima stasera.”

“Grazie,” disse arrossendo “Mia madre pensa che sia ad un gruppo di studio della bibbia che durerà fino a tardi, quindi ho tutto il tempo che voglio da passare qui: non è meraviglioso?”

“E' fantastico”

“Sei appena arrivata?”

“Sì, ho lasciato Jason in giro e sono passata a salutarti.”

“hai fatto benissimo. Hey, l'hai già conosciuto?”

“Chi?”

“Come chi? Il ragazzo che vive con Derek!”

“Oh, no, non ancora.”

“Guarda,” disse indicandole il loro comune amico e un tipo con i capelli scuri intento a tracannare una bottiglia di birra, “è lui.”

Come se gli fossero fischiate le orecchie, Derek si avvicinò a loro portando con sé la novità della città: sembrava uno che stava sulle sue, aveva lo sguardo di a chi non importa di niente e di nessuno e l'aria di stare continuamente sulla difensiva.

E doveva ammettere che era carino, molto più di altri ragazzi che conosceva.

“Lane, stai andando alla grande! La gente adora la tua musica, credo che d'ora in avanti riceverai diversi ingaggi.”

“Sarebbe fantastico!” rispose la ragazza raggiante ai complimenti di Derek.

“Hey, Rory,” disse rivolgendosi a lei, “ti presento il mio coinquilino: Jess. Lei è Rory, la ragazza di quel ragazzo di prima, Jason.”

Si strinsero la mano, mentre Derek continuava a parlare per tutti. Decise di essere gentile con quel Jess, ma non fece in tempo ad intavolare una conversazione per conoscere qualcosa in più di lui che una bionda lo afferrò per un braccio e gli si spiaccicò addosso. Sia lei che Lane erano disgustate per quella scena pornografica e dal passaggio di lingue e saliva che avrebbe visto anche un cieco; la ragazza gli sussurrò qualcosa nell'orecchio e i tre li videro sparire come fulmini dietro la porta di quella che Rory ritenne la sua stanza.

“Ma quella non era Lindsay?”chiese Lane ancora sconvolta.

“E' lei,” confermò Derek divertito.

“Ha l'aspetto di una brava ragazza... non avrei mai immaginato che potesse essere così... sfacciata,” aggiunse Rory.

“Beh,” rispose il ragazzo, “le persone non si conoscono mai fino in fondo, no? Tutti abbiamo un lato nascosto e comportamenti che non mostrano in certe situazioni.”

“Si chiamano ipocriti,” gli fece presente.

“No, si chiama paura di mostrarsi per ciò che si è per non ricevere giudizi,” le spiegò prima che la seconda bionda della serata, Shane, lo trascinasse al centro della piccola sala per ballare.

Lane tornò ad occuparsi della sua musica e Rory fu lasciata da sola a ripetersi che lei era trasparente come l'acqua. O almeno così preferiva apparire.



Il continuo ticchettio del pendolo della sala la stava innervosendo più del solito. Odiava il silenzio di casa sua, l'ipocrisia di suo padre, la mancanza di forza vitale da parte di sua madre; le cene del mercoledì e della domenica, gli unici momenti in erano tutti costretti a riunirsi per mangiare insieme, diventavano ogni settimana più insopportabili. Da quando Chris e Lorelai avevano deciso di divorziare per il bene di tutta la famiglia era nata quella consuetudine, un'imposizione inutile secondo lei, ma piacevole occasione di stare insieme, parlare e non recidere completamente il legame con sua figlia secondo Christopher. All'inizio si erano sforzati per far sì che funzionasse e che lei soffrisse il meno possibile le conseguenze di quella separazione, ma più il tempo passava più i silenzi aumentavano ed erano arrivati al punto in cui nessuno aveva più nulla da dire. Sperava che i suoi genitori non chiudessero troppo a lungo gli occhi davanti alla realtà e che mettessero fine a quella farsa di famiglia ancora unita, una maschera dovuta anche alle rigide regole elitarie alle quali dovevano sottostare. Quello de “l'apparenza prima di tutto” era il motto che più le stava stretto e non riusciva a comprendere perché nemmeno sua madre, la quale in un passato ormai troppo lontano era stata una ribelle a tutto, ora non facesse niente per frantumare quell'assurda facciata di perfezione. “La separazione è fin troppo scandalosa”, aveva detto la nonna, “e il minimo che possiate fare è mostrare di andare d'accordo nonostante tutto”.

Un senso di nausea la invase al ricordo di quelle parole udite per caso nascosta dietro una delle innumerevoli porte di Casa Gilmore.

“Ho fatto un incontro interessante la settimana scorsa prima di tornare ad Hartford” disse Christopher senza smettere di tagliare la sua bistecca, “Mi ha fermato lo sceriffo Danes”.

Rory sentì mancare la sedia su cui sedeva e temette di cadere nel vuoto, ma si mostrò calma agli occhi del padre: fredda, esattamente come le aveva insegnato Emily fin dalla più tenera età.

“Mi ha consigliato di fare attenzione alle tue compagnie.”

“Papà...”

“E in particolare a suo nipote, Jess Mariano,” continuò senza esitare dopo l'interruzione della figlia alzando gli occhi dalla carne, facendole capire che non era il suo turno di parlare; “gli ho detto che sei una ragazza giudiziosa e che io e tua madre possiamo stare tranquilli e non preoccuparci di questo genere di cose. D'altronde è vero che sei un adolescente e stai attraversando una fase della crescita in cui la guida dei genitori è indispensabile. Ne abbiamo già parlato,” le spiegò indicando Lorelai con lo sguardo, “e se sarà necessario ti chiuderemo in casa per non farti frequentare quel teppista, ma sono certo che tu agirai con coscienza. Comunque proprio non capisco come fai a conoscerlo.”

“Jason e il suo coinquilino erano amici,” si giustificò faticando a parlare per la rabbia che cresceva dentro, “lo abbiamo conosciuto tramite lui.”

“Ah, Jason,” sospirò sorseggiando lentamente il suo Merlot, “lui sì che era un bravo ragazzo. Lasciarlo è stata davvero una stupidaggine, ma la Chilton è piena di giovani affidabili e più adatti alla tua condizione sociale. Esci con loro, divertiti e se qualche sera vuoi fare tardi puoi fermarti a casa mia, così non dovrai guidare fino a Stars Hollow, giusto Lorelai?”

“Sì, non c'è nessun problema,” rispose la donna che chissà quante volte aveva rimpianto di aver messo al mondo una figlia a sedici anni anziché abortire e divertirsi. Faceva male pensarlo, ma dopotutto non doveva essere stato facile per lei sottomettersi alla volontà dei quattro nonni; a volte sperava che non avesse sposato suo padre, che avessero potuto vivere loro due da sole, come amiche. Forse tutto sarebbe stato diverso.
Non era sempre stata così, lo ricordava bene: quando era solo una bambina era stata orgogliosa di sua madre: la più bella di tutte, quella che più faceva ridere e che, al contrario delle altre che passavano il loro tempo a sgridare i propri figli, non smetteva mai di ripeterle quanto le voleva bene e quanto fosse meravigliosa. Le sue amichette erano state gelose di lei, avrebbero voluto avere una mamma come Lorelai anziché giovani arpie il cui scopo era mostrarle agli amici come modelli di perfezione infantile. Ma era sola contro tutti e a lungo andare la sua passione si era spenta, soffocata da innumerevoli strati di buon ton e cerimoniali. A Rory restavano i ricordi che probabilmente erano l'unica ragione per cui non la odiava quanto suo padre.

“Perfetto,” sorrise soddisfatto, “l'importante è che non venga a sapere ancora che tu e quel Jess fate comunella. Potrei arrabbiarmi sul serio e tu non vuoi che accada, vero?”

Non rispose, troppo concentrata a mordersi la lingua: era uno stupido snob, avrebbe preferito gridargli la verità, ovvero che era stato Jess a lasciarla e che se fosse dipeso da lei in quel momento sarebbe stata tra le sue braccia piuttosto che seduta a quel tavolo a sorbirsi una predica. Ma non proferì parola e sobbalzò quando il cucù dell'orologio irruppe nel silenzio in cui era ripiombata casa Hayden.


Edited by Reflecting Light - 16/7/2006, 12:47
 
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Elena_R
view post Posted on 13/6/2005, 20:12




Novembre: Era solo sesso.

Stars Hollow a volte poteva essere più confusionaria di New York: manifestazioni e fiere erano quasi settimanali e la loro organizzazione richiedeva tanto di quel lavoro da mettere in subbuglio l'intera città rendendogli il quieto vivere tutto fuorché tale.
Il ponte era la risposta che aveva trovato casualmente per evitare di trovarsi al centro dell'uragano Taylor, e da quando l'aveva scoperto ci aveva passato ogni momento libero per estraniarsi dal mondo; non importava che battesse il sole cocente o che, come quel giorno quasi invernale, il vento gelido entrasse nella giacca infilzandolo come lame taglienti: quel posto era solo suo e lo avrebbe occupato a prescindere da qualsiasi cataclisma.
Ignorando gli aghi di ghiaccio che pungevano la sua pelle attraverso il maglione si accese l'ennesima sigaretta della giornata, mentre sotto i suoi piedi l'acqua del lago era immobile e scura. Trattenne il fumo nei polmoni, mentre la spiacevole sensazione che non lo abbandonava da una vita intera non accennava a svanire né ad affievolirsi, ma diventava più forte se ripensava agli avvenimenti dell'anno precedente, opprimente in concomitanza degli ultimi mesi. Cercò di sorridere al ricordo della sua vita a New York, però ciò che si formò sul suo viso fu la smorfia patetica di chi viveva nella rassegnazione e nella delusione.
Casa sua non era certo definibile una reggia europea e tanto meno un attico lussuoso di Tribeca, ma la passione che sua madre aveva messo nell'arredare quel modico appartamento era da ammirare e traspirava da ognuno dei mille oggetti che aveva sparso per casa. Forse per il suo essere una persona buia e oscura quei colori caldi e le cianfrusaglie comprate alle fiere gli piacevano oltre a dargli sicurezza. Senza contare l'aspetto più positivo dell'iperattività e attenzione di Liz: il frigorifero perennemente stracolmo di cibo e la poltrona rosso rubino del piccolo salotto che sembrava fatta apposta per lui e le sue ore di lettura. Tutto era altamente eccentrico in quegli ottanta metri quadri, ma non troppo da fare pensare che sua madre potesse essere una pazza furiosa.
A lungo andare però quegli sprizzi di giallo e arancio diventavano fastidiosi e poteva ritirarsi in quella che fortunatamente era rimasta zona franca: la sua stanza. C'erano un letto sempre disfatto, qualche vestito sparso sul pavimento, un tavolo da studio mai utilizzato per il suo scopo bensì come porta cd e due librerie zeppe di libri: nuovi, usati, trovati, rubati, presi in prestito e mai restituiti... erano tutti diversi, ognuno con una propria storia alle spalle e pagine di cangianti sfumature di giallo a seconda dell'età.
“Alice nel paese delle meraviglie” era il più antico: era appartenuto a suo padre il quale l'aveva lasciato a lui, o forse dimenticato, prima di sparire per chissà quale luogo esotico poco dopo la sua nascita. Poi c'erano “Il mago di Oz”, “Le fiabe di Esopo” e avanti attraverso Milton e Shakespeare fino ad arrivare a Salinger: un miscuglio magnificamente omogeneo nella sua eterogeneità e di cui andava fiero.
Quel giorno era seduto sulla sua poltrona mentre fuori infuriava una tempesta quando sentì Liz rientrare trafelata e completamente fradicia, ma sorridente come sempre. Aveva smesso di chiedersi perchè sua madre avesse sempre quell'aria felice nonostante la vita mediocre che vivevano; le lanciò una coperta per non farle prendere freddo: se in condizioni normali era una persona gradevole, da malata diventava uno strazio; bastavano due linee di febbre a trasformarla in una malata terminale che non aveva la forza di alzarsi dal letto, mentre al figlio toccava il ruolo di servo/infermiere premuroso che assecondava ogni suo capriccio.
Era sua madre, le voleva bene, ma era troppo difficile dirlo, quindi cercava di dimostrarglielo nel modo meno vistoso possibile: buttava la spazzatura senza che fosse lei ad obbligarlo, riordinava la casa quando la vedeva stanca, preparava la colazione per entrambi ogni domenica e le faceva trovare la sua torta preferita il giorno del suo compleanno; erano sciocchezze, ma lei gli sorrideva capendo cosa c'era dietro quei gesti e lo ringraziava senza intaccare la sua facciata da cattivo ragazzo menefreghista, perchè lei lo sapeva: era solo una facciata.
“Grazie,” gli disse afferrando il plaid di Winnie the Pooh e andando a sedersi proprio di fronte a lui. Jess alzò gli occhi da “Il giovane Holden” e aspettò che alla comunicazione venisse data voce, ma sua madre sembrava muta.
“Che c'è?”
“Una novità,” gli rispose diventando improvvisamente seria. Quel tono non gli piacque e iniziò a prepararsi al peggio senza avere la minima idea di quanto lo avrebbe fatto soffrire e soprattutto quanto gli avrebbe scombussolato la vita. “Devo partire per un lavoro in Canada.”
“Questa non è una novità,” le ricordò date le decine di viaggi che aveva affrontato da quando la sua carriera aveva preso il volo.
“Stavolta è diverso: non si tratta di un lavoro a brevissimo termine.”
“Che significa?” le chiese sentendosi mancare il fiato.
“Sei mesi, e non posso chiederti di trasferirti con me, ma non posso nemmeno lasciarti qui da solo: seppur più responsabile dei ragazzi della tua età, resti un minorenne.”
“Non credo di capire dove vuoi arrivare, mamma” riuscì a dire sforzandosi di non sembrare un bambino a cui erano appena morti i pesciolini rossi e contraddire ciò che aveva appena detto.
“Ti trasferirai da mio fratello nel Connecticut per il tempo necessario.”
“Dallo zio Luke?!” gridò “Stai scherzando vero? Quello mi odia e lo sai anche tu.”
“Non ti odia,” tentennò la madre appoggiando una mano rassicurante sul suo ginocchio, “è uno sceriffo ed è un po' rigido, ma vedrai che andrà tutto bene.”
“Non ho intenzione di vivere con lui.”
“Non hai scelta, Jess,” gli rispose inasprendo il tono di fronte alla sua ostinazione, “tra due settimane io sarò a Montreal e tu a Stars Hollow. Comincia a pensare a cosa mettere in valigia.”
Si alzò di scatto e corse verso l'uscita lanciando il libro contro la parete con tutta la sua forza nonostante le proteste della madre: non si sarebbe arreso senza combattere.

La battaglia era stata inutile: Liz lo aveva costretto a partire, ma almeno gli aveva dato la possibilità di vivere da solo mentre lo sceriffo Danes lo avrebbe controllato da lontano. Era stato fortunato a poter usufruire dell'appartamento sul locale che era appartenuto a suo nonno e che ora era di suo zio, ma gestito da un ragazzo che lo aveva trasformato in una tavola calda, e lo era stato ancora di più ad aver trovato un coinquilino come Derek.
Guardò la sigaretta spegnersi velocemente nell'acqua del lago e perdere vita in un attimo, mentre la poca ansia che si era affievolita negli ultimi minuti tornava a farsi sentire più insistente di prima; il lavoro di sei mesi si era prolungato: ne erano passati otto, poi dieci e proprio quel giorno il suo soggiorno a Stars Hollow ne compiva tredici.
L'aveva rivista quell'estate quando lui e il suo amico aveva viaggiato lungo la costa verso nord e poi all'interno fino oltre il confine, ma oltre a qualche telefonata, sempre più sporadiche, di lei non aveva avuto più traccia. Gli mancava vivere con sua madre, anche se ormai si era abituato alla presenza di Derek nella sua vita, e sentiva un vuoto dentro in una parte che nessuno avrebbe mai potuto occupare.
Si alzò lentamente con l'aiuto del vento, che spingeva in alto e verso la città il suo corpo ormai ridotto ad una conchiglia vacante: suo padre l'aveva abbandonato, sua madre pareva sulla buona strada per dimenticarsi di avere un figlio e intorno a sé gli amici non bastavano a farlo sentire meglio. L'unico stimolo che provava negli ultimi tempi era ubriacarsi e starsene per i fatti suoi a farsi male chiedendosi perchè chi amava si allontanava e chi lo amava veniva cacciato da lui stesso; pensava a New York e al passato di cui restavano un paio di numeri di telefono e la promessa di rivedersi presto per fare del casino. Poi, nei momenti meno opportuni, compariva lei, la sola che teneva sinceramente a lui, quella che era stato capace di ferire più degli altri e mandare a quel paese nonostante dentro di sé una voce gridasse di stringerla e non lasciarla più andare.
A volte pensava di averla amata davvero.

Il suo sguardo si posò su un corpo che aveva imparato a conoscere e istintivamente cambiò direzione per non doversi trovare nuovamente faccia a faccia con lei.
Erano passate diverse settimane da quel giorno nel bosco dopo l'incontro con Jason e per tutto quel tempo era riuscito ad evitarla: aveva bandito le librerie e i bar che di solito frequentava e ogni volta che si accorgeva di essere sul punto di incontrarla cambiava strada; sapeva nel dettaglio le sue abitudini e i suoi orari, quindi era stato facile mantenere le sue intenzioni.
A volte la vedeva passeggiare con Lane e, nascosto dietro un albero o un muro, si ritrovava a fissarla mentre passava: credeva impossibile essere indenni al suo fascino di ragazza innocente e ingenua all'apparenza, ma allo stesso tempo incredibilmente affascinante; quegli occhi azzurri erano una calamita per i suoi più scuri e decisamente più comuni, le sue labbra di un rosa che nonostante non fosse troppo appariscente spiccavano come rubini sulla sua pelle chiarissima. E poi c'erano i suoi capelli, i fianchi, il suo senso dell'umorismo così strano e a volte difficile da comprendere, il sorriso, il suono della sua risata, per non parlare della sua intelligenza: era l'unica che poteva aver letto tanto quanto lui e il suo record, modestia a parte, era difficile da superare.
Rory era troppo perfetta. Troppo, e quello era il problema.
L'aveva lasciata senza darle spiegazioni valide; lo feriva e allo stesso tempo lusingava che lei stesse ancora cercando di scoprire i suoi motivi, i segreti che le aveva nascosto facendo il terzo grado ai suoi amici e a chiunque potesse darle una pista da seguire. Ma nessuno sapeva di loro, a parte Lane e Derek, e non avevano lasciato tracce che facessero capire qualcosa agli altri, quindi, aggiungendo il fatto che lui non era il tipo da confidarsi col primo che capitava, non avrebbe mai saputo nulla se non rivolgendosi direttamente a lui.
E se non le aveva parlato chiaramente sei mesi prima, non lo avrebbe fatto certamente ora.
“Jess.”
Era talmente perso nei suoi pensieri da non accorgersi che quella volta anche lei lo aveva notato e seguito per diversi metri prima di chiamarlo. Ora Rory si trovava ad ore 12 e lui era un cretino che si era distratto nel momento sbagliato.
“Che vuoi” le disse mostrando il suo distacco ed enfatizzandolo parlandole mentre teneva gli occhi sulla sigaretta che stava estraendo dal pacchetto ormai vuoto. L'accese e lasciò che il fumo che lei odiava la colpisse dritta in volto: si aspettava un urlo, una protesta o uno schiaffo, ma quando si accorse che non reagiva alzò gli occhi sui suoi e la vide impassibile mentre nemmeno una smorfia di disgusto inaspriva quei lineamenti tanto delicati. Quella mancanza di reazione lo sorprese tanto che non disse nulla nemmeno quando Rory lo afferrò per un braccio e lo trascinò con forza in un vicolo stretto al lato della strada principale.
“Hai fatto un ottimo lavoro ultimamente,” iniziò cominciando a mostrare finalmente tutta la rabbia che doveva aver represso a fatica da quando le aveva fumato in faccia, “ma ora sono qui e non ti lascerò sparire prima di aver ricevuto una spiegazione esauriente, chiara e con una tesi inattaccabile!”
“Ne abbiamo già parlato,” le rispose sgarbatamente aspirando un altro tiro e sperando che la smettesse di torturarlo il prima possibile.
“Le tue giustificazioni da scolaretto delle elementari sono insufficienti. Dimmi cosa è successo,” lo pregò, il tono della sua voce più basso e meno accusatorio mentre si avvicinava a lui talmente tanto che sentiva l'odore di fragola uscire dalla sua bocca: Rory aveva sempre adorato le caramelle aromatizzate all frutto che preferiva in assoluto; ricordava che i suoi baci avevano sempre avuto quel buonissimo sapore, un sapore che da quando l'aveva lasciata aveva iniziato ad odiare. Si chiese cosa pensava ora del tabacco, se si era abituata del tutto ad esso e se anche lei non voleva più sentirne nemmeno parlare per sfuggire ai ricordi.
“Non mi pare di aver firmato un contratto in cui mi impegnavo con te per tutta la vita,” le ricordò malignamente.
“No, nessuno contratto, ma se un giorno mi tratti come se fossi la persona più importante del mondo e quello seguente mi lasci con la stupida scusa di aver bisogno di un po' di tempo diventa lecito chiedermi che cosa è cambiato. Ho fatto come volevi tu, Jess: ti ho dato mesi e mesi per pensare a te stesso, a noi e qualsiasi altra cosa di cui dovessi occuparti, ma ora sono io quella che si è stancata di aspettare i tuoi comodi. Devi dirmi perchè o tra noi non sarà mai definitivamente finita.”
Nel suo viso c'era una luce particolare, un'espressione di determinazione che non aveva mai visto prima di quel momento e che la rendeva bellissima. Si odiò, perchè avrebbe preferito tornare indietro nel tempo e cambiare un paio di cose che le aveva fatto per avere ora il diritto di baciarla senza il rimorso di ciò era accaduto e dimenticare quei mesi di separazione in cui si era devastato nel tentativo di non pensare più né a lei né alla sua famiglia.
Aspirò altro fumo con la vana speranza che lo uccidesse in quel momento per mettere una volta per tutte la parola fine alla sua sofferenza; “Siamo stati bene, Rory, ci siamo divertiti, ma siamo giovani e io ho voglia di guardarmi intorno. I rapporti esclusivi non fanno per me, lo sapevi già prima che tutto questo cominciasse.”
“Stronzate,” sentenziò senza aggiungere altro.
“Pensala come vuoi,” riuscì a risponderle sorpreso sorpreso dalla scelta di termini che non le aveva mai sentito pronunciare, “ma la sostanza non cambia: noi due non stiamo più insieme e la discussione finisce qui.”
Si spostò verso l'uscita sulla via principale, dove il cantastorie intonava una delle sue canzonette ispirate alla vita che non aveva mai vissuto, a donne e uomini inesistenti vittime di situazioni che finivano sempre con un matrimonio o una riappacificazione: in una parola “favole”, ma la mano di prima lo trattenne nuovamente e lui finì con violenza contro la parete di mattoni; frastornato, lasciò cadere la sigaretta sul marciapiede immacolato contaminandolo col male nella sua forma più pura e non fece in tempo ad esternare il dolore per la botta alla scapola che Rory, con le lacrime agli occhi, lo baciò.
Sentì la fragola nella sua bocca avanzare velocemente e prendere il posto del sapore amaro e metallico della nicotina. Con una magia di cui non voleva sapere nulla Rory aveva attivato la macchina del tempo riportandolo al passato in cui quel gesto non aveva nulla di straordinario. Rispose al bacio senza pensare alle conseguenze, bisognoso di sentirla di nuovo sua anche se solo per pochi secondi. Gli venero in mente la prima volta in cui aveva toccato le sue labbra, poi l'ultima, poche settimane prima su quel prato; i ruoli si erano invertiti: se quella sera era stato lui a gettarsi su di lei, ora la rivincita era sua. Però non era giusto continuare a darle false speranze: odiava vederla soffrire più del necessario.
“Rory,” disse allontanandosi da lei con la speranza che capisse che si trattava di un enorme sbaglio.
“Un giorno ti sei svegliato e hai deciso che non ti bastavo più?” gli chiese asciugandosi le lacrime; “Non mi importa, Jess: se a volte senti il bisogno di vedere altre ragazze... ok, fallo. Ma, ti prego, non lasciarmi. Non lasciarmi.”
“Lascia perdere,” le disse imbarazzato dalla sua proposta. Possibile che pur di averlo accanto fosse disposta a tanto? Se la situazione fosse stata l'inverso sapeva per certo che non avrebbe permesso a nessuno che non fosse lui di uscire con lei: non gli era mai piaciuto condividere ciò che gli apparteneva, soprattutto se era qualcosa a cui teneva particolarmente.
“Ci sono state altre in questi mesi?”
Non avrebbe voluto ferirla oltre, ma sembrava che lei non gli lasciasse altra scelta: “Sì.”
“Quante?”
“Non lo so, Rory. Non lo ricordo,” si sbrigò a mentire cercando di liberarsi dalla sua presa: non lo aveva mollato per un istante. Da maggio, dopo averla lasciata, a luglio, non c'era stata nessuna, poi aveva iniziato a sentire con urgenza il bisogno di eliminarla dal suo organismo e aveva ripiegato su alcune ragazze incontrate alle varie feste alle quali aveva partecipato. Nonostante fosse sempre ubriaco in quei giorni ricordava perfettamente il numero: dieci. Ma come poteva dirle che nessuna di quelle era lei? Che nessuna aveva retto il paragone ed era stata scaricata nell'immediato? “Dimenticami, Rory,” le consigliò sperando che lei ci riuscisse dato che a lui sembrava impossibile farlo, “trovati qualcun altro.”
“Io non posso, Jess.”
“No, tu non vuoi.”
“Se davvero non vuoi avere niente a che fare con me, perchè mi hai baciato prima?”
“Mi conosci,” sorrise, “non sono il tipo che disdegna le avances delle ragazze, soprattutto se sanno baciare.”
“Jess,” lo ammonì, ma vide sulle labbra il riflesso del suo stesso sorriso e cercò di cancellare il suo, “non ti sembra un buon motivo per riprendermi con te. Dopo quello che è successo tra noi...” continuò riprendendo il terreno perso e avvicinandosi di nuovo sfiorando il suo braccio.
Rabbrividì per quella carezza e al ricordo di quel terribile giorno: “Era solo sesso! ” l'interruppe riprendendo il controllo della situazione che gli stava scivolando tra le dita alimentando in lei false speranze.
“No, Jess...” protestò, “Io ti avevo chiesto... e tu hai aspettato finché... non può essere stato solo quello. Io lo so!”
“Tu vivi in un mondo tutto tuo,” le disse dopo aver respirato a fondo prendendosi il tempo di pensare attentamente alle parole da rivolgerle, “ed è un mondo bellissimo, ma non esiste.”
“So perfettamente che la realtà è dura.”
“Ciò che hai vissuto sulla tua pelle non è nulla in confronto a ciò che c'è qua fuori.”
“Non sono più una bambina che crede nelle favole e tu lo sai bene, Jess, non fingere che non sia così.”
“Tu credi che io sia un principe azzurro,” le fece presente guardandola dritta negli occhi rossi e lucidi per le lacrime già versate e quelle che sarebbero scese lungo le sue guance non appena se fosse andato, “ma non sono io il tuo.”
Rory lo seguì con lo sguardo, lo vide lasciare quel vicolo stretto e regnato dalla penombra per tornare sulla strada illuminata dai deboli raggi del sole invernale. Appoggiò le spalle alla parete fino a pochi secondi prima scaldata dal suo corpo.
“Io so che sei tu,” sussurrò al vento gelido che le scompigliava i capelli e cristallizzava le piccole gocce d'acqua salata che avevano ripreso a rigare il suo volto.

Erano le otto di sera e il sole di maggio stava tramontando. Nella stanza ogni cosa sfiorata dalla luce aveva il colore del sangue e Jess pensò che evidentemente le sue ferite si erano propagate all'esterno del suo corpo colorando ciò che lo circondava del suo stesso dolore: era un bene che gli oggetti inanimati non soffrissero altrimenti a quell'ora avrebbero certamente tentato il suo suicidio.
Le note di 'Numb' dei Linkin Park riempivano l'aria e la voce di Chester gridava dritto nelle sue orecchie senza procurargli alcun fastidio: il suo timpano, e tutto il corpo, erano intorpiditi da ore, insensibili a qualsiasi stimolo. Sembrava che quella canzone parlasse di lui.
Tornò a concentrarsi sul suo libro, “Urlo”, ma le parole erano senza senso, un ammasso di lettere nere e confuse. Il rumore della porta che si aprì e richiuse velocemente fu una piacevole distrazione, in particolare perchè finalmente il suo coinquilino si era degnato di tornare.
“Hey, Jess!”
Lo osservò mentre con un sorriso enorme e i capelli biondi scompigliati come se si fosse appena alzato lasciava cadere sul pavimento la maglia e i pantaloni con cui era uscito alcuni giorni prima. A giudicare dalla sua espressione soddisfatta capì immediatamente che la sua assenza doveva essere dovuta alla fortuna trovata con qualcuna delle sue amiche.
“Derek, si può sapere dove diavolo sei stato? Sono tre giorni che non ti fai vivo.”
“Sono stato alla festa, quella organizzata da Jason, ricordi? Beh, è durata più a lungo del previsto,” continuò a sorridere mangiando dei crackers e mettendo a tacere Chester e il gruppo, noncurante delle sue proteste. “Sai,” disse sdraiandosi sgraziatamente sul divano, “sa tutto.”
“Jason?”
“ah, ah,” annuì, “era ubriaco ed è venuto da me. Ha fatto qualche riferimento a te e a Rory, affermazioni pesanti, ma niente di più. Ha detto di avervi visti ad Hartford un pomeriggio.”
“E non vuole uccidermi?”
“Non credo, l'avrebbe già fatto. Inoltre gli ho presentato una biondina niente male che lo sta aiutando a dimenticare la sua ex.”
“Quindi non ti ha fatto delle storie?”
“Perché un suo amico sapeva che la sua ragazza lo tradiva col coinquilino del suddetto amico?” gli chiese facendo una pausa per bere un sorso della birra che Jess non aveva ancora toccato, “No, ho finto di non saperne nulla e l'ha bevuta. O più probabilmente non gliene frega più niente: Rory lo ha scaricato tre mesi fa e lui non è il tipo da rinchiudersi in camera a piangere per una ragazza.”
“Ok.”
“Ora potrete vivere il vostro amore travagliato alla luce del sole, eh Romeo?” disse esagerando l'effetto drammatico.
“Si sono uccisi.”
“Cosa?” gli chiese smettendo di sorridere di fronte al suo malumore che aveva captato pochi secondi dopo essere entrato.
“Romeo e Giulietta si sono ammazzati: non è proprio un lieto fine, non trovi?”
“Non intendevo questo,” rispose Derek cercando di capire se sarebbe riuscito a dir qualcosa di giusto prima che Jess lo buttasse giù dalla finestra; “Ma che hai?
“Niente,” disse alzandosi e raccogliendo dal pavimento la sua giacca di jeans, “sono solo nervoso.”
“Jess, è successo qualcosa? Non andartene, se vuoi possiamo parlarne.”
“No, devo solo scaricarmi un po',” gli rispose sbattendosi la porta dietro le spalle.

Quello era stato l'inizio della fine. Derek aveva ascoltato la segreteria e scoperto il motivo del suo cattivo umore: Liz aveva lasciato un messaggio in cui diceva che purtroppo il lavoro si era prolungato a tempo indeterminato e non aveva idea di quando sarebbero tornati a vivere insieme. Però gli voleva bene.
Non aveva avuto il coraggio di dirglielo in faccia, tanto meno di parlare direttamente con lui: aveva chiamato una mattina in cui sapeva che sarebbe stato a scuola e aveva sganciato la bomba senza prendersi responsabilità. Però gli voleva bene.
Lo aveva abbandonato con uno zio che lo avrebbe messo in prigione col minimo pretesto se avesse potuto. Però gli voleva bene.
Non lo vedeva da sei mesi e ogni volta che si sentivano per telefono gli gridava quanto le mancasse vivere con lui, eppure non faceva nulla per tornare. Però gli voleva bene.
Guardò fuori il cielo talmente bianco da accecarlo: aveva il presentimento che sarebbe nevicato. Stars Hollow aveva un'atmosfera particolare quando era coperta dalla neve: se possibile sembrava ancora più fiabesca e surreale.
Tornò con la mente a quel giorno e al modo in cui si era comportato: era arrabbiato con Liz, con se stesso e con la sua vita, ma aveva scaricato la tensione nel modo sbagliato con la persona che meno lo meritava. Era andato dritto da lei e aveva controllato che l'auto dei suoi non fosse nel giardino: gli aveva parlato di una serata di gala a New York alla quale Emily li aveva obbligati a partecipare in rappresentanza delle famiglie Gilmore e Hayden e quindi lei era in casa da sola. Aveva scavalcato il cancello e si era arrampicato fino al balcone della sua camera: era sdraiata sul letto intenta a scrivere qualcosa sul diario che riempiva di parole quasi ogni sera nonostante avesse diciotto anni e il tempo delle confidenze alla pagina bianca fosse finito. Ma era anche quel suo lato più infantile che apprezzava di lei.
Era entrato silenzioso e quando solo pochi passi li avevano divisi Rory aveva alzato gli occhi e gli aveva sorriso senza mostrarsi minimamente spaventata per la sua presenza improvvisa. Ricordava ogni momento che seguì: lei aveva chiuso il quaderno di pelle blu con il suo nome stampato con eleganti lettere argentate e si era alzata per salutarlo come una perfetta fidanzata. L'aveva attirata a sé con forza e l'aveva baciata con prepotenza che lei doveva aver scambiato per passione.
Recentemente gli aveva confessato di sentirsi pronta per il grande passo e stava aspettando l'occasione giusta. Aveva lasciato le sue labbra e con uno sguardo le aveva comunicato che i tempi di attesa erano finiti, che quello era il momento. Non aveva aspettato né una risposta né un cenno d'assenso: l'aveva svestita velocemente togliendole tutto fino a lasciarla nuda; le sue mani l'avevano esplorata avide e bisognose di contatto. Non gli era interessato minimamente farle provare piacere, renderle quella sua prima volta speciale: quella sera era dedicata a lui e alla sua necessità di riempire il corpo vuoto che si era ritrovato a trascinare per diciotto anni. Aveva fatto ciò che doveva senza il minimo interesse, senza amarla come avrebbe dovuto, col solo desiderio di sentirsi amato.
L'aveva penetrata e zittito con un bacio il gemito di dolore che doveva aver provato in quel momento. Per quei pochi minuti aveva dimenticato di volerle bene e una volta finito i sensi di colpa avevano iniziato a divorarlo: lei era con lui sotto le coperte, nuda e felice a sussurrargli parole dolci nonostante tutto, mentre lui si sentiva un verme.
Aveva aspettato che si fosse addormentata, poi era fuggito attraverso la finestra da cui era entrato, col cuore più rotto di prima e un motivo in più per darsi del perdente perchè non era riuscito a pensare lucidamente.
Era vero che ne avevano parlato e che avevano deciso di farlo, insieme, Jess e, per la prima volta, Rory, ma quella sera c'era stato amore a senso unico e da lui Rory non ne aveva ricevuto. Aveva approfittato di lei e a volte pensava che anche quella potesse essere considerata una violenza sia psicologica che carnale.
E si faceva schifo per quello.


Vi prego, non linciatemi. E per qualsiasi domanda scrivete nella sezione commenti, mandatemi un'e-mail o un pm: è sempre eccitante veder comparire la finestrella con scritto che c'è un messaggio per me!

Edited by Elena_R - 13/6/2005, 21:13
 
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Elena_R
view post Posted on 27/6/2005, 21:27




oddio pheebe, quando ho letto l'oggetto del tuo pm ho pensato al peggio... ecco l'aggiornamento! personalmente non mi convince l'ultima parte, ma non riesco a scriverla meglio, quindi accontentatevi di ciò che offre la casa... e scrivete tanti commenti!

Dicembre: Imperfetta
Le luci psichedeliche che rosa, arancioni e gialle si alternavano sulla parete e Do you remember Rock'n'Roll dei Ramones in sottofondo le erano mancati. Da quando era cominciata la scuola aveva dato anima e corpo allo studio mettendo da parte gli amici, le feste e Lane, ma ora che le vacanze natalizie erano iniziate aveva preso la ferma decisione di ignorare completamente i libri della Chilton e concentrarsi su ciò che più aveva trascurato negli ultimi mesi, e la sua migliore amica era in cima alla lista. Quel pomeriggio la signora Kim non era in casa e loro ne avevano approfittato per chiudersi nell'armadio e parlare come ai vecchi tempi di tutto e di nulla, mangiando schifezze e ascoltando la loro musica preferita. La novità, seppur ormai facesse parte della norma, era che mamma Kim aveva organizzato alla figlia l'ennesimo appuntamento al buio: un altro futuro dottore, 100% coreano e di famiglia rigorosamente cristiana.
“Sto seriamente considerando di scappare di casa e non tornare mai più indietro,” disse Lane dando un morso alla ciambella che Rory le aveva portato.
“Forse non è male come gli altri,” cercò di rassicurarla ricevendo in cambio un'occhiata scettica; “Ok, ma magari là fuori c'è un meraviglioso coreano, simpatico, intelligente, futuro dottore per vocazione, non imposizione, che nasconde la sua passione per la musica esattamente come fai tu. Probabilmente ha anche un talento innato per qualche strumento e suona con un gruppo segreto. Uno perfetto per te e per tua madre.”
“Suona il basso?”
“Lo vuoi che suoni il basso?”
“Sì, ho un debole per i bassisti!”
“Ok, allora suona il basso,” l'assecondò facendola sorridere.
Lane era la sorella che non aveva mai avuto, quella persona che la conosceva meglio di chiunque altro e alla quale aveva confidato sempre ogni suo più piccolo segreto, perchè sapeva di potersi fidare di lei. A volte poteva sembrare un po' eccentrica, ma era proprio quel suo lato particolare a renderla fantastica e divertente. Spesso si chiedeva come sarebbe stata la sua vita senza lei, se avrebbe incontrato qualcuno che le somigliasse o se sarebbe diventata amica di qualche Rose o Brooke della Chilton entrando così a far parte dell'élite a tutti gli effetti, vestendosi come loro, pensando allo stesso modo e comportandosi al pari di quegli snob ipocriti esattamente come lo erano suo padre o i suoi nonni.
Lane era la sola, oltre a Derek, a sapere di lei e Jess e mai una volta si era lasciata sfuggire qualcosa su di loro, nemmeno quando dopo aver rotto con Jason, lui era andato a casa sua per chiederle spiegazioni su quella scelta che gli era parsa improvvisa e ingiustificata, per sapere cosa fare per riconquistarla o se c'era qualcun altro: era stata perfetta, irremovibile e l'aveva protetta fino alla fine. Amava quella piccola ribelle coreana e avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei se ce ne fosse stata la necessità, ma da qualche mese era sempre sua la parte di quella bisognosa di favori.
"Lane?" chiese non completamente certa se fosse meglio voler sapere o preferire restare allo scuro della sua vita, "Hai visto Jess ultimamente?"
"A scuola, le poche volte in cui si è presentato. Tu invece? Hai avuto sue notizie dall'ultima volta?"
"Vuoi dire dal giorno in cui gli sono saltata addosso come una disperata in un vicoletto buio e gli ho perfino detto di essere disposta ad avere un rapporto aperto anche se quella è l'ultima cosa che vorrei al mondo? Anzi, l'unica che non permetterei mai?" le chiese mentre Lane annuiva, "No, il nulla assoluto. Oh, dio, quanto sono stata stupida! Come può prendermi seriamente se gli faccio poposte del genere? È naturale che non voglia più avere nulla a che fare con me!"
"Jess ti prende molto sul serio, Rory. Non si è mai comportato con nessuna nello stesso modo in cui ha fatto con te e, credimi, io l'ho visto con un mucchio di ragazze. E comunque ricorda che lui è stato il primo a dire di non volere una relazione monogama, quindi non ha certo il diritto di venire da te a farti la paternale."
"Lo so, ma i fatti non cambiano: non mi vuole," disse sospirando. "In realtà l'ho visto il giorno dopo quella scenata."
"Ma hai appena detto di non avere avuto suo notizie! Cos'è successo?"
"Niente. Lui era al locale di Caesar insieme con il suo coinquilino. Quando mi ha vista si è alzato e se n'è andato lasciando Derek da solo nel bel mezzo del pranzo. Non ha nemmeno finito di mangiare a causa mia. Ho giocato male le mie carte e ora l'ho perso per sempre. Vorrei solo capire dove ho sbagliato..."
"Mi dispiace," le disse Lane affranta slanciandosi verso di lei per abbracciarla. Rory la ringraziò, ma mentre cercava di trattenere le lacrime vide nel viso dell'amica l'espressione colpevole di chi sapeva qualcosa ma non aveva il coraggio di dirla. Il suo dispiacere era dovuto a qualcosa di cui ancora non era a conoscenza.
"Che cosa c'è, Lane?"
"Beh, nelle ultime settimane Jess è stato abbastanza occupato; è uscito con un paio di ragazze del liceo e le ha scaricate entrambe. Uno che cambia ragazza ogni due giorni non è molto affidabile."
"Noi siamo stati iniseme quasi per sei mesi," ricordò ad alta voce, "e dopo il secondo aveva iniziato a pensare di non essere una qualunque, di essere diversa da tutte le altre. Ho creduto che anche per lui fosse diventata una storia più seria. E mi sono sbagliata."
Lane odiava vederla triste e soprattutto detestava che fosse in quello stato a causa di uno come Jess Mariano. Era certa che Rory lo amasse molto, ma si chiedeva il perchè di quell'affetto così profondo nato in pochissimo tempo per qualcuno che l'aveva trattata malissimo lasciandola con una spiegazione così immatura come quella di non volere relazioni esclusive a diciotto anni, mentre era stata insieme al carinissimo e dolcissimo Jason per un'eternità e non aveva mai detto di amarlo.
Quella con Jess era stata una storia sbagliata fin dall'inizio perchè tra loro c'era un oceano ed erano troppo diversi perchè potessero superare qualsiasi ostacolo, a partire dalla diversità di status sociale, perchè Christopher non avrebbe mai permesso a Lorelai Leigh Hayden di uscire col figlio di nessuno, educato in una scuola pubblica doveva aveva a malapena la sufficienza e con i propri piedi come unico mezzo di trasporto. Eppure doveva ammettere che le rare volte in cui li aveva visti insieme, nei momenti in cui nessuno si occupava di loro e potevano vivere allo scoperto seppur per pochi secondi quella loro storia segreta, anche a lei era sembrato una persona diversa: era attento, quasi dolce con Rory come non l'aveva mai visto con nessun'altra. Non lo conosceva bene, doveva ammetterlo, e forse sarebbe stato più corretto non giudicarlo troppo velocemente, come invece aveva fatto l'intera città dal momento in cui era sceso dall'autobus proveniente da New York molti mesi prima.
"Non mi piace vederti così," le disse riportando l'attenzione sulla sua amica. "Dobbiamo fare qualcosa. Hai un piano?"
"Un piano? Non lo so... no," rispose confusa da quel nuovo atteggiamento reattivo. "E tu?"
"Beh, c'è una festa tra un paio di settimane," sorrise, "i genitori di Chuck Presby partono e lui ha la casa libera."
"Ma tu hai sempre detto che questo Chuck Presby è un idiota," le fece presente.
"Infatti è vero, ma noi andiamo lì per divertirci, non per fargli la corte."
"E perchè dovremmo andare alla sua festa?"
"Perchè Jess ci andarà di sicuro e tu potrai parlargli."
"E umiliarmi di nuovo? No, grazie."
"Potrebbe essere la tua ultima occasione, Rory Hayden," disse con sicurezza lasciandola senza via d'uscita se non quella di accettare, "hai quattordici giorni per preparati un discorso efficace."
"E tu come farai con tua madre?"
"Mamma Kim è come burro nelle mie mani," le assicurò con un sorrisetto sadico sulle labbra, "mi inventerò qualcosa: ormai sono un maestro del crimine."
Rory sorrise e l'abbracciò quasi strozzandola per la gioia: l'aiuto che le stava dando era enorme.
Ora aveva una missione e, anche se non avrebbe avuto a che fare con un osso duro come la signora Kim, anche lei doveva convincere i suoi genitori a farla andare ad una festa di gente comune.

La mezzanotte era scoccata da ore e onestamente aveva vaghi ricordi di quei minuti: pensandoci con attenzione mentre portava in spalla Derek fino al suo letto, vedeva fiumi di alcol in bottiglie di vetro di ogni forma e colore, lattine di birra vuote sparse per tutto il giardino della casa di Hartford di un amico di un conoscente di qualche altro amico messa a disposizione per quella festa di addio all'anno ormai finito e stupide ragazzine snob fingersi donne di mondo e giocare alle ammaliatrici, mantidi al profumo di Chanel in attesa dell'ennesimo maschio da sacrificare per il loro piacere. In un altro momento se ne sarebbe fregato di dover stare al loro gioco pur di trovare a sua volta un godimento personale, ma quella sera nemmeno i rossetti più costosi e le minigonne di Cavalli lo avevano attratto.
Senza nemmeno svestirsi si sdraiò sul letto, ma mentre dall'altra stanza sentiva Derek russare rumorosamente dopo essere lettalmente trapassato alla fine di quella nottte all'insegna di vodka e Jack Daniels, lui non faceva altro che rigirarsi tra le lenzuola; si rese conto che il sonno avrebbe tardato ad arrivare, quindi dopo aver appurato l'ora -le sei e mezza del mattino- si rialzò e uscì di casa.
Fuori l'aria era gelida e svegliava maggiormente i suoi sensi mentre una debole luce da est gli diceva che il sole sarebbe sorto a minuti; anche Stars Hollow sembrava avesse festeggiato l'arrivo del nuovo anno: lungo le strade solitamente brillanti per quanto pulite c'erano piccoli coriandoli colorati che coprivano l'asfalto formando un enorme arcobaleno ridotto in frantumi sparsi. Pensò al caleidoscopio che Liz gli aveva regalato a cinque anni, ai poligoni colorati che aveva guardato per ore meravigliandosi che mai una volta formassero la stessa figura.
Vicino al gazebo Kirk stava raccogliendo ciò che rimaneva degli innocui fuochi artificiali sparati dai più coraggiosi e appassionati: lavorava prima che la città si svegliasse e potesse scoprire che in realtà non era sempre perfetta come soleva apparire. Sorrise con orgoglio per essere stato testimone dell'imperfezione che viveva anche in quel piccolo mondo dominato da Taylor: l'aveva vista in un attimo di difetto e poteva affermare con maggiore certezza che no, la perfezione non esisteva. Eppure non ne aveva le prove. Fermò i suoi passi e considerò l'eventualità di tornare in casa e prendere la macchina fotografica per immortalare quel momento, ma in quel lasso di tempo Kirk avrebbe potuto compiere qualche sorta di magia e far sparire ogni cosa e a lui non sarebbe rimasto nulla se non la consapevolezza di quanto tutto fosse solo momentaneo.
Nulla era permanente esattamente come nulla era perfetto.
Continuò a camminare calpestando la mela dell'Eden di Stars Hollow godendosi a pieno quella situazione in cui non era l'unico peccatore della città e arrivò velocemente al ponte illuminato dal primo raggio di sole, ma si fermò di colpo quando in lontananza scorse la figura di una persona seduta sul legno che gli apparteneva. Si avvicinò cercando di riconoscere chi si era appropriato indebitamente del suo spazio, pronto a discutere per far sparire l'intruso, ma presto si accorse di due cose: primo, era una ragazza e, secondo, stava piangendo cercando di mantenere il controllo della propria postura fallendo miseramente, perchè i singhiozzi silenziosi risultavano in un visibile tremore delle sue spalle.
Era la figlia degli Hayden.
Lui e Rory erano a malapena conoscenti. Si erano incontrati in un paio di occasioni e ogni volta il discorso che avevano iniziato era finito sulla letteratura. Derek lo prendeva in giro dicendo di avergli presentato Rory alla festa di inaugurazione del loro appartamento, ma ricordava molto poco di quella sera perchè aveva iniziato a bere con alcuni amici prima che gli ospiti arrivassero e aveva continuato fino a quando una ragazza conosciuta un paio di giorni prima, Lindsay, lo aveva trascinato in camera.
La prima volta che ricordava era stata un paio di settimane dopo quella sera: lui e il suo coinquilino stavano per entrare nel supermarket per comprare qualcosa da mangiare quando un certo Jason e una ragazza li avevano chiamati. Derek e Jason avevano iniziato a parlare di persone che non conosceva, quindi era rimasto in disparte ad aspettare il momento del congedo. Rory aveva intravisto un libro uscire dalla tasca del suo giaccone -Hemingway- e aveva iniziato a spiegargli quanto i suoi racconti avessero per lei lo stesso effetto di un sonnifero. Le aveva lanciato un'occhiata di disapprovazione alla quale lei aveva risposto con un sorriso e prima che potesse controbattere la voce del suo ragazzo l'aveva interrotto con un saluto generico. In un baleno era sparita.
La seconda volta era capitata solo una settimana prima, alla vigilia di Natale. Sua madre aveva chiamato e gli aveva raccontato la vita meravigliosa che stava conducendo a Montreal; era felice per lei, ma arrabbiato perchè non "era riuscita" a tornare nemmeno un paio di giorni per passarli con lui. Aveva finito le sigarette e dopo quella telefonata il bisogno di nicotina per calmarsi si era fatto urgente, così era uscito e sulla via del ritorno l'aveva vista seduta alla fermata dell'autobus intenta a leggere Ayn Rand.
"Quella donna è una pazza," le aveva detto sedendosi al suo fianco con una sigaretta in bocca in attesa di essere accesa. Era bastato un attimo e gliela aveva sfilata dalle labbra ordinandogli di non fumare in sua presenza. Non sapeva perchè, ma l'aveva ascoltata arrendendosi al suo volere e rimettendo il cilindro al suo posto nel pacchetto di nuovo intatto. Aveva ancora davanti agli occhi il suo sorriso soddisfatto e in quell'istante aveva avuto la conferma di quanto fosse carina. Gli aveva raccontato che la sua auto era a fare la revisione mentre quelle dei suoi genitori non erano disponibili e non voleva che i suoi nonni mandassero un autista da Hartford che la portasse in giro a fare spese; preferiva andare in autobus e leggere durante il tragitto. Avevano parlato per un paio di minuti, poi quell'odioso mezzo pubblico che era sempre puntale nei momenti sbagliati era arrivato e ancora una volta era sparita.
Avvicinandosi a lei si chiese se fosse il caso di ripensarci e lasciarla da sola fingendo di non aver visto nulla, ma i suoi piedi non avevano aspettato una risposta del cervello e avevano continuato ad andare avanti fino a toccare le vecchie tavole di legno. Il sole si era alzato ancora e aveva reso l'ambiente intorno a loro quasi surreale: il cielo all'orizzonte sfumava dal rosa all'azzurro rispecchiandosi sull'acqua del lago che scorreva sotto di lui, le rade nuvole sembravano fiocchi di ciliege finiti chissà come sopra le loro teste mentre sugli alberi spogli la brina scintillava uniformandosi al colore d'intorno. Si sedette lasciando che un paio di decine di centimetri di distanza si intromettessero tra loro per non darle l'impressione di essere invadente.
Troppo concentrata su se stessa e le sue lacrime si era accorta di lui solo all'ultimo minuto e si era spaventata per quell'improvvisa presenza al suo fianco. In uno spiraglio tra i capelli in disordine che le coprivano il viso era riuscito a guardarla: gli occhi rossi e leggermente gonfi e le guance bagnate gli davano l'ennesima prova, la seconda in pochi minuti, che quella della perfezione era solo apparenza e che era talmente fragile da poter essere smantellata in un istante. Rory, la ragazza studiosa, con i voti migliori di una scuola per geni, simpatica a chiunque, ricca, proveniente da una delle famiglie più in vista di Hartford, dolce e bella, idolizzata dall'intera cittadina di provinciali in cui abitava non era perfetta, ma un semplice essere umano come tutti loro, come lui. Non le disse nulla e la osservò con la coda dell'occhio mentre cercava di sorridergli e ricomporsi asciugando le lacrime che non ubbidivano alla sua volontà di fermarle, ma continuavano a scendere senza tregua.
Rimasero entrambi in silenzio per alcuni secondi, il tempo che Rory riprendesse il controllo del suo corpo e si calmasse completamente. Si chiese se quella fase di stallo sarebbe durata in eterno o se prima o poi gli avrebbe dato una spiegazione o si sarebbe sfogata o forse avrebbe ignorato il problema e parlato di tutt'altro, magari del libro che stava leggendo in quei giorni. Ma il tempo trascorreva veloce e il sole si faceva man mano più alto; tutto si muoveva tranne loro, che restavano immobili con i piedi sospesi nel vuoto. Decise di prendere l'iniziativa e spezzare quella staticità infilando una mano nella tasca della giacca, ignorando il divieto assoluto che gli aveva imposto tempo prima e sfilando una sigaretta dal pacchetto, ma in quell'istante lei parlò.
"I miei genitori... hanno deciso di divorziare," gli disse riprendendo a perdere fiumi di lacrime dagli occhi ormai esausti. Non aveva idea di cosa stesse provando in quel momento perchè dopotutto lui aveva vissuto una vita intera senza un padre e le uniche separazioni a cui aveva assistito da lontano erano state quelle tra sua madre e i suoi fidanzati temporanei, persone alle quali non si era mai legato e che quindi non avevano lasciato in lui nessuna ferita. Ma stava soffrendo, non era cieco, e probabilmente il mondo a cui si era sempre appoggiata e che per lei era una vera istituzione, un valore reale, era crollato lasciandola in balia di se stessa e a sorreggersi da sola senza che sapesse come fare. Lui, che aveva sempre fatto affidamento sulle proprie forze, decise di darle una mano e sostenerla finchè non fosse riuscita a farlo da sola mettendole un braccio intorno alle spalle e dandole un sostegno a cui appigliarsi. Ci volle un attimo perchè accettasse l'aiuto che le stava offrendo e si stringesse a lui; mai prima di quel momento aveva fatto un gesto simile e soprattutto mai avrebbe immaginato di potersi comportare in quel modo con una persona di cui conosceva solo il nome.
Provava una strana sensazione e non sapeva riconoscerne la natura: altruismo che non aveva mai ritenuto una delle sue più spiccate qualità o semplice attrazione per una ragazza bella e debole?
Quando si allontanò dal suo petto gli sorrise di nuovo e stavolta era meno forzato e più genuino di quello che aveva tentato di rivolgergli quando era arrivato, uno di quelli che aveva visto in tutte le altre occasioni: lo stava ringraziando senza usare le parole. Istintivamente si sporse in avanti avvicinando le labbra alle sue: era un riflesso incondizionato, ma prima di commettere il fatale errore si fermò indirizzandosi alla sua fronte e sfiorandola con un casto bacio.
La sua vita era costernata di carognate, ma non aveva mai giocato con le donne degli altri e Rory aveva un ragazzo, oltre ad essere completamente fuori dalla sua portata. Sentiva che la cosa migliore che potesse fare era starle alla larga il più possibile eppure, nonostante quasi non la conoscesse, non era riuscito a voltarle le spalle.
Ma a quanto pareva era già tardi e lei non aveva accettato quel suo cambio di direzione così improvviso: osservò attentamente tutti i suoi piccoli movimenti, le mani che gli accarezzavano il collo, i suoi occhi ancora lucidi ma senza lacrime e le sue labbra socchiuse farsi sempre più vicine.
In un lampo lo baciò.
Affetto. Sì, probabilmente era ciò di cui quella ragazza aveva bisogno, il motivo che l'aveva spinta a compiere quel gesto che compensasse la perdita della sua famiglia. Nulla più. Si disse che era stata a lei a decidere per entrambi dimenticando il suo ragazzo e che non era responsabile per le sue scelte. Dopo il supporto morale e la spalla su cui piangere le diede ciò che voleva e ricambiò il suo bacio completando così la sua missione umanitaria.


Il Capodanno, il 4 luglio, il Ringraziamento, il Natale, i compleanni. Odiava tutte le feste, dalla prima all'ultima.
Lei e Lorelai avevano trascorso l'intera giornata ad Hartford a posare per la sarta che doveva rendere perfetti i loro vestiti per la tradizionale cena natalizia che da ormai quarant'anni si teneva puntualmente a casa Gilmore; dopo due ore perse ad ascoltare gli ultimi pettegolezzi di Madame Sophie erano rimaste per un'eternità nel negozio di scarpe per ritirare quelle che avevano comprato, poi la parrucchiera personale di Emily le aveva chiamate nel suo salone per mostrar loro le acconciature elaborate e regali fatte a povere modelle che si erano sacrificate per volere della vecchia Gilmore. Avevano scelte quelle che preferivano farsi fare il gran giorno e, dopo altri innumerevoli gossip, erano riuscite a tornare sulla strada per Stars Hollow, ma una volta arrivate in città, ferme ad un semaforo, sua madre aveva addocchiato un bar e nel giro di pochi secondi si era ritrovata seduta ad un tavolo e con un caffè bollente tra le mani. Se c'era una cosa che avevano in comune, oltre al colore degli occhi, era la passione sfrenata per la caffeina; doveva ammettere che era divertente vedere la nonna impazzire quando Lorelai si presentava a casa sua con un bicchiere di caffè che poi lasciava in da qualche parte senza rivelare dove: Emily sgiunzagliava ogni volta tutte le sue cameriere e sembrava di assistere ad una caccia al tesoro. Erano le occasioni in cui sua madre le piaceva, ma erano troppo rare e si erano fatte ancora più sporadiche dopo il divorzio.
Mentre camminavano verso l'auto per dare finalmente una conclusione a quella lunghissima giornata sospirò scacciando il dolore dei ricordi più belli che aveva della sua famiglia e che ormai facevano parte di un tempo passato e che non sarebbe più tornato. Poi all'improvviso si fermò. Lorelai si accorse della sua brusca frenata e le chiese cosa aveva senza ricevere nemmeno un mugolio in risposta; dato lo stato di apparente catarsi nel quale la figlia era caduta seguì con i propri occhi la direzione in cui stava guardando: davanti alla tavola calda di Caesar un ragazzo dall'aspetto familiare e una biondina si stavano baciando. Tornò a concentrarsi su Rory cercando di capire perchè le interessasse la vita privata di gente che conosceva a malapena e la vide rossa in volto e con gli occhi lucidi.
"E' Jess, giusto?" le chiese riconoscendolo. "E quella dev'essere l'ultima donzella caduta nelle sue grinfie di sciuafemmine."
"Lindsay."
"La conosci?"
"E' a scuola con Lane," le rispose senza staccare loro gli occhi di dosso: era ipnotizzata dalla scena a cui stava assistendo. Lorelai la osservò in silenzio mentre rodeva dalla gelosia; divenne lentamente consapevole che il peggior incubo di Christopher fosse diventato realtà senza che lui avesse potuto impedirlo.
"Aveva detto che non era importante!" esplose Rory all'improvviso facendola sobbalzare sui suoi tacchi a spillo vertiginosi.
"Cosa?"
"Che non c'era stato nulla di serio tra loro," continuò.
"Stai delirando? Perchè dovrebbe importarti con chi esce Jess Danes?" le chiese sperando in una confidenza.
"Mariano," la corresse voltando la testa verso sua madre e guardandola negli occhi con i suoi, uguali ma pieni di rabbia.
"Come?"
"Mariano. Jess Mariano, non Danes. E' il figlio della sorella dello sceriffo e ha il cognome del padre."
"E cos'altro sai su di lui," le ordinò di dirle assumendo un'aria seria e autoritaria che le ricordava quella di Emily Gilmore.
"Che cosa vuoi dire?" le chiese immediatamente sulla difensiva mentre entrambe continuavano a restare in piedi al centro del marciapiede sfidandosi con lo sguardo e noncuranti dei curiosi cittadini che passavano casualmente nelle vicinanze sempre felici di diffondere gossip, soprattutto quando riguardavano la famiglia Hayden-Gilmore.
"Beh, Rory: conosci le sue ragazze, dici di sapere cosa significano o significavano per lui, hai uno schema più o meno preciso del suo albero genealogico..."
"Dove vuoi arrivare, mamma?"
"Non state insieme e lui esce chiaramente con un'altra, però sei gelosa."
"Non sono gelosa," mentì.
"Qualcosa è successo tra voi," disse ignorando il suo precedente commento. Il silenzio di Rory la diceva lunga e il suo iniziare a camminare lontano da lì era più eloquente di qualsiasi parola.
"Non dare le spalle a tua madre!" gridò seguendola; la ragazza si fermò e si girò verso di lei afforontandola.
"Ok, stavamo insieme! E ora che farai? Correrai a dirlo a papà?"
"Sapevi che disapprovava," le ricordò evitando di risponderle; "e nonostante lo sapessi hai deciso di frequentare quel ragazzo."
"Prima," la interruppe con la sua voce esasperata, "è successo prima!"
"E quando Christopher ti ha parlato tu ci hai mentito."
"Non ho mentito."
"Ma hai appena detto che stavate insieme."
"Quando papà mi ha vietato di vederlo lui mi aveva già lasciata," disse lasciando che il posto della rabbia venisse preso dalle lacrime.
L'ultima volta che l'aveva vista piangere era stata in prima media, quando Paris Geller l'aveva sgridata davanti all'intera classe perchè il plastico del sistema solare non era perfetto come avrebbe dovuto e Rory non aveva piantato una bandierina americana all'altezza di Washington per farla spiccare rispetto alle altre capitali del mondo. Erano passati quasi dieci anni e da allora non si era mai fatta vedere così disperata, nemmeno quando aveva saputo del divorzio.
Senza darle spiegazioni la prese per mano e gentilmente la fece rientrare in macchina. Aveva creduto che sua figlia fosse la persona più forte che conosceva, che nulla avrebbe potuto spezzarla, ma doveva ricredersi perchè anche lei aveva debolezze, insicurezze e sentimenti come tutti. Se fosse stata una buona madre se ne sarebbe accorta; se fosse stata una madre diversa le avrebbe evitato tanta sofferenza. Aveva dimenticato come comportarsi con sua figlia e tutto ciò che riuscì a fare fu abbracciarla impacciatamente con la paura di romperla, tanto era fragile in quel momento.
"So che detto ora può sembrare stupido, inutile e falso," disse accarezzandole i capelli mentre il pianto iniziava a calmarsi, "ma passerà. Devi solo aspettare un paio di mesi e tutto questo sarà solo un ricordo."
"Ne sono già passati sei," le rispose attraverso il maglioncino di puro cashmere sul quale il suo volto era appoggiato, "e nulla è cambiato: sto male come il primo giorno e a volte mi sento anche peggio."
"Oh. Allora... era una cosa seria?"
"Credevo di sì," le disse allontanandosi dal corpo che l'aveva fatta sentire protetta negli ultimi minuti."Io sono innamorata di lui."
"Di quel teppista?" esclamò Lorelai mettendo da parte il proposito di essere comprensiva e sostenerla.
"Mamma!"
"Ok, scusa. E lui lo sa?"
"Non gliel'ho mai detto, ma credo che ormai l'abbia capito."
"Se non è stupido..." iniziò, convinta che in realtà uno che lasciava una persona meravigliosa come sua figlia non doveva avere tutte le rotelle apposto.
"Non lo è," rispose Rory sorridendo e sorprendendola con le sue parole; "Jess è una delle persone più intelligenti che conosco. Chi non lo conosce può giudicarlo freddo e menefreghista, l'ho fatto anch'io, ma non è così: è appassionato, ci sono cose che gli piacciono e a cui tiene molto e per le quali farebbe di tutto per proteggerle e perchè non gli venissero tolte. Sa essere molto sensibile a volte e non è ipocrita: se gli dai fastidio te lo dice senza mezzi termini, ma se diventa tuo amico si trasforma in un ragazzo molto disponibile."
L'ascoltò affascinata enumerare tutte le qualità di quel Jess che lei riteneva un avanzo di galera: anche se non le era consentito essere al centro del gossip della piccola città, su di lui ne aveva sentite di tutti i colori e non lo riteneva un partito giusto per sua figlia, a prescindere dalla condizione economica della quale non le importava assolutamente nulla. Si comportava male e non poteva essere giusto per nessuna brava ragazza.
"Però," aggiunse Rory facendola sorridere, "a volte è un teppista: fa cose stupide e ne è consapevole.
"Sicura che sia intelligente come dici?" le chiese dopo quella sua contraddizione.
"E' l'unico modo che conosce per sfogarsi," le spiegò. "Ha sofferto nella sua vita e soffre ancora."
"Il dolore non giustifica un comportamento sbagliato, Rory. Jess non può fare tutto quello che gli passa per la testa."
"Lo so, ma ha bisogno di qualcuno che lo aiuti."
"Uno psicologo."
"No," le disse in fretta prima che si facesse un'idea sbagliata di lui. "Aveva me. C'ero io per lui e per un po' le cose sono andate meglio, anche se non erano perfette. Però ora..."
"Non sei una crocerossina," le ricordò. "Non puoi forzarlo a fare qualcosa che non vuole. Forse ha davvero bisogno di un altro tipo di aiuto. Quello di uno specialista."
"Non capisci. Tu non lo conosci, ti sbagli," rispose mettendo il broncio e incrociando le braccia: tutti erano pronti a giudicare e a non fare nulla per capire e cambiare le cose. Dargli dell'instabile era semplice. Pagare uno strizzacervelli non era un problema. La difficoltà stava nel prestare attenzione alle persone, dare senza pretendere nulla in cambio. Amare a prescindere dai sentimenti dell'altro. "Jess avrebbe bisogno di suo padre o di sua madre. Di una famiglia unita che gli vuole bene, che si preoccupa per lui senza pensare agli altri."
C'era passione nelle sue spiegazioni, in quella ricerca disperata di persone su cui fare affidamento e il cui compito era di aiutare e stare vicine al figlio.
"E' quello che manca a te? Una famiglia?" le chiese intuendo che se da una parte quel discorso era iniziato a causa di Jess, dall'altra era riferito anche alla loro situazione familiare.
"Io l'ho avuta," le rispose, insicura e triste, preoccupata perchè la conversazione stava toccando un argomento di cui non voleva più parlare per il resto della sua vita. "Ricordo com'eri, come ti comportavi con me. Eri diversa da tutte le mamme."
"E ora?" le chiese conoscendo già la risposta.
"Ora sei come loro," le rispose facendola rabbrividire con i suoi occhi di ghiaccio.
"Mi dispiace, ma non cambia cosa provo per te: sei la mia bambina, ti voglio bene e vorrei che mi parlassi di tutto, di Jess, di Lane, della scuola. Quando sei nata mi sono detta che tra noi le cose sarebbero state diverse," disse ripensando al pessimo rapporto avuto con Emily, "ma le circostanze mi hanno fatto fallire. Forse... forse non è tardi per riprovare. So che sarà difficile fidarti di me, ma mi piacerebbe che fossimo più amiche, soprattutto ora che tuo padre non abita più con noi. Non sto cercando di prendere il posto di Lane, non potrei mai essere come lei, ma vorrei solo che ogni tanto potessimo parlare."
"Piacerebbe anche a me," le confessò sorridendo e ricordando che solo pochi mesi prima aveva avuto quegli stessi pensieri.
"Ok," disse Lorelai sorridendo, felice che finalmente, dopo essersi liberata della figura opprimente del marito, le cose potessero migliorare anche con Rory.
"Ok," le fece eco, mentre sua madre le spostava una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Lo dirai a papà?"
"No. Christopher è fuori dalla mia vita adesso e non voglio che controlli anche la tua e se ne faccia ossessionare."
"Grazie."
"Prego," le rispose rimettendo finalmente in moto l'auto e partendo per tornare a casa.
Rory si sentiva sollevata dopo aver parlato con lei ed era sorpresa di provare un sentimento così leggero perchè non aveva mai pensato che lei e sua madre potessero realmente essere le amiche su di cui a volte aveva fantasticato. Ripassando davanti al locale, che per qualche minuto aveva rimosso dalla sua mente, vide Lindsay camminare e svoltare l'angolo; Jess invece era solo, immobile nello stesso punto in cui si trovava quando l'aveva visto. Tenne gli occhi fermi su di lui mentre l'auto correva veloce portandolo via alla sua vista in un attimo. Si chiese perchè non era altrettanto semplice e rapido escluderlo dalla sua memoria e dal suo cuore.
 
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Elena_R
view post Posted on 5/7/2005, 20:30




La frase citata in seguito di Arthur Schnitzler è tratta da Amoretto, un dramma del 1896. Io ho letto poche righe quindi non posso avere un giudizio e consigliarvela, ma di A.S. dovete assolutamente leggere Doppio sogno e poi guardatevi Eyes Wide Shut (Kubrick si è basato sul racconto per il film), perchè meritano. E poi Cruise nudo non è uno spettacolo spiacevole... anzi!

Gennaio: Arthur Schnitzler

La fatidica sera era arrivata. Affrettò il passo perchè, dopo essere uscita e rientrata in casa almeno cinque volte cambiandosi ogni volta un vestito diverso e finendo poi coll'indossare dei proletari jeans e una maglietta qualunque, si era accorta di essere in ritardo. Sul marciapiede la neve croccante caduta un paio di giorni prima e ghiacciatasi durante le notti polari si frantumava sotto i suoi piedi e una buffa nuvoletta di fumo bianco all'altezza della sua bocca era con lei ovunque andasse; un lembo della sciarpa scivolò dalla sua spalla e le ricadde davanti, ma la lasciò dov'era per non tirare fuori dalle tasche calde e accoglienti le sue mani che si congelavano al minimo freddo.
La casa di Chuck Presby era quasi completamente illuminata e alcuni ragazzi se ne stavano fuori a fumare e ridere. Gli passò di fianco ed entrò velocemente prima che la fermassero per importunarla. Il calore all'interno era quasi tropicale a causa delle luci accese e della molteplicità di persone presenti in uno spazio ristretto. Avanzò tra la folla fino a raggiungere Lane, che aveva intravisto in lontananza; con lei c'era Lunn Xu Zuang, l'ultimo futuro dottore coreano con cui la signora Kim l'aveva costretta ad uscire e col quale per fortuna si era trovata da subito in sintonia. Era il loro secondo appuntamento e quelle due perfidi menti erano riuscite ad idealizzare un piano perfetto, riuscendo a prendersi gioco non di una bensì di due tradizionaliste madri coreane.
“Lane!” gridò correndole incontro ad abbracciarla.
“Rory, finalmente! Che ti è successo? Dovevi essere qui almeno mezz'ora fa,” l'ammonì picchiettando un dito sull'orologio.
“Hai ragione, scusa, ma non sapevo cosa mettere,” le rispose passandosi nervosamente le mani sui pantaloni; “Ciao Lunn.”
“Ciao Rory.”
“Che te ne pare della festa? Ti stai divertendo?” gli chiese allontanando il discorso dalla sua indecisione in fatto di vestiti che avrebbe irrimediabilmente portato al motivo di quell'agitazione.
“E' appena iniziata,” disse sorridendo, “ma ho già individuato un paio di elementi che ci faranno fare un sacco di risate.”
“Che intendi?”
“Vedi quel biondo con i capelli lunghi?” le indicò in fondo alla sala.
“Ma... è una ragazza?”
“Esattamente quello che ha pensato il capitano della squadra di basket quando ha cercato di rimorchiarlo pizzicandogli il sedere,” sorrise.
“Oh,” mugugnò Rory arrossendo per l'errore commesso, “sembra davvero una ragazza. Quei capelli sono meravigliosi.”
“Già,” si intromise Lane, “dovremmo chiedergli che balsamo usa. Ma sei sicura di stare bene?” chiese all'amica che continuava a muoversi e sembrava volesse nascondere le mani sotto le maniche tanto le allungava verso il basso.
“Sì,” rispose cercando di darsi un freno e mettendole nelle tasche dei jeans dove sarebbero rimaste ferme.
“Non l'ho ancora visto in giro,” le assicurò Lane per tranquillizzarla conoscendo bene il motivo del ritardo e quello della sua ansia.
“Davvero?”
“Sì. Però lì c'è Derek,” le comunicò guardando in direzione del tavolo degli alcolici dal quale stava prendendo probabilmente un coca havana con cui brindare al Che stampato sulla sua maglietta. Lo videro voltarsi nella loro direzione e allontanarsi, scusandosi, dal gruppo di ragazzi con cui stava parlando per avvicinarsi a loro.
“Hey ragazze! Che ne dite della festa?”
“Tipico raduno di insopportabili atleti e cheer leaders di Stars Hollow.”
“Guarda che io sono qui davanti a te,” protestò mostrandole il suo orgoglio di sportivo “e comunque tu sei una cheer leader.”
“Ma io faccio parte della ristretta cerchia dei simpatici, vero Rory?” chiese sorridendo e cercando l'appoggio dell'amica che però aveva la testa da tutt'altra parte e al momento era impegnata a scannerizzare la sala, controllare la porta ogni volta che si apriva e voltarsi ogni volta che sentiva pronunciare la lettera J.
“Rory,” disse Derek accorgendosi della sua distrazione, “stai bene?”
“Sì, certo. Scusate, stavate dicendo?”
“Lui non è ancora arrivato,” le fece presente il ragazzo capendo solo allora le ragioni di quel suo comportamento così strano, un atteggiamento che la caratterizzava da molto mesi ormai e che a volte lo faceva rattristare, soprattutto quando incontrava la stessa espressione negli occhi del suo coinquilino.
“Lui?” fece finta di non capire a cosa alludesse.
“E' andato a New York qualche giorno fa ed è rimasto a casa di alcuni amici, sai, in onore dei vecchi tempi,” le spiegò, “ma ha detto che sarebbe tornato per la festa di Chuck, quindi probabilmente sarà qui a momenti.”
Si rilassò un attimo e Derek le toccò una spalla come se volesse rassicurarla e farle sentire che la era con lei; gli sorrise ringraziandolo silenziosamente per il suo supporto morale, poi lui li abbandonò per tornare dai suoi amici mentre loro fecero un giro per la casa osservando i vari ragazzi che Lane era solita frequentare: si rese conto per la prima volta che conosceva un infinità di persone di cui lei non sapeva nulla nonostante avesse vissuto in quella città una vita intera.
Quando tornarono nella sala principale trovarono il padrone di casa in piedi su un tavolo a tenere banco bevendo da qualsiasi bottiglia gli capitasse a tiro e distraendosi di tanto in tanto per fare apprezzamenti più o meno pesanti sulle ragazze che vedeva passare. Su uno dei divani Lindsay era seduta con un aria annoiata e le dita delle mani perse nel gioco infantile di arricciarsi i capelli. Sentì la gelosia crescere velocemente ed esplodere all'interno del suo corpo; s'immaginò mentre prendeva la rincorsa e e le saltava addosso per riempirla di schiaffi e strapparle quei boccoli perfetti, ma biondi e tinti. Sorrise soddisfatta visualizzandola completamente pelata e in lacrime con la luna che si rifletteva sul suo cranio lucido, quando all'improvviso dovette tornare alla realtà vedendola alzarsi e scattare verso la porta d'ingresso. Un nodo le si strinse alla gola e non ebbe bisogno di seguirla con lo sguardo perchè sentiva che era lì: percepiva la sua presenza in quella stanza. Ma la curiosità, o forse il masochismo, furono più forti della sua volontà e non riuscì ad evitare di voltarsi nella direzione in cui era sparita.
La vide abbracciarlo, quasi strozzarlo, mentre lui le sussurrava qualcosa cercando di togliersi la giacca e allontanandola da sé di qualche centimetro. Ci volle un attimo perchè un paio di ragazzi notassero il suo arrivo e lo circondassero salutandolo e offrendogli da bere. Lei era lì da un'ora e nessuno, a parte Derek, l'aveva avvicinata, mentre a Jess erano bastati pochi secondi per diventare il centro della festa, togliendo l'attenzione persino a Chuck Presby. Se fossero stati ad uno dei party organizzati da qualche ricca famiglia di Hartford era certa che sarebbe successo il contrario, perchè nessuno era tanto impertinente da ignorare la figlia di Christopher Hayden, il miglior imprenditore dell'intero Connecticut.
Anche Derek andò da lui a stringergli la mano e dargli il bentornato: sembrava fosse il boss di una banda, il capo rispettato dei ragazzacci della scuola.
Notò la mano di Lindsay stringersi ad una delle sua braccia e cercare di trascinarlo via da lì, ma il suo sforzo fu inutile perchè Jess sembrava una roccia e continuava a stare immobile a parlar con i suoi amici. Da fuori le dava l'impressione di una piccola formica che cercava di spostare un enorme sasso: a confronto il piccolo insetto non esisteva.
Per qualche secondo provò pena per lei e i suoi sforzi non ripagati di convincerlo a lasciare stare quella gente per stare insieme, ma il sentimento le passò immediatamente.
Il suo sguardo lasciò la patetica figura di Lindsay e tornò su di lui che la colse di sorpresa spiazzandola: i suoi occhi erano fissi su di lei e la stava guardando più intensamente di quanto avesse mai fatto. Sentì il cuore gelare nel suo petto ed ebbe l'impulso di fuggire da lui, ma decise che avrebbe resistito, che non sarebbe stata lei la prima a distogliere lo sguardo e a dargliela vinta. La sfida continuò per un paio di secondi, ovvero finché il fastidioso rumore di un fischio rivolto a lei da Chuck Presby le fece perdere la concentrazione costringendola ad allontanarsi prima che scendesse da quel suo podio per provarci con lei.
Aveva perso di vista sia Lane che Lunn, così si appoggiò con le spalle ad un muro in attesa di venir salvata.
Ripensò a Lindsay e a come Jess si era comportato con lei; ricordava perfettamente che tra gli altri, a meno che non fosse costretto per via delle circostanze di quella relazione clandestina, non l'aveva mai ignorata in quel modo. Aveva sempre trovato un modo per farle capire che c'era, che era con lei e non lo dimenticava: uno sguardo, un sorriso, l'offerta di qualcosa da bere. Si sentì quasi orgogliosa per aver trovato l'ennesima prova che tra loro c'era stato qualcosa di diverso, ma immediatamente la piacevole sensazione svanì lasciando spazio al vuoto. Si sentiva stupida quando si ritrovava ad illudersi dell'esistenza di qualcosa che non era certa fosse esistito e che in ogni caso ormai pareva non esserci più.
Ripensò all'amore che c'era stato una volta tra i suoi genitori e di cui oggi non c'era traccia, alla rottura tra due persone che a sedici anni sembravano fatte per stare insieme.
Ripensò ai suoi nonni e al loro matrimonio combinato che aveva dato vita ad un profondo affetto e che a lungo andare li aveva fatti innamorare.
Chissà se lei e Jess avrebbero fatto la fine di Lorelai e Christopher nell'eventualità in cui fossero rimasti insieme o se uno dei ragazzi che puntualmente Emily le presentava sarebbe stata la scelta migliore. Forse Schnitzler aveva ragione quando diceva: Devi cercare la felicità dove non ci sono grandi scenate, né pericoli né eccessivi coinvolgimenti, dove l'inizio non è particolarmente difficile e la fine senza tormenti. Aveva passato ore davanti allo specchio ripetendosi le cose da dirgli per convincerlo a darle l'ultima possibilità, aveva agonizzato immaginandosi la scena, aveva pianto al pensiero dell'ennesimo rifiuto. E alla luce dei fatti iniziava a pensare che fosse davvero una perdita di tempo e forse sarebbe stato meglio voltare pagina prima di farsi seriamente male. Però se non avesse agito l'avrebbe rimpianto per molto tempo.
Il gruppo di ragazze di fianco a lei stava parlando dell'ultima apparizione dei Backstreet Boys ad un programma di Mtv e le loro risatine eccitate le stavano facendo saltare i nervi, quindi staccò le spalle dalla parete e in quell'istante il destino volle che Jess salisse le scale fino al piano di sopra. Ed era da solo. Non ci pensò due volte: appoggiò il bicchiere vuoto su un mobile qualunque, fregandosene che non fosse educato da parte sua comportarsi così, ma dopotutto non aveva nulla da perdere e cose più importanti di cui occuparsi, e lo seguì.
Era capitato in altre occasioni che Jess si isolasse dalla zona calda di una festa o da un gruppo di amici per stare da solo. Di solito lo faceva quando quando qualcosa di cui non voleva parlare lo preoccupava e in quei momenti non si era mai sentita più inutile, perchè non poteva fare nulla per aiutarlo a stare meglio. Da una parte aveva voluto che si confidasse con lei, ma dall'altra non credeva di essere la persona più qualificata a dare consigli a qualcuno che aveva dei veri problemi, perchè Jess aveva ragione: se avesse confrontato le loro vite sarebbe stato palese quale era la più difficile da vivere.
Fece capolino in alcune porte trovando stanze vuote, altre invece erano chiuse a chiave e attraverso i muri sentì risate e gemiti: arrossì affrettandosi a passare oltre e trovandosi faccia a faccia con l'ultima. Rimase ferma ad ascoltare e non sentendo alcun rumore provenire dall'interno dedusse che si trovava lì.
Lentamente aprì la porta di legno scuro spingendola in avanti e aveva ragione, perchè lui era proprio lì, seduto sul letto, ma non era solo: Lindsay, di spalle e seduta sulle sue gambe con solamente la biancheria intima indosso, gli stava sfilando la maglia per gettarla poi sul pavimento, mentre le mani e le labbra di Jess erano ovunque tranne che lontano dalla sua pelle.

“Mamma e papà sono partiti per New York qualche ora fa e torneranno stanotte,” scrisse con la sua bella calligrafia, “La nonna continua a pensare alle apparenze e anche se ormai sono ufficialmente separati e le pratiche del divorzio già inoltrate non la smette di costringerli a farli uscire insieme in ogni occasione sperando che prima o poi ritornino sui loro passi. So che lei adora papà e vorrebbe che stesse con la mamma, ma dovrebbe farsene una ragione ormai. Da parte loro i miei genitori non l'aiutano affatto: mamma non protesta per evitare di creare altre tensioni, mentre papà lo fa per me, per migliorare la sua immagine ai miei occhi. Io gli voglio bene, non potrebbe essere altrimenti, ma so come è fatto e non mi piace.
Ho diciassette anni e mezzo e continuo a scrivere su un diario... è infantile, lo so, e Jess mi prende sempre in giro, ma sono così abituata a farlo da non riuscire a smettere. Sono diario-dipendente,” scrisse sorridendo mentre rigirava tra i denti il tappo della penna. Guardò fuori dalla finestra allarmata perchè le sembrava di aver sentito un rumore: c'era vento fuori e le cime degli alberi del giardino ondeggiavano da destra a sinistra in una danza costante ed impetuosa mentre il cielo era di un azzurro intenso.
“Negli ultimi tempi mi sono autoanalizzata e mi sono ritrovata con una lista di caratteristiche che mi definiscono come persona: sono una ragazza. Una studentessa, un'amica e una figlia. Una fidanzata. Quest'ultima definizione di me stessa è quella che mi piace di più al momento, soprattutto se chiudo gli occhi e penso a lui. In realtà non ho bisogno di chiuderli, perchè ormai lo sogno anche quando sono sveglia! All'inizio non era così... mi piaceva, era attraente, misterioso. Tanto sarcastico da volerlo prendere a schiaffi. Mi faceva sentire bene e in quel periodo era ciò che più contava. Poi... erano passati quasi cinque mesi quando ho capito di essermene innamorata. Come l'ho capito? Non lo so nemmeno io. So solo che ad un certo punto ogni volta che non era con me mi mancava e quando eravamo insieme non avrei voluto mai lasciarlo. Stavo male quando lui aveva qualche problema o qualche ferita da curare, ero felice quando anche lui era di buon umore. Vivevo in simbiosi con le sue emozioni e lo faccio ancora. Sarebbe bello sapere cosa prova, ma ho paura di chiederglielo... i ragazzi come Jess scappano di fronte ai sentimenti e io non voglio perderlo.
E poi che me ne farei delle sue parole quando ho i fatti? Ieri pomeriggio, dopo essere stata da Lane, l'ho incontrato per caso sulla strada di casa. La via era piena di persone per il festival di non ricordo cosa, quindi non potevo fermarmi a parlare con lui e infatti mi ha salutata con un cenno della testa, uno di quei movimenti così carini che fa ogni volta che mi vede, e io sono riuscita solo a sorridergli mentre continuavo per la mia strada. Poi però ho sentito un braccio afferrarmi e tirarmi in una zona deserta dietro la palestra di Patty che in quel momento non faceva lezione e aveva chiuso tutte le porte abbandonandola a se stessa. Non mi sono spaventata perchè sapevo perfettamente che era lui. Non so perchè, ma mi fa sentire protetta e al sicuro, una sensazione che ho sempre provato solo a casa mia quando ero bambina. Gli ho sussurrato che era rischioso, ma non ne ha voluto sapere e mi ha letteralmente zittita con un bacio. È stato bello e dolce. Credevo che si fosse comportato così solo perchè aveva voglia di baciarmi, poi mi ha detto che aveva girovagato senza meta per almeno un'ora sperando di incontrarmi perchè aveva una cosa da darmi: un regalo di anniversario. Eppure quello non era il giorno del nostro anniversario né di nessuna ricorrenza particolare.
Lui ha insistito che erano passati esattamente sei mesi da quando mi aveva vista per la prima volta.
È stata la cosa più carina che qualcuno abbia mai fatto per me, così non gli ho ripetuto che la data era sbagliata; ricordo esattamente che la prima volta che l'ho visto è stato alla festa di Derek cinque mesi e mezzo fa, quindi mancano ancora due settimane.
Jess è la persona più incostante che conosca: il cinquanta per cento delle volte è meraviglioso e dolcissimo, per il resto è triste, arrabbiato e scostante. Magari è per sua madre, per la vita che ha lasciato a New York, per l'odio che deve provare per Stars Hollow e per lo sceriffo. Magari fa parte del suo carattere di cattivo ragazzo e dev'essere anche per questo che gli voglio bene. Che lo amo.”
Alzò nuovamente gli occhi per via di un rumore e stavolta il vento non centrava, perchè lo vide. Se ne stava in piedi tra la finestra e il letto su cui era stesa, pochi passi li dividevano. Il suo sguardo le disse immediatamente che qualcosa non andava.
Gli sorrise sperando di tirarlo su di morale e chiuse il diario appoggiandolo sul comodino di fianco al letto; sembrava preoccupato e arrabbiato allo stesso tempo, forse era andato da lei per sfogarsi e quest'eventualità la rincuorò, perchè significava che si fidava. Si alzò e lo raggiunse per abbracciarlo, ma prima che potesse stringergli le braccia al collo Jess l'aveva presa per i fianchi e attirata a sé velocemente, come se non potesse resistere all'assenza di contatto per qualche altro secondo, e la baciò. Era diverso da quello del giorno precedente e per descriverlo le sarebbe bastato dire che era l'esatto opposto: passionale, aggressivo, quasi violento.
Quando le sue labbra si allontanarono da lei lo vide fissarla con uno sguardo nuovo ma che riconobbe all'istante. I suoi occhi e il suo corpo le stavano facendo presente che quello era il momento giusto per stare insieme nel senso in cui avevano parlato spesso negli ultimi tempi. In quel senso. Sentiva di amarlo e sentiva di essere pronta. E non se la sentiva più di aspettare. Non fece in tempo a dire nulla perchè lui lesse la risposta nel suo sguardo e iniziò velocemente a spogliarla.
La maglietta, la gonna e la biancheria caddero dal suo corpo con una velocità che non credeva possibile, come fragili foglie secche al più lieve soffio di vento. Impacciata, con le sue mani inesperte, fece lo stesso con lui e gli fu grata quando non le fece pesare la sua inesperienza. Jess sembrava ipnotizzato. L'accarezzava, la toccava e la baciava senza curarsi d'altro, senza dirle niente, senza rassicurarla o sussurrarle parole dolci come invece aveva sempre immaginato. Forse era lei a sbagliare, ad avere una concezione troppo romantica di un atto animale ed istintivo. L'esperto era lui e a lei toccava tacere ed imparare.
Non fece nemmeno male come si aspettava. Nonostante la forza con cui tutto era accaduto, lo trovò piacevole e anche se in realtà non poteva fare paragoni giudicò la sua prima volta bella. Non sarebbe stata la prima e ultima, perchè nelle settimane successive avrebbero fatto ancora l'amore e più stavano insieme più diventava meraviglioso.
Si era addormentata tra le sue braccia quel pomeriggio e solo al suo risveglio, quando il sole era già tramontato, semi nuda nel letto vuoto e freddo le venne in mente che per l'ennesima volta non le aveva parlato delle sue preoccupazioni e si era tenuto tutto dentro.


Non riusciva a muoversi: rimase immobile per un eternità aggrappata alla maniglia della porta per sorreggersi. Le aveva detto di aver avuto altre ragazze, ma vederlo in azione rendeva tutto più doloroso.
Nella sua mente il discorso che aveva preparato per giorni partì come un nastro registrato seppur inutilmente perchè mai quelle parole avrebbero lasciato la sua bocca. Ci ho pensato a lungo diceva e mi rendo conto di essermi comportata come una stupida ultimamente, ma vorrei che cercassi di capirmi. Nella sua testa Jess restava fermo ad ascoltarla nella sua ultima spiegazione, senza fare domande, rispettandola. Parlerò per me, perchè non posso conoscere per certo i tuoi sentimenti e non voglio presumerli. Nulla di ciò che è successo tra noi è stato un gioco; è una storia importante e te l'ho dimostrato venendo a letto con te e, credimi, per me non era solo sesso, avrebbe detto ricordandogli la loro precedente conversazione; entrambi avrebbero sorriso al pensiero di quel giorno e di tutti gli altri passati abbracciati sotto le lenzuola. E io vorrei che tutto quello continuasse ad esistere. Puoi dirmi cosa ti è passato per la testa oppure no, possiamo cancellare questi sei mesi, gli avrebbe proposto sperando che optasse per la prima; il mio non è il capriccio di una ragazzina viziata che vuole a tutti i costi ciò che non può avere. È il desiderio di una ragazza, di una donna che... avrebbe sicuramente tentennato dalla paura anche se non avrebbe voluto mostrasi incerta in quel frangente e nell'esprimere quel pensiero così importante, ... ti ama.
A lui sarebbe toccata la scelta definitiva: poteva pensarci un attimo e renderla di nuovo felice. Oppure poteva restare immobile ed in silenzio facendola sprofondare maggiormente nella fossa che si era scavata da sola.
Si strinse ancora contro la porta cercando di sorreggersi al meglio mentre il rumore metallico di una cintura che toccava il pavimento la fece tornare nel mondo reale, un mondo nel quale stava guardando la persona che amava prepararsi a fare l'amore con un'altra, perchè per lei la differenza tra sesso e amore non esisteva: era una sfumatura che non aveva conosciuto. Sospirò, pronta a tornare sui suoi passi senza essere vista da nessuno, fingendo che nulla fosse accaduto negli ultimi secondi, quando sentì gli occhi di Jess su di lei. Lindsay non si era accorta di niente e gli stava baciando il collo concentrata sulla sua pelle e le sensazioni che voleva trasmettergli, mentre lui aveva lo sguardo e la testa da un'altra parte.
Le lacrime facevano a gara per uscire dai suoi occhi, mentre col suo silenzio lui operava la sua scelta senza che ci fosse il bisogno di recitargli l'intero discorso; capì che il momento di dirgli addio era arrivato, che quella era una storia sbagliata e che Arthur doveva avere ragione.
“Allora è finita,” sussurrò senza rendersene conto prima di richiudersi delicatamente la porta alle spalle. Era ovvio che tra il volume alto della musica, la confusione fatta dai ragazzi al piano di sotto e le fusa di Lindsay non l'avesse sentita, ma arrivata alle scale, piangendo, fermò improvvisamente la sua corsa al ricordo dell'ennesima abilità di Jess, una cosa di cui non era mai stata capace: il saper leggere il labiale.



sapete cosa fare.
 
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Elena_R
view post Posted on 14/7/2005, 19:28




Capitolo scritto e postato in fretta appositamente per Miss.JR, contenta? E poi non dite che non sono buona... Buone vacanze, bella e goditi Dublino perchè è meravigliosa! se potessi ci tornerei subito... non è che hai un posticino in valigia?

Gennaio: Finché amore e fama naufraghino nel nulla

“E' inaccettabile!”
“Come possiamo vivere sapendo che cose del genere potrebbero capitarci in qualsiasi momento?”
“Questo mondo è popolato di incivili.”
“Già, e poi pensa a quella povera piccola!”
La signorina Patty e Babette, prese dalla loro discussione, non facevano altro che muovere le braccia e scuotere le loro teste con un'espressione di profonda preoccupazione. Jess e Derek passarono di fianco al loro tavolo e decisero di sedersi il più lontano possibile dal centro del gossip scegliendone uno in un angolo del locale; era passato parecchio tempo dall'ultima volta in cui avevano cenato insieme e volevano godersi l'occasione in pace facendo del loro meglio per ignorare le due signore immerse nell'euforia dell'ennesimo evento cittadino.
“Chissà cos'è successo stavolta,” si chiese Derek dopo aver ordinato per entrambi.
“Uno dei nani di Babette sarà sparito di nuovo,” ipotizzò il compagno appoggiando il pacchetto di sigarette sul tavolo come se volesse sempre assicurarsi che ci fossero.
“E devo indovinare di chi sia la colpa?”
“Non sono stato io: i crimini non si ripetono mai due volte nello stesso posto e modo,” gli rispose guardandosi distrattamente intorno. Era relativamente presto, ma fuori la strada buia e vuota gli ricordava che quella non era New York e a quell'ora a Stars Hollow si dormiva. Più i giorni passavano più i ricordi della sua vita passata riaffioravano, probabilmente scatenati dal tempo che quella settimana aveva trascorso “a casa”. Per la prima volta dopo mesi era riuscito a respirare e non si era sentito giudicato o estromesso: i suoi amici, la sua città, tutto era parte di lui a New York, mentre a Stars Hollow non apparteneva. Si ritrovò a sperare che il giorno del suo compleanno arrivasse in fretta in modo da poter essere responsabile di se stesso e fuggire dall'opprimente Connecticut; sarebbe tornato a New York, dai suoi amici, dal suo passato e dal suo futuro che non aspettava altro che vederlo calpestare nuovamente quelle strade sporche e umide mentre sirene di ambulanze e polizia sfrecciavano alle sue spalle. Si vedeva già a casa di Mike seduto sul divano insieme ad altri ragazzi, con la musica di qualche nuovo gruppo di strada che cercava di farsi pubblicità, una sigaretta tra le dita, litri di birra, montagne di pizza e fiumi di parole che nessuno da più di un anno gli rivolgeva.
“Ultimamente sei tranquillo,” disse Derek riportandolo alla realtà.
“Tranquillo?” gli chiese scettico.
“Sì: niente scazzottate o discussioni con nessuno. Esci con quella ragazza, Lindsay. Pensi a bere, leggere e cazzeggiare. Nient'altro.”
“Ed è un male?”
“No,” sorrise, “è solo strano: da quando ti conosco non ti ho mai visto così, nemmeno quando stavi con Rory,” sussurrò facendo attenzione che nessuno sentisse.
Si sentì attraversare da una delle occhiate più malvagie che Jess potesse rivolgergli, ma fu un attimo perchè subito dopo vide i suoi occhi abbassarsi e concentrarsi sulle sue mani come un neonato che le vede per la prima volta e passa ore a studiarle; “Le cose cambiano,” gli disse senza alzare lo sguardo.
“E anche le persone a quanto pare. Tu... sei una persona molto diversa da quella che è venuta vivere con me più di un anno fa. A volte stento a riconoscerti.”
“Ti rendi conto che se qualcuno stesse ascoltando questa conversazione potrebbe pensare che siamo una coppia di gay?”
“Lo sai che ti adoro,” scherzò Derek sorridendo mentre Jess con una faccia schifata e muovendosi nervosamente sulla sedia gli consigliava di piantarla.
Scherzi a parte, per Derek non era mai stato un problema esternare i suoi sentimenti; era complesso, un ibrido di bravo e cattivo ragazzo. Nessuno dei suoi amici, per quanto fossero legati, gli aveva mai detto qualcosa del genere, mentre lui sembrava non curarsene: era così con tutti, ragazzi o ragazze era indifferente, come non importava se doveva parlare di odio o di amore, perchè qualsiasi fosse la sensazione che provava, la esprimeva.
Ma per Jess era diverso e difficilmente sarebbe stato capace di diventare come Derek.
“Ok,” gli disse riprendendo il discorso che avevano lasciato a metà, “forse sono un po' cambiato, dopotutto negli ultimi mesi sono successe tante cose.”
“Ci sono tante cose che non capisco di te, Jess.”
“Per esempio?”
“Lascia stare,” gli rispose per evitare di creare discussioni: Rory aveva fatto l'impossibile per cambiarlo senza però riuscirci, ma ora che lei non era più lì a controllarlo lui si sforzava per essere migliore. Non aveva davvero senso, eppure cosa era mai stato sensato nel comportamento di quel ragazzo?
“Era alla festa ieri sera,” disse di punto in bianco, “l'hai vista?”
“Sì.”
“L'ho trovata strana; Lane ha detto che doveva parlarti. Cosa vi siete detti?”
Ripensò a quella sera, all'espressione che aveva quando l'aveva visto arrivare e a quella sconvolta che le aveva coperto il viso dopo aver aperto la porta della stanza in cui si trovava con Lindsay. Non avrebbe mai voluto che vedesse una scena di quel tipo perchè sapeva che era troppo, ma lei aveva fatto tutto da sola e lui non si era aspettato che lo seguisse in una camera da letto. Eppure non aveva fatto nulla per toglierla da quella situazione di imbarazzo, si era limitato a fissarla fingendo che la sua presenza non gli importasse e cogliendo l'occasione come un pretesto per far sì che lo odiasse e lo dimenticasse. E forse, date le parole che aveva letto sulle sue labbra prima che sparisse oltre la porta, quella era stata la volta buona.
“Non abbiamo parlato.”
“No? Io pensavo che...”
“Pensi troppo,” lo interruppe cominciando inspiegabilmente a innervosirsi, “e ti fai i fatti degli altri. Fra un paio d'anni siederai al tavolo di Patty e Babette spettegolando di tutti quelli che abitano in città.”
“Ok,” gli disse capendo che l'argomento era arrivato alla sua conclusione, “il messaggio è arrivato.”
Jess si calmò e riuscì a sorridergli soddisfatto mentre la nuova cameriera di Caesar, una rossa niente male, lasciava loro gli hamburger che avevano ordinato.
“E' pericoloso! Deve pagare per quello che ha fatto!”gridò Taylor da poco entrato nel locale interrompendo bruscamente la contemplazione di entrambi del fondoschiena alto e sodo della ragazza; “Ci vogliono telecamere che monitorino ogni angolo della strada.”
“Taylor, stai esagerando come al solito,” disse lo sceriffo alzando con riluttanza gli occhi dal suo panino vegetariano.
“Lei crede? Se ci fossero più controlli le strade della città sarebbero più sicure e quella ragazza saprebbe chi è stato il pirata che l'ha investita!”
“La polizia sta indagando,” rispose Luke Danes, “è verrà fatto il possibile per scoprire il responsabile. Nel frattempo chiedo a tutti di collaborare, di non farne una tragedia e di non immischiarvi in affari che non vi riguardano.”
“Non possiamo fare finta di nulla, quello che è successo a Rory Hayden può capitare a tutti noi,” si intromise Gypsy avendo all'improvviso su di sé la completa attenzione di Jess, “Chi pensa alla nostra sicurezza?”
“Rory?” chiese Derek dopo aver visto il suo amico sbiancare letteralmente e diventare rigido sulla sedia.
“Sabato sera, rientrando da una festa, è stata investita da un'auto,” gli spiegò Kirk. “Il conducente è scappato e non ci sono testimoni, quindi nessuno ha vista la targa.”
“E lei come sta?”
“Non per vantarmene, ma sono stato proprio io a soccorrerla. Stavo tornando a casa dopo una serata al cinema con la mia fidanzata quando l'ho vista sul ciglio della strada che si riprendeva dopo essere svenuta. L'ho portata in ospedale, dove le hanno fatto tutti gli esami di routine per controllare fratture, trauma cranico, emorragie, stato di shock, valori vitali... ”
“Valori vitali?” gli chiese Jess preparandosi al peggio: avrebbe trovato personalmente quel bastardo e torturato senza pietà alcuna.
“Cos'ha Rory, Kirk?” ripeté la sua domanda Derek.
“Sta bene: una frattura al braccio, qualche contusione qua e là, un paio di graffi. È già a casa.”
Si rilassarono entrambi e nessuno dei due riuscì a toccare cibo nonostante pochi attimi prima fossero affamati: c'erano stati anche loro a pochi metri e non si erano accorti di nulla; avevano lasciato che una ragazza ferita giacesse abbandonata al lato di una strada senza nessuno che potesse aiutarla; avevano permesso che tornasse a casa da sola a quell'ora della notte. Jess si chiese se la colpa poteva essere sua: forse era uscita subito dopo averlo visto con Lindsay ed era stata talmente scioccata da non accorgersi dell'arrivo dell'automobile che l'aveva investita.
“Kirk,” la voce dello sceriffo risuonò come un tuono nelle sue orecchie; “domani mattina passa nel mio ufficio: ho altre domande da farti su ieri sera, ok?”
“Sì, signore.”
Jess osservò Kirk annuire con orgoglio, felice di avere un ruolo chiave in qualcosa di importante.
“E tu,” aggiunse rivolgendosi a lui con l'espressione glaciale che riservava unicamente all'odiato nipote, “stalle lontano, hai capito? Non voglio venire a sapere che sei entrato in contatto con lei: quello che succede a Lorelai Hayden non deve più interessarti.”
Lo seguì con lo sguardo mentre usciva dal locale e si chiese cosa sapeva di loro oltre a ciò che aveva visto l'ottobre precedente nel bosco e che era stato chiaramente una copertura per nascondergli la lotta.
“Sa di voi due?” udì chiedere la voce di Derek.
“Ci ha visti una volta,” rispose pensieroso.
“Accidenti Jess!”
“E successo dopo che ci eravamo lasciati.”
“Beh, a quanto pare lo zietto non vuole che la frequenti. Perché?”
“Non ne ho idea,” disse mentre la sua contrarietà ingiustificata ad un'eventuale storia con una Hayden gli riportava alla mente una spiacevole conversazione che aveva avuto luogo la primavera passata.
“Lei non può impedirmelo,” ribatté sorridendo davanti all'insistenza e all'ipocrisia dell'uomo in un completo grigio di Armani che aveva davanti.
“Infatti non lo farò, ragazzo” gli rispose con altrettanta sicurezza che lo innervosì quando continuò con la sua assurda richiesta; “sarai tu a farlo.”
“Che significa?”
“So che hai fatto domanda per un lavoretto estivo giù ad Hartford,” iniziò accendendosi un sigaro che rese immediatamente irrespirabile l'aria della sua stanza. “Non credo che ti assumerò.”
“Lei è...”
“Il maggior socio azionario della società. Vedi, Jess: la mia famiglia e quella della mia ex-moglie controllano decine di compagnie della zona e non vogliamo buoni a nulla che lavorino per noi.”
“Cercherò qualcos'altro, non ho la minima intenzione di lavorare per uno come lei,” rispose cercando di contenere la rabbia che sentiva salire dentro.
“E abbiamo anche tanti amici importanti, persone che ci devono favori. Tu sei un pesce piccolo, ma non mi importa: non entrerai a far parte della mia vita, mai. Se ti metterai conto di me potresti rimanere disoccupato per molto tempo.”
“Mi sta minacciando,” affermò respirando profondamente per controllare la violenza che a breve sarebbe scattata.
“Pensala come vuoi, però io ti ho avvisato.”
“Lei e i suoi amici non siete i soli al mondo, signor Hayden. Non farò quello che mi ordina solo perchè è venuto qui a ricattarmi. Quello che c'è tra me e Rory...”
“Non c'è nulla tra te e Rory e non ci sarà mai. Non essere testardo e ascoltami. E poi non vorrai fare soffrire anche tua madre?”
“E lei che centra?”
“So che lavora a Montreal da qualche mese. Per me,” sorrise dopo aver estratto l'ultimo asso dalla manica, “La vita è piena di coincidenze, non trovi? Mi sono informato e mi è stato detto che la signora Elizabeth Danes sta facendo un ottimo lavoro, ma è un essere umano e quindi può sbagliare: è un motivo valido per un licenziamento e sai anche tu che non sarà facile trovare un altro lavoro alla sua età quando la concorrenza è data da un elevato numero di giovani qualificati, laureati e motivati. Paragonami al Bill Gates della Costa Orientale e non ti allontanerai di molto dalla portata della mia importanza.”
“Lei è spregevole.”
“Sono un padre che vuole il meglio per sua figlia e tu non lo sei. Rory fa parte di una famiglia illustre e ricca e come tale dovrà sposare un suo pari, quindi è inutile che perda tempo ad immischiarsi a persone come te. Capisci anche tu che lo faccio nel suo interesse, e nel tuo.”
“Nel mio?”
“Trovati una ragazza alla tua altezza. Ti do un paio di settimane, Jess, poi tua madre commetterà un'enorme distrazione che mi costringerà a licenziarla e tornerà a New York.”
Si strofinò gli occhi esausto per la situazione in cui si era messo solo per essersi innamorato di una ragazza sulla quale non avrebbe mai dovuto posare lo sguardo.
“Dopo passo a trovarla, le farà piacere ricevere qualche visita, no? Vuoi che le porti i tuoi saluti?”
Scosse la testa e cominciò ad esaminare il pacchetto che aveva appoggiato sul tavolo, mentre Derek aveva gli occhi fissi su di lui e un sguardo di profonda disapprovazione.

Si strinse a lui sentendo un brivido freddo attraversarle il corpo. La coperta del suo letto sembrava non potere nulla contro quella temperatura improvvisamente bassa e il suo calore era l'unica cosa che potesse scaldarla; la pioggia d'aprile, fitta ed insistente, picchiava sui vetri delle finestre bagnandole con sprazzi trasparenti e cristallini. Odiava sentirsi costretta a non poter uscire: aveva tanti obblighi nella sua vita che l'aggiunta di un altro la infastidiva non poco. Una scelta l'aveva: poteva andare in strada e bagnarsi opponendosi al volere di Madre Natura, ma preferiva di gran lunga rimanere con lui, stretta tra le sue braccia, col suo profumo di ragazzo che correva lungo le narici fino ai polmoni. Le era sempre piaciuta l'aria che si respirava nella sua camera: era fresca e aveva il suo odore mischiato a quello dei libri.
Jess invece adorava la pioggia e l'atmosfera generalmente malinconica che si creava dalla caduta della prima goccia d'acqua; sarebbe rimasto giorni interi chiuso in casa, seduto sul letto con un romanzo in una mano e una sigaretta nell'altra: rispecchiava perfettamente il suo modo d'essere.
Insieme erano come il giorno e la notte, la luce e l'oscurità, il bene e il male: distinti e opposti, ma entrambi presenti in ogni situazione, complementari. Era piacevole pensare che l'uno non potesse esistere senza l'altro.
Spostò la testa dal cuscino e sorrise osservandogli il profilo, il suo naso non impeccabile ma meraviglioso, il labbro leggermente rovinato per tutti i pugni che prendeva ma comunque perfetto sul suo viso, la barba incolta perchè non aveva avuto voglia di radersi quella mattina e gli occhi arrossati perchè aveva letto per ore prima che arrivasse lei ad interromperlo. Se era bellissimo con tutti i suoi difetti, come sarebbe stato se la perfezione l'avesse sfiorato?
Rimise la testa nel posto che aveva occupato precedentemente e fissò il soffitto imitando Jess che lo stava facendo da diversi secondi: era beige e in un angolo c'era una piccola ragnatela bianca che a malapena si notava; controllò l'intera parete ma non riuscì a trovare il ragno che evidentemente aveva deciso di traslocare.
“Mio padre ha finito di portare via tutte le sue cose,” disse seguendo il filo logico nella sua mente che collegava il trasloco dell'aracnide a quello di un animale altrettanto schifoso come Christopher.
“Gli ci sono voluti quattro mesi?” le chiese con un tono piatto, quasi disinteressato, senza staccare gli occhi da un fantomatico punto nel muro. Non gli era mai piaciuto, non era un segreto, e gli era grata perchè non fingeva il contrario solo per compiacerla come faceva il resto del mondo.
“Diceva di non avere mai tempo,” gli spiegò. “Forse anche questo ritardo faceva parte del piano per rendere tutta la faccenda più graduale.”
“Per te.”
“Già. Ha anche deciso che ceneremo tutti insieme due volte a settimana qui a Stars Hollow, proprio come una bella famigliola felice degli anni cinquanta,” sospirò; “patetico, eh?”
“Non lo so,” le rispose senza muovere un muscolo; “forse no.”
“Se non ti conoscessi direi che stai prendendo la parti di mio padre.”
“Sarebbe la fine del mondo,” la rassicurò. “Ma l'hai detto anche tu: si stanno comportando così per te, perchè non sia troppo traumatico.”
“E' stupido e ipocrita. Non capiscono che vederli insieme recitare “Settimo cielo” è ancora più doloroso? Se non si amano più devono smettere di vedersi una volta per tutte, non ha senso continuare in questo modo.”
Stavolta non le rispose e continuò a guardare in alto. Era più afflitto del solito e si ostinava a non parlare; avrebbe voluto scuoterlo, gridargli di smettere di chiudersi a riccio e aprirsi con lei. Ma aveva paura di esporsi troppo, quindi continuò: “E' strano vivere sola con mia madre, è come se un pezzo mancasse. È così anche per te? Per tuo padre intendo.”
“Non ho mai avuto un padre,” le rispose mentre Rory si mordeva il labbro per l'ottimo lavoro svolto: anziché tirarlo su di morale aveva detto l'unica cosa che avrebbe potuto deprimerlo maggiormente.
“Però capisco ciò che provi,” continuò. “E' lo stesso con Liz. Ci siamo sempre stati io e lei, ma da quando è partita per il Canada...”
“Tua mamma tornerà presto,” aggiunse accarezzandogli i capelli come se fosse un bambino.
“Sono passati cinque mesi e non ha ancora accennato nulla sul suo ritorno. Sta bene a Montreal, perchè dovrebbe tornare?”
“Perché qui ci sei tu.”
“Ho l'impressione che non le importi, senza contare che tra un anno avrò diciotto anni: non mi serve più la mammina.”
“Il fatto che tu stia diventando maggiorenne non significa che non hai bisogno di tua madre. L'età non conta, Jess.”
“Sarà come dici tu. Però ci sono volte in cui mi sento orfano di entrambi i genitori. Sono solo,” sospirò, “e va bene così. Dopotutto non ho bisogno di nessuno.”
“E' temporaneo,” gli disse col groppo in gola per la profonda tristezza e rassegnazione che scaturivano dalla sua voce.
“E 'Quando sento, amica bella d'un momento,'” disse voltandosi verso di lei per la prima volta da quando si era sdraiata al suo fianco, “'che mai più guarderò né mai godrò più dell'incantato potere dell'amore senza tormento'”
“'allora sulla spiaggia del gran mondo solo e pensoso resterò,'” dissero all'unisono perchè Rory aveva iniziato a recitare a sua volta la poesia insieme a lui, “'finché fama e amore naufraghino nel nulla'.”
“La conosci?” le chiese stupito.
“L'ho studiata l'anno scorso. Alla Chilton ci hanno dato da fare una tesina su una poesia di Keats a scelta; l'ottanta per cento dei ragazzi ha scelto 'Ode ad un'urna greca'.”
“E tu ti sei distinta dalla massa.”
“Avevo altre alternative?” gli chiese sorridendo. “Keats mi piace molto. E tu invece, signorino. La conosci a memoria! Sono scioccata.”
“Beh, Keats piace molto anche a me,” le spiegò facendole eco. Rimasero in silenzio a guardarsi e ascoltare i propri respiri, mentre fuori l'acqua cessava lentamente di battere sulle finestre.
“Hai me, Jess,” gli disse accarezzandogli la guancia ruvida. “Non sarai mai solo e io non ho intenzione di lasciarti: godrai dell'incantato potere dell'amore ancora per molto tempo.”
“Grazie,” rispose finalmente sorridendo alle sue parole e stringendola in un abbraccio che le fece dimenticare il freddo, la pioggia e la ragnatela che invece continuavano ad ossessionare lui.


“Allora è finita.”
Poteva quasi sentire la sua voce pronunciare quelle parole per la prima volta in sette mesi. Aveva accettato finalmente la decisione che lui aveva preso per entrambi un'eternità prima e faceva male più di quanto avesse mai immaginato, questo lo doveva ammettere. Sorrise amaramente pensando che si era abituato a dover combattere ogni tanto contro di lei che ostinatamente aveva continuato a bombardarlo di domande e cercato in tutti i modi di ricordargli quanto stavano bene con lo scopo di tornare insieme. Ogni volta aveva finto di aver dimenticato o che non gli importava, ma ricordava tutto, ogni singolo momento: il primo bacio che si erano scambiati quella fredda mattina di Capodanno, la prima volta che gli aveva sorriso, il loro primo appuntamento segreto, i vestiti che indossava, il profumo che aveva la sua pelle quella sera, la prima volta che aveva pianto quando l'aveva visto arrivare con un occhio nero e il naso sanguinante, la prima volta che si era presa cura di lui medicandogli le ferite facendo attenzione a non fargli male. Avrebbe desiderato che quei giorni fossero stampati su un foglio di carta per poterlo strappare o bruciare cancellandoli completamente dalle loro vite dandogli la possibilità di andare avanti senza provare più dolore, sensi di colpa, fitte al cuore.
Solo quando arrivò davanti al suo giardino si rese conto che forse, dopo la scena a cui l'aveva costretta ad assistere alla festa, lei non voleva più avere niente a che fare con lui. Ma doveva vederla solo una volta, presumibilmente l'ultima. Fece il giro della casa e per fortuna nessun auto era parcheggiata, segno che la madre non c'era. Aprì la porta sul retro e s'introdusse silenziosamente nella quiete della cucina prima e del salotto poi: tutto era in perfetto ordine e si sentiva un pesce fuor d'acqua in quella perfezione ossessiva. Salì le due rampe di scale che lo portarono al primo piano ed entrò senza esitare nella sua camera dalla quale non proveniva alcun rumore; stava dormendo avvolta dalla penombra in cui si trovava la stanza. Si avvicinò al letto e vide spuntare da sotto le coperte il gesso bianco che le chiudeva il braccio; la osservò muoversi leggermente tra le lenzuola con una smorfia di dolore sulle labbra e mormorare qualcosa nel sonno. Si inginocchiò sul parquet e spostò una ciocca di capelli che le era scivolata sugli occhi scoprendo così un cerotto che le copriva la fronte all'altezza del sopracciglio: l'impulso di correre fuori e prendere l'idiota che le aveva fatto quello diventava più urgente di minuto in minuto e ora, vedendola, provava un sadico piacere al pensiero di passare sopra il suo corpo con la macchina non una, ma due, tre, quattro volte per fargli sentire cosa si provava. Le sfiorò la ferita soffocata da quella plastica chiara e i suoi occhi vagarono sul suo volto alla ricerca di altre prove dell'incidente come il graffio su una guancia e la pelle lievemente arrossata tutt'intorno. Tornò a concentrarsi sul braccio ingessato ora totalmente scoperto; alzò una mano e accarezzò le dita che spuntavano fuori da quell'ammasso di gesso facendo attenzione a non svegliarla. Guardò l'ora indeciso se andarsene oppure o no: non aveva più molte occasioni per stare con lei ed erano passati due mesi da quando gli aveva rivolto parola l'ultima volta in quel vicolo. Le mancava infinitamente. Lasciarla era stato da idioti e comportarsi come se non gli importasse, ferendola, era stato ancora più stupido, ma non aveva avuto scelta, perchè suo padre avrebbe rovinato la vita di lui, di Liz, e dopotutto appartenevano davvero a due mondi diversi, era inutile fingere che non fosse importante; perchè non era all'altezza di stare al fianco di una ragazza come Rory e glielo aveva dimostrato ogni giorno per mesi; perchè erano troppo giovani per pensare che sarebbe stato per sempre; perchè avrebbero sofferto entrambi e terzi per la loro ingenuità e presunzione; perchè prima o poi sarebbe stato costretto a tornare a New York e una relazione a distanza, complicata in partenza, sarebbe arrivata presto al capolinea; perchè alla luce del sole quella storia clandestina non avrebbe mai funzionato. Erano destinati a separarsi e in fondo era stato meglio farla finita prima che la cosa diventasse più seria di quanto già era.
Le gambe intorpidite lo costrinsero ad alzarsi e gli diedero una scusa per uscire da quella casa e non rimetterci più piede. Le sfiorò la fronte con un bacio senza lasciare le sue dita nemmeno per un momento, poi quando si apprestò ad abbandonarle le sentì stringere.
“Jess?” l'ascoltò dire con la voce ancora assonnata. Chiuse gli occhi chiedendosi perchè diavolo non se n'era andato prima invece di restare e rischiare di trovarsi in quella situazione; respirò lentamente e si voltò a guardarla: “Ciao.”
“Ciao,” gli rispose mettendosi a sedere dopo aver mollato distrattamente la presa. “Che ci fai qui?”
“Ho saputo dell'incidente e volevo sapere come stavi.”
“Oh,” mugugnò sorpresa per quello slancio d'onestà.
“Fa male?” le chiese indicando il braccio con lo sguardo.
“A volte, ma ho una scorta di antidolorifici da fare invidia alle farmacie più fornite: potrei venderli di contrabbando e arricchirmi,” disse ingenuamente dimenticando che lei era già ricca e che gli Hayden, tra gli altri, possedevano un paio di farmacie. “Sto bene.”
Jess annuì e si guardò intorno cercando una scusa per andarsene, mentre Rory continuò a parlare, cosa che faceva ogni volta che rea nervosa: “E' venuto anche Derek ieri sera.”
“Lo so,” le rispose ricordando che nello stesso momento in cui il suo amico era da lei, lui si trovava nella camera di Lindsay e la stava scaricando con la stessa freddezza di un ghiacciolo; le era bastato fare due più due per capire che c'era un'altra di mezzo, una con la quale non avrebbe mai potuto competere.
“E' per lei?” gli aveva chiesto. Non le aveva risposto dandole una conferma col suo silenzio e lei lo aveva riempito di insulti, gridato che una come Rory Hayden non si sarebbe mai abbassata la suo livello e l'aveva cacciato. Non sapeva come, ma Lindsay era sempre stata gelosa di lei e in qualche modo doveva sapere qualcosa, magari era il famoso sesto senso femminile di cui tanto si parlava.
Ma Rory Hayden si era già abbassata al suo livello ed era toccato a lui riportarla sul piedistallo dal quale non avrebbe mai dovuto scendere.
“E' stato carino da parte sua,” continuò. Sentiva la sua voce lontana ed ovattata, come se lei fosse sul ciglio di una scarpata e lui in basso. Poi il volume diventava sempre più basso fino e scomparire: aveva smesso di ascoltarla.
“Mi dispiace,” le disse interrompendola all'improvviso senza rendersene conto.
“Non è stata colpa tua, non sei stato tu ad investirmi,” lo rassicurò turbata dallo sguardo perso nel vuoto che aveva avuto negli ultimi secondi e da quella sua strana affermazione pensando che fosse semplicemente scosso dall'incidente.
“Mi dispiace per tutto, per noi, per il modo in cui ti ho trattata: ho esagerato e non lo meritavi,” le confessò senza sapere il perchè.
“Jess...”
“Era sbagliato fin dal principio, non avrei mai dovuto lasciare che questa storia tra noi iniziasse.”
“Eravamo in due,” gli disse scoprendosi ed alzandosi lentamente dal letto per avvicinarsi di più; “e non rimpiango un solo momento di ciò che è successo. Tu lo sai bene, Jess.”
Le stava dicendo addio, perchè non capiva? Perché gli apriva di nuovo una porta lasciandola socchiusa invitandolo ad entrare? Non voleva amarla, davvero non voleva.
Stava per risponderle quando il rumore di un paio di tacchi li sorprese e Lorelai fece capolino nella stanza: “Tesoro, la porta sul retro era ...” s'interruppe vedendo che la figlia non era sola; “... aperta. Va tutto bene?”
“Oh, sì. Sì, è tutto ok,” rispose sempre più nervosa mentre entrambi si aspettavano da un momento all'altro l'inizio dell'apocalisse; ma la moglie di un Hayden, figlia dei Gilmore fece qualcosa che li sorprese: “Christopher è di sotto al telefono con un cliente, ma sarà qui tra qualche minuto: avete poco tempo. Jess, ti dispiace uscire dal balcone? Dovrai fare un salto di un paio di metri, ma sopravviverai.”
Annuì cercando di capire se era uno scherzo e se appena si fosse voltato avrebbe estratto una pistola dalla borsetta di Gucci e lo avrebbe colpito alle spalle.
“Grazie, mamma,” la sentì parlare con una voce più tranquilla mentre Lorelai le sorrideva e spariva.
“Credevo che tu e tua madre non andaste d'accordo.”
“Nelle ultime settimane le cose sono cambiate: ora va meglio,” gli spiegò andando ad aprire la finestra e ignorando il pugno nello stomaco che sentiva realizzando che non aveva potuto parlagli dei progressi tra lei e sua madre, sfogarsi dopo le cene, raccontargli le prodezze di Lane... “Ma devi andare ora, perchè se mio padre ti trova non credo che ti offrirà un tè.”
“Ok,” disse seguendola e uscendo all'esterno controllando attentamente che non ci fosse nessuno con un mitra puntato. Non poteva credere di essere stato scoperto e di riuscire a farla franca.
“Grazie per la visita,” sussurrò Rory mentre lui faceva del suo meglio per scavalcare la ringhiera senza finire di sotto impreparato.
“Prego,” le rispose poi sospeso a mezz'aria. “Per quanto possa valere anch'io non rimpiango nulla.”
Non le diede il tempo di rispondere e lasciò la presa atterrando sul morbido prato verde curato da chissà quanti esperti giardinieri inglesi. Rimase immobile per qualche secondo quando sentì una voce maschile che non avrebbe mai dimenticato chiedere con brio come stava la sua principessa seguito dal rumore della finestra che veniva chiusa velocemente. Controllò che sigarette e accendino fossero nelle sue tasche e si affrettò ad uscire dalla villa pronto per un pomeriggio all'insegna di fumo e riflessioni sul casino che aveva combinato in quella camera.
 
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Elena_R
view post Posted on 30/7/2005, 21:09




Ok, sesto e terzultimo capitolo. Confesso che qualcosa non mi convince, ma con questo caldo tremendo che impedisce la concentrazione e i mille pensieri che ho per la testa non riesco a fare di meglio, quindi accontentatevi, per favore. Ho notato che questo Christopher è davvero la versione maschile di Emily... terrificante.

Marzo: Il destino di una Hayden

Le note di Guns of Brixton rimbalzavano violentemente contro le pareti quando Derek fece la sua comparsa nella sua camera e lo fissò con disapprovazione mentre vegetava sul letto.
“Dovresti essere a scuola,” gli disse abbassando il volume. “Se non ricordo male avevi detto di avere un compito di letteratura.”
“Non avevo voglia di perdere un giorno sui libri anche oggi. E il compito posso recuperarlo,” rispose apaticamente senza togliere gli occhi dal cielo grigio che s'intravedeva dalla finestra.
“Manchi di fantasia, Jess: è la stessa cosa che hai detto la settimana scorsa per evitare il test di matematica e il mese scorso quando avevi il tema.” Si avvicinò e si sedette sul letto ai suoi piedi: “Che ti succede? Hai a malapena la sufficienza, nonostante tu sia l'unica persona che conosco che legge così tanto, e non puoi permetterti di saltare la scuola nei giorni di verifica.”
“Non sei mia madre, Derek. Non t'impicciare; so quello che sto facendo, ho tutto sotto controllo.” Sapeva che si stava solo preoccupando per lui e che non aveva intenzione di fargli la paternale, ma non aveva voglia di sentire nessuno farsi i fatti i suoi: era la sua vita, poteva farne ciò che voleva.
“Tu invece dove sei stato?” gli chiese distrattamente ricordando che quando si era svegliato quella mattina Derek era già uscito di casa.
“Ieri mi ha chiamato mia madre,” rispose attirando si di sé la sua completa attenzione, “e mi ha chiesto di passare. Si è ricordata di avere un figlio e mi ha invitato a colazione per fare due chiacchiere. Evidentemente qualcuno dei suoi amici le ha chiesto mie notizie e lei ha deciso di informarsi per non farsi trovare impreparata.”
“E' una tregua?”
“No, le ho fatto solo un favore. Non tornerò più in quella casa, tanto meno in quel mondo. E' uno schifo, Jess.”
“Non mi hai mai detto cosa è successo,” continuò a chiedergli felice di aver spostato la conversazione su un argomento che non lo comprendeva, senza contare che era sinceramente curioso di sapere come erano andate le cose con la sua famiglia.
“Diversi punti di vista sulla vita in generale e, nello specifico, sul mio futuro: mio padre aveva pianificato ogni dettaglio dei miei prossimi vent'anni; nel momento in cui gli ho detto che non avrei seguito le sue orme e che non avrei fatto ciò che voleva lui ha minacciato di mandarmi alla scuola militare, quindi ho deciso di andarmene e arrangiarmi da solo, piuttosto che sopportare le sue megalomanie,” disse Derek sorridendo amaramente. “Diceva che mi avrebbe temprato lo spirito e il carattere, che avrebbe fatto di me un uomo di successo e capace di affrontare la conduzione dell'azienda di famiglia.”
“Non suona così male,” disse Jess senza sapere nemmeno perchè: sinceramente gli sembrava un inferno.
“Non lo so, forse no, ma è tutto il resto a schiacciarti: la gente, le idee, il modo di pensare. Non avevo nulla in comune con quelle persone, ero la pecora nera della comunità. Prendi Christopher Hayden: sono più o meno tutti come lui.”
Non gli rispose nulla, afferrando perfettamente il concetto mentre i discorsi di Rory sulla sua famiglia riaffioravano nella sua mente; aveva vissuto sulla sua pelle quella presunzione e quell'egocentrismo, anche se solo per poco tempo, e poteva solo immaginare come Derek non avesse resistito e ne fosse fuggito, esattamente come aveva fatto lui con la sua ragazza. Ex ragazza.
“Dì un po',” continuò l'amico “l'hai più rivisto dopo quella volta?”
Parlava di Christopher. Dopo l'incidente di Rory, esausto delle sue pressioni, aveva deciso di raccontargli tutta la storia della fine della loro relazione, intromissione di Hayden compresa. Quel giorno Derek aveva ascoltato in silenzio, non aveva detto nulla, non aveva giudicato né le sue azioni né quelle di Rory, tanto meno quelle di suo padre e ora sapeva perchè: conosceva quella gente, le loro regole, il loro modo di risolvere i problemi con le minacce mascherate da consigli e soprattutto sapeva quale fosse l'unica soluzione: fuggire.
“L'ho incontrato per strada dopo che ci eravamo lasciati: avresti dovuto vedere come sorrideva soddisfatto,” gli rispose mentre una fitta gli stringeva il cuore: odiava quell'uomo più di ogni cosa ed era una fortuna che non lo vedesse mai o non avrebbe resistito all'urgenza di prenderlo a pugni.
“Ricordo la Rory di quel periodo,” disse pensieroso, “era molto triste. Sua figlia era disperata per causa sua e lui ne era felice: capisci che razza di gente è?”
“Già,” disse Jess annuendo, “però mi chiedo ancora come ha saputo di noi.”
“Tuo zio? Hai detto che vi ha visti.”
“Sì, ma è successo mesi dopo che avevamo rotto.” Quella era una questione in sospeso, una domanda che lo aveva tormentato a lungo ma alla quale non era mai riuscito a trovare una risposta: erano stati attenti, erano certi che nessuno si fosse mai accorto di nulla, si erano comportati come una coppia qualunque solo quando non si trovavano né a Stars Hollow né ad Hartford, ma evidentemente Christopher aveva delle spie sguinzagliate per il Connecticut. “E comunque non ha più importanza.”
“E' proprio finita, eh? Non ho mai detto nulla né a te né a lei, ma nell'ultimo anno ho davvero odiato vedervi soffrire e farvi del male a vicenda. Sei sicuro che non sia possibile darvi un'altra possibilità? Potresti dirle come sono andate le cose, parlarle di suo padre.”
“No, non c'è nessuna soluzione per noi: mia madre adora il suo lavoro, Derek. Per me ha rinunciato a tante cose, non voglio che ricominci ora che posso cavarmela da solo: non la renderò infelice solo per una ragazza.”
“E' questo che Rory è per te? Solo una ragazza?” gli chiese scettico ricevendo sotto forma di sguardo raggelante la risposta che si aspettava.
“E comunque,” continuò Jess dopo aver ignorato volutamente la sua domanda, “ho fatto cose tremende, cose che non potrebbe mai perdonarmi.”
“Conoscendola farebbe qualsiasi cosa per te,” gli disse sorridendo pensando a Rory e al suo modo di essere così incredibile e diversa dalle altre. “Non ho mai visto una ragazza talmente innamorata: sarebbe bello sapere che qualcuno mi ama come lei ama...”
“Ho fame,” l'interruppe alzandosi dal letto e affrettandosi verso la porta. “Scendiamo da Caesar?”
Derek lo seguì con gli occhi. Era tipico di Jess cambiare discorso o andarsene in mezzo ad una conversazione che per lui era scomoda. O dolorosa. Si era già sbilanciato molto negli ultimi mesi: gli aveva parlato di sua madre, di Christopher, di Rory, della sua vita ed evidentemente la sua dose di confidenza era finita. Lo seguì senza preoccuparsi di infilarsi una giacca per coprirsi dal vento primaverile che era ancora freddo; quando entrarono nel locale il familiare odore di hamburger e patatine li fece sorridere: era così facile abituarsi agli odori, alle persone e ai luoghi. Era successo a loro, un ragazzo di New York e uno di Hartford, che spesso ritenevano Stars Hollow la loro casa.
“Hey Caesar,” salutò Derek prima di accorgersi di due presenze che invece non erano passate inosservate al suo amico: la sua ex-ragazza e un biondino erano seduti al centro della sala. Jess e Rory si scambiarono un'occhiata: lei gli sorrise quasi impercettibilmente, lui le fece un cenno con la testa; quello era stato il modo in cui si erano salutati da quando era andato a casa sua dopo l'incidente, mai si erano rivolti una parola.
“Hey, ragazzi” li salutò il gestore del locale mettendo in ordine alcune tazze. C'erano poche persone, il momento di folla per il pranzo mancava almeno un'ora e l'atmosfera era stata distesa fino a quel momento. “Cosa vi porto?”
“Due hamburger e patatine,” rispose Derek dopo aver visto che Jess era occupato a fissare di sottecchi la coppia che vedeva per la prima volta. “Da portare via.”
La loro intenzione era stata di sedersi e mangiare con calma nel locale, ma sentiva il disagio di entrambi, Jess e Rory, e se fossero rimasti sarebbe stato un inferno. Il suo amico si voltò verso di lui quando lo sentì ordinare e tacitamente lo ringraziò per aver cambiato il programma.
“Chi diavolo è?” gli chiese dopo aver visto quel ragazzo accarezzarle la mano, un gesto che era solito fare anche lui quando stavano insieme.
“Logan Hunzberger,” gli sussurrò, “rampollo ereditiere di una delle più ricche ed illustre famiglie di Hartford. Lane ha detto che la nonna di Rory li ha praticamente obbligati ad uscire una sera e a quanto pare l'agenzia matrimoniale Emily Gilmore ha funzionato, perchè si frequentano da diverse settimane.”
“Non lo sapevo.”
“Non credo sia una cosa seria, Jess” rispose sentendosi in colpa per avergli taciuto quelle poche informazioni che aveva su di lei, ma era molto difficile sapere cosa poteva dirgli o no di Rory e aveva preferito aspettare un'occasione giusta che si era presentata però nel modo più sbagliato. “Te l'ho detto: credo che tenga ancora a te.”
“Non ti sto accusando di nulla,” lo rassicurò percependo nella sua voce il senso di colpa per avergli nascosto la verità ed evitando accuratamente di mostrarsi ferito dall'omissione da parte di quello che aveva imparato a considerare il suo migliore amico. “Sono solo sorpreso. E' la prima volta da quando... che lei...” Era la prima volta da quando si erano lasciati un anno fa che lei si interessava ad uno che non fosse lui. Ora sapeva cosa aveva provato ogni volta che l'aveva visto con un'altra.
“...Il mio piano è questo: restiamo un po' alla festa di Emily, salutiamo un paio di persone, poi prendiamo qualche bottiglia di champagne e ce la svigniamo nella dependance. Finn, quel mio amico australiano, si occuperà di preparare tutto. Hey, Rory? Mi stai ascoltando?” sentì la voce di quel Logan fluttuare nel locale.
“Come? Sì, certo. La festa. Va bene,” rispose Rory che aveva ascoltato per metà il suo discorso.
“Va tutto bene? Sembri distratta.”
“Sì, sono solo stanca: stamattina mi sono alzata presto per studiare e ora ho un po' di mal di testa. E' meglio che mi riposi,” cercò di sorridere, “o stasera non reggerò fino alla fine.”
Sapeva che mentiva, lo capiva dalla voce insicura che non passava inosservata alle sue orecchie esperte; il problema era il respirare la stessa aria, trovarsi sotto lo stesso tetto senza sapere come fare ad evitarsi. Sentiva il suo sguardo dietro le spalle: lo stava guardando, lo fissava insistentemente, ma quando si voltò verso di lei per averne la certezza la vide concentrata su Logan. Il gioco del gatto e della volpe era diventata la loro specialità.
“Allora andiamo, ti riaccompagno a casa,” disse il ragazzo strisciando la sedia sul pavimento mentre si alzava.
Forse Derek aveva ragione: probabilmente provava ancora qualcosa per lui e quella non era una storia seria... Si rese conto che stava cercando di illudersi che ci fosse ancora una speranza: la stessa cosa che aveva fatto Rory per quasi un anno. Scosse il capo cercando di togliersi quel pensiero dalla testa e di non cadere nella trappola dalla quale lei era riuscita ad uscire solo di recente.
Il suono del campanello funse da distrazione aggiuntiva e una voce familiare e squillante risuonò nel locale praticamente vuoto costringendolo a voltarsi in direzione dell'ingresso.
“Ciao, bimbo! Luke ha detto che ti avrei sicuramente trovate qui.”
Il suo cuore iniziò a battere come un forsennato nel tentativo di esplodere nel suo petto mentre la donna appena entrata correva ad abbracciarlo; “La mamma è tornata, Jess: si va a casa.”
Come se i problemi cardiaci non bastassero, smise anche di respirare e si prese uno spavento quando udì il tonfo che la borsetta di Rory aveva fatto dopo la caduta libera dalle sue mani al pavimento.

L'aria era frizzante e le risatine aristocratiche degli ospiti riempivano ogni istante, l'odore di Chrystal e Chanel poteva essere annusato ovunque, persino nei bagni, il leggero fruscio delle sete e il tintinnio dei bicchieri di cristallo che si toccavano in brindisi al denaro e al successo -mai alla felicità- coprivano quasi la melodia classica che il pianista cercava di far risuonare nella sala senza che nessuno si curasse di lui e della sua arte: la festa di compleanno di Richard Gilmore era l'evento dell'anno organizzato sempre alla perfezione e solo le persone più illustri dello stato venivano invitate.
Annoiata, si guardò il vestito fatto su misura dalla fidata sarta della nonna: azzurro come i suoi occhi, cucito in modo impeccabile, morbido, rifinito ad arte. Costoso. Quella era la parola d'ordine della serata e di tutte quelle alle quali era stata obbligata a partecipare. Al suo fianco la presenza del cavaliere scelto da Emily diventava sempre più irritante: Tristan DuGrey, il re della Chilton, scansafatiche irresponsabile e irriverente studente, sempre pronto a flirtare con chiunque respirasse e fosse di sesso opposto al suo. E purtroppo quella sera la fortunata pareva essere lei.
“Non sembra che tu ti stia divertendo, Mary,” disse finendo l'ennesimo calice di champagne preso di nascosto dal vassoio di qualche cameriere distratto e appoggiandole una mano dietro la schiena cadendo però troppo in basso.
“La smetterai mai di chiamarmi così? Dio, è insopportabile,” rispose afferrandogli il polso e infilandogli le unghie nella carne per allontanarlo dal suo corpo.
“Il tuo prossimo nome sarà Maddalena, sicura di preferirlo?” chiese sforzandosi di sorridere mentre si massaggiava la pelle arrossata fingendo di non notare lo sguardo infuocato che Rory gli stava lanciando. “E poi sei carina quando ti arrabbi.”
“Oh, ti prego!”
“E' la verità, Mary. Non te l'ha mai detto nessuno? Inoltre ora che Jason è fuori gioco...”
“Credi che sia interessata a te?”gli chiese ridendogli in faccia.
“Non è così?”
“No, ma a mia nonna piaci molto, questo è sicuro.”
“Ho sempre pensato che quella donna avesse buon gusto: dev'essere il mio sguardo ammaliatore... nessuno gli resta indifferente.”
“Io credo piuttosto che le interessi il tuo cognome e lo sai benissimo anche tu. E comunque, Ammaliatore, perchè non ti rendi utile e vai a prendermi da bere?” gli chiese con la speranza di toglierselo di torno una volta per tutte.
“Sarai ancora qui quando tornerò?”
“Non lo so, dovrai correre il rischio e tu non sei uno che si tira indietro di fronte alle sfide, no?”
“Ok,” le rispose facendo un passo verso il tavolo dei drink. “Vodka?”
“Un analcolico,” lo corresse. Lo seguì con gli occhi fino a quando la sua testa bionda svanì tra la folla di invitati e uscì in giardino per respirare finalmente un po' d'aria fresca: quelle feste diventavano ogni volta più soffocanti. Da bambina non le era mai dispiaciuto prendervi parte: gli altri bambini, i bei vestiti delle signore, i sorrisi degli uomini... tutto l'aveva affascinata per anni, ma ora il suo maggior desiderio era sparire per non dover vedere e ascoltare quelle persone, fingere di trovarle interessanti.
Alzò gli occhi e sospirò dispiaciuta nel vedere il cielo completamente buio e spoglio di stelle; stava considerando di rientrare e nascondersi per un paio d'ore nella camera che la nonna le aveva riservato quando all'improvviso si sentì afferrare e trascinare sul retro della villa. Non c'era luce, ma il profumo che resèirava era molto familiare e non c'era bisogno di guardare il suo viso per capire chi fosse: “Jess.”
“Shh,” le sussurrò continuando a tenerla per un braccio mentre Rory a fatica riusciva a stargli dietro.
“Jess, i miei tacchi non reggeranno a lungo. Dove mi stai portando?”
“Dove potremmo stare soli,” le disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Se mia nonna ti vede per te è la fine.”
“Lo so ed è proprio per questo che ci isoliamo: ci tengo alla mia vita.”
Continuarono a camminare per un paio di minuti e Jess si fermò solo quando ebbe raggiunto il punto della casa più lontano dalla festa. Rory colse l'occasione per togliersi le decolté dai piedi doloranti mentre il ragazzo l'osservava divertito.
“Provaci tu a correre su queste,” gli disse mostrandogli il tacco chilometrico.
“No, grazie. Passo. Le mie scarpe da ginnastica sono perfette.”
“La vita di voi uomini è fin troppo facile,” controbatté guardandosi intorno e riconoscendo in altro il balcone della stanza che era stata di sua madre prima che si sposasse con suo padre. “Pensavo che fossi alla festa dell'amico di Derek,” continuò controllando che i suoi piedi avessero ripreso ad avere una forma normale.
“Infatti, ma mi stavo annoiando quindi sono passato a vedere come andavano le cose qui.”
“Ma... come hai fatto ad entrare?” gli chiese ricordando i controlli all'ingresso; “C'è un custode proprio di fianco al cancello ed ha l'ordine di non far passare nessuno senza invito.”
“ 'Con le ali leggere dell'amore ho sorvolato questi muri. Confini di p...' ”
“Jess!” lo interruppe dandogli un pugno sul braccio pèrò lusingata dal fatto che avesse citato Shakespeare.
“Ahi!”
“Smettila di fare lo stupido.”
“Ok, ok. Ho usato metodi molto più terreni. I tuoi nonni dovrebbero spendere meglio i loro soldi e cambiare metodo di sicurezza. Il custode si è addormentato mezz'ora fa e io sono passato senza difficoltà.”
Sospirò profondamente senza quasi rendersene conto e si strinse a lui, il quale sentendo che qualcosa non andava le chiese se era tutto ok.
“La festa è uno schifo.”
“Non è una novità,” le rispose sorridendo al ricordo delle innumerevoli volte in cui aveva ripetuto quella stessa frase dopo una sera a casa di qualche amico di famiglia. “Hey, chi è il tuo cavaliere stavolta? L'ho osservato per un po' e ho notato che non ti mollava un attimo: devo preoccuparmi?”
“Assolutamente no, Tristan DuGrey è un idiota,” gli assicurò sfiorandogli la labbra con le sue. “Menomale che sei venuto.”
Jess l'avvicinò di più a sé e la baciò. Erano momenti come quello che voleva non finissero mai: sentire il suo profumo, un misto di gel, dopobarba e sigarette, le sue mani un po' ruvide sfiorarle le guance, il collo, i fianchi, la pelle calda, la sua o quella di Jess, scottare attraverso i vestiti, le loro bocche l'una contra l'altra, la sua lingua muoversi, sfiorare e ritrarsi in un gioco per stuzzicarla e farla reagire alle sue provocazioni, tutte e non solo quelle più maliziose. Allungare una mano e sentire che era lì, che era presente e reale la faceva stare bene.
“Grazie,” gli sussurrò in un orecchio allontanando le labbra dalle sue.
“Perchè?” le chiese sorridendo per quel ringraziamento inaspettato. “Per questo bacio?”
“No. Per esserci sempre quando ho bisogno di te.”
“Non sapevo avessi bisogno di me.”
“Allora il mio 'grazie' vale il doppio.”
“Prego,” le rispose finalmente mettendo da parte ogni logica e accettando riconoscenza e spiegazioni; abbassò nuovamente la testa verso la sua per riprendere da dove avevano lasciato prima che lei sentisse la necessità di esprimere la sua gratitudine ma due distinte voci dall'alto irruppero nel loro piccolo mondo, sconvolgendolo. Rory fu la prima a reagire e a strattonarlo contro la parete per nascondersi dalle persone che ben conosceva.
“E' solo una ragazzina! Non è giusto nei suoi confronti, Christopher.”
“Deve iniziare fin da subito a frequentare gente del suo livello, Lorelai. Jason Kennedy era un buon partito, ma ormai è finita. Ora è nell'età perfetta: un fidanzamento di qualche anno, giusto il tempo di laurearsi, poi il matrimonio.”
Il rumore continuo e ritmato dei tacchi indicò loro che Lorelai era nervosa e continuava a camminare avanti e indietro sul pavimento di cotto; “Ma ti ascolti quando parli? Non ti riconosco più, Chris: diciassette anni fa tu non eri così.”
“Lo faccio per il bene di mia figlia e se tu fossi una buona madre ti comporteresti allo stesso modo.”
“Stai insinuando che sono una cattiva madre?”
“Dico che tua figlia non ha fiducia in te, non ti parla, non si confida e noi non abbiamo idea di cosa le passi per la testa. Se oltre ad essere madre ti comportassi come un'amica sarebbe un bene e forse riusciremo ad indirizzarla meglio, a farle compiere scelte conformi al suo status!”
“Oh, Dio. Ma come ho fatto a sposarti?”
“Avevamo una figlia. E mi amavi.”
“E ora mi chiedo perchè.”
“Ascolta, Lor. Nonostante il divorzio dobbiamo restare uniti per lei.”
“E io dovrei mentirle e obbedire ai tuoi ordini per rendere tua figlia infelice per il resto della sua vita?”
“No, per garantirle benessere economico e importanza sociale. Non venirmi a raccontare che non sei felice del modo in cui hai vissuto.”
“Dico che di benessere e importanza non me ne faccio nulla, perchè la mia vita, ad eccezione delle presenza di mia figlia, è vuota. Non lascerò che tu faccia a lei ciò che Emily ha fatto a me.”
“Rory sposerà un ragazzo di buona famiglia e tu non mi impedirai di agire nel suo interesse.”
“Tu vuoi agire nel TUO interesse, Chris. Farò il possibile per non farla diventare una copia di mia madre,” disse Lorelai andandosene e sbattendo con violenza le finestre. Ci furono alcuni secondi di silenzio seguiti dalla voce di suo padre che fece eco nella desolazione del luogo: “E' una Hayden: ha un destino al quale sottostare e lo farà,” poi il cristallo di un bicchiere si frantumò ai loro piedi e i frantumi schizzarono in ogni direzione investendoli. Rimasero immobili, con le spalle diventare ormai un tutt'uno con la pietra della casa, in attesa che rientrasse; era stato tutto perfetto fino a pochi secondi prima mentre ora quel momento era stato rovinato.
“Mi dispiace,” disse Rory fissando inorridita i vetri che ricoprivano il pavimento del giardino. Jess non disse nulla e l'abbracciò, sconcertato che nel ventunesimo secolo esistessero ancora persone che tramavano per organizzare matrimoni combinati.


Era inutile pensare che il tempo cambiasse le cose e le persone, perchè non era affatto vero: casa Gilmore era la stessa da sempre, il suo odore di aristocrazia non era mutato, la perfezione nella disposizione degli oggetti restava uguale, i fiori erano perennemente freschi e profumati, tutto, ad eccezione delle lancette dell'orologio, era statico.
Era il compleanno di Richard e come tradizione, prima della festa che la nonna avrebbe organizzato per i loro amici, quella sera dovevano festeggiare in famiglia; buffo come quello sembrasse un valore così importante quando invece ognuno pensava egoisticamente solo per se stesso. L'atmosfera aveva la solita solennità, le cameriere andavano e venivano da almeno un'ora e finalmente erano giunti al dessert: non aspettava altro che uscire all'aria aperta e ricominciare a respirare ossigeno pulito prima di intossicarsi completamente con l'odore del lucido per l'argenteria che riusciva a distinguere perfettamente in quel trionfo di profumi del cibo. Ogni volta che si muoveva – il che accadeva spesso perchè il vestito che la nonna le aveva fatto fare su misura davvero scomodo- Emily la riprendeva: “Stai ferma, cara. Una signora per bene non saltella di continuo sulla sedia come un canguro,”; suo padre si lasciava sfuggire un sorriso mentre gli occhi della madre riflettevano tutto il dispiacere che provava nel vederla sopportare l'etichetta della sua stessa genitrice.
“Ho ricevuto proprio questa mattina l'ultimo rapporto sulla Canadian Inc. e sono rimasto piacevolmente stupito,”disse il nonno rivolgendosi a Christopher. “Il trend è in continua crescita da mesi e nelle ultime settimane c'è stato un picco di produttività.”
“L'ho ricevuto anch'io e non ne sono rimasto sorpreso quanto te, Richard,” rispose facendo una delle sue pause ad effetto per bere il vino e creare aspettativa nel suo interlocutore, “ho sempre conosciuto le potenzialità dell'azienda e sai che ho fatto l'impossibile per renderla competitiva sul mercato: ho apportato molti cambiamenti che hanno dato i risultati sperati, il personale che ho assunto è dei più qualificati e sono fiero della selezione che ho personalmente operato,” aggiunse senza sprecare complimenti al il suo ego. “A proposito, Rory: so che la madre di quell'amico di Lane, Jess, sta tornando a New York. Elizabeth Danes, se non sbaglio: una donna davvero in gamba. Il lavoro svolto per noi è stato fenomenale.”
Sentire pronunciare il nome dell'innominato le rese i sensi più acuti e immediatamente si voltò verso il padre dimenticando il tiramisù che tanto aveva atteso, sorpresa che conoscesse la madre di Jess e soprattutto che la nominasse di punto in bianco: “Tu la conosci? Lavorava per te?” Perché Jess non gliene aveva mai parlato?
“Sì,” rispose col solito tono disinteressato che aveva quando desiderava che il discorso non venisse approfondito. “Ho scoperto per caso di aver assunto la sorella del nostro Sceriffo Danes ed è stato un colpo, perchè ho sempre creduto che fosse figlio unico.”
“Quando?”
La sua domanda, troppo incalzante per i gusti di suo padre, rimase di proposito senza risposta e al posto di essa iniziò una delle sue crociate giudiziose: “Questo significa che finalmente quel ragazzo tornerà a casa sua e la smetterà di combinare guai a Stars Hollow.”
“Chi è questo giovanotto?” chiese il nonno e avendo percepito la tensione che si era creata nel momento in cui Christopher aveva pronunciato quel nome.
“Nessuno, solo un teppistello di New York,” gli spiegò, “un ragazzino a metà strada tra James Dean e Jim Morrison.”
“Non ho idea di chi tu stia parlano, figliolo, ma mi pare di capire che questo Jess non è uno raccomandabile.”
“Esattamente, Richard.”
“Rory, cara, questo giovane non sarà tuo amico spero,” le chiese rivolgendole uno sguardo preoccupato.
Controllare la rabbia e cercare di non perdere la calma erano i suoi mantra: avevano tutti un'opinione sbagliata di lui e non poteva provare loro contrario di ciò che credevano, perché avrebbe messo nei guai se stessa e Jess, anche se ormai lui si trovava in un altro stato e comunque aveva formalmente smesso da tempo di essere parte della sua vita. Mille volte avrebbe voluto gridare a suo padre la verità nello stesso modo in cui aveva fatto con Lorelai, ma se Christopher avesse saputo sarebbe successo il finimondo e lei preferiva proteggere lui e ciò che avevano avuto. Non fece in tempo a muovere le labbra per rispondere, che il suo più disprezzato genitore parlò per lei: “Oh, certo che no, Richard. I ragazzi si conoscono di vista perché hanno la stessa età ed abitano in una piccola città, ma la nostra Rory sa benissimo di non frequentare gente del genere.”
Quelle parole del padre e l'espressione visibilmente sollevata del nonno la fecero imbestialire e scaricò la sua rabbia infilando le unghie nella costosa sedia di pelle, rovinandola per sempre.
“E' una fortuna che esistano ancora scuole come la Chilton che non ammettono gente di quel tipo.”
“Vedi, Richard, io credo che la colpa sia della famiglia,” gli spiegò continuando ad infierire sull'immagine di qualcuno che nemmeno conosceva; “so che il ragazzo è cresciuto senza un padre e la madre, nonostante sia stata un'ottima dipendente, pur di lavorare ha accettato di trasferirsi in un altro stato, lasciando il figlio da solo e senza controlli. Capisci che la sua situazione non deve avergli facilitato le cose: ha vissuto con un solo punto di riferimento che oltretutto non era nemmeno un modello perfetto. Il biasimo va probabilmente identificato in diverse cause, anche se con questo non tollero assolutamente il comportamento scorretto di Jess.”
“Lorelai ha preso la decisione giusta quando ha deciso di stare a casa e crescere Rory: lei ha potuto imparare cosa era giusto e cosa era sbagliato grazie ad una madre che ha ricoperto il suo ruolo. Una donna sposata e con un bambino non potrebbe prendere alla leggera l'educazione di un figlio come ha fatto la signora Danes, ma forse credeva che il ragazzo fosse più intelligente di quanto era in realtà.”
“Ti ringrazio, papà, ma io credo...” iniziò la donna prima che Emily la interrompesse.
“Peccato però per il divorzio: eravate così perfetti!”
“Emily, cara,” la riprese il marito conoscendo la moglie e sapendo perfettamente dove sarebbe andata a parare le l'avesse lasciata continuare.
“Non importa, papà. Io e Christopher non siamo mai andati tanto d'accordo mentre eravamo sposati. Ora le cose vanno molto meglio e credo che sia un bene, mamma. Il divorzio era necessario.”
“Lorelai ha ragione,” concordò Christopher. “Evidentemente non eravamo così perfetti come marito e moglie.”
La tavolata ricadde nella quiete disturbata solamente dal rumore delle posate contro le porcellane dei piatti e il ticchettio del vecchio pendolo, finché Emily interruppe all'improvviso il silenzio che era sceso: “Allora Rory,” disse con un'espressione curiosa e felice, “come va col giovane Hunzberger? Sembrate davvero fatti l'uno per l'altra!”
Inspirò a fondo chiedendosi come poteva dare retta ad una donna che credeva perfette due persone che si erano fatte del male a vicenda per anni; se un giorno avesse sposato Logan, visti i precedenti dei suoi genitori, come minimo si sarebbero uccisi con un duello a fuoco. Ma gli occhi della nonna brillavano quando parlava di loro e ora che Jess era a New York non le restava altro che rassicurarla: “Va tutto molto bene, Logan è... perfetto.”
Ma non lo era, non per lei almeno. Jess sì, invece. Era partito da tre settimane e nessuno, nemmeno Derek aveva sue notizie.
Le mancava terribilmente.



La citazione di Jess: Con le ali leggere dell'amore ho sorvolato questi muri. Confini di pietra non possono tenere amore lontano, e ciò che amor può fare amore osa tentare. Perciò i tuoi parenti non mi possono fermare è estratta da Romeo e Giulietta, II.2. Citerei tutta la tragedia...
 
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Elena_R
view post Posted on 11/8/2005, 22:34




ebbene... settimo e penutlimo capitolo... sì, proprio penultimo. L'ultimo è già nella mia testa, devo solo riuscire a scriverlo ma sicuramente per ovvie ragioni entro il 21 sarà postato.

vediamo... questo capitolo lo dedico ad Ozzina, semplicemente perchè mi va.
e a Lavanda, perchè... è Lavanda ed è sempre dolcissima.
(accettate la dedica solo se vi piace. se vi fa schifo, ignoratela. e ignoratemi.)

Elena

Giugno: Ballata di un angelo corrotto

Ancora una volta il caldo era anomalo per quella primavera: restare all'afa e sotto i fumi bollenti che salivano dalla città sotterranea era un suicidio, i parchi erano affollati e aveva ingenuamente creduto che Coney Island e la sua brezza marina lo avrebbero refrigerato sperando che a quell'ora, quando tutti dovevano essere al lavoro, non ci sarebbe stata troppa confusione. Purtroppo non era stato l'unico a pensarla così: sulla spiaggia non c'era quasi spazio per sedersi e i pontili erano ricoperti da massa umana in calzoncini e maglietta, bimbi strillanti e in continuo movimento, venditori di tutto, anche delle proprie madri se avessero avuto la licenza. Aveva finito per riprendere la metropolitana, rifarsi il viaggio tra ciccioni sudati, vecchiette che a malapena si reggevano in piedi e ragazzini petulanti per tornare a Union Square Park dove sapeva che avrebbe trovato qualcuno dei vecchi amici: li avevi visti sdraiati sull'erba, immobili, con lo stereo acceso e stranamente privi di sigarette o bottiglie di birra. Erano rimasti all'ombra degli alberi fino al tramonto, poi la temperatura si era miracolosamente abbassata ed erano riusciti a muoversi verso un bar per iniziare la serata con un aperitivo.
L'ultimo anno di liceo era finito quella mattina e anche durante quelle ultime settimane di istruzione a New York aveva studiato il minimo sindacale per essere promosso. Liz aveva storto il naso davanti a quella sufficienza striminzita e gli aveva ripetuto decine di volte che al college sarebbe stato diverso, che avrebbe dovuto impegnarsi sul serio, ma lui non aveva la minima intenzione di spendere migliaia di dollari in altre sofferenti ore di studio auto inflitte per compiacerla: non sarebbe andato all'università e sua madre doveva farsene una ragione; gli faceva sempre mille domande, gli chiedeva cosa aveva, come stava, come andava... ma era difficile risponderle che in un certo senso aveva nostalgia di Stars Hollow. Si era abituato a quella nuova sistemazione e non era stato semplice riprendere i ritmi di New York dopo essere stato catapultato nella sua frenesia, in quei dettagli che non erano mai insignificanti o piccoli, ma amplificati dalla grandezza di quella città. L'inizio era stato scioccante.
Erano le tre di notte, sua madre era partita per le terme con un'amica e quindi aveva la casa libera per l'intero week-end, circostanza che ai suoi amici era stata particolarmente gradita e della quale avevano approfittato piazzandosi nel suo soggiorno poco dopo che le lancette dell'orologio avevano segnato il nuovo giorno.
“Quest'estate potremmo noleggiare un auto e arrivare in California: l'oceano, falò sulla spiaggia, le donne... il paradiso,” propose uno dei suoi amici dalla sua comoda posizione sul divano.
“Io ci sto,” gli rispose. “Dimmi quando vuoi partire e sarò pronto.”
“Perfetto. E tu, Chase: che farai? Ti unisci a noi?”
“Devo lavorare fino ad agosto.”
“Ok, possiamo organizzarci per quando avrei finito,” sorrise Wade afferrando alla cieca la birra che aveva preso dal frigo pochi minuti prima e appoggiato sul pavimento al suo fianco. “Però resta il problema di come occupare questi due mesi. Hey, Jess, potremmo andare in quel posto in cui hai vissuto in questi due anni!” propose con entusiasmo ignaro di alcune cose che aveva lasciato a Stars Hollow e che voleva dimenticare.
“Non ho intenzione di tornare lì,” disse. A volte il desiderio di farlo, di andare nel Connecticut era forte, ma non poteva rimettere i piedi laggiù e rischiare di incontrare lei o una Hayden qualsiasi: con loro e la sofferenza che causavano a chiunque si mettesse sulla loro strada aveva chiuso. “Stars Hollow è fuori discussione, inoltre non c'è un bel niente da fare là.”
“Come vuoi. Ho degli amici sparsi sulla costa: cercherò di mettere insieme qualcuno e trovare un paio di letti per qualche giorno: non mi va di passare l'estate sotto una quercia come un pensionato.”
Rimasero tutti e tre in silenzio per qualche minuto, concentrati sul rumore delle auto che sfrecciavano nella notte di quel venerdì sera, o sabato mattina.
“Jess?” di nuovo la voce di Wade. Conosceva lui e Chase da una vita, erano praticamente cresciuti insieme.
“Non riesci proprio a tenere la bocca chiusa per più di un paio di minuti?”
“No. Perché non vuoi tornare là? Fino a prova contraria ci sono i tuoi amici, le ragazze... vorrei conoscere il tuo coinquilino: da quel che ci hai raccontato è uno in gamba.”
“Lo è, ma quella è una piccola cittadina, non ci sono pub, né discoteche, i negozi chiudono presto e non c'è verso di riuscire a comprare dell'alcol perchè tutti conoscono tutti e anche se non ti conoscono si sentono responsabili per te e ti trattano come un figlio e ciò vuol dire: niente liquori, figliolo: non hai ancora ventun anni. Per trovare un po' di vita devi andare ad Hartford che comunque non è il massimo del divertimento.”
“Una noia, allora?”
“Più o meno. Derek potrebbe venire qui,” disse dimenticando per un attimo che non lo sentiva da mesi, per l'esattezza da quando si era trasferito: aveva tagliato completamente i ponti con quella parte della sua esistenza pensando di dimenticare più in fretta, ma si stava rivelando un piano inutile. Allungò la mano e afferrò il telefono sotto gli occhi incuriositi dei suoi compagni: “Che stai facendo?”
“Lo chiamo e gli chiedo se ha dei programmi per l'estate,” rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo mentre componeva il numero. Gli squilli si susseguivano senza che nessuno l'interrompesse e al settimo stava per riattaccare quando una voce femminile rispose; sorrise, perché il suo amico non si smentiva mai.
“Shane?” disse riconoscendola. “Sono Jess.”
“Jess!” gridò felice di sentirlo dopo tutto quel tempo. “Come stai?”
“Il solito. Tra te e Derek dev'essere una cosa seria se ora rispondi anche al telefono.”
“Forse,” la sentì ridacchiare. “Come vanno le cose a New York?”
“Nulla di particolare,” le rispose onestamente Perché in effetti non era successo molto in quel periodi di aggiustamento.
“Nulla di particolare?! Sei nella città più meravigliosa d'America e mi sai solo dire questo? Devi assolutamente ospitarci, Jess. Non ci sono mai venuta ed è ora che inizi a sfruttare le mie conoscenza, non credi?”
“Quando vuoi,” sorrise alla sua vitalità e a quel tono felice: nonostante il suo essere appariscente potesse fuorviare il giudizio delle persone, Shane era una brava ragazza, perfetta per Derek. “Mi casa es tu casa.”
“Gracias! Te lo passo subito, ok?”
“Ok.”
“Allora a presto, Jess!”
Sentì la voce della ragazza gridare il nome del fidanzato, dei passi, una porta che si apriva e si richiudeva, le loro voci lontane e confuse, poi la sua, chiara e forte: “Jess?”
“Hey.”
“Sono le tre del mattino.”
“So leggere l'orologio. E so anche che a quest'ora sei sempre sveglio.”
“Mi conosci bene.”
“Spero di non aver interrotto nulla,” disse malizioso.
“No, non ancora. Siamo appena rientrati: Presby ha dato una festa per la fine della scuola, c'era un sacco di gente. Tu come stai?”
“Bene, sono riuscito a prendermi il diploma e ora mi dedicherò all'ozio.”
“Sei ancora dell'idea di non andare al college?”
“Già, non mi va più di studiare.”
“Come se finora avessi sgobbato sui libri...”
“Sai cosa intendo. Mi cercherò un lavoro tra qualche mese.”
“Hai già in mente qualcosa?”
“Conosco qualcuno che potrebbe darmi una mano, niente di speciale.”
“Ok,” fu tutto ciò che Jess gli sentì dire, perché Derek non aveva bisogno di dirgli che poteva fare di più se solo si fosse impegnato: lo sapeva già. “Non hai mai chiamato.”
“Lo so.”
“Perché? Speravo che mi dicessi qualcosa appena tornato a casa.”
“Non era facile, Derek.”
“Non stiamo parlando di tu zio o uno qualunque, Jess. Parliamo di me.”
“Ho pensato che fosse meglio non avere contatti che Stars Hollow, con nessuno. Mi dispiace.”
“E ora,” sospirò dall'altra parte del telefono; “hai cambiato idea?”
“Stavo sbagliando e sto cercando di recuperare. Tu come stai?”
“Bene, sai come vanno le cose qui: nulla di nuovo.”
“A parte il fatto che ora fai coppia fissa con Shane,” lo sentì sorridere. “Vi siete presi e lasciati non so quante volte in questi due anni.”
“Beh, cosa vuoi che ti dica? Le cose hanno preso una piega inaspettata.”
“Lei ha detto di voler venire a New York: perché non fate un salto da queste parti? Wade non vede l'ora di conoscerti.”
“Il tuo amico? Digli che sono occupato e che comunque non sarebbe il mio tipo.”
“Riferirò. Allora?”
“Perché no. Mi organizzo e poi ti so dire.”
“Ok.”
“Ok.”
“Allora...”
“Sta bene. Non è facile, lo sai anche tu, ma andrà avanti con la sua vita.”
“Non so di cosa stai parlando.”
“Oh, sì che lo sai invece. Lo scopo di questa telefonata era avere sue notizie. Non mi incanti, Jess.”
“E' qui che ti sbagli: lo scopo di questa telefonata era invitarti a New York.”
“Mi sbaglio di rado, Jess.”
“Però non mai. Ci sentiamo, Derek.”
“Sì, certo. Ciao.”
Abbassò il ricevitore e lo fissò per un momento: gli erano bastati due soli anni per imparare a leggerlo come un libro e lo faceva imbestialire, perchè anche se aveva chiamato per proporgli un paio di giorni nella Grande Mela, inconsciamente aveva sperato che gli desse un indizio su di lei. Sospirò chiedendosi se mai sarebbe finita.

La menzogna, il tradimento e la colpa non erano parole che avrebbe mai usato per descriversi, eppure eccola mentre si affrettava verso il ponto per l'ennesimo incontro clandestino con un ragazzo che non era il suo. Si frequentavano da più di un mese e ogni volta la prospettiva di un appuntamento con lui le faceva girare la testa e le metteva in subbuglio lo stomaco; non era riuscita a studiare, aveva sbagliato tutti problemi sugli angoloidi dove triedro, tetraedro e pentaedro avevano perso ogni significato, per non parlare dei questionari di probabilità e statistica ai quali avrebbe dovuto rispondere per il giorno dopo e nemmeno i suoi libri preferiti l'avevano aiutata a recuperare un minimo di concentrazione. Anche con Jason era successa la stessa cosa, ma dopo una sola settimana imbarazzo, eccitazione e euforia erano state messe sotto controllo, mentre stavolta le sembrava un'impresa impossibile.
Si strinse maggiormente nella giacca e cercò di prestare attenzione almeno alla neve ghiacciata su cui stava camminando, poi lo vide da lontano, seduto sul legno, con il suo giaccone verde militare, il colletto alzato e la schiena leggermente incurvata in avanti; il suo braccio si muoveva regolarmente avvicinandosi e allontanandosi dalla sua testa e una nuvola di fumo bianco prendeva vita di tanto in tanto davanti a lui. Le piaceva quell'aria da bello e dannato che spesso aveva: era come se portasse il peso del mondo sulle spalle e facesse una gran fatica a sorreggerlo, però ci riusciva, non si arrendeva mai e continuava ad andare avanti col suo fardello; quando sorrideva aveva il più bel sorriso che avesse mai visto, ma la sua serietà e l'espressione grave erano ciò che più adorava in Jess. Quando le sorrideva non lo faceva per compiacerla, come tutti gli altri, ma solo perchè era ciò che si sentiva di farle; se era arrabbiato o avvilito non si sforzava di non esserlo solo per evitare che lei si preoccupasse: lui era vero in contrapposizione alle centinaia di attori che aveva conosciuto nella sua vita.
La bocca imbronciata, lo sguardo triste, le borse sotto quegli occhi scuri e profondi... a volte li sfiorava lentamente e si rallegrava nel vederli rilassarsi e mutare in labbra sorridenti e occhi luminosi, come se il suo tocco fosse magico e lo facesse sentire bene: si sentiva in potere di renderlo più felice, o almeno così sperava, ed era una sensazione meravigliosa.
“Ciao,” disse sedendosi al suo fianco sulle gelide assi del ponte. Stava fumando, una brutta abitudine, e come aveva immaginato vedendo la sua postura da lontano, era giù di morale.
“Hey,” le rispose gettandole un'occhiata fugace. “Sei in anticipo.”
“Non riuscivo a studiare e ho pensato che fosse meglio lasciar perdere piuttosto che sprecare inutilmente tempo su libri che non capivo.”
“Huh, e io che pensavo che fossi venuta prima perchè non resistevi più senza vedermi,” le disse facendola arrossire ed evitando gentilmente di farglielo notare.
“Hai un'alta considerazione di te stesso,” sorrise. “Tu non centri nulla con la mia decisione di venire prima.”
“Devo essermi sbagliato, allora,” disse buttando ciò che restava della sigaretta nell'acqua del lago. “Il tuo ragazzo era da Derek quando sono uscito.”
“Sì, lo so,” rispose sentendo qualcosa stritolarle lo stomaco facendole un male che la immobilizzava e le impediva addirittura di muovere gli occhi per guardare Jess, anche se ormai lo conosceva bene da immaginare la sua espressione. Durante le prime settimane non l'aveva mai infastidito il fatto stesse ancora con Jason, ma negli ultimi giorni sembrava sempre più irritato dalla sua presenza.
“Mi ha chiamato per chiedermi di vederci,” confessò spaventata e incerta se valesse la pena essere onesta. “Gli ho detto che avevo un impegno.”
Non disse niente e il suo silenzio divenne opprimente quanto il peso del suo senso di colpa nei confronti di entrambi i ragazzi. Faceva fatica a respirare.
“Tra noi è finita da tempo,” continuò facendosi coraggio e sperando che l'aiutasse in qualche modo a sentirsi meglio.
“Ma lui non lo sa ancora, Rory.”
“Glielo dirò. Devo solo trovare il momento...”
“Giusto?” la interruppe con inspiegabile calma. “Non esiste un momento giusto: lo fai e basta. Ma devi volerlo.”
Aveva ragione e lo sapeva: continuar a temporeggiare sarebbe stato inutile e avrebbe fatto soffrire tutti inutilmente. Lo osservò accendersi un'altra sigaretta: se avesse continuato a fumare in quel modo sarebbe morto di cancro ai polmoni prima di compiere trent'anni. “Cerchi di procurarti un episema?” gli chiese sperando di cambiare discorso e di vederlo sorridere, perchè ne sentiva il bisogno, ma lui non le rispose e non la guardò nemmeno: la stava ignorando e le faceva male. “Jess.”
“Huh.”
“Domani sera,” disse sospirando. “Gli parlerò. So di dover scegliere e scelgo te. L'ho fatto la prima volta che siamo usciti dopo che ci siamo baciati quella mattina... e non ho cambiato idea.”
Lo vide annuire, la sua espressione dura e stoica si addolcì lievemente anche se vedeva che stava cercando di trattenersi dal mostrare la sua contentezza e lei stessa non riuscì a trattenere un sorriso.
“Jess?”
“Che c'è?”
“Perché fumi?” gli chiese e si sentì stupida quando lui la guardò come se le avesse chiesto perchè l'uomo non aveva le ali per volare.
“Non lo so.” le rispose dopo un primo momento di sorpresa, poiché quella era la prima volta che qualcuno gli poneva una domanda del genere. “I miei amici lo facevano così ho provato anch'io. Ho continuato a farlo più che altro per tenere occupate le mani o per le ragazze: a quindici anni ti guardano come se fossi un vero uomo, ti fanno sentire desiderato. È piacevole.”
“Poi?”
“Poi ho smesso per un po', ma ho ricominciato. A volte sono nervoso o preoccupato e una sigaretta basta a farmi sentire meglio almeno per cinque minuti.”
“Sono solo cinque minuti, Jess,” gli fece presente.
“Dev'essere per questo che subito dopo ne accendo un'altra.”
“Non sarebbe più semplice parlare di ciò che ti preoccupa?”
“No,” le rispose lapidario senza dover nemmeno pensarci su. “Non per me.”
“Io sono nervosa adesso,” gli confessò fissando il loro riflesso sull'acqua sotto i loro piedi.
“Vuoi provare?” le chiese offrendole la sigaretta che aveva già tra le dita. Ponderò la sua proposta e giunse alla conclusione che dopotutto non aveva nulla da perdere: l'afferrò con decisione e fece esattamente come Jess le spiegò per aspirare il fumo: lo sentì bruciare lungo la gola e dentro il petto, soffocava e tossì anche l'anima cercando almeno di non vomitare davanti a lui.
“Oddio, che schifo!” gridò con le lacrime agli occhi. “E questo secondo te vuol dire rilassarsi?”
“Non ti è piaciuto?” le chiese sorridendo e riprendendo possesso del suo prezioso cilindro di carta imbottita al tabacco.
“Tu che impressione hai? Non ho mai provato nulla di più disgustoso in vita mia.”
“Mi dispiace. E visto che il mio metodo non ha funzionato potremmo usare il tuo: vuoi parlarne?”
La sua domanda la colse di sorpresa e alzò gli occhi sul suo viso per accertarsi che il ragazzo che le stava di fronte fosse davvero Jess Mariano: era proprio lui e finalmente la maschera di tristezza che aveva indossato fino a quel momento se n'era andata. Sorrise soddisfatta, anche se il senso di nausea era ancora nelle sue viscere, ma la sua espressione era valsa la sofferenza per un po' di tosse.
“Grazie, magari domani. Ok?”
Annuì e dopo un ultimo tiro gettò anche la seconda sigaretta nell'acqua. La osservarono entrambe per qualche secondo mentre si inzuppava e lentamente la lieve corrente la allontanava da loro, poi vide il suo riflesso muoversi, voltarsi verso di lei e allungare una mano in direzione del suo viso: fu allora che la sentì, fredda, mentre le sfiorava una guancia e l'attirava verso di lui, che per la prima volta da quando si erano seduti la toccava. Sentì il suo respiro, il terribile odore di tabacco bruciato che le ricordo la pessima esperienza di pochi secondi prima, poi le sue labbra morbide e come sempre esigenti: ironico come non le piacesse nulla di ciò che riguardava il fumo delle sigarette tranne quando aveva a che fare con Jess.
“Non farlo mai più,” lo sentì sussurrare dopo che ebbe lasciato la sua bocca incustodita restando però a distanza tanto ravvicinata che il suo respiro le solleticava la pelle.
“Cosa?” gli chiese confusa.
“Fumare,” disse. “Non farlo più. È un sapore che non ti si addice.”
“Ok,” rispose sorridendo mentre tirava fuori dalla tasca dei jeans delle caramelle alla fragola, le sue preferite, e ne metteva una in bocca. “Cercherò di frenare l'impulso.”
La finì il fretta e si avvicinò di nuovo alle sue labbra catturandole tra le sue, mentre la mano di Jess sulla sua schiena la spingeva contro il suo petto e sentiva il suo cuore battere. Era veloce.
“Così va meglio?” gli chiese riferendosi al suo sapore ripristinato.
“Perfetto.”


“Ed è così carino! È arrivato spaccando il minuto, ha portato dei fiori per mia madre, ha risposto a tutte le domande del suo terzo grado in modo impeccabile, ha mangiato le tartine al tofu che gli ha offerto senza battere ciglio e la sua nuova macchina comprata con i soldi che ha guadagnato lavorando part-time presso suo padre ha passato l'ispezione di Mamma Kim!” esultò Lane camminando avanti a indietro per la stanza agitando furiosamente le mani, non smettendo per un attimo di sorridere. Era felice che le cose le andassero così bene e sollevata dal fatto che almeno una di loro avesse un motivo per alzarsi al mattino.
Sette settimane. Era il tempo trascorso dall'ultima volta che l'aveva visto e da allora, nonostante gli esami e le interrogazioni di fine anno, i pomeriggi passati con Lane tra Hartford e Stars Hollow, le serate al cinema o alle feste col suo ragazzo le tenessero la mente occupata per la maggior parte del giorno, ogni sera si addormentava con le parole di quella signora bionda entrata nel locale e l'eco del rumore che la sua borsetta aveva fatto cadendo sulle lucide piastrelle di Caesar's, e ogni mattina si svegliava col suo sorriso davanti agli occhi, o il suo profumo sotto il naso o lo vedeva con la schiena appoggiata contro la sua libreria, una sigaretta dietro l'orecchio e un dito che le gesticolava di raggiungerlo. Poi il sole entrava dalla sua finestra e quel sorriso svaniva, l'odore era quello del caffè e davanti alla libreria non c'era altro che il suo zaino abbandonato o i cuscini sui quali era stata seduta la sera prima dopo uno splendido appuntamento con Logan, il ragazzo sbagliato, mentre ascoltava un cd che Jess le aveva prestato e mai chiesto indietro.
E mentre l'entusiasmo della sua amica, che le raccontava un'altra uscita con Lunn, da un lato la sollevava e le faceva credere ancora nell'amore, dall'altro il vuoto dentro di sé sembrava sempre più enorme: lo sentiva muoversi, espandersi e divorarla come un buco nero con le stelle.
“E' perfetto,” continuò Lane buttandosi con poca grazia a sedere sul letto e mantenendo per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare una posizione statica.
“Credo di aver già sentito questa frase almeno un migliaio di volte,” le sorrise ignorando il dolore che aveva nel petto.
“Ma stavolta è vero!” protestò Lane fingendosi offesa.
“Anche questa non mi è nuova, però sono molto contenta per voi, per te.”
“Anch'io! E indovina? Tra una settimana è il nostro anniversario: sei mesi, ti rendi conto?”
“E' fantastico,” le disse ripensando inevitabilmente alla ricorrenza che con Jess non aveva potuto festeggiare. Sapeva di essere in torto, che non avrebbe dovuto pensare a lui ora che c'era di mezzo un altro, ma era più forte di lei: più cercava di non pensarci, più la ossessionava. Non poteva continuare così.
“Rory? Che ti succede?” le chiese notando la sua espressione improvvisamente cupa. Si sentì in colpa perchè aveva appena rovinato un momento che per lei era magico.
“Scusami, io... ” Ma non riuscì a finire la frase perchè le lacrime e i singhiozzi che aveva trattenuto per quei due mesi esplosero e glielo impedirono, allarmando maggiormente l'amica che lasciò il suo posto sul letto e corse a sedersi al suo fianco sul tappeto per consolarla.
“Mi dispiace, Rory,” le disse accarezzandole i capelli. “Sono un'insensibile.”
“No, l'insensibile sono io,” le assicurò cercando di riprendere il controllo di se stessa. “Tu sei così felice e io ti sto rovinando tutto continuando a piangere e lamentarmi. Sono una pessima amica.”
“Sei la migliore che abbia mai avuto,” la consolò sorridendo per quanto fossero sciocche quelle sue parole. “Ma stai passando un brutto periodo ed è normale piangere e lamentarsi quando si soffre.”
“Io voglio smettere di soffrire, Lane. Ma non ci riesco.”
“Vorrei dirti che col tempo passerà, ma è solo che...”
“E' già passato un anno, lo so. E nulla è cambiato.”
“Esci con Logan adesso.”
Il suo nome non fece altro che aumentare il senso di colpa che aveva dentro, perchè guardandolo negli occhi mentre le parlava e l'accarezza lei sperava di essere con un altro; “Sì,” disse, “ed è un bravissimo ragazzo, divertente, carino... sto bene con lui, ma...”
“Non è Jess.”
“Già.”
“Credo che tu abbia fatto un passo enorme accettando di uscire con lui: è un buon tentativo per buttarti tutto alle spalle e vedrai che a lungo andare darà gli effetti sperati.”
“Forse un giorno questo dolore se ne andrà e riuscirò ad amare qualcun altro, ma non sarà mai come con Jess. Lui resterà sempre qui,” disse mettendosi una mano sul cuore.
“E' naturale, tesoro. E' stato il tuo primo amore...”
“E il primo amore non si scorda mai, no?” le chiese sorridendo.
“E' un clichè, ma è vero. Magari un giorno quando sarete vecchi vi rincontrerete per caso, parlerete dei vecchi tempi e riderete di tutto questo.”
“Rideremo?” le chiese inarcando un sopracciglio alla pessima scelta di termine dell'amica anche se sapeva cosa voleva dirle, ma le piaceva tenerla sulle spine a volte: era divertente.
“Non ridere ridere nel senso di ridere. Intendo ridere nel senso di sorridere, ma non di deridere... voglio dire...”
“So cosa vuoi dire: ripenseremo a noi come ad un ricordo e non farà male. Ormai è tutto ciò che mi resta. Lo odio così tanto, Lane.”
“Lo so. Ma è stato bello finché è durato.”
“Sì,” sorrise ripensando a tutti bei momenti passati insieme.
“Ed è questo che conta, no?”
Annuì e si rivolse nuovamente a Lane, pensierosa mentre Now it's done risuonava nella stanza. “Nulla sarà come prima: gli angeli corrotti sono stati cacciati dal Paradiso,” disse ripensando a come Jess l'aveva cambiata in così pochi mesi: l'aveva trasformata da una ragazzina ricca, viziata e apatica, in un donna, piena di vita, di desideri, pronta a lottare per ciò che desiderava, pronta addirittura a fumare, a dividerlo con altre per continuare a ricevere il suo amore, a curarlo mentre sanguinava, a ricevere regali pagati con i soldi vinti con le scommesse. “E io sono caduta con loro.”


Ehm... Now it's done è una bellissima ballata di Starlight Sun. Il testo mi piace molto ed è incredibilmente coerente con questo capitolo; una parte fa così: Moving in slow like the smoke from your cigarette, every step closer's a step we both will regret, keeping a tally but who can keep a track? Your overreacting is taking me back to a time better left alone [...] holding on to a memory of what didn't last, waiting for better words, they'll never come so dry your eyes, it's better now it's done. [...] I never lost so much.

Per quanto riguarda queste parole di Rory: “gli angeli corrotti sono stati cacciati dal Paradiso [...] E io sono caduta con loro” il riferimento va a The Wakefield Second Shephard's Play, un play in middle English appartenente ad un ciclo di rappresentazioni laiche dell'Inghilterra medievale, il Ciclo di York. L'autore è un amanuense della cittadina di Wakefield di cui non si conosce l'identità e che viene chiamato semplicemente Master. Il ciclo comprende sette(se non ricordo male) momenti biblici e quello a cui Rory si riferisce è La Creazione. Non sto a scrivervi tutto ma praticamente la creazione tratta la cacciata di Lucifero dal Paradiso: Lucifero era un angelo che credeva di essere migliore di Dio, più bello, più abile, era corrotto e aveva corrotto altri angeli suoi seguaci per spodestare Dio e prendere il suo posto. Quando Dio scopre la sua cattiva condotta lo fa cadere negli inferi insieme a loro. Non credo che sia necessario spiegare la metafora con la nostra donzella dagli occhi blu e il diabolico Jess... E dopo la lezione noiosa di letteratura inglese ricordate di fare i compiti a casa: andate a commentare!!!
 
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Elena_R
view post Posted on 20/8/2005, 02:14




Vi chiedo scusa in anticipo se non è come ve lo aspettavate... l'ho scritto in fretta, l'ho riguardato ora che sono le tre passate di notte e non ho molta voglia di apportare particolari cambiamenti che richiederebbero un tempo che non ho visto che tra 4 ore devo svegliarmi... cmq... questo è l'ultimo capitolo di una delle storie che più mi emozionato scrivere; Rory è Jess stavolta sono stati davvero capaci di deprimermi e bagnarmi gli occhi dal dolore e dalla felicità, anche se questa più raramente. Ringrazio tutti coloro che mi hanno seguito in questo breve viaggio nell'AU e in particolare chi è stato così gentile da Commentare: Grazie di cuore. Spero di tornare presto con qce altra ff, perchè mi dispiacerebbe che i miei futuri impegni mi impedissero di scrivere. Ok, basta così... leggete pure.

Baci,

Elena

Novembre: Star-crossed lovers

[...] From forth the fatal loins of these two foes
A pair of star-crossed lovers take their life; [...]
Romeo and Juliet
, Prologo, W. Shakespeare

Anche se non l'avrebbe mai ammesso di fronte a nessuno durante l'intero viaggio era stato teso come una corda di violino e quando l'auto aveva oltrepassato il cartello di benvenuto a Stars Hollow aveva chiuso gli occhi per non assistere al passaggio in quella dimensione alternativa. Tutto, le strade, le case, l'altezza del manto erboso dei giardini, era come l'aveva lasciato: sembrava che in città il tempo si fosse fermato; ai lati della carreggiata riconobbe un paio di volti, visi familiari di persone che aveva incrociato migliaia di volte in quei due anni trascorsi tra loro, sguardi giudiziosi, sguardi compassionevoli, sguardi nemici. I bambini che solevano giocare nei parchi ora se ne stavano in sella alle loro biciclette a flirtare con altre bambine, ma la differenza era che ora tutti erano cresciuti, tutti erano adolescenti come era stato lui il giorno in cui era arrivato.
Avevano attraversato la piazza e fiancheggiato il gazebo: aveva lasciato che i suoi occhi si soffermassero un momento più a lungo su di esso, riportando alla mente vecchi ricordi di un tempo che non c'era più ma che erano talmente vividi da sembrare fatti appena accaduti.
Era riuscito a restare lontano per cinque lunghi anni inventando scuse su scuse e impegni inesistenti pur di evitare di accompagnare sua madre a trovare il caro fratellino, ma stavolta, un po' per mancanza di fantasia un po' per curiosità e nostalgia aveva acconsentito a scortare Liz a quella riunione di famiglia per festeggiare l'americanissimo Giorno del Ringraziamento.
Lo sceriffo Danes aveva un'aria stanca, qualche ruga in più in viso e qualche capello bianco che non cercava nemmeno di nascondere: per lui il tempo era passato ed era invecchiato, ma il suo cipiglio, quell'espressione seria, a tratti infida, era rimasta nei suoi occhi, nel suo portamento e nella lunga linea stretta delle sue labbra pressate l'una contro l'altra.
Seduto al suo posto intorno al tavolino rotondo mentre mangiava il puré di patate che gli era stato servito osservò i due fratelli conversare e raccontarsi tutto ciò che gli era accaduto dall'ultima volta che si erano visti o sentiti: lavoro, vita privata, amici in comune, il nuovo fidanzato di sua madre, un emerito idiota a suo parere, l'ultimo appuntamento di suo zio con una vecchia compagna di liceo incontrata per caso dopo decenni di silenzio, uscita che si era rivelata un disastro di dimensioni olimpiche. Di rado li aveva visti insieme e aveva dimenticato quanto potesse essere cortese con la sua sorellina, mentre col resto del mondo si comportava come un perfetto despota, uno Stalin in piena regola. E nemmeno col nipote aveva fatto eccezioni nonostante fosse il figlio dell'amata parente.
“Avresti dovuto conoscere l'ultima fidanzata di Jess,” sentì uscire all'improvviso dalla bocca di Liz. “era così carina, ma questo stupido delinquente di punto in bianco l'ha lasciata.”
“Mamma,” la riprese, non ancora pronto a raccontare i fatti suoi ad estranei.
“E' vero! Posso capire la filosofia 'posso avere tutte le donne che voglio, quindi perchè accontentarmi di una sola', però lei era davvero una brava persona.”
“Era solo una ragazza, dimenticala.,” le consigliò continuando a mangiare, ma interrompendosi bruscamente quando la voce di suo zio raggiunse le sue orecchie.
“Se tua madre dice---”
“E' la mia vita.” Aveva alzato leggermente il tono, ma l'intervento di Luke non era ben accetto ed era meglio chiarire il punto fin da subito; “Mia madre non ha il diritto di dirmi con chi devo uscire.”
“Sono certo che Liz non intendesse importi una sua decisione.”
“Infatti,” aggiunse la donna con ampi cenni di assenso con la testa. “Io dicevo solo che---”
“So che Cathlyn ti piaceva, so che era bella, intelligente, simpatica e so che avresti voluto che diventasse tua nuora,” disse tenendo un occhio su sua madre, “e forse, con un po' d'impegno da parte di entrambi, avrebbe potuto funzionare, ma io non avevo alcuna intenzione di sposarla: non mi va di sforzarmi in un impegno in cui non credo.”
“E' solo che,” disse lei appoggiandogli una mano sul braccio e accarezzando la sua pelle; “sei uscito con tante ragazze che, devo confessartelo, non mi sono mai piaciute: erano sgarbate, truccate troppo, vestite poco, ambigue... e lei era diversa dalle altre.”
“Ma non la migliore di tutte,” aggiunse. “L'apparenza non conta, mamma. Sono giovane, sono maggiorenne: lascia che prenda le mie decisioni senza interferire troppo.”
Liz sorrise; “Allora posso interferire un po'?”
“Puoi esprimere la tua opinione,” le rispose con calma. “E io mi riservo il diritto di ignorarla.”
“Non è giusto!” brontolò fingendosi arrabbiata e sbattendo un pugno suo tavolo come i bambini ai quali viene negato un altra fetta di torta.
“Prendere o lasciare, Liz Danes.”
“Prendo,” acconsentì sospirando, non avendo altra scelta. “Hey, Luke. Non c'è qualche bella ragazza adatta al mio bambino qui a Stars Hollow?”
Spostò lo sguardo sullo zio e per un momento gli venne da sorridere nel vederlo sulle spine; attendeva quel momento da anni e sua madre l'aveva inconsapevolmente aiutato ad entrare nel discorso che se iniziato da lui avrebbe certamente destato molti sospetti. Il seme del dubbio si era impiantato nella sua mente un eternità prima e aveva passato ore, giorni a pensare ad una risposta ad una domanda che era più di un enigma, un vero e proprio mistero egiziano, uno di quelli per i quali non c'è mai una spiegazione. Ma non erano in Medioriente ed era palese che non fossero faraoni, quindi il caro vecchio zio Luke, o Sceriffo Danes a seconda di come avrebbe preferito essere chiamato, non avrebbe eluso la sua curiosità. Doveva solo aspettare il momento giusto, momento che sarebbe arrivato a breve, conoscendo quell'impicciona di Liz.
“Ragazze?” chiese confuso. “Sì, certo. Ce ne sono molte anche se... alcune sono ovviamente fuori portata.”
“Fuori portata?” disse la donna a metà tra lo stupita e l'indignata. “Forse vuoi dire che ci sono alcune ragazze che sono fuori dalla sua portata perchè mio figlio merita il meglio?”
“Beh, io intendevo... fuori dalla portata... di tutti, ecco,” spiegò lui imbarazzato. “Ci sono decine di giovani donne: perchè dovrebbe scegliere proprio quella proibita?”
“Proibita?” rise Liz mentre Jess fissava suo zio negli occhi leggendovi la risposta che cercava. “Sono davvero confusa, Luke: ma che stai dicendo?”
“Ho una domanda per te,” gli disse ignorando la voce della madre e i suoi sguardi disorientati. “E pretendo che tu mi dia una risposta onesta.”
Lo osservò guardarsi intorno preoccupato, come se fosse in attesa di qualcuno che potesse salvarlo tirandolo fuori da quella situazione che sapeva già dove li avrebbe portati, ma Jess, a differenza di cinque anni prima, non era disposto a cedere e per Luke non c'era scampo.
“Va bene,” sussurrò infine cercando di mantenere la sua posizione rigida e di prepotenza inconscio che la corazza era già stata sbriciolata.
“Christopher Hayden,” pronunciò lentamente il nome scandendo attentamente ogni sillaba. “Sei stato tu a parlargli di me e sua figlia.” Non era più una domanda, ormai voleva solo una conferma.
“Ascolta, Jess,” iniziò prima di essere interrotto.
“Sei stato tu?” ripeté senza smettere un attimo di sfidarlo guardandolo dritto negli occhi nella speranza di farlo cedere più in fretta e chiudere con quella storia per sempre.
“Sì,” rispose infine con la voce bassa per la vergogna, probabilmente. “Ma c'è una spiegazione. Hayden era preoccupato per Rory e mi ha solo chiesto di tenerla d'occhio. Per caso ho scoperto di voi due e gliene ho parlato assicurandogli che era tutto a posto e che non aveva nulla di cui essere turbato.”
Ed ecco la verità che finalmente veniva alla luce in tutta la sua prepotenza; sentì la rabbia che non sapeva di poter provare ancora salire lentamente e le vene di tutto il corpo ingrossarsi per la pressione del sangue che ribolliva: era come se lo avesse sempre saputo. Nonostante si fosse fatto del male per proteggerla da quell'uomo pieno di sé, la sua stessa famiglia lo aveva tradito in suo favore.
“Non avevo idea di ciò che avrebbe fatto, non immaginavo che si sarebbe comportato in quel modo, Jess,” continuò a giustificarsi sotto gli occhi ancora più spalancati di sua sorella: “Ma di che cosa state parlando?”
“No?” chiese il ragazzo senza nemmeno sentire la voce della madre. “E quando sei venuto a conoscenza delle magnifiche azioni di Christopher Hayden?”
“Vi eravate già lasciati da diversi mesi,” rispose. “Vi avevo visti insieme un giorno alla fine dell'estate. Era dopo l'ennesima sfida di voi ragazzi, quel giro di scommesse...”
“Nel bosco,” ricordò.
“Sì. Non avevo idea che non steste più insieme. L'ho incontrato per caso qualche giorno dopo quell'episodio e mi ha chiesto se avevo notato qualcosa di strano nella ragazza. Gli ho detto che era tutto normale, che continuava ad andare a scuola, vedere i suoi amici, frequentare te. E allora è impazzito: ha iniziato a blaterare di tutto su di te, Jess, su quanto fossi stupido e sul fatto che non eri capace di rispettare i patti.”
“Patti?” chiese Liz ormai completamente estromessa dalla conversazione e ignorata dai suoi uomini.
“Gli ho chiesto di che diavolo stesse parlando, l'ho intimidito un po' e così...”
“Ti ha detto tutto,” finì Jess per lui.
“Non ti riteneva adatto a lei ed era pronto a tutto. Mi ha spaventato quanto poco lucido diventasse quando si trattava di Rory e quindi ho smesso di controllare la ragazza e ti ho consigliato di starle alla larga.”
“Lo ricordo,” disse alzandosi da tavola. “Ed è incredibile! Tu, mio zio, la persona che doveva in teoria occuparsi di me, mi hai fatto questo!”
“Io non avevo idea di quello che succedeva, non sapevo che tu ci saresti andato di mezzo o non avrei mai iniziato a fargli quel favore!”
“Però hai continuato a controllarmi,” gli disse. “Credi che non me ne sia accorto? Eri sempre in un angolo ad assicurarti che le fossi lontano, ha minacciarmi con quella tua aria da sceriffo cattivo di trovarmi qualcun altro, perchè Rory Hayden era 'fuori dalla mia portata',” gridò usando le sue stesse parole.
“L'ho fatto per te, Jess. Eri solo una ragazzo, volevo tenerti lontano dai guai che uno col suo prestigio e la sua posizione poteva crearti. Gente come gli Hayden---”
“Non sono... non erano tutti uguali,” lo interruppe correggendosi nella risposta.
“Jess? Luke? Si può sapere cosa è successo qui?” chiese Liz approfittando del momento di silenzio in cui nessuno urlava o parlava di cose che le suonavano completamente nuove.
“Fattelo raccontare dallo zio,” rispose infilandosi la giacca, “visto che gli piace tanto chiacchierare.”
“Per quel che può valere,” aggiunse Luke con sincerità; “mi dispiace e se tornassi indietro... non lo rifarei.”
Non gli rispose e, senza voltarsi nemmeno udendo i richiami di sua madre, se ne andò sbattendo la porta. Forse nel profondo aveva segretamente sperato di sbagliarsi sul conto di suo zio e conoscere la verità delle cose lo deludeva più di quanto aveva immaginato, ma faceva parte di un passato che avrebbe dovuto dimenticare già da tempo. L'aveva fatto: aveva messo da parte Stars Hollow, i ricordi, Rory e tutto ciò che le concerneva ed era riuscito a rifarsi una vita in cui quei due anni erano spariti, come se non li avesse vissuti.
Aveva funzionato fino a quando Cathlyn si era innamorata di lui e lui aveva creduto di essersi innamorato di lei. Ma ogni ora passata in sua compagnia rispolverava le settimane vissute con Derek in quell'appartamento minuscolo che l'aveva visto vivere la sua storia segreta con Rory. Erano bastati pochi mesi per riportare tutto alla luce: immagini, suoni, profumi, sapori. E sentimenti. Era ancora affezionato all'idea di vivere una relazione con lei ed era arrabbiato con chi gli aveva tolto quella possibilità: avrebbe potuto essere un totale fiasco, avrebbero potuto lasciarsi dopo poco tempo, avrebbero potuto litigare giorno e notti, ferirsi con le parole, odiarsi. Ma non l'avrebbe mai saputo perchè qualcuno si era intromesso togliendogli il diritto di decidere da sé.
Camminò velocemente per ripararsi dal freddo e allontanarsi da casa di Luke cercando una sigaretta nelle sue tasche e accendendola senza fermarsi un solo attimo, e quando alzò gli occhi i suoi passi si fecero più lenti fino a stopparsi completamente; di fronte a lui, dall'altro lato della piazza, c'era di nuovo il gazebo. Aspirò un enorme quantità di fumo, lo sentì bruciare e godette di piacere per quella sensazione, mentre in onore dei vecchi tempi si rimetteva in marcia per sedersi al suo riparo e godersi quegli ultimi tiri in pace.

Negli ultimi minuti non una sola automobile era passata per strada e la gente era tutta segregata in casa o all'assemblea cittadina straordinaria organizzata da Taylor. Le luci dentro Doose's erano spente e anche la palestra di Miss Patty, dalla quale proveniva sempre musica in ogni momento della giornata, era silenziosa; Caesar aveva chiuso la porta del suo locale e dalla sua posizione riusciva ad intravederlo mentre spazzava e puliva i tavoli. Il sole era calato da diverse ore ormai e la città era avvolta nel buio, rischiarata di tanto in tanto dalla fioca luce dei lampioni; la temperatura mite di quel pomeriggio l'aveva ingannata convincendola ad uscire con indosso solo una maglietta e ben presto si era ritrovata a battere i denti in balia di un venticello di fine aprile che faceva rabbrividire. Jess l'aveva derisa per qualche minuto, poi silenziosamente, si era sfilato la sua giacca di jeans e gliela aveva appoggiata sulle spalle.
Erano nel gazebo, lei seduta ad un'estremità, con le mani nelle tasche di una giacca che non le apparteneva, immobile tranne che per la testa che alternava un movimento verso l'alto in direzione delle stelle che quella sera brillavano in modo particolare e uno verso il ragazzo sdraiato ad alcuni metri da lei, stretto nel suo stesso abbraccio probabilmente per ripararsi dal freddo dopo aver cavallerescamente donato il suo mantello alla sua dama. Sprofondò maggiormente le mani nel fresco jeans che odorava di lui: nella tasca destra c'era una scatola rettangolare, le sue sigarette, mentre nella sinistra strinse tra le dita una confezione piccola e morbida che aveva tutta la parvenza di essere un profilattico. La tentazione di sbirciare per essere certa che si trattasse di ciò che pensava era forte, ma allo stesso tempo si vergognava enormemente e temeva di essere colta in flagrante. Quello, il sesso, era un argomento che avevano affrontato pochi giorni prima, quando gli aveva confessato di sentirsi pronta a compiere quel passo che le sembrava così grande ed importante. Anche se un po' la metteva a disagio sapere che il suo ragazzo se ne andava in giro con un profilattico, era felice che avesse pensato per prima cosa a proteggere entrambi e ad essere preparato nel caso in cui il momento giusto si fosse presentato. Sorrise e si sentì le guance andare a fuoco al pensiero di quell'eventualità.
“Che hai da sorridere?” le chiese. Si voltò verso di lui e lo vide, ancora sdraiato a pancia in su, con le mani incrociate sul petto e che coprivano una scritta così oscena che se lo sceriffo l'avesse vista l'avrebbe sbattuto in prigione a vita, fissarla con un'espressione divertita. Frenò l'impulso di alzarsi e sdraiarsi al suo fianco, stringerlo per riscaldarlo ritornandogli il favore che lui le aveva fatto prestandogli la sua giacca, perchè erano in un luogo pubblico dove chiunque avrebbe potuto vederli.
“Conosci la leggenda della fondazione di Stars Hollow?” gli domandò evitando accuratamente di rispondere alla sua domanda.
“Avete una leggenda?” le chiese spostando lo sguardo dal suo viso alle stelle nel cielo.
“Sì,” gli rispose orgogliosa. “Ti va di ascoltarla?”
“Preferirei baciarti,” le disse concentrandosi di nuovo su di lei e sorridendo quando fu certo di averla vista arrossire.
“Non possiamo qui,” mormorò gesticolando verso la strada per fargli capire che chiunque avrebbe potuto essere in agguato alla disperata ricerca di un pettegolezzo.
“Però possiamo andare su da me.”
“C'è Derek. Non mi va di chiuderci in camera sapendo che lui è nella stanza di fianco alla tua. Sarebbe scortese.”
“Sei troppo educata,” sospirò cedendo. “Va avanti.”
“Allora,” iniziò sfregandosi le mani e sorridendo. “Devi sapere innanzitutto che è la storia di un vero amore.”
“Vero amore? E che significa?” la interruppe.
“Shh, fa silenzio e ascolta. È la storia di una bellissima ragazza di un paese e di un bellissimo ragazzo di un altro. Si conobbero e si innamorarono all'istante, un colpo di fulmine. Però purtroppo la loro unione era ostacolata dalla distanza che li separava e dai loro genitori che non approvavano una relazione tra i due.”
“Come Romeo e Giulietta,” l'interruppe di nuovo ricevendo un'occhiata assassina che lo zittì all'istante permettendole di continuare il suo racconto.
“I ragazzi desideravano stare insieme, si scrivevano lettere meravigliose e piene di passione, di promesse e progetti per il futuro. Una notte, quando fu troppo difficile sopportare di restare separati, entrambi uscirono di nascosto dalle loro case e scapparono. Ma fuori era talmente buio che si persero e sembrava quasi che non dovessero più rincontrarsi. La ragazza, in lacrime, si inginocchiò chiamando il suo amore e chiedendogli come avrebbe fatto a trovarlo. Improvvisamente una scia di stelle in cielo brillò di una luce così intensa che illuminò l'intera campagna. La ragazza si alzò e seguì il sentiero che le indicava arrivando fino al posto in cui ora c'è questo gazebo. E proprio qui c'era ad aspettarla il suo amore, che aveva a sua volta seguito le stelle per arrivare da lei,” concluse felice, sensazione che quella storia così romantica le trasmetteva ogni volta che ci pensava. Jess invece rimase in silenzio e immobile a fissare il cielo e le stelle che avevano accompagnato i due amanti in quel punto di ritrovo che li aveva uniti per sempre. Il suo mutismo la fece arrossire e sentire una sciocca sentimentale che si emozionava con storielle come quelle mentre lui era il più cinico dei ragazzi e probabilmente si era annoiato sentendola parlare e magari ora dormiva ad occhi aperti. Poi però all'improvviso parlò: “La prima volta che ti ho vista eri qui.”
“Cosa?” gli chiese spiazzata da quell'affermazione. “No, ricordo benissimo che non è così: eravamo alla festa a casa tua e di Derek. Lui ci ha presentati e tu non mi hai degnato di uno sguardo.”
“Non ricordo quasi nulla di quella sera,” disse scuotendo la testa. “Tranne che alle sei ero già ubriaco.”
“Fortunatamente per te io ero sobria,” sorrise. “Ero con Lane che quella sera faceva da dj, Derek si è avvicinato a noi portandosi dietro te che non staccavi la bocca da quella maledettissima bottiglia di birra. Era una Bud. I tuoi capelli erano un disastro, non avevo mai visto nulla di simile. Avevi dei pantaloni scuri, forse dei jeans, e una maglietta bianca con una scritta nera. Tu non hai nemmeno cercato di intavolare una conversazione con me e quando stavo per farlo io è arrivata Lindsay e ti ha trascinato in camera.”
Lasciò il cielo e sgranò gli occhi su di lei; “Wow. Ci sono altri particolari che ricordi?”
“No, è tutto. Ricorda che all'epoca avevo un ragazzo, quindi gli altri non mi interessavano.”
“Mi spaventi. Dovrei preoccuparmi?”
“No, adesso ho occhi solo per te,” sorrise. “Poi ci siamo visti davanti al supermercato mentre io ero con Jason e...”
“E abbiamo parlato un po', lo ricordo.”
“E la terza volta è stata alla fermata dell'autobus.”
“Con queste due ci siamo, ma la prima volta che ti ho vista è stata due settimane prima della festa, Rory.”
“Due settimane prima?” gli chiese mentre lui si alzava e camminava in diagonale lungo il gazebo per appoggiarsi poi allo steccato di legno.
“Ero arrivato da un paio d'ore,” disse fissando il vuoto come se vi guardasse un filmato di cui doveva spiegare ogni fotogramma. “Avevo portato le mie cose da Derek, poi ero sceso da Caesar a mangiarmi un panino. Quando sono uscito c'era un freddo cane e uno dei miei guanti è caduto sul marciapiede mentre infilavo l'altro; il vento l'ha fatto spostare di un paio di metri, quindi l'ho seguito e raccolto. Alzando gli occhi ti ho vista: eri seduta esattamente dove sei adesso e stavi con Lane. Indossavi l'uniforme della Chilton e avevi un berretto di lana azzurro e i capelli sciolti che ti cadevano sulle spalle. Non parlavi, ma ascoltavi quello che lei aveva da dirti: eri così concentrata che non sembrava non ti accorgessi di quello che ti accadeva intorno. Ad un certo punto hai iniziato a ridere talmente tanto che eri letteralmente piegata su te stessa e il cappello ti è scivolato finendo per terra; esattamente come era successo con i miei guanti, il vento l'ha fatto allontanare e tu ti sei alzata in fretta per rincorrerlo prima che finisse chissà dove: avevi i capelli in disordine, le lacrime agli occhi e un enorme sorriso,” aggiunse sorridendole a sua volta. Ricordava di aver pensato di non aver mai visto una ragazza così bella; “E' una scena che mi è rimasta impressa.”
Rory rimase in silenzio, indecisa se piangere o ridere dalla gioia: Jess era sempre così serio e duro che non avrebbe mai immaginato che potesse avere un a rimembranza come quella e ricordarla così perfettamente; e soprattutto non credeva che potesse parlarne apertamente con qualcuno, lei compresa. Si alzò e camminò lentamente verso di lui fermandosi quando solo un metro li divideva: “Davvero?”
“No,” le rispose con ironia; “ho inventato tutto.”
Gli sorrise, certa che fosse il contrario, perchè non avrebbe mai scherzato su una cosa come quella. Lei e Lane si fermavano spesso a parlare sedute nel gazebo, quindi era molto probabile che le avesse viste, eppure non le veniva in mente quel particolare giorno; “Io non lo ricordo.”
“Allora siamo pari: io non ricordo la prima volta che tu mi hai visto e tu non ricordi la prima volta che io ho visto te.”
Annuì con la testa evitando di sottolineare che quella prima volta a casa di Derek lei gli stava di fronte e non era nascosta da qualche parte nella piazza. Fece un altro passo accorciando maggiormente le distanze sotto il suo sguardo stupito per quella mossa ardita; “Ora sono io che vorrei baciarti.”
“Non possiamo qui,” le ricordò utilizzando le parole che lei stessa aveva usato solo pochi minuti prima come scusa per rifiutare la sua proposta. Rory si guardò intorno: la strada continuava ad essere deserta, tutti erano ancora rinchiusi all'assemblea e Caesar, l'unico che poteva essere loro testimone, aveva smesso di pulire e aveva lasciato il locale incustodito; “Non c'è più nessuno,” sussurrò mettendogli le braccia al collo e pressando il corpo contro il suo. Lo sentì respirare profondamente e sorrise nel vedere che effetto gli faceva la sua vicinanza.
“Lorelai Leigh Hayden,” le disse abbracciandola; “un giorno mi farai impazzire.”
“Allora credo che dovremmo dividerci la camicia di forza.”


C'era qualcosa di diverso nell'aria, ma nemmeno sforzandosi riusciva a capire di cosa si trattava. Il freddo di quel giorno era nella norma, esattamente come lo erano le risate provenienti dalle case che aveva oltrepassato camminando o le grida degli uomini che guardavano lo sport in televisione. Per strada non c'era nessuno e forse era proprio quell'insolito silenzio a rendere particolare l'atmosfera; eppure la strana sensazione che sentiva si sentiva dentro era dettata da molto più di una città vuota o dall'odore del tacchino che fluttuava ovunque intorno a lei. Probabilmente era stata la lieta notizia che Lane era incinta a dare sfogo a quel turbinio di emozioni e in effetti, se si fermava a pensare, la rattristava costringersi a ricordare che era sola e che lo era per una sua scelta.
Se avesse ascoltato suo padre e i suoi nonni avrebbe potuto avere tutto: una casa, degli amici importanti, una posizione sociale, denaro a palate. Una famiglia.
Ma le bastava andare a lavorare e incontrare uno dei ragazzi che aveva in cura per ricordare che quella che aveva preso era stata la scelta giusta. Era solo paura la sua, in fondo era sempre stata una persona insicura, soprattutto davanti alle difficoltà della vita; sarebbe arrivato anche per lei un uomo perfetto, o almeno uno che si sarebbe avvicinato alla sua idea di perfezione, avrebbero avuto dei bambini, per la precisione due, una casa con la staccionata bianca e il giardino di un verde smeraldo e mille fiori colorati che tutti avrebbero invidiato. I suoi figli ci avrebbero giocato ogni pomeriggio di primavera ed estate, li avrebbe sgridati urlando di non sporcarsi e loro l'avrebbero trascinata sul prato riempiendole di terra i vestiti. Si sarebbe divertita e avrebbe detto che per quella volta l'avrebbero passata liscia ma in futuro non doveva più accadere. E loro avrebbero sorriso sapendo che stava bluffando e che la storia si sarebbe ripetuta e che ogni volta la loro mamma sarebbe stata felice di partecipare alle loro marachelle. Sarebbe stata per le sue piccole pesti la madre che Lorelai aveva cercato di diventare troppo tardi per colpa di Emily e Christopher, avrebbe lasciato che commettessero i loro errori imparando da essi, frequentato le scuole che preferivano e gli amici che volevano, preso da soli le decisioni che riguardavano la loro vita senza che lei o altri interferissero. Avrebbe dato loro ciò che le era stato negato: la libertà di scegliere senza imposizioni. Li avrebbe appoggiati in tutto e non avrebbe mai permesso che si allontanassero da lei come aveva fatto con suo padre. Avrebbe offerto loro tutto ciò che il milionario Christopher Hayden non le aveva mai dato.
Aveva ventiquattro anni e ce n'erano voluti diciannove per trovare la forza di lottare contro di lui. Era orgogliosa di averlo fatto, ma a volte temeva che fosse stato troppo tardi, che avesse perso tutto ciò che aveva e che non le era rimasto più nulla oltre il lavoro.
Si mise a sedere sulle vecchie assi di legno scricchiolanti per le quali Taylor aveva già predisposto un piano di restauro: il gazebo è il simbolo di Stars Hollow, diceva quando era una ragazzina, e per questo deve essere sempre impeccabilmente perfetto e curato. Da quando si era trasferita a Stratford, passava sempre meno tempo nella sua vecchia città: tornava una volta al mese, spesso meno, per trascorrere un paio d'ore con sua madre o con Lane, che ormai era talmente presa dalla sua vita coniugale da non aver più tempo per nulla. Vederla felice insieme a Lunn la metteva di buon umore, anche se la gelosia e l'invidia riuscivano sempre a roderle un po' il fegato. Non voleva che la sua amica restasse zitella o fosse infelice, però si chiedeva perchè a Lane era stato concesso di vivere la sua vita insieme alla persona della quale si era innamorata al liceo mentre a lei quell'opportunità era stata negata. A volte si domandava come sarebbe stata la sua esistenza se Christopher Hayden fosse stato un vero padre, affettuoso, leale, onesto, innamorato di sua figlia e rispettoso delle sue scelte e delle sue opinioni.
“Ciao.”
Sentì il sangue raggelarsi istantaneamente nelle vene e per alcuni attimi non riuscì a muoversi, l'eco dei suoi passi sul cemento nelle sue orecchie come il battito di un tamburo a lutto: lento, misurato, grave. Ogni volta che pensava a suo padre era naturale pensare anche a lui e chiedersi come sarebbe stato tra loro: se si sarebbero sposati come Lane e Lunn, se ora sarebbe lei ad essere incinta e lui ad avere gli occhi brillanti per la gioia di diventare papà.
“Ciao,” gli disse. Ed eccola di nuovo quella strana sensazione: era lui, era Jess che aveva respirato nell'aria. Lo osservò mentre si avvicinava e si siedeva di fianco a lei: era cresciuto un po' in altezza, ma oltre a ciò nulla era cambiato nel suo modo di presentarsi.
“Passavo da queste parti,” le disse con una sigaretta fumata per metà tra le labbra; “e ti ho vista. È un po' che non ci vediamo e ho pensato di fermarmi a salutarti.”
“Hai fatto bene,” gli rispose confusa: passava da quelle parti? “Che ci fai di nuovo a Stars Hollow?”
“Riunione di famiglia per il ringraziamento: lo sceriffo ha invitato mia madre a pranzo.”
“E tu l'hai accompagnata,” finì per lui. Non era la prima volta che Liz Danes tornava in città, ma era sempre venuta da sola. “Sono passati cinque anni,” aggiunse dando voce al filo dei suoi pensieri.
“Lo so,” lo sentì dire, quasi sussurrare. Avevano entrambi lo sguardo rivolto in avanti, si erano guardati negli occhi solo per pochi secondi dopo il saluto iniziale e di lui poteva solo sentire la voce e non vedere le espressioni. “Ero curioso di vedere se le cose qui erano cambiate.”
“E il verdetto?”
“Strade pulite, facce sorridenti, il gazebo... tu seduta qui,” lo guardò con la coda dell'occhio e lo vide sorridere. “Tutto come la prima volta.”
“Già,” sorrise a sua volta accorgendosi che finalmente il sangue nelle sue vene stava ricominciando a liquefarsi e tornare caldo; “A questa città non piacciono molto i cambiamenti.”
“Tu come stai?” le chiese.
“Sto bene,” gli rispose senza esitare. Aveva dimenticato quanto fosse piacevole conversare con lui.
“Devo chiamarti dottoressa, immagino. Se non ricordo male dovevi laurearti in economia e commercio per lavorare con la tua famiglia.”
“Avrei dovuto,” sottolineò sorprendendolo. “Sono una psicologa.”
“Sul serio?”
“Ho deciso di aiutare chi ha bisogno di un supporto psicologico,” annuì con orgoglio. “Lavoro in un consultorio. Ci sono ragazzi e ragazze in difficoltà per colpa di genitori che non li capiscono, che li opprimono... l'adolescenza è una fase difficile di per sé, non c'è bisogno che altri la rendano impossibile da vivere. Sono cose che hanno ripercussioni sul futuro, sulla vita da adulti... bisogna prevenire ed evitare che la vita dei ragazzi venga rovinata come è successo ad altre persone.”
“E' un buon proposito.”
“Lo credo anch'io. E' un lavoro che mi piace. A volte i ragazzi che curo tornano a ringraziarmi. È una grande soddisfazione sapere di aver riportato il sorriso sulle labbra di qualcuno.”
“Mia madre è pazza,” lo sentì dire sospirando. “Potresti psico-analizzarla e rinchiuderla in qualche manicomio.”
“Tu adori tua madre!” lo ammonì sapendo che stava solo scherzando e cercando di alleggerire l'atmosfera.
“Sì, però a volte è difficile da sopportare... dovresti vivere con quell'impicciona per saperlo. E i tuoi? Come hanno preso questo cambio di rotta?”
“Beh, i miei nonni hanno fatto buon viso a cattivo gioco sostenendomi con la speranza che sarei diventata socia di qualche importante studio medico.”
“Tipico,” annuì.
“A mio padre è quasi venuto un infarto, anche se il colpo più duro gliel'ho inferto sposandomi,” disse orgogliosa del suo atto ribelle.
“Sei sposata?”
“Lo sono stata per quarantotto gloriose ore,” sorrise al ricordo di quella pazza vacanza. “Ero a Las Vegas con alcuni amici del college. Eravamo bevuto un po' troppo e volevamo fare qualcosa di memorabile, così io e ed uno dei ragazzi ci siamo sposati nella cappella di Elvis.”
“Scontato.”
“Lo so, ma dopo averci dormito su abbiamo capito che non poteva funzionare.”
“Lasciami dire che non me lo sarei mai aspettato da te.”
“Cosa vuoi che ti dica, in quel momento sembrava divertente. E tu invece?”
“Non mi sono mai sposato, ma non disdegno ubriacarmi ogni tanto.”
“Jess!” lo sgridò dandogli una pacca sul braccio. “Non era questo che intendevo.”
“Come sei manesca!” disse massaggiandosi la parte lesa. “Sto bene: uno un lavoro, un tetto sulla testa, una comoda poltrona per leggere. È tutto regolare. A quanto pare Stars Hollow non è l'unica a restare sempre uguale: da quando me ne sono andato anche la mia vita non è cambiata di molto.”
“La mia invece sì,” disse Rory abbassando inconsciamente il tono della sua voce.
“Me ne sono accorto, Britney.”
“Da quando ho scoperto che razza di bastardo è mi padre la mia vita è diventata un'infinita montagna russa,” disse all'improvviso sentendo il bisogno di parlargli onestamente, di fargli sapere che conosceva i fatti.
“Cosa?” le chiese sorpreso dalle sue parole e dal riferimento a suo padre. Sentiva la rabbia e la delusione nella sua voce e si chiese se ciò che pensava fosse accaduto fosse realmente ciò che era successo.
“So cosa ha fatto. Mi ha detto tutto.”
“Come l'hai saputo?”
“Non importa il come,” rispose duramente. “Avresti dovuto parlarmene.”
“Rory.”
“Jess,” lo interruppe vendendo fermata a sua volta dalla furia delle sue parole.
“No, Rory, tu non capisci. L'ho fatto per mia madre,” disse alzandosi di scatto e camminando avanti e indietro davanti a lei gesticolando furiosamente. “E' rimasta incinta giovanissima, ha rinunciato a molte cose per me: non volevo che lo facesse ancora.”
“Questo non cambia che avresti dovuto dirmi cosa stava succedendo. Ne avevo ogni diritto, Jess.”
“Lo so ora, ma a diciassette anni non era un'opzione alla quale avevo pensato.”
Ci furono diversi secondi di silenzio durante i quali entrambi si sfidarono con lo sguardo in una gara infinita.
“L'ho saputo circa un anno dopo che te ne sei andato. Mia madre si è lasciata sfuggire qualcosa e non è stato difficile tirare le conclusioni.”
“Lei lo sapeva?”
“No, non quando è successo. Mio padre gliene aveva parlato qualche sera prima che io lo scoprissi.” S'interruppe indecisa se continuare con l'onestà o cambiare discorso per non riaprire vecchie ferite, ma non riuscì a trattenersi né a riflettere con calma e lucidità: nemmeno quello era cambiato, Jess era ancora capace di farle perdere la testa; “Ho voluto venire mille volte. Ho comprato un biglietto per New York una volta, ma poi pensavo a te, a lui e a quello che ti aveva fatto... mi vergognavo e ho creduto che fosse meglio lasciarti vivere la tua vita senza di me, senza che io te la complicassi di nuovo. E così non sono mai salita quell'autobus.”
“E' stato lo stesso anche per me,” le confessò calmandosi. “Ma forse è stato meglio così: stare lontani ti ha permesso di laurearti in una cosa che ti piace e non in qualcosa che voleva qualcun altro oltre che averci dato la possibilità di diventare ciò che siamo ora.” Lo osservò guardarsi intorno pensieroso e poi sorridere: “E comunque ci siamo ritrovati, no? Com'era la storia dei due amanti di Stars Hollow? Una ragazza di un paese e un ragazzo di un altro si conobbero e si innamorarono, ma il loro amore era ostacolato dai genitori? Un giorno scapparono di casa, ma si persero... ”
“Seguirono le stelle e si ritrovarono proprio qui, dove c'è il gazebo,” finì per lui sorridendo perchè ricordava ancora quella storia melensa e romantica che ancora oggi la faceva sognare come una ragazzina.
“Hai dei programmi per le prossime ore?”
“Se vuoi chiedermi di andare a Las Vegas e sposarci lascia che ti avverta: il mio prossimo matrimonio dev'essere più tradizionale.”
“Veramente pensavo ad un caffè, Elvis può aspettare.”
“Ok, vada per il caffè. Sai che lo adoro.”
“Lo so,” le disse sorridendo e porgendole la sua mano per aiutarla ad alzarsi dalla sua panca nel gazebo.
“Hey, hai un ragazzo ora?” le chiese per essere certo di non replicare la loro storia iniziata con un triangolo tra lei, lui e Jason.
“No, nessuno,” rispose scuotendo la testa con un gran sorriso sulle labbra. “Vuoi davvero provarci con me? Ti avverto che non sono una che cede facilmente alle avances del primo che capita.”
“Allora è una fortuna che ti conosca da sette anni,” le disse guardandola dritta negli occhi. “E poi vedremo: al mio fascino è difficile resistere.”
Rory strinse la mano che non aveva ancora lasciato e sussurrò: “Vedremo.”
Era certa che l'avesse sentita, perchè subito dopo lo vide voltare la testa indietro in direzione del gazebo e poi di nuovo verso di lei probabilmente ripensando ai due ragazzi della leggenda e a quanto quella non fosse una storia meramente fantastica, ma qualcosa che nel ventunesimo secolo era realmente accaduta.

Fine

se volete lapidarmi sapete dove prendere le pietre, se volete lanciarmi dei fiori comunico che mi piacciono molto le margherite e i gigli, i pomodori mi piacciono ma macchiano i vestiti, quindi... sfogatevi nei commenti.
 
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7 replies since 6/6/2005, 19:06   2881 views
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