On your way, FF by PheeBe

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Pheebe
view post Posted on 31/8/2005, 19:52




Titolo: On your way
Autore: Pheebe
Genere: Fanfiction
Stato: La fan-Fiction continua altrove, per ulteriori informazioni contattare Pheebe con un PM

Commenti: Qui

Breve descrizione da parte dell autore:

Ammetto che non ero molto sicura di voler postare questo capitolo, e anche ora ho mille dubbi che mi girano in testa. :unsure:

Ho in mente questa FF sin da quando scrivevo l' Inevitabile, :rolleyes: ma sebbene nella mia mente le immagini, i discorsi e tutto lo scorrere dalla vicenda, sia ben delineato, ho trovato non poche difficoltà a mettere tutto scritto. :ph34r:
Sinceramente non so questa ff dove mi porterà (e soprattutto se mi porterà da qualche parte) anche perchè ho deciso (e provato) a scriverla in maniera un pò diversa dalle altre che l'hanno preceduta. :unsure:

Ovviamente la storia, è una storia literati, :wub: scontato forse, ma purtroppo (o per fortuna) anche se tutto sembra finito tra questi due personaggi, io non riesco proprio a smettere di sperare di vederli di nuovo insieme un giorno. :cry:
Così che lui possa finalmente essere compreso fino in fondo anche da quelli che lo hanno sempre criticato, -_- e così che lei, possa finalmente a tornare quella che era una volta, la Rory che tutti abbiamo amato, per la quale abbiamo pianto, riso, e ci siamo disperati :cry:

La storia inizia dove l'abbiamo lasciata, alla fine della quinta serie.
E' del tutto inventata, quindi anche coloro che sono "ANTI-Spoiler" , possono leggerla se vogliono. :unsure:

Adesso sto iniziando ad agitarmi, quindi prima di cambiare idea (forse è meglio)
farò bene a postare questo benedetto primo capitolo.

Solo, prima di finire, voglio fare una piccola precisazione sul titolo.
"On your way" --> mi ha dato l'idea una song by "The Album Leaf" che ascoltavo oggi pomeriggio. Non so perchè, ma mi ha dato un' improvvisa ispirazione, e soprattutto il coraggio di fare quello che sto per fare. ---> inizio a diventare sdolcinata quindi la smetto <----

Solo un' ultima cosa, che vi permetterà di capire meglio tutto, le parti in corsivo e grassetto, sono delle citazioni (inventate, ma capirete poi) quelle solo in corsivo invece, rappresentano dei flash-back.

Per ora cmq è tutto, quindi
buona lettura :ph34r:





Time.

“Cos’ è che rende una persona diversa?”
Non necessariamente migliore, ma solo diversa, quel tanto che gli permetta di dire in tutta sincerità “Io sono cambiato”.

Una volta rivolsi questa domanda ad un uomo.
Lui mi guardò negli occhi, e con un espressione risoluta sul volto mi rispose “Il tempo ragazzo. Il tempo sistema ogni cosa, vedrai che aiuterà anche te”.

Il tempo.




Stringeva la penna tra le dita da oltre un’ ora,
tamburellando sulla superficie della scrivania,
fissando continuamente il foglio bianco postole di fronte,
e volgendo talvolta lo sguardo oltre la finestra,
a cogliere un segno,
una perduta ispirazione.

Chiuse gli occhi cercando di rilassarsi,
imporre alla propria mente un attimo di quiete, pace,
che le avrebbe poi permesso di andare avanti per un altro giorno.

Un altro ancora.


"Cara Mamma..."


Erano settimane, che rimaneva chiusa in casa,
china su quel foglio sul quale era riuscita a scrivere solo due parole,
l’inizio giusto per una lettera nella quale avrebbe concentrato tutti i suoi sentimenti.
Paura, insicurezza,
emozioni che da lungo tempo l’ accompagnavano,
tormentandola durante il giorno,
la notte…

Appoggiò le spalle al morbido schienale della poltrona regalatale dal nonno.


“Sai qual è la cosa più importante per una scrittrice Rory?”


Ricordò le sue parole.


“Io non sono una scrittrice nonno” gli aveva detto sorridendo.
“Non ancora, ma potresti diventarlo!” la contraddì “…e allora dovrai sapere che le idee sono fondamentali, certo, ma una delle cose più importanti, è possedere una poltrona degna di tale nome”



L’ aveva portata in giro per un’ intera giornata, all’ estenuante ricerca di una poltrona adatta alla sua statura.

L’altezza,
il tessuto,
il colore.


“La scelta della poltrona è molto importante, bisogna valutarne ogni aspetto con cura, perché quella che sceglierai, ti accompagnerà poi nelle lunghe notti che trascorrerai sveglia di fronte ad un foglio di carta che resterà bianco, spesso per giorni, settimane…”


Settimane…


Un rumore,
fastidioso e stridente.

Sobbalzò.

Raccolse svogliatamente il cellulare,
stanca delle continue telefonate che riceveva ogni giorno da Paris,
Lane, Logan.


Logan…


La loro, era stata una storia strana dall’inizio.
Il modo in cui si erano conosciuti,
quel suo fare pazzie solo per assomigliargli,
sentirsi libera,
credere di esserlo.


“ Quello che dici è senza senso” le urlò contro.
“Forse” disse scrollando le spalle, mentre l’ osservava guardarla esasperato “Ma è quello che voglio adesso!”
“Te ne pentirai Rory” assentì avvicinandosi a lei.

Le appoggiò le mani sulle spalle, come per farle capire che lui c’era, non sarebbe andato via come forse temeva.
Voleva rassicurarla, cercare di calmarla,
ma sebbene le sue fossero parole sincere,
pronunciate col solo scopo di consolarla,
non erano abbastanza per farle cambiare idea.

“Tu non lo sai” gi si allontanò scuotendo seccata la testa “Nessuno può saperlo. Forse questo è quello che mi ci vuole, quello che devo fare per ritrovare di nuovo me stessa, o per capire davvero chi sono”.
“Tu sai chi sei! Lo sai da sempre”
“Non mi conosci bene come credi allora”
“Che vuol dire questo?”
“Niente.” Disse sospirando. Passò una mano tra i capelli, tentando di recuperare la lucidità che quella conversazione le aveva fatto perdere da tempo. “Io voglio solo un po’ di comprensione” confessò ormai stanca di discutere, stanca di dover sempre trovare una giustificazione plausibile.

Forse stava sbagliando, era vero,
ma forse era questo che voleva,
sbagliare per poi riuscire a capire cos’era andato storto.
Ma nessuno capiva, nessuno provava a capire, nemmeno lui.

“Ce l’hai Rory, ma non riesci a vederla perché sei troppo impegnata a darmi contro!” l’ incolpò.
“Cosa cerchi di dire adesso? Parla chiaro!”
“Mi sembra ovvio.”
“Non abbastanza” fece un passo indietro, mentre sentiva la rabbia crescere sempre più dentro di se. Stava per esplodere, e non sapeva come fare per fermarla.
“Tu ce l’ hai con me. Incolpi me di tutto”
“Cosa?”
“Mio padre ti ha spinto dove sei ora, e non potendo prendertela con lui, lo fai con me”
“Non è affatto vero. E tuo padre non mi ha spinto da nessuna parte!” Si voltò nervosa stralunando gli occhi. “Anzi, forse dovrei ringraziarlo. Mi ha fatto finalmente aprire gli occhi!”
“Non lo fare, non giustificarlo. Lui, non ti conosce, non sa niente di te. Ti ha guardata per due minuti e ha subito colto le conclusioni che gli facevano più comodo”
“Un mese” lo corresse “Ho lavorato per lui per quasi un mese”.
“E con questo? Cos’ è un mese in confronto ai venti anni in cui ti sei preparata per realizzare il tuo sogno?” Le si avvicinò piano sfiorandole poi il volto, una volta certo che non sarebbe fuggita dalla sua carezza. “E cos’è un mese” continuò “…se paragonato ancora a tutto il tempo che hai a disposizione per realizzare quello che vuoi?”
“Ora come ora, non so quello che voglio” gli rispose scostando la sua mano dal viso.
“Ti comporti come una bambina” assentì con tono duro e freddo. Voleva starle vicino, farla ragionare, ma lei si ostinava a non capire, e lui iniziava a sentirsi stanco.
“Bravo, riduci tutto a questo! La piccola Rory che fa i capricci”
“Se solo riuscissi ad ascoltare davvero quello che cerco di dirti, allora…”
“Basta sono stanca di discutere”. Aveva afferrato la giacca, senza lasciarlo finire, ed era corsa via velocemente, troppo per lui, perché non era riuscito a raggiungerle sebbene ci avesse provato.



Scosse il capo ricordando quell’ ultima conversazione,
le sue parole, e poi la fuga alla quale era stata costretta,
lo stato d’animo.

Aprì velocemente un cassetto,
chiudendovi dentro il cellulare,
che come impazzito continuava a squillare,
ancora, e ancora…

Era davvero esausta,
stanca di parlare,
stanca di giustificarsi.

Voleva solo stare sola,
o fingere di esserlo.

Sola,
indipendente.

Scostò la poltrona,
e alzandosi iniziò a camminare per la stanza osservando i quadri, le fotografie,
i mille libri conservati sugli scaffali di una libreria ormai colma di testi attraverso cui non si riconosceva più.

Libertà.

L’illusione di poter diventare chiunque,
di poter partire alla volta di qualunque posto,
fare qualsiasi cosa avesse voluto.
Questi pensieri l’avevano sempre accompagnata nella lettura di un libro,
sfogliando le pagine del quale, era sempre riuscita a dimenticare,
estraniarsi dal mondo reale per qualche ora,
o anche un minuto.

Adesso invece?

Non riusciva a non pensare,
a dimenticare,
scappare da quei segni che aveva cercato di cancellare dalla mente,
ma che come cicatrici, erano rimasti fermi, indelebili al loro posto.



Il tempo.

Sistema davvero tutto? O è solo un’ illusione creata per infondere coraggio ai disperati?

Voltandomi, e guardando indietro, posso affermare con assoluta certezza che il passare dei mesi, degli anni, non ha migliorato il mio carattere, non ha formato una nuovo coscienza che mi ha reso diverso. Il trascorrere del tempo non ha guarito le mie ferite, il dolore che provavo non si è alleviato, ho solo imparato a sopportare.

Forse è questo che fa il tempo in realtà, aiuta a sopportare.

Non cancella, né migliora, crea solo un’illusione alla quale aggrapparsi quando senti il dolore farsi vivo dentro.

Rincontrando quell’ uomo oggi, potrei dirgli con assoluta certezza “ Ehi, ti sei sbagliato”.

Il tempo non sistema le cose, non ci aiuta, non ci fa stare meglio. Nel corso degli anni ciò che cambia è solo il numero di bugie, quelle che raccontiamo ogni giorno a noi stessi per giustificare il fatto che stiamo ancora male *…incatenati a ritornare da catene che non spezzeremmo anche se potessimo.



* Verso tratto da I lavoratori, di C. Bukowski.


NB° se vi va di commentare, o qualcosa nn vi è chiaro, chiedete e scrivete nella sezione commenti --- che ora creerò... :ph34r:

Edited by Reflecting Light - 29/11/2006, 20:37
 
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Pheebe
view post Posted on 8/9/2005, 19:01




Ecco il secondo capitolo.
Sono abbastanza sorpresa perchè credevo di impiegare più tempo a sistemare le idee, invece non è stato così, quindi spero vi piacerà happy.gif
E' un pò incasinato, per questo se avete bisogno di delucidazioni, chiedete pure tongue.gif



Words

Fissava la strada da più di due ore ormai,
giocherellando col bordo leggero della gonna,
e sistemando talvolta i capelli, che aliti di vento sottili le scompigliano.

Cercò il più possibile di rimanere calma,
e di non sgualcire così, la lettera che stringeva tra le mani.
Rigirò il piccolo oggetto tra le dita,
confusa, combattuta,
sapeva di dover prendere una decisione,
anche se le era ancora impossibile capire quale.

Rifletté accuratamente sui pro e i contro,
stilando mentalmente una piccola lista,
e come ogni volta nelle ultime due ore,
la demoralizzò scoprire che la riga dei pro risultava sempre più corta.

Sbuffò alzandosi dalla panchina che aveva occupato per l’intera mattinata,
e camminò su e giù per il marciapiede, farfugliando qualcosa,
e lanciando occhiate fugaci alla cassetta postale situata poco distante da lei.

Fece un passo deciso verso quello stupido oggetto fisso alla parete,
e poi tornò indietro velocemente, inarcando le sopracciglia in un espressione disperata che i passanti non riuscirono ad ignorare.

Sentiva gli occhi di tutti addosso,
e questo l’ agitò, pensando al fatto che forse la schernivano,
ridendo per la sua vigliaccheria.

Non poteva continuare a lungo su quella strada,
doveva fare qualcosa, o tornare a casa e smetterla di torturarsi.

Poi realizzò, che forse un’ ultima e rapida occhiata alla calligrafia,
alle frasi scritte d’ impulso, l’ avrebbe fatta sentire meglio,
infondendole il coraggio necessario per fare quello che sapeva di dover fare.

Si mise a sedere,
sistemando ancora una volta i capelli e sorridendo quasi,
sicura che poi avrebbe fatto la cosa giusta,
migliore.
Aprì la busta,
e sfilò decisa i fogli di carta al suo interno,
sui quali aveva passato settimane,
sui quali aveva cercato di imprimere se stessa,
e dei quali aveva così tanta paura.

E se non fosse stata in grado di esprimere ciò che voleva?
E se tutte quelle frasi non fossero servite a nulla?
Infondo, erano solo parole.
Nulla di concreto,
non un abbraccio, uno sguardo, una lacrima.

Solo parole…




“Parole.

Per tutta la vita ho cercato di evitarle, sfuggire a frasi dolorose che poi avrebbero ossessionato la mia mente per settimane, mesi, anni.

Mi sono sempre chiesto cosa fosse a spingere una qualunque persona, anche se incontrata da un giorno, a dirmi cos’ avrei dovuto fare.
Forse uno spiccato senso di altruismo, o la più comune e fastidiosa convinzione di essere sempre nel giusto, di credere d’ aiutare diffondendo quanto più perle di saggezza possibile, sicuri, che questi sassolini lasciati per strada, siano tanto preziosi da tentare chiunque, convincere anche il più disastroso dei ragazzi ad intraprendere quella che molti amano definire “Una retta via”.

Così, mi sono spesso domandato: Perché?
Perché pur essendo dotati di tanta saggezza, non si riesce mai a capire quand’ è il momento di smetterla di parlare, giudicare, ed iniziare ad ascoltare? …anche se le parole vengono pronunciate in silenzio, o anche solo attraverso gli occhi.

Perché non si riesce a capire?”




“…Lorelai Gilmore”

Fu quella voce a riportarla alla realtà.

“…Lorelai Leigh Gilmore”

Scostò le spalle dallo schienale della sedia alla quale era appoggiata.
Sporse leggermente il collo in avanti chinando il capo,
e incrociando così la figura snella di una donna in abiti formali.

“Sono qui” disse, con tono quasi rassegnato, alzandosi lentamente.
“E’ il suo turno” l’ avvisò.
“Grazie”

Per un momento ebbe l’ impulso di voltarsi,
cercare lo sguardo dell’ unica persona di cui sentiva realmente bisogno,
ma bastò un secondo per perdere le speranze di incontrarla lì,
in quel aula di tribunale nella quale avrebbe visto messi in piazza tutti i suoi errori,
le sue debolezze.

Fece scorrere leggermente le mani sulla gonna,
cercando di sistemare eventuali pieghe, eliminare qualsiasi traccia di trasandatezza.

“Sei perfetta, non preoccuparti” cercò di rassicurarla la nonna sorridendo.

Incrociò il suo guardò qualche secondo, poi ricambiò il sorriso sforzatamente,
e cercando di sembrare tranquilla si avviò verso la porta con passo deciso.

Varcò la soglia, pronta ad affrontare qualsiasi cosa,
ascoltare i giudizi e le critiche di persone, che pur non conoscendola,
avrebbero deciso del suo futuro.


“…ti ho delusa, e so bene che ciò che ho fatto non potrò mai cancellarlo, non con le parole, o con i sorrisi di una ragazza che non credo tornerà mai più a guardarti come faceva una volta. Non ti biasimerò se non vorrai più incontrarmi, o parlarmi, ma non pensare che non capisca ciò che provi, perché lo so bene, anche se non vorrei. Ho tradito la persona che più amo al mondo, e dovrò continuare a portare questo peso per sempre, anche se un giorno mi perdonerai, anche se deciderai di guardare oltre ed accettarmi di nuovo nella tua vita. Ti voglio bene mamma, e non ti chiedo nulla, solo, se vuoi, cerca di non odiarmi…”


Quando oltrepassò di nuovo la soglia,
non poté non sorridere e tirare un respiro di sollievo,
sentendo il peso che fino a quel momento le era stato sullo stomaco,
farsi sempre più leggero,
fino a svanire quasi.

Quasi.

Si avviò fuori,
camminando lentamente,
sentendosi diversa forse,
e coraggiosa tanto, da cadere per qualche secondo nell’ illusione di essere diventata una ragazza più responsabile, giudiziosa,
di essere tornata quella che era stata qualche anno prima,
ma di cui ora, pensandoci, non ricordava nemmeno il volto,
il sorriso,
la forza di perseguire qualcosa di grande ed irraggiungibile che comunque non era mai riuscita a spaventarla.

Che stupida.

Come aveva fatto a cambiare tanto?

Sorrise socchiudendo gli occhi,
appoggiò le spalle ad una delle grandi colonne esterne al tribunale,
e realizzò per la prima volta di essere davvero una persona diversa,
una persona che probabilmente non meritava di essere perdonata, né capita.

Si era affannata tanto ad individuare cos’ era andato storto,
cos’ avrebbe potuto, e dovuto fare per provocare in lei un cambiamento,
che non si era accorta di essere già mutata,
in qualcuno che non riconosceva, e che,
riflettendo,
non le piaceva affatto.


“…basta un attimo per rovinare tutto. Distruggere le uniche certezze che credevi nessuno ti avrebbe mai portato via, castelli di carta che è bastato un soffio a distruggere.

E allora credi che tutto sia perduto, che niente possa tornare a posto.

Pensi che ormai sia inutile lottare, stringere i denti per qualcosa che non riesce più a darti forza, fiducia per un futuro diverso, migliore forse, di quello avuto fino a questo momento, questo preciso istante, in cui pur tentando di restare calmo, paziente, e perché no, fiducioso, non riesci a non pensare “ …Quindi è finita?”



“Dannazione, dannazione”


Una voce attirò la sua attenzione.

Si voltò stranita, cercando di capire da dove venissero quelle grida,
allontanandosi da quei pensieri,
parole tanto affannose che riuscivano a toglierle il respiro anche senza aprire bocca.

Si guardò intorno,
e senza che potesse realizzare nulla,
eccola lì, una scena divertente,
che la fece sorridere, e poi quasi piangere.

Si vergognò guardandola in viso, perché era riuscita anche stavolta a dubitare di lei,
nonostante tutto quello che aveva sempre fatto,
la comprensione che le aveva dimostrato.

Incrociò il suo sguardo, mentre sentiva le lacrime sempre più vicine,
e un leggero appannamento le offuscava gli occhi.
Non riuscì a dire né fare nulla,
se non piangere, e poi sorridere.

“Questa stupida scarpa” le sentì dire sorridendo “…sono in ritardo scusami”.

Le corse incontro, senza pensare, né capire altro se non che “lei” era lì.
L’ abbracciò forte,
in una stretta che probabilmente avrebbe soffocato chiunque,
ma non lei,
non Lorelai Gilmore,
non sua madre.

“E’ tutto a posto” la rassicurò carezzandole i capelli “...non preoccuparti”
“Mi dispiace per tutto mamma, te lo giuro.”
“Lo so” rispose sorridendo “Ma adesso sono qui…”

“Sono qui” …due semplici parole che le riscaldarono il cuore,
e le appannarono la mente, rendendola per la prima volta davvero confusa.

Era lì, e non capiva il perché.

Non meritava il perdono di nessuno,
tanto più il suo.

L’ aveva ferita,
tradita,
delusa più di quanto si sarebbe mai aspettata,
eppure lei era lì.

Forse la sua lettera…
Probabilmente le sue parole infondo, non erano state solo parole,
e tra le righe era riuscita ad imprimere un po’ di se stessa,
il desiderio di sistemare tutto,
ricominciare tutto,
almeno con lei.

Chiuse gli occhi continuando a piangere, e realizzando che
ci sarebbero stati altri momenti difficili,
momenti di rabbia, delusione.
Ci sarebbero stati altri fallimenti,
ma almeno in questo, avrebbe potuto dire di essere riuscita,
infondo “lei era lì”, e solo questo contava.

 
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Pheebe
view post Posted on 22/9/2005, 10:53




Cavolo non credevo ci avrei messo tanto ph34r.gif
Per fortuna ce l'ho fatta, e spero proprio che tutto sia abbastanza comprensibile, chiaro, e non eccessivamente sconvolgente.

bAuhaUAuha nn spaventatevi adesso
non è niente di grave tongue.gif

Spero d' essere riuscita a descrivere tutto in modo eloquente,
e di trasmettervi quindi qualcosa ---> mi sto agitando <--- ph34r.gif

Auguro una buona lettura a tutti tongue.gif



When The Past ...

“Quando credi che tutto vada bene,
quando ti senti forte, e capace d’ affrontare qualsiasi cosa,
quando ogni attimo ti sembra perfetto, e pensi che niente possa più ferirti,
quando ti convinci di poter sopportare anche la più terribile delle sofferenze,
quando senti qualcosa muoversi dentro, e una lacrima bagnarti il viso,
quando capisci d’ aver sbagliato.”



“Ancora con questo libro?”

La voce di Paris le arrivò veloce, dalle orecchie al cervello, fino a farle perdere il filo di un discorso, letto e riletto, ma che sempre riusciva a farla stare meglio in giornate come quella.

“E’ solo un mucchio d’ idiozie. Parole di un tizio qualunque che in un momento, magari mentre era ubriaco o fatto di chissà quale droga, ha buttato giù questa spazzatura” affermò decisa, mentre una leggera smorfia di disgusto le si formava sul viso.
“E tu che ne sai?” le chiese scettica “Non lo hai nemmeno finito”.
“Non ne ho bisogno Rory. Mi sono bastate poche frasi per capire che si tratta del delirio di un pazzo, che magari non ha nemmeno pensato tanto a quello che scriveva…”
“E forse questi sono i libri migliori no?” la contraddì alzandosi “Forse, un vero libro dev’ essere scritto in questo modo, senza pensarci troppo su, senza abbellimenti, o metafore eccessivamente costruite”.
“Non posso credere che lo stai dicendo”
“E invece lo sto proprio dicendo. E magari, se ti prendessi la briga di leggere più di qualche riga, mi daresti ragione e capiresti qualcosa anche tu” continuò battendole piano la copertina rigida sulla testa.
“Non ci penso minimamente” affermò Paris incrociando le braccia “Ho già abbastanza da fare senza aggiungere i deliri di un cretino di cui non si conosce nemmeno il nome…”

Guardò l’ amica continuare quello che sarebbe presto diventato un monologo, non aveva certo voglia di starla a sentire, tanto più che quel attesa le stava facendo venire l’ emicrania.

Guardò annoiata l’ orologio, e si rese conto che lei e Paris erano ormai chiuse in quel negozio d’ abiti da sposa da oltre 40 minuti, in attesa che il vestito della madre fosse pronto dopo gli ultimi ritocchi.

“...non devi preoccuparti di niente, ci penso io al vestito” le aveva detto dopo una delle sue sempre più frequenti crisi di panico.

Le ultime due settimane erano state colme d’ impegni,
benché si sforzasse non riusciva a ricordare nemmeno un’ occasione in cui sua madre era stata tanto stressata.

La cerimonia,
gli addobbi,
la scelta dei menù,
e gli invitati, una lista infinita di persone a cui sua nonna non faceva altro che aggiungere parenti su parenti, di cui, lei personalmente, non aveva mai sentito parlare.

E infine quest’ ultimo imprevisto.


“Oddio, oddio, oddio” gridò Lorelai in preda al panico, sbattendo la testa qua e là, stralunando gli occhi, strappandosi i capelli quasi.
“Mamma calmati” l’aveva implorata “Smettila, un’ altra botta alla testa e dovrai celebrare il tuo matrimonio in ospedale”
“Beh, avrei sicuramente meno problemi e cose a cui pensare” disse agitando il telefono “Non ci sarebbe bisogno di un posto per la cerimonia…” assentì alzando l’indice come ad iniziare un elenco “…niente scartoffie, permessi, inviti! Gli ospiti mangerebbero gelatina, e io indosserei un orrendo camice verde così non avrei bisogno di uno stupido abito da sposa che ho impiegato quasi un mese a trovare, e che ora non possono nemmeno consegnarmi!” prese fiato “Stupidi fattorini, stupida commessa, stupido negozio, stupida New York!”
“Ok, ora calmati” le aveva tolto il telefono dalle mani, presa per un braccio delicatamente, e fatta sedere “Respira…”
“Sto respirando”
“Respira più profondamente su…” insistette, mostrandole come fare.
“Ok, respiro” disse cacciando forte l’aria dai polmoni “Un sacchetto di carta, trovami un sacchetto”
“Non ti serve nessun sacchetto” le rispose sorridendo “…avanti dimmi cos’ è successo”
“Il vestito, non possono consegnarmelo, e io ho troppo da fare non ce la farò mai ad andare fino a New York e tornare in tempo per incontrare il sacerdote” si mise una mano sulla fronte “Scotto, scotto…” aveva detto prendendo la mano di Rory e poggiandosela sulla testa “Ho la febbre”.
“Tu stai benissimo” le aveva risposto sorridendo “…e non devi preoccuparti di niente, ci penso io al vestito”.



Ed eccola lì,
in piedi, a camminare su e giù per il negozio,
stanca, annoiata, affamata.

“Io ho fame” disse improvvisamente guardando fuori “Tu vuoi qualcosa?”
“No, niente. Ma tu vai, resto io qui ad aspettare”
“Torno subito ok?”
“Si certo” affermò Paris muovendo la mano per farle capire d’andare via “Vai e non dare confidenza agli sconosciuti”
“Va bene mammina”

Sorrise, ed uscì dal negozio.

Si guardò intorno, per poi notare un chiosco alla fine della strada,
iniziò a camminare piano, ed accelerare poi il passo quando l’ odore dei panini, arrivò invitante fino a lei.

Si avvicinò al piccolo ambulante,
e attendendo il proprio turno, guardando i volti indaffarati delle persone che incuranti le passavano di fianco correndo, litigando, sorridendo, abbracciando,
notò una libreria poco distante con esposto in vetrina un enorme locandina.



“On Your Way”

Il libro che ha conquistato New York,
un fiume di parole ispiranti che ci hanno aperto gli occhi,
la mente, e anche il cuore.

Uno degli scrittori più promettenti della letteratura moderna,
oggi, e solo per oggi, qui in “Your Book is…”



“Oddio” pronunciò a bassa voce, iniziando a camminare inavvertitamente.

Un passo, e poi subito un altro.

Attraversò la strada veloce,
e quasi correndo, arrivò di fronte la vetrina fissando l’enorme manifesto,
completamente bianco, proprio come la pagina esterna del libro,
con solo al centro, in nero, quella scritta.

Semplice, naturale,
priva di qualsiasi abbellimento, eppure capace di catturarti,
rapirti.

Entrò nel negozio senza pensarci su,
non sapeva bene cos’ avrebbe fatto, detto,
ma sapeva di dover vedere, conoscere,
guardare negli occhi questa persona, le cui parole erano entrate dentro di se con naturalezza,
facilità, troppa…

Camminò svelta tra gli scaffali,
allungando la testa qua e là, tanto per essere certa di non tralasciare alcun angolo.


“E’ diverso da come mi aspettavo” disse qualcuno “completamente diverso…”

Si voltò verso quella voce,
e incrociò così lo sguardo di una ragazza che quasi delusa si avviava verso l’ uscita.

“Hai ragione” le rispose l’ amica, che tenendole un braccio attorno alle spalle, cercava di consolarla “Ma il libro è stupendo, anche se lui forse non lo è…”

Vide uscire le due ragazze,
e istintivamente si avviò seguendo la loro scia nel verso contrario.

Fece qualche passo,
ed eccolo lì,
un brusio fastidioso,
risatine stridule, giudizi.

“Però è carino” diceva una ragazzina ad una compagna.
“E’ maleducato!” assentiva un’ altra.

Sentiva la curiosità crescere,
e con gli occhi cercò questa misteriosa figura seduta chissà dove,
a firmare il libro, scrivere dediche.

“Ragazzi, cercate di rimanere in fila ordinatamente” disse un uomo poco distante da lei. Muoveva le braccia in modo da mantenere l’ ordine, e volgeva talvolta lo sguardo verso la sua destra, in basso, come a verificare che qualcuno fosse ancora lì.

“Vogliamo accontentare tutti” gli sentì dire “…ma se fate confusione creiamo solo disagi alla libreria che gentilmente ha ospitato me, voi, e il nostro comune amico. Quindi per favore, rimanete in fila.”

Quasi immediatamente il caos sembrò dileguarsi.

Sebbene molti sembrassero delusi, scocciati,
nessuno aveva il coraggio di abbandonare la fila.

Istintivamente lo fece anche lei.

Si sistemò dietro un paio di ragazze,
e attese il proprio turno.
Levò il libro dalla borsa, e automaticamente iniziò a sfogliarlo,
avanzando a rilento, e quasi non accorgendosi che solo una persona la separava ormai dal misterioso autore.
“Grazie” sussurrò la ragazza in piedi d’avanti a lei, timidamente riprese il libro e andò via.

Fece un passo in avanti,
sorridendo, perché finalmente l’ attesa era finita,
e alzando gli occhi, quasi il cuore le si fermò nel petto.

Non una parola,
non un respiro,
un solo cenno che potesse provare il suo essere ancora in vita.

“Signorina” le disse l’ uomo che poco prima aveva chiesto di mantenere l’ ordine “Signorina, si sente bene?”

Niente.

Teneva ancora lo sguardo fisso su di lui,
che incurante di ciò che stava accadendo, manteneva la testa bassa.

Forse non aveva mai guardato chi gli stava di fronte fino a quel momento,
limitandosi a chiedere cosa doveva scrivere, a chi doveva dedicare quel libro,
che solo ora,
stando ferma,
immobile, paralizzata di fronte a lui,
riusciva a capire davvero.

“Signorina” insistette l’ uomo.

E così, incuriosito forse, o semplicemente seccato,
lo vide alzare lo sguardo, incrociare il suoi occhi,
aprire appena le labbra come se volesse dire qualcosa,
ma niente, il silenzio, ancora, e ancora,
una fitta allo stomaco che temette l’ avrebbe uccisa.

“Jess” disse per la prima volta l’ uomo in piedi.

Avesse pronunciato prima quel nome,
avrebbe capito, sarebbe andata via, risparmiandosi questa umiliazione.

“Cosa?” lo vide rispondere senza però muovere gli occhi dai suoi.
“Ma vi conoscete?”
“No” assentì quasi subito lui. Scosse la testa, come per riprendere il controllo di qualcosa, sporse in avanti la mano “A chi devo dedicarlo?” le chiese freddamente.

E ancora il silenzio.
Non riusciva a pensare,
parlare, capire.

Rimase zitta a fissarlo, completamente disorientata.

Lui.

Erano state le sue parole quelle a cui si era aggrappata in quei mesi?
Che l’ avevano ispirata, confortata…

“La gente aspetta” gli sentì dire con ancora la mano protesa verso di lei.
“Io…” tentennò “Non importa”

Qualche passo indietro, gli occhi lucidi,
un blocco in gola che non riuscì a farle dire nient’ altro,
un peso sullo stomaco, che quasi non la faceva respirare.

Uscì fuori camminando velocemente,
correndo, scappando.

Quindi era lui,
era sempre stato lui.

Lui il suo punto di riferimento,
la sua ispirazione,
lui l’ unica risposta.


**
“E' una curiosa creatura il passato,
ed a guardarlo in viso
si può approdare all'estasi
o alla disperazione.

Se qualcuno l'incontra disarmato,
presto, gli grido, fuggi!
Quelle sue munizioni arrugginite
possono ancora uccidere!”


** Emily Dickinson, The Past


Edited by Pheebe - 22/9/2005, 13:12
 
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Pheebe
view post Posted on 29/9/2005, 20:40




Ero indecisa se postare o no il capitolo. unsure.gif
L'ho scritto tutto d' un fiato, quindi probabilmente ci saranno errori di cui poi mi accorgerò, malidecendomi per non aver aspettato qualche giorno invece di essere così frettolosa. tongue.gif
Nonostante ciò, mi sembra comunque la cosa più giusta postarlo ora rolleyes.gif --- almeno in questo momento mi sembra giusto, poi probabilmente cambierò idea, ma non importa ora. alien.gif
Spero solo che il capitolo vi piaccia, e vi emozioni.
Io, scrivendolo, mi sono emozionata, come se davvero fossi stata lì, con tutti in quella situazione, da spettatrice rolleyes.gif
Ok inizio a straparlare ---> Buona Lettura cool.gif



Just a dance

Osservava gli occhi di sua madre,
scintillanti, luminosi come non mai, e colmi di quella gioia che non tutti possono dire aver provato almeno una volta nella vita.

Ora lei ce l’ aveva, ed era lì,
le sorrideva timidamente, e la guardava con gli occhi di chi sa davvero l’ amore che significa.

Amore.

“Lo voglio” le sentì pronunciare appena con voce tremula, e poi un sorriso le apparve di nuovo in viso, ancora e ancora, a risplendere in quella giornata.

Passò leggera la mano ad asciugare una lacrima,
respirò a fondo tentando di fermare le altre, che altrimenti sarebbero venute,
e volse lo sguardo verso gli invitati, tentando di distrarsi, calmarsi.

Felici, commossi;
avevano aspettato tutti con ansia quel giorno, e finalmente eccolo arrivato.

Non poteva essere più perfetto, più meraviglioso.

Volse di nuovo gli occhi verso l’altare,
e fu lì, incrociando il suo sguardo, che per un attimo ebbe voglia di scappare, fuggire, nascondersi.

Tornata da New York, aveva preferito non raccontare ciò che era accaduto; il libro, quel suo scappare di fronte a lui, al suo sguardo, la sua indifferenza.

Jess.

Meglio tenere tutto per se ed ignorare, dimenticare, fingere.

Poi la sua presenza al fianco di Luke,
il suo sguardo addosso mentre si avvicinava all’ altare decorato di fiori e nastri bianchi.

Il suo testimone.

Era ovvio, logico,
impensabile non fosse lì.

Che stupida ad illudersi di poter ignorare tutto per sempre.



“Rory” sentì che qualcuno la chiamava sfiorandole il braccio. Si voltò di scatto, quasi impaurita.
“Mamma” disse tirando un sospiro di sollievo “Mi hai fatto paura”
“Ti prego non dirmi che è questo l’ effetto che faccio vestita da sposa” la supplicò.
“No, no. Tu sei bellissima” la rassicurò “Solo era soprappensiero scusami” disse scuotendo la testa e facendo un cenno con la mano, come a dire non preoccuparsi.
“Meno male” sospirò “Stavo già per strappari il vestito di dosso”
“No ti prego, scioccheresti tutti”
“Magari tua nonna scapperebbe…” suppose ironica
“Mamma…”
“Ehi non è colpa mia. Sta sempre lì a rincorrermi” spiegò accennando dei movimenti circolari con le mani “…dicendo che il vestito dovrebbe cadere in un certo modo, a sistemarmi i capelli, chiedermi un secondo nipote” accennò poi con un filo di voce.
“Non ci credo” disse Rory sorridendo.
“Me lo sono inventato infatti”

Stettero zitte qualche secondo, guardando tutte le persone presenti al ricevimento. Sembrava si divertissero, avevano tutti un’ aria spensierata, sorridente, serena.

“Chissà dov’è Luke” chiese Lorelai “Siamo sposati da meno di 2 ore e già cerca di evitarmi” continuò tentando di individuarlo.
“E’ lì” accennò Rory allungando il braccio e puntando poi il dito “Sta parlando con J…” s’ interruppe improvvisamente.

Sentì lo sguardo di Lorelai addosso per qualche istante, poi le sue parole…

“E’ per lui che stai così?” le chiese dolcemente
“Come?”
“Non fingere di non capire” l’ avvertì “Ti ho insegnato io tutto quello che sai sul cambiare argomento, o sul fingerti stupita, o indifferente”
“Non sto cambiando argomento” le spiegò “…mi fingo indifferente, forse”
“E perché? Posso saperlo?”
“Non lo so”
“Davvero?”
“Forse è...”

Si fermò un attimo a guardare Jess. Appariva davvero diverso, calmo, rilassato. Sembrava quasi che non lo infastidissero nemmeno tutte quelle persone. Una volta, non avrebbe resistito più di due minuti tra la folla, ora invece, era come se ci si sentisse a proprio agio, o semplicemente, aveva imparato a fingere…meglio di lei.

“Forse è…” continuò “…è solo il rivederlo così, dopo tutto questo tempo” accennò appena con un filo di voce.
“Luke mi aveva detto che forse sarebbe venuto” le spiegò “…ma poi non avevamo avuto alcuna conferma, e lui si diceva molto impegnato, così non ho voluto…”
“Non devi spiegarmi” la rassicurò “Ehi, questo è il tuo matrimonio” le disse sorridendo prendendole le mani “Il tuo giorno, il tuo momento. Non devi pensare a niente se non a godertelo come meriti” si interruppe un’ istante mentre sentiva le lacrime pungerle gli occhi “Perché te lo meriti davvero mamma”

Un sorriso, e poi un abbraccio,
un momento in cui non penso a niente.

“Ti adoro” disse Lorelai trattenendo le lacrime. Poi si scostò da lei “Ma ora finiamola” affermò decisa “…o tua nonna correrà qui e inizierà ad ossessionarmi sul trucco sbavato dalle lacrime”

Sorrisero per qualche secondo, poi la voce di Kirk interruppe il loro idillio.

“E ora signori e signore” enunciò con voce stridula, maneggiando goffamente il microfono “Invitiamo gli sposi ad aprire le danze. Luke…” chiamò tentando di individuarlo “…ehi Luke” continuò impaurito “Ah eccolo” ribadì infine sollevato.

E poi le note di “Reflecting Light” risuonarono nella sala,
e tutti in silenzio osservarono gli sposi ballare,
Luke stringere Lorelai, e Lorelai guardare Luke sorridendo.

“Ehm…” disse incerto Kirk “…e adesso” continuò leggendo qualcosa su un foglio stropicciato “Che si uniscano alle danze la damigella della sposa e il testimone dello sposo” tossì.

“Cosa?” disse Rory impercettibilmente mentre tutti iniziavano a guardare lei e Jess ai lati opposti della sala.

Non sapeva cosa fare, come tirarsi fuori da questo pasticcio. Si guardò intorno imbarazzata, accennò appena un sorriso, fingendo che tutto andasse bene, e pensando che forse, se avesse esitato abbastanza ad unirsi alle danze, tutti avrebbero lasciato correre, ignorandola.

Ma non fu così. Ogni persona presente continuava a guardare, aspettare, specie chi, come lei, abitava a Stars Hollow e sapeva bene quello che c’era stato tra lei e Jess. Abbassò la testa sempre più imbarazzata, sempre più immersa nei suoi pensieri, sempre più distratta, tanto da non accorgersi di lui.

Alzò lo sguardo e lo vide, che postole di fronte la fissava e le porgeva la mano.

“Jess…”
“Andiamo” disse deciso e in modo pacato.

Posò la mano sulla sua timidamente, sfiorandola appena con le dita,
si lasciò condurre sulla pista senza staccare lo sguardo da lui nemmeno una volta,
poi, giunti di fianco Luke e Lorelai,
Jess si voltò, guardò Rory e si avvicinò a lei.

Sentì la sua mano leggera sulla schiena, e gli occhi fissi nei suoi.

Iniziarono a ballare, seguire le musica inconsciamente, come se quella per loro, fosse la cosa più naturale del mondo, e con la venuta degli altri invitanti, che pian piano si unirono a loro, l’imbarazzo iniziale sembrò sparire.

Sembrò.

“Grazie” gli disse con filo di voce
“E’ solo un ballo” le rispose
“Ma potevi andartene” replicò “Uscire dalla sala e lasciarmi qui mentre tutti mi fissavano in preda alla vergogna”
“Non è mia abitudine umiliare le persone, tanto meno le donne”
“Sai cosa voglio dire” affermò abbassando lo sguardo.
“E’ il matrimonio di Luke. Credevi forse avrei rovinato anche solo un attimo di questa giornata?”
“No” rispose subito “So che non l’ avresti fatto”
“E allora perché sembri stupita?”
“Perché, insomma, noi…” esitò “A New York tu…”
“Era una situazione diversa” le spiegò deciso e con tono stranamente indifferente “Qui non c’entriamo noi due, ma Luke e tua madre.”
“Quindi è per loro?” prese fiato “E’ per loro che fai tutto questo?”

Lo vide sorridere appena, volgendo lo sguardo altrove, scuotendo la testa come se quasi si aspettasse una domanda del genere,
o avesse sperato fino all’ ultimo non gli fosse rivolta.

“Cosa c’è da ridere?”
“Niente” continuò “Per un momento mi è sembrato quasi di sentirti delusa, e questo mi ha fatto sorridere”
“Delusa?” ripeté “La mia era solo una domanda”
“Beh ti ho riposto quando ho detto che qui non c’entriamo noi due”
“D’accordo” disse seccata “Allora possiamo anche smetterla con questa farsa” continuò “Abbiamo accontentato tutti, non c’è bisogno di continuare” disse scostandosi leggermente.
“Appena la canzone sarà finita” rispose stringendola di nuovo.
“Perché lo fai?” chiese adirata.
“Perché è divertente”
“No, non lo è”
“Può darsi” disse annuendo col capo “Ma se ora te ne vai, attirerai l’ attenzione di tutti” le spiegò “E visto che io sono qui a ballare con te, il vecchio Jess, il cattivo ragazzo che ti ha lasciata tre anni fa, tutti penseranno che ho detto, fatto o alluso qualcosa. Quindi in qualche modo, seppur indirettamente, avrò rovinato il primo ballo di nozze di mio zio, e come ti ho spiegato, non è mia intenzione farlo.” concluse.
“Sei bravo con le parole” disse con un filo di voce appena percettibile.
“Sono la mia specialità. Dovesti saperlo” la provocò
“Ah si” sorrise “certo”
“Non hai letto il mio libro forse?”
“Solo per sbaglio” disse “Non l’ ho trovato così eccezionale” mentì.
“Ed era per dirmi questo, che ti ho trovata in fila di fronte a me in libreria due settimane fa?”
“Esatto”
“Avresti potuto farlo allora, invece di fuggire” continuò “Tanti chilometri per niente” disse ironico
“Smettila, non fa ridere”
“Secondo me si” la contraddì
“Se hai qualcosa da dirmi, allora fallo” lo incitò “Smettila di girarci intorno”
“Mi piacerebbe parlare con te” le rispose continuando a rimanere sempre estremamente calmo “Ma come ho detto” disse scostandosi da lei e lasciandole poi piano la mano “Era solo un ballo, e la canzone è finita” Fece un gesto col capo, in segno di saluto. Poi volgendole un ultimo sguardo, si voltò e lentamente, senza attirare l’ attenzione, come aveva voluto fin dall’ inizio, e lasciò la sala, e Rory ancora ferma a fissarlo.


“…È lì, quando ti svegli al mattino,
apri gli occhi sentendo già il sole riscaldare la stanza,
sperando che quella a cui vai incontro sia una giornata diversa,
promettente,
in cui finalmente concluderai qualcosa di buono.

Sofferenza.

Un’ agonia continua,
costante, che strazia ogni parte di te e alla quale non riesci a dare una spiegazione,
per la quale, pur sforzandoti, non trovi una risposta.

Andare avanti ora dopo ora,
sperando solo di tornare a casa la sera con la forza necessaria a sopportare quel peso opprimente che quasi ti toglie il respiro.

E non capisci perché, non vuoi capire il perché…

E poi tutto si fa chiaro,
all' improvviso, inspiegabilmente, inevitabilmente,
troppo, tanto da far paura.
Basta un gesto,
una parola,
il ricordo delle sue ditra intrecciate alla tue, a mettere tutto in discussione.”


Edited by Pheebe - 29/9/2005, 22:00
 
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Pheebe
view post Posted on 31/10/2005, 20:02




Prima di postare il capitolo numero cinque di questa FF tormentata, ma che mi accorgo di amare ogni volta di più, credo siano doverose le mie scuse. unsure.gif Ho impeghiato davvero tantissimo tempo a riordinare le idee e mettere tutto scritto, e di questo mi dispiace. Ancora adesso non sono del tutto sicura del risultato, probabilmente perchè vorrei riuscire ad esprimere ogni scena, emozione e parola proprio come nella mia testa, ma sebbene mi sforzi, non ci riesco mai, quindi mi auguro almeno di farvi provare qualcosa in un modo o nell' altro. ph34r.gif Ringraziamento speciale ai Coldplay; che siano benedetti insieme a tutte le canzoni che hanno scritto, cantato e registrato! rolleyes.gif Senza il loro ultimo disco non ce l'avrei mai fatta, e di questo glie ne sarò infinitamente grata per sempre. tongue.gif Detto ciò, spero che il capitolo vi piaccia, o che cmq non vi deluda in alcun modo. Buona Lettura cool.gif



"We can't pretend to be perfect"

Quando la serata fu conclusa,
rimase ancora un po’ per salutare gli ospiti, e tutti quelle che avevano festeggiato con lei il matrimonio di sua madre.

Lorelai e Luke erano scappati via poco dopo il taglio della torta, la luna di miele li aspettava, e lei non era riuscita a rifiutare alla madre il piccolo favore di salutare tutti al suo posto.

Quando ogni invitato fu andato via, rimase ancora un po’ da sola a camminare per la sala buia e ormai silenziosa. Sciolse i capelli e tolse le scarpe, quei tacchi la stavano facendo impazzire; aveva sperato di potersene liberare subito dopo la cerimonia, ma una damigella scalza non sarebbe stata proprio il massimo della sobrietà.

Aveva finalmente deciso di andare a casa, quando, tornando nella sala principale per prendere il cappotto, si accorse che pur essendone convinta, non era sola.

Rimase attonita quando lo vide seduto ad uno dei tavoli centrali. Aveva tra le mani una delle solite sigarette, e poggiata sul tavolo, una bottiglia.

Gli si avvicinò quasi inconsciamente, e appena giunta al tavolo, iniziò a fissarlo senza riuscire a dire una sola parola.

“Hai intenzione di stare lì a fissarmi ancora per molto tempo?” le chiese interrompendo il silenzio. Sembrava seccato, o comunque diverso dall’ ultima volta in cui gli aveva parlato. Forse era vero. Aveva solo finto di essere gentile.

Forse l’ odiava.

“Che ci fai qui?” gli chiese.

Lo vide alzare la mano che stringeva la sigaretta, come per “mostrarle” cosa stava facendo, risponderle senza però bisogno di dire nulla.

“Fumi…” Era ovvio fumasse, ma qualcosa doveva pur dire…sarebbe stato troppo strano stare lì in silenzio.
“Perspicace” disse freddamente lui.
“A quanto pare hai buttato via la maschera e sei tornato ad essere il vecchio Jess”
“Già, eccomi qui” rispose con distacco “Vuoi darmi il bentornato?”
“Posso sapere perché ti comporti in questo modo?”
“Mi comporto come sempre” disse con sguardo freddo ma provocatorio. Portò la sigaretta alle labbra ed inspirò leggermente. La guardò per un istante poi buttò fuori il fumo dalla bocca.
“Sei scortese” affermò lei incrociando le braccia.
“Lo sono sempre stato”
“Cinico forse” lo corresse “Ma mai scortese, o maleducato” si fermò un secondo “Almeno non con me”
“Oh scusami” gli sentì dire con un sorriso sul volto “Magari ti aspettavi un inchino… vuoi che mi prostri ai tuoi piedi tenendo la testa bassa finché non dici che posso alzarmi?”
“Non sei spiritoso”
“Beh pazienza, non si può pretendere d’ essere perfetti”

E così un sorriso.
Non poté evitarlo, non poté trattenerlo né voltarsi per non attirare la sua attenzione.


Strano.

Rileggendo le pagine scritte finora, mi sono appena accorto che il tema principale di tutto sembra essere il rimpianto, ed è una cosa bizzarra, perché non credevo davvero ci fossero tante cose per le quali provare rammarico o dispiacere. Per lo più mi illudevo, quando ho iniziato a buttare giù queste pagine, che tutto ruotasse intorno alla rabbia, la frustrazione, o il mio sentirmi a disagio di fronte a pensieri che non riesco a scacciare dalla testa nonostante il trascorrere dei giorni, mesi… È frustrante, e decisamente non so se sarò mai in grado di accettare tutto quello che in questo momento credo d’ aver capito. Probabilmente non mi va affatto di accettarlo, anche perché questo comporterebbe una serie di ragionamenti e conclusioni che non penso proprio d’ essere in grado d’affrontare adesso, non ora, non in questa caffetteria mentre uno gruppo di ragazzini canta una strana filastrocca che mi fa venire il mal di testa.

Sono irrazionale? Si. Incoerente? Sicuramente, ma in tutta onestà adesso, con tutti i pensieri e le supposizioni che mi girano nella mente, e che temo dovrò ammettere siano reali, non mi va di essere un modello di logicità, non mi va nemmeno di essere lucido in questo preciso istante, e se questo a qualcuno non sta bene… beh, che vada al diavolo! Infondo non si può pretendere d’essere perfetti…



Quella era una delle frasi che più amava del suo libro, una frase che più di una volta si era ritrovata a ripetere, a se stessa, nei momenti di maggior sconforto, o rabbia.

“Per essere un tipo poco spiritoso, sembra riesca a farti ridere parecchio” le fece notare poi lui, interrompendo il flusso di pensieri che l’ aveva rapita.
“Non sei tu, ma quello che hai detto…”
“Non si può pretendere d’essere perfetti?” le chiese.
“Si”
“Ed è una cosa che ti fa ridere?”
“Non sto ridendo, ma sorridendo. C’ è differenza”
“Ridere o sorridere, questo è il problema” ironizzò poi.

L’ osservò spegnere la sigaretta, premendola sul fondo del portacenere, poi i suoi occhi iniziarono a fissarla, scrutare ogni parte di lei, sfidarla forse a uno gioco in cui Rory sapeva di non aver speranze di vittoria, e infatti, lei, abbassò dopo poco lo sguardo, fissando una delle sedie, sospirando mentre con una mano segnava la linea dello schienale.

“Il capitolo cinque” disse poi lui attirando la sua attenzione.
“Come?”
“Non si può pretendere d’ essere perfetti” citò “…è la frase conclusiva del capitolo cinque”
“Lo so” disse con un filo di voce.
“Per essere una che l’ ha letto per sbaglio, ricordi un po’ troppe cose del mio libro, non credi?”
“Per essere uno a cui non interessa il giudizio altrui, dai troppo credito a ciò che ti viene detto”
“Sei sempre una lettrice”
“Oh si, certo”

Una lettrice… probabilmente per lui era solo questo ormai.
Tutto le parole dette, le cose fatte… era troppo per tornare indietro, troppo per andare avanti.
Si ritrovò a mordersi le labbra, e giocherellare nervosamente con le dita sullo schienale della sedia ferma di fronte al suo corpo. Perché pensava quelle cose? Perché nonostante tutto ciò che credeva aver capito, superato, lui era sempre l’unico che non riusciva a cancellare? A farla sentire come si sentiva?

“Siediti dai” le disse improvvisamente. Ma lei non riusciva a capire, si sentiva strana e diffidente, e non era convinta che accettare il suo invito fosse la cosa giusta. Poi osservò Jess farle segno con la mano.

“Vuoi che ti sposti la sedia per caso?” le chiese sarcastico
“Non sarebbe male” gli rispose “Ma non mi aspetto nulla di così galante” continuò punzecchiandolo, spostando la sedia.
“Così mi ferisci”
“Non credevo bastasse così poco per ferirti” continuò accavallando leggermente le gambe e poggiando le mani ai bordi del sedia.
“Ho un animo sensibile, anche se non si direbbe” proseguì ironico
“Ed è per dirmi questo che mi hai invitata a sedermi?”
“Perché hai di meglio da fare?”
“Potrebbe essere” gli rispose voltando il viso e distogliendo lo sguardo dal suo.
“Ma non è così”
“E cosa te lo fa credere?” chiese stizzita dalla sua sicurezza.
“Il fatto che sei ancora qui”

Giorni, mesi, o anni… Che importanza poteva avere il tempo? Le cose tra loro non sarebbero mai cambiate. Lui la conosceva, e capiva meglio di chiunque altro, era vero, inutile fingere di non esserne cosciente, inutile fuggire dalla realtà, dai sentimenti, dai mille pensieri che l’assalivano in quel momento, e che erano comunque così chiari…

“Allora” disse appoggiando i gomiti al tavolo “…visto che ti stai annoiando, rendiamo la conversazione più interessante e dimmi cosa pensi davvero”
“Che penso riguardo a cosa?”
“Al mio libro”
“Te, il tuo libro” continuò lei con aria seccata “Sei diventato egocentrico”
“Io egocentrico e tu bugiarda” assentì “Una bella coppia”
“Cosa ti fa credere che sia bugiarda?”
“Oltre al fatto che hai detto di non aver trovato il mio libro eccezionale e ne ricordi invece ogni frase?”
“Una frase” lo corresse
“Continui ad essere bugiarda vedi?”
“E tu presuntuoso”
“Sono solo sicuro di ciò che dico”
“Troppo sicuro”
“Può essere” disse annuendo. Appoggiò le spalle allo schiena e infilò le mani in tasca fissandola “Ma non si può pretendere d’ essere perfetti” continuò infine.

Non capiva dove volesse arrivare. Umiliarla? Costringerla ad ammettere che lui, Jess, il cattivo ragazzo che aveva avuto sempre tutti contro, era riuscito in qualcosa, mentre lei aveva fallito?
No, questi erano i “suoi” pensieri, quelli che l’avevano assillata dal primo momento che l’ aveva incontrato, visto seduto in quella libreria a NY, a godere del proprio successo, degli obbiettivi raggiunti nonostante le difficoltà.

“Come ci riesci?” domandò improvvisamente.
“Come riesco in cosa?” chiese lui confuso.
“Ad essere quello che sei” spiegò guardandolo “Sicuro, e convinto di ciò che vuoi…”
“Non sono poi così convinto, né sicuro…”
“Invece si” lo contraddì “E non parlo solo di ora, tu sei sempre stato così” continuò “Ora lasci che anche gli altri riescano a guardarti, ma tu sei sempre stato sicuro di ciò che saresti diventato, di ciò che avresti fatto, e non ti sei fermato di fronte a niente, perché altrimenti non saresti dove sei ora.”
“Io non sono nessuno, e non ho niente” le rispose “Niente che tutti non possa avere”
“Io…”
“Tu cosa?”
“Io non sono come te” disse con un filo di voce, mentre già sentiva le lacrime pungerle gli occhi.

Aveva giocato col fuoco, e si era avvicinata troppo in fretta, senza essere certa d’ essere pronta e forte tanto da non cedere alle emozioni.

Adesso era tardi, e non poteva tornare indietro.

Jess la guardò un secondo senza dire nulla, come se sapesse qualcosa che nemmeno lui riusciva a realizzare, ma che lo spinse a rimanere in silenzio, a non pronunciare una sola parola finché non fosse stato certo che lei era pronta.

“Tu sei meglio di me” le disse poi.
“Ah” sorrise appena “Che assurdità” continuò “Io non sono meglio di nessuno, non sono… nemmeno capace di capire cosa voglio, chi sono”
“Tu sai chi sei” disse deciso appoggiando nuovamente i gomiti al tavolo, e incrociando le braccia su di esso.
“No, io non lo so, tu, non lo sai”
“Io lo so invece” disse sicuro, come se davvero sapesse di cosa stava parlando “Forse non conosco ogni particolare della tua vita, ma so certamente chi sei.” Continuò annuendo appena col capo “… l’unica che mi ha dato una possibilità quando nessuno si fidava di me, l’ unica che è andata oltre le apparenze e ha provato a vedere qualcos’altro oltre al mio brutto carattere, il cinismo, le battutine ironiche.”
“Ma…” tentò di interromperlo
“Niente ma Rory” la fermò “Io so chi sei, e non perché “tu” mi hai permesso di capirlo, o perché ho la presunzione di credere di conoscere tutto di te” spiegò “…ma perché quello che tu sei, si vede ad occhio nudo.”

Un sorriso, e poi una lacrima. Non poté fermarla, né volle provarci perché la fece sentire viva, libera di provare ed esprimersi, capace davvero d’ essere quella che sapeva di voler essere ma che non trovava il coraggio di diventare.

“Non so come fare” confessò
“Lo capirai.” La rassicurò annuendo “Se ci sono riuscito io, puoi farlo sicuramente anche tu”
“E se non ci riesco?”
“Allora scriverò qualcosa a riguardo” scherzò
“Ah ah” sillabò “Divertente” continuò sorridendo

Lo vide sorriderle, e in quel momento capì di non averlo mai odiato davvero, mai escluso totalmente dalla propria mente. Nei momenti tristi, o in quelli felici, lui era sempre stato con lei.

“Mi dispiace” gli disse poi “Per te e me” spiegò “Per quello che…”
“Non voglio parlare di questo” affermò abbassando la testa e fissando le braccia ancora incrociate le une sulle altre.
“D’accordo” assentì lei annuendo e abbassando a sua volta lo sguardo.

Per quella sera aveva fatto abbastanza per lei, darle anche la possibilità di pulirsi la coscienza e non sentirsi in colpa per quello che era successo tra loro, sarebbe stato troppo.

“Grazie” gli disse infine
“Non ho fatto niente” rispose alzando gli occhi dal tavolo fino a guardarla di nuovo.

Rory sorrise un attimo, colpita dal fatto che ancora non fosse cosciente di quello che riusciva a fare per lei ogni volta, delle certezze e le difese che faceva crollare quando la guardava.

“Lo hai fatto comunque benissimo…” gli rispose poi fissandolo appena.

I suoi occhi quasi certamente erano lucidi, le guance rosse e bagnate dalle lacrime che inconsciamente continuava a versare senza che potesse fermarle, o controllarle.

Forse tutto quello che lui aveva detto era stata una bugia, tutto ciò che aveva fatto, solo un susseguirsi di gesti gentili e involontari dettati dalla pena che probabilmente gli aveva suscitato, ma infondo, anche se questo fosse stato vero non avrebbe avuto importanza, non sarebbe significato nulla.

Lei sorrideva, e si sentiva serena, con un’ idea più o meno chiara in testa di ciò che avrebbe dovuto fare; se anche gli fosse sembrata una stupida in quel momento, una ragazza banale che si lascia incantare da frasi fatte e di circostanza, non avrebbe avuto importanza, infondo, al diavolo! Non si può pretendere d’ essere perfetti…

Edited by Pheebe - 31/10/2005, 20:13
 
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Pheebe
view post Posted on 2/12/2005, 23:08




Eccomi qui, di nuovo, dopo più di un mese, con un nuovo capitolo di On Your Way. ph34r.gif Non straparlerò molto questa volta, anche perchè come al solito non sono convinta del capitolo, ma ormai non posso farci niente sleep.gif credo d'essere condannata a sentirmi sempre così ogni volta quinidi... alien.gif Eccolo. L'ho riscritto almeno 10 volte...ma meglio proprio non mi viene...spero sia di vostro gradimento. unsure.gif

ph34r.gif


"Her, always and only..."

Camminò velocemente lungo il corridoio tenendo i libri schiacciati contro il petto, una penna tra le labbra e sistemando tentoni la borsa a tracolla, ben attenta ad evitare gli spintoni di chi, come lei, era in ritardo a causa di una sveglia impazzita, o troppo concentrato su un libro da terminare entro la giornata, annotazioni da scrivere, documenti da consegnare…

Le era mancata l’aria del campus, tanto caotica ed impegnata da dover necessariamente organizzare ogni minuto. Le sembrava di nuovo d’avere una vita quasi regolare, sotto controllo, senza la possibilità né tanto meno la voglia di perdere altro tempo a rimuginare sugli errori fatti, le incertezze e i pensieri che l’avevano bloccata nei mesi precedenti, e che adesso sembravano lontani, come se non le fossero mai appartenuti. Era diventata un’altra; una persona che non riusciva a riconoscere, che non le piaceva e che se avesse incontrato, probabilmente, avrebbe compatito.

Finalmente ora sembrava tutto passato: i pensieri erano di nuovo lucidi, le preoccupazioni sparite, i sorrisi tornati ad illuminarle il viso.

Corse furiosamente per non arrivare in ritardo, a lezione già cominciata. Era una cosa che odiava, entrare in classe, quando già tutti erano seduti intenti a seguire una lettura, o scrivere appunti; evitò un gruppo di ragazze appartenenti ad una di quelle assurde confraternite femminili in cui per la maggior parte del tempo, si passava a discutere di trucchi e acconciature, passandosi a vicenda lo smalto e raccontando i particolari piccanti degli appuntamenti del week-end. Rallentò appena l’andamento passando vicino ad un gruppo d’insegnanti, accelerando subito dopo, scorgendo la fine del corridoio e quindi il raggiungimento della meta. Voltò l’angolo in tutta fretta, assaporando già il dolce gusto della vittoria contro il tempo, quando un urto improvviso la fece cadere a terra, mandando in frantume ogni suo sforzo.

“Ahi” disse subito dopo l’impatto col pavimento. Aprì a scatti le palpebre, ancora dolorante a causa del colpo, stordita, quasi confusa tanto da non riconoscere la sua voce, gli occhi fissi sul viso, l’espressione divertita eppure stupita per averla incontrata a quel modo.

“Ehi” si sentì dire.
“Logan” continuò stupita eppure seccata d’averlo incontrato; da quando era tornata al college era stata ben attenta ad evitarlo, o comunque, a non rimanere sola con lui in alcun posto dove avrebbero poi dovuto parlare del loro rapporto, una situazione che più volte Logan aveva definito “lasciata in sospeso”. Alzò gli occhi distrattamente, appoggiando le mani a terra e raccogliendo frettolosamente i libri che le erano caduti.
“Ti sei fatta male scheggia?” le chiese.
“No, no” rispose scuotendo la testa, alzandosi dal pavimento “Scusa, correvo perché sono in ritardo”
“In ritardo per cosa?” domandò seguendola una volta che, rialzata da terra, aveva ripreso a camminare.
“Una lezione”
“Una lezione” ripeté annuendo.
“Si esatto” confermò scocciata dal fatto che la stesse seguendo.
“Non ti spiace se ti accompagno vero?”
“Non devo andare in Tibet, la classe è dietro l’angolo”
“Potresti comunque incontrare tipi sospetti”
“L’unico tipo sospetto qui sei tu”
“Beh, io amo essere sospetto e misterioso”
“Io non amo essere seguita però” l’informò mentre una smorfia le si formava in viso.
“Rory” la fermò prendendole un braccio.
“Cosa vuoi?”
“Non riuscirai ad evitarmi per sempre”
“Io non voglio evitarti per sempre” gli spiegò sorridendo sarcasticamente “Solo finché non mi sarò laureata” disse liberandosi dalla presa al braccio ed entrando in classe, sperando sinceramente che non la seguisse anche lì, che la lasciasse in pace, libera dalle continue pressioni che le metteva addosso, e che quella mattina non aveva la forza di sopportare.

Entrò nell’ aula guardandosi sbadatamente intorno; il Professor Klyne non era ancora arrivato, quindi lei aveva il tutto tempo di scegliere un posto in tranquillità. Camminò tra le sedie lentamente, salì i gradini e si sistemò in una delle ultime file poste in fondo alla classe.

“Silenzio” sentì urlare all’improvviso. Alzò appena lo sguardo per accertarsi del fatto che la lezione stava per cominciare davvero, e che non si trattava solo di una stupida imitazione fatta per ingannare l’attesa. Osservò il professore avvicinarsi alla cattedra velocemente, sfogliare dei fogli, dare disposizione ad alcuni assistenti e confabulare qua e là con persone che non aveva mai visto.
“Ma che succede?” chiese una ragazza lì vicina.
“Non so” rispose l’amica al suo fianco tamburellando nervosamente la matita sulla superficie del banco.

Si voltò di nuovo verso la cattedra, per tentare di capire il motivo di tale confusione, e quel mormorio che iniziava ad innervosirla. Raccolse la borsa dal pavimento, prendendo il blocco degli appunti, un paio di libri e una penna.

“Silenzio ho detto” sentì urlare di nuovo “Non ci sarà lezione stamattina” continuò “Non tenuta da me ad ogni modo” spiegò il professore intanto che un gruppo di ragazzi sistemavano delle poltrone dietro il lungo tavolo di legno. “Questa visita era ancora in forse, per questo non siete stati avvisati di nulla, se mi concedete lo stesso un minuto di silenzio sarò felice di spiegarvi cosa sta succedendo” s’ interruppe poi, nell’attesa che nemmeno un sospiro si librasse in aria.

“Bene” riprese incrociando le braccia “Fino a stamattina non sapevamo se il nostro ospite avrebbe potuto o no, presentarsi qui da noi, è molto impegnato nonostante la giovane età e la carriera letteraria appena agli inizi. So che molti di voi conoscono già il suo racconto, un breve racconto” specificò “Che secondo molti, me compreso, è uno dei migliori testi pubblicati negli ultimi anni”.

Osservò, e ascoltò in silenzio le parole che si levavano tra le pareti dell’aula; una sensazione d’ansia iniziò ad aleggiarle intorno, mentre mille pensieri le offuscavano la mente. Volse lo sguardo verso la porta, attirata da due uomini in abito scuro che parlavano, discutendo con una terza persona oltre la parete che non riusciva ad intravedere, pur sforzandosi, sporgendosi in avanti facendo leva sui gomiti.

“Ehi” si sentì dire, quasi bisbigliando alle spalle. Si voltò di scatto, impaurita da quella voce che l’ aveva fatta sobbalzare nel caos dei pensieri che l’ ossessionavano.
“Ehi” disse volgendo di nuovo lo sguardo d’avanti a se.
“Vieni, devo parlarti”
“C’è una lezione” gli fece notare seccata.
“No, non c’è”
“Logan” lo rimproverò.
“Avanti scheggia, andiamo” la pregò “Solo dieci minuti”
“Ho detto di no” ripeté osservando un leggero movimento intorno al professore, e non riuscendo a capire cosa stava succedendo a causa dei continui sussurri che Logan le ripeteva all’orecchio. Scosse la testa infastidita tentando di concentrarsi. “Siediti da qualche parte, o chiamami più tardi” gli disse sbadatamente sperando la smettesse di distrarla.

Distolse gli occhi dal viso di Logan, che quasi divertito continuava a stuzzicarla, forse convinto del fatto che l’ avrebbe convinta ad alzarsi, e fare ciò che voleva se avesse insistito abbastanza. Cercò di concentrarsi, estraniando la sua voce dalle altre, mentre un’espressione pallida si formava in volto, sorpresa, ma piacevolmente colpita nel vederlo lì, nella sua classe, nella sua università. Era diverso dall’ultima volta che si erano incontrati, un aspetto sicuramente più vissuto, adulto forse, e anche un po’ stanco, con un accenno di barbetta sul viso che non faceva altro che renderlo ancora più affascinante.

L’ osservò avanzare sicuro verso la scrivania dopo aver fatto cenno ad un uomo che continuava a seguirlo ovunque, ostinandosi a bisbigliargli qualcosa all’orecchio. Appoggiò un mazzo di chiavi e un libro, sfilato dalla tasca posteriore dei jeans, sulla superficie di legno lucido, poi levò la giacca gettandola distrattamente su una poltrona, e iniziò a parlare di qualcosa con l’uomo alto, appena più adulto, e dall’aspetto familiare; probabilmente era lo stesso che aveva visto a NY quella volta…

“Lui è Jess Mariano” disse il professore dopo aver stretto la mano a Jess, ora in piedi, al suo fianco “Ed è l’autore di ‘On Your Way’”.

Un brusio confuso si levò intorno, mentre continuava a fissarlo con gli occhi sgranati e un sorriso sempre più evidente in viso. L’ osservò fare un cenno col capo aspettando che gli animi si calmassero prima di dire qualcosa; lo conosceva, sapeva che probabilmente stava odiando quel momento, e lì per lì non riuscì a capire perché avesse accettato di fare una cosa come quella. Probabilmente vi era stato costretto, o forse non era più quello di una volta, il vecchio e scontroso Jess…

“Fate silenzio” urlò il professor Klyne, e subito le voci divennero sussurri che sparirono in un attimo. “Il Signor Mariano è qui per rispondere alle vostre domande, e non per sentire questo chiasso!” continuò, mentre Jess abbassava il viso sorridendo appena per l’assurdità di quella situazione. “Prima di cominciare” riprese “…è bene che sappiate che non saranno ammesse domande di carattere personale. Questa è un’università, non un centro di gossip, quindi tenetelo a mente, e porgete al Signor Mariano domande concerni il suo lavoro non la sua vita privata.” Finì poi voltandosi verso Jess, dicendogli qualcosa sottovoce e allontanandosi verso la porta, uscendo.

Jess lo segui con lo sguardo, e quasi sospirò sollevato una volta che fu sparito dietro l’uscio. Alzò appena le maniche sulle braccia e si sedette sul tavolo fissando la classe per un attimo con le mani incrociate, spostando lo sguardo da destra a sinistra, dal basso verso l’altro, fino a lei, i suoi occhi, gli unici sui quali si soffermò. La guardò sorpreso per un attimo senza dire nulla, o fare altro se non sorriderle.

“Bene” disse all’improvviso per distogliere tutti da quel senso di curiosità che li aveva colpiti vedendolo fissarla, e che stava spingendoli a voltarsi verso di lei “Prima di iniziare con le domande, vi presento il mio editore” continuò muovendo appena un braccio verso l’uomo in abito scuro che lo aveva seguito come un’ombra da quando era entrato in quella classe, come se temesse fuggisse, scavalcando una finestra, o facesse qualcosa di insolito e bizzarro. Aveva un aspetto inquietante all’apparenza, ma anche buffo se osservato attentamente, tanto da notare le fugaci occhiate che lanciava a Jess qualche volta, sicura magri, che nessuno potesse notarlo. “Lui è il folle che ha pubblicato il mio libro, Robert Voide” affermò dandogli una leggera pacca sulla spalla. Robert sorrise, poi guardò Jess come se volesse fulminarlo in quell’istante, e si allontanò verso la porta, chiamato da un uomo sconosciuto. Sembravano tutti molto impegnati ed attenti.

“Non lasciatevi ingannare dal suo aspetto” disse Jess sottovoce “E’ più divertente di quanto sembri” ironizzò osservando poi tutti sorridere più rilassati. Era strano vedere Jess sotto quell’aspetto; sembrava tranquillo, a proprio agio, come se quella per lui fosse la cosa più naturale del mondo. “Bene” affermò chiudendo le mani le une nelle altre, intrecciando appena le dita “Prima di cominciare mi sembra doveroso chiedere quanti di voi hanno letto il mio libro” assentì guardando tutti in silenzio “Nessuno?” chiese osservando poi quasi tutti alzare la mano in segno d’assenso. “Perfetto” continuò “Non sono certo qui per fare un monologo” ironizzò. “Cominciamo allora” li incitò. Restò in silenzio per un minuto aspettando che qualcuno parlasse, o facesse una domanda più o meno intelligente, ma nessuno sembrava intenzionato ad aprire bocca.

“Avanti” l’incoraggiò scuotendo la testa “Non mordo ve l’assicuro”
“Io…” disse timidamente una ragazza alzando di poco la mano.
“Lei?”
“Avrei una domanda”
“Bene, sentiamola” continuò incrociando le braccia.
“Alla fine del primo capitolo” tentennò “C’è una frase, un verso tratto da una poesia di Bukowski”
“Si” annuì lui.
“A quali altri autori si è ispirato mentre scriveva, o anche pensava alla storia?”
“Tutti e nessuno” rispose appoggiando le mani alla superficie del tavolo “Mi sono ritrovato a scrivere questa storia per caso, senza pensarci, né pianificarla, quindi non mi sono messo a tavolino sfogliando libri e decidendo lì per lì quali sarebbero gli autori a cui mi sarei ispirato.” Spiegò “Penso che tutti i libri che ho letto, abbiano comunque formato ed influito sul mio stile, ma quelle citazioni non sono state premeditate, e messe lì di proposito”
“Quindi sta dicendo che mentre scriveva non pensava, né faceva riferimento a nessun autore?” chiese un ragazzo sedutogli di fronte.
“Se mi fossi lasciato influenzare di proposito da un particolare scrittore, come Kerouac, o lo stesso Bukowski” spiegò “…avrei finito solo col tentare, fallendo miseramente, di imitarli, e non era certo quello che volevo fare” affermò guardandosi intorno, e incitando un altro ragazzo a parlare dopo aver visto la sua mano alzata.
“La storia è inventata?” domandò.
“In parte” disse subito “Mi sono ispirato anche ad avvenimenti reali.”
“Vissuti da lei in prima persona, o…?”
“Si” gli confermò.
“Quindi ha voluto raccontare la sua storia in un certo senso?”
“No, il racconto non parla di me, né del protagonista o una qualunque altra persona in carne ed ossa” spiegò “Il libro vuol raccontare soprattutto un’idea” continuò scendendo dalla cattedra ed iniziando a camminare avanti e indietro, gesticolando appena con una mano che poi rimetteva prontamente in tasca “Il protagonista, Russell, è quel tipo di persona che tutti credono di capire al primo sguardo, la prima parola” affermò scuotendo la testa “Nessuno si sofferma mai davvero ad osservare, tentando di comprendere una particolare sfumatura del suo carattere, o l’espressione del suo viso di fronte qualcosa che lo sconvolge, ma alla presenza della quale fa di tutto per restare fermo ed impassibile” s’interruppe un momento prendendo fiato “Quello che volevo fare, era riuscire in qualche modo ad esprimere il suo disagio di fronte al mondo; i suoi sentimenti, e l’amarezza che prova ogni volta che qualcuno gli parla convinto di sapere tutto, ma senza conoscere niente del suo passato, di ciò che ha provato al rifiuto di sua madre, o di suo padre” spiegò fermandosi poi vicino il bordo della scrivania. Appoggiò le mani ai margini, alzando poi le spalle per un secondo. “A queste persone non importa davvero di lui” disse convinto “Vogliono solo sentirsi meglio per poter poi dire a tutti ‘Ehi, io ho provato a farlo ragionare ’, e sentirsi così con la coscienza pulita”
“Questo finché non incontra Jane” affermò una ragazza poco distante da lui, seduta nelle file centrali, sulla destra.
“Si esatto” le confermò “Jane gli mostra per la prima volta una prospettiva diversa, permettendogli di vederla però attraverso i propri occhi, e non forzandolo a capire qualcosa che non lui non conosce” disse volgendole lo sguardo per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare. Aveva sentito i suoi occhi addosso per tutto il tempo, mentre parlava e camminava su e giù per la stanza nella bieca speranza di mantenere i nervi sotto controllo, ben attento a non lasciarsi andare ad alcun sorriso, o cenno involontario. “Lei diventa per lui la cosa più importante” riprese dopo un momento d’esitazione, un attimo in cui aveva pensato velocemente a quel che sarebbe stato giusto dire, senza esporsi o cedere di nuovo a quelle emozioni che da tempo ormai non sentiva più pulsargli dentro.
“Se è così” intervenne un altro “Allora perché non ci pensa due volte prima di partire?” domandò incerto incrociando le braccia sul banco. “Jane è l’unica a credergli, l’unica che cerca in ogni modo di capirlo e stargli vicino come meglio può” continuò guardando Jess negli occhi “Perché la lascia senza una parola, se per lui Jane è così importante?”
“Perché lui non sa come dirle addio” disse Rory ad un tratto, velocemente, senza dare a Jess il tempo di rispondere.
“Lei crede?” le domandò poi incuriosito da quell’improvviso intervento; in tutta sincerità non credeva nemmeno avrebbe avuto il coraggio d’aprire bocca.
“Si” gli confermò annuendo “Lei è diventata tanto importante per Russell” riprese dopo un secondo “Che dirle addio, sarebbe stato come rendere quel distacco reale” spiegò “E lui non aveva la forza di sopportare anche questo, sentire addosso il suo sguardo in cui temeva avrebbe letto lo stesso odio che era abituato a ricevere da tutti, ma che da lei, lo avrebbe ucciso”.
“Ma ciò non toglie che si comporti da vigliacco” intervenne bruscamente una ragazza seduta un paio di file avanti Rory. “Lei cerca sempre di stargli vicino” continuò “Il minimo che poteva fare Russell, era salutarla, o darle anche la più stupide della spiegazioni”
“Jane non cerca sempre di capire Russell” la contraddì “Lei è troppo ingenua e forse anche presa da se, per accorgersi che qualcosa sta cambiando e che ciò che prova Russell, sebbene sia innamorata di lui, è una cosa che non potrà mai comprendere davvero.”
“Io non credo che Jane sia presa da sé” disse Jess guardandola in viso per un attimo. “Penso anzi, che lei cerchi di star vicino a Russell come meglio può, finché lui glie lo permette”
“Può darsi” aggiunse Rory abbassando appena lo sguardo “Ma io credo comunque che sia lei ad allontanarlo ad un certo punto” continuò poi guardandolo, mentre la fissava “Lei continua a non capirlo mai davvero, ad addossargli colpe non sue, tanto da credere quasi d’essere nel giusto a trattarlo in quel modo” affermò, sentendo il cuore batterle forte nelle orecchie, assordante, incontrollabile. “Può darsi che sia lui a lasciarla” disse con voce tremula “Ma è lei a tradirlo davvero”

S’interruppe un attimo strofinando le dita le une sulle altre finché la pelle non divenne rossa, ed iniziò a bruciarle appena, pizzicarle, come le lacrime che sentiva vicine, troppo vicine. Lottò contro se stessa, per non cedere a quell’improvvisa ondata di tristezza, eppure coscienza, che l’aveva assalita; non poteva arrendersi proprio adesso, ora che tutti gli sguardi erano su di lei, che tutti la guardavano in attesa di chissà cosa… Ora che lui la guardava…

“Non è così” si sentì dire all’ improvviso. Alzò gli occhi lucidi verso Jess, appoggiato alla scrivania con le mani nelle tasche anteriori dei jeans e una gamba incrociata appena sull’ altra. “Lui meritava le sue parole” continuò fissandola “Lei aveva rischiato tutto, si era messa in discussione più e più volte solo per stargli vicino, e questo lui non è stato in grado di capirlo” affermò “Anche quando è andato da lei, è stato un egoista perché voleva solo dimostrare a se stesso di essere cambiato, strappandola dal suo mondo, dalla sua famiglia, dagli affetti che l’avevano consolata quando lui l’aveva lasciata in lacrime” concluse fermandosi per un attimo. Abbassò la testa mordendosi di poco il labbro inferiore, facendo una smorfia e scuotendo di poco la testa prima di rialzare lo sguardo “Non è stata colpa di Jane” aggiunse in un soffio, perdendosi per un secondo nel blu dei suoi occhi.

La fissò un istante prima di voltarsi ed ascoltare altre domande, affermazioni che non gli interessavano, ma alle quali continuò a prestare attenzione non alzando più lo sguardo verso Rory nemmeno per errore. Se l’ avesse fatto, avrebbe visto il suo sorriso, la lacrima che le rigava la guancia, scomparsa poi dietro il tocco leggero delle dita sul viso. Se si fosse voltato verso di lei ancora una volta, avrebbe probabilmente continuato a fissarla non riuscendo a proferire più parola, incantato dal suo sguardo e l’espressione dolce del viso, osservando il quale avrebbe riconosciuto lei, la ragazza che ricordava, l’unica che riusciva a farlo sorridere nonostante l’amarezza, la sola che desiderava proteggere e rassicurare malgrado la rabbia che ancora provava qualche volta.

Lei, sempre e solo lei.

Edited by Pheebe - 3/12/2005, 15:47
 
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Pheebe
view post Posted on 7/2/2006, 21:19




Finalmente ce l'ho fatta! Cavolo sono passati due mesi, ed ammetto d'aver temuto di non riuscire a continuare la ff un paio di volte, poi però ci sono riuscita, e non smetterò mai, mai, mai, mai di scusarmi. Spero potrete T.U.T.T.I. perdonare questo ritardo S.T.R.A.T.O.S.F.E.R.I.C.O., per il quale davvero non ho giustificazioni. Ero bloccata, e chiedo ancora sinceramente scusa a tutti quelli che leggono la ff e che hanno aspettato il capitolo più che pazientemente. Appunto per questo ora chiudo questa specie d'introduzione e non vi faccio perdere altro tempo. Spero ovviamente che il capitolo vi piaccia, e che non deluda le vostre aspettative, se però non sarà così, vi concedo pure la lapidazione nella sezione commenti. Sopporterò in silenzio insulti ed oggetti lanciati contro lo schermo. tongue.gif



"On your way, always"

Sagome distorte si levavano leggere dal bordo della tazza, fino ai suoi occhi, danzandole leggere davanti al viso inebriato dal dolce aroma del caffé.

Sospirò appena, sperando che quel lieve respiro potesse aiutarla, liberandola dall’ansia, l’angoscia, eppure l’eccitazione di quel attimo che con ogni forza cercava di controllare.

Era uscita dall’aula quasi correndo quando Jess aveva smesso di parlare, ed il professor Klyne era rientrato in classe avvisandoli che la “lezione” era finita. Aveva camminato incessantemente per qualche minuto, sentendo il battiti impazziti nel petto e voci confuse e contrastanti nella mente.

“Fermati, e torna indietro” le diceva una, “Corri più veloce” le gridava poi l’altra, troppo forte ed insistente perché riuscisse ad ignorarla.

Probabilmente avrebbe fatto meglio a comportarsi in modo adulto e razionale, avvicinandosi a lui, ed ignorando gli sguardi e i pettegolezzi che si sarebbero levati tra le mura dell’aula non appena gli avrebbe rivolto la parola.
Immaginò nella sua mente la scena; il modo goffo in cui gli si sarebbe andata incontro scendendo i gradini lentamente, l’espressione di lui quando, voltandosi, se la sarebbe trovata di fronte imbarazzata ed ancora incerta su cosa dire, i suoi occhi profondi, lo sguardo accigliato e poi sorridente, la lieve fossetta sul viso ogni volta che accennava una risata.

Posò una mano sulla fronte, strofinando appena il palmo sulla pelle ed avanzando ancora di qualche passo mentre ripeteva a se stessa d’aver sbagliato, e che quelle che continuavano ad affollarle la mente erano solo scuse che sperava potessero farla star meglio, liberandola dal rimpianto che sapeva l’avrebbe ossessionata una volta tornata in camera.
Il destino le aveva offerto un’altra possibilità, un’occasione di riscatto sfruttando la quale le sarebbe stato possibile dargli un’altra immagine di sé, diversa, migliore di quella che probabilmente aveva avuto l’ultima volta che si erano incontrati, eppure l’aveva sprecata.

“Stupida” continuava a ripeterle la voce che poco prima le aveva suggerito di non scappare. “Stupida” replicò in un soffio mentre, ormai stanca di camminare, si avvicinava ad una panchina poco distante dai dormitori.

Appoggiò la mano libera allo schienale in ferro, gettando poi distrattamente la borsa al suo fianco dopo essersi seduta. Strinse forte tra le mani la tazza di caffé nero e bollente, avvertendo subito una piacevole sensazione di calore estendersi dalla punta delle dita, lungo le mani esili ed infreddolite dalla brezza invernale.
Avvicinò il bordo della tazza al viso, lasciando che il profumo del caffé la inebriasse, ed inumidendosi di poco le labbra prima di berne un sorso. Chiuse gli occhi quasi sospirando, concentrandosi unicamente sulla sensazione di benessere che provava in quel momento, e che sperò, se non di conservare, almeno di ricordare per qualche ora.

Quando rialzò lo sguardo era più calma, o almeno s’illuse, convincendo poi se stessa che quella era la verità.

Se c’era una cosa che aveva imparato in quei mesi, oltre all’inutilità di rimuginare, rimpiangere e perder tempo a disperarsi per qualcosa che non si può cambiare, era che, lavorandoci su abbastanza, poteva convincersi di qualsiasi cosa, almeno per un po’.
Poteva convincersi d’aver il controllo su tutto ciò che la terrorizzava; di stare bene, anche quando un senso d’angoscia sembrava divorarla; d’essere totalmente ed assolutamente felice di quella che era la sua vita, e poteva convincersi d’aver dimenticato il ragazzo triste della sua adolescenza, anche quando gli si trovava di fronte e tutto le gridava che non era vero.

Sollevò le spalle tirando indietro la testa, e, sentendo il vento accarezzarle il viso, si convinse quasi che niente fosse successo, di essere forte tanto da sapere andare avanti anche dopo averlo rivisto, anche dopo le parole che aveva detto e che, chissà per quale motivo, le avevano fatto credere che forse avrebbero potuto dimenticare tutto ciò ch’era andato storto tra loro.

Sbuffò, stanca di ritrovare nella propria mente le solite illusioni, quelle che l’accompagnavano di notte e la facevano star male anche più della verità. Allungò una mano verso la borsa, afferrando la tracolla con le dita e sorseggiando lentamente il caffé prima di sollevare lo sguardo e vederlo lì, immobile, a pochi metri da lei.

Si fermò all’istante come se improvvisamente si fosse ritrovata schiacciata contro una parete invisibile. Guardò a destra, poi a sinistra in ricerca di qualcosa o qualcuno che magari anche stavolta le avrebbe dato la possibilità di scivolare fuori da una situazione che sapeva l’avrebbe travolta se non fosse scappata via. Esitò per un secondo, l’unico che sapeva potersi permettere, poi scorgendo il suo sorriso, stralunò gli occhi e con gesto rapido ed agile tanto da far invidia a un giocoliere, si voltò sistemando la borsa a tracolla, ed avanzò qualche passo velocemente in direzione opposta a quella di lui.

Tenne il volto girato di poco verso destra in modo da riuscire a cogliere movimenti sospetti alle spalle, e capire quindi che l’aveva seguita, maledicendosi poi perché non era stata abbastanza veloce o abile nel prendere strade che gli sarebbero state difficili da percorrere.

Evitare Logan, le prime settimane dopo il suo ritorno al college, era stato semplice; lo conosceva abbastanza bene, e quindi le bastava evitare, o anche semplicemente aggirare i posti dove sapeva sarebbe stato inevitabile rimanere a contatto con lui. Certo era strano, ed anche stancante, quel continuo scappare, correre e guardarsi le spalle, ma lei proprio non ce la faceva ad affrontare ogni volta lo stesso discorso, ripetendo poi all’infinito che non era colpa sua se le cose tra loro non avevano funzionato. Ed era vero, non era colpa di Logan se la loro storia era finita, ma solo colpa sua, delle sensazioni che provava ogni volta che gli stava vicino, così lontane dal sentirsi bene, e tanto simili invece ad un continuo bisogno d’approvazione.

Non voleva ferirlo, ma ricordare ogni volta che lo vedeva, la riportava indietro nel tempo, e lei non voleva più sentirsi in quel modo.

Procedette a passo svelto senza fermarsi né pensarci su più di tanto, continuando a cercare con la coda dell’occhio, qualcuno alle sue spalle, finché la sua corsa non fu stroncata da un altro muro, stavolta reale, saldo e ben visibile. Sobbalzò indietro di un passo attenta a non cadere, ma rovesciando quasi interamente il caffé che per un attimo aveva sperato di poter gustare una volta evitato l’ennesimo agguato.

“Dannazione” imprecò abbassando la testa, vedendo il bicchiere rotolare a terra e cercando poi di capire se la bevanda l’era caduta addosso.

Scrutò i jeans con attenzione, passando la mano sulle gambe per percepire al tatto ciò che agli occhi poteva sfuggire. Niente, e sospirò sollevata pensando che non avrebbe dovuto lottare anche contro macchie di caffé sui jeans quel fine settimana. Sollevò lo sguardo quasi sorridendo per la fortuna che sembrava l’avesse improvvisamente illuminata, poi di nuovo quel viso, quegli occhi, di nuovo quel modo di fare che tanto le mancava, perché semplice, spontaneo, semplicemente suo.

“Jess” sibilò, sentendo le guance in fiamme e la gola secca. “Oddio scusami” disse mortificata notando che la manica della sua giacca non aveva avuto la stessa fortuna dei pantaloni. “Scusami, non ti ho visto” continuò quasi balbettando mentre lo vedeva tentare di ripulirsi in qualche modo, e sentiva poi la voce del suo editore alle spalle.
“Jess” disse avvicinandosi a lui, e guardandolo poi come per accertarsi che l’impatto non avesse danneggiato altro che la giacca.
“Sto bene” rispose dopo un attimo. Rialzò gli occhi verso Rory, accennando un sorriso e socchiudendo le labbra come per pronunciare qualcosa, forse un saluto, quando notò ancora Robert intento a scrutargli le spalle, le braccia… “La smetti di fissarmi?” chiese con tono appena seccato, sfilandosi l’indumento macchiato di dosso.
“Sto solo tentando d’accertare la tua incolumità” gli rispose prontamente spostando lo sguardo dal petto alle spalle di Jess.
“Ti sembro fatto di cristallo?” domandò scuotendo la testa, contrariato dal fatto che lo stesse ancora osservando. “E’ solo caffé” spiegò stringendo tra le mani la giacca. “E’ solo caffé?” chiese poi a Rory sospettoso.
“Si, certo” annuì lei prontamente. “Mi dispiace molto, non stavo guardando”
“Stia più attenta la prossima volta” le suggerì Robert.
“Ha ragione, io…”
“Ehi basta” s’intromise Jess “Non è successo niente. Questa è solo una giacca” assentì scuotendo la mano in cui stringeva l’indumento “…e tu la smetti di fissarmi per favore?” chiese ancora a Robert seccamente, aprendo le braccia e facendo un passo indietro.
“Si okay” annuì “Visto che stai bene, muoviti” l’incitò “Abbiamo da fare questo pomeriggio” gli ricordò alzando appena la manica e guardando l’orologio.
“Sei uno schiavista” assentì ironicamente “Vai avanti, ti raggiungo subito”
“D’accordo” acconsentì prendendo il cellulare dalla tasca della giacca “Ma sbrigati” lo sollecitò ancora, portando il telefono all’orecchio ed accennando un saluto per Rory prima di allontanarsi.

L’osservò procedere speditamente verso uno dei parcheggi del campus, parlando al cellulare e gesticolando di poco alzando il tono della voce. Probabilmente aveva appena iniziato un discussione, e sorrise pensando che quello strano tipo, tanto preciso e diligente, fosse proprio l’editore di Jess, la sua guida, il punto di riferimento per quella che era la sua carriera adesso.

Già, Jess era un scrittore, quasi lo dimenticava a volte.

“Scusalo” riprese Jess dopo un minuto in cui l’aveva osservata in silenzio, tanto assorta nei suoi pensieri. “Non è poi così terribile” aggiunse scuotendo la testa.
“Sembra un tipo impegnato” disse lei sorridendo.
“Oh si” annuì “S’impegna molto per farmi impazzire” spiegò inarcando un sopracciglio ed abbassando lo sguardo. “Piuttosto, prima ti sei fatta male?” riprese allungando di poco il braccio verso di lei.
“No, no” rispose scuotendo la testa “Anzi scusami ancora, devo aver iniziato a correre senza accorgermene”
“L’ ho notato” disse sorridendo “Mi hai praticamente investito”
“Lo so” continuò mortificata.
“Ti citerò per danni” scherzò infilando la mano libera in una delle tasche anteriori dei pantaloni.
“Aspetterò la lettera del tuo avvocato, insieme al conto della tintoria”
“Oh certo” sorrise “Ti manderò anche quello” confermò abbassando appena la testa “E perché correvi? In ritardo per qualcosa?” chiese subito dopo, deciso a non lasciare che il silenzio né l’imbarazzo s’insinuasse tra loro rovinando quel momento tanto piacevole.
“No, no” scosse la testa “Solo, c’era una persona che…” spiegò voltandosi per tentare d’individuare Logan, senza però riuscirci. Era sparito chissà dove, e quasi ebbe paura di vederlo sbucare da dietro un cespuglio con l’intento di prenderle alla sprovvista. Guardò a destra, poi oltre un piccolo gruppo di ragazzi poco distanti non riuscendo però ad identificarlo.

Chissà, magari aveva rinunciato al proposito di pedinarla per quel pomeriggio…

“Una persona che…?” le domandò Jess incerto, notando il modo sospettoso con cui si guardava intorno.
“Nessuno d’importante” spiegò scuotendo la testa “Tu piuttosto, Jess Mariano che tiene un seminario a Yale, non l’avrei mai immaginato” ammise sorridendo.
“Ah lascia perdere, non è stata un mia idea” disse crucciando appena la fronte, rabbrividendo quasi al ricordo di ciò a cui era stato “costretto”.
“Sospettavo non lo fosse stata”
“Non mi piace parlare in pubblico” affermò scrollando le spalle “Ma Rob dice che è una buona pubblicità, quindi mi ci ha praticamente trascinato”
“Infatti ho notato il modo in cui ti guardava” ammise non potendo fare a meno di sorridere. “Come se fosse pronto in ogni momento a bloccare una tua fuga”
“Ho pensato di scappare dalla finestra un paio di volte, ma poi ho pensato che mi avrebbe seguito, e lui ormai ha una certa età, non lo volevo sulla coscienza” disse sorridendo, alzando le spalle e guardandola poi per un attimo.

Sentì la sua risata entrargli nella testa, osservò gli occhi appena lucidi a causa del vento, e subito fu come tornare indietro, quando ogni cosa gli sembrava perfetta anche se procedeva nel verso sbagliato. La guardò in silenzio spostare i capelli dal viso, alzare di poco le spalle, tentando di proteggersi dal freddo, perché la maglietta che indossava probabilmente era troppo leggera per ripararla dalla brezza invernale di cui l’aria era ormai satura.

Pensò fosse assurdo stare lì a fissarla come se non l’avesse mai guardata prima, infondo era la stessa ragazza, quella che aveva conosciuto, quella che l’aveva fatto sorridere e che poi aveva rincorso, amato ed anche odiato qualche volta; forse era questo il problema. Se anche per un attimo, il suo viso gli era sembrato nuovo, era pur sempre lei, di nuovo lei, e per quasto ebbe quasi l’impulso di scappare via, perché di fronte alla sua Rory, quella che di lui sapeva tutto anche senza averlo mai veramente conosciuto, non avrebbe avuto possibilità di scelta.

Pensieri, pensieri, troppi e troppo in fretta nella mente. Si ritrovò confuso, disorientato senza riuscire a ritrovare la strada che sembrava aver smarrito, quella che lo avrebbe riportato alla ragione, probabilmente lontano da quella strana sensazione che ogni volta lo colpiva quando c’era lei a guardarlo.

“Si è fatto tardi” disse d’un tratto fingendo quasi di guardare l’ora. “Rob mi starà aspettando”
“Si, certo” annuì lei, provando in qualche modo a controllare i muscoli del viso così che Jess non capisse la voglia che aveva di continuare a stare con lui.

Era cosciente del fatto che doveva andare, lo sapeva, eppure sentiva dentro il desiderio di trattenerlo, prendergli la mano e dirgli qualcosa, qualunque cosa, che le avrebbe concesso anche solo un minuto, l’ultimo da passare insieme. Tuttavia, sebbene sentisse di nuovo quella voce nella testa che le diceva di fermarlo, non riuscì a fare un passo, né a proferire parola.

“Allora vado” ripeté Jess dopo un secondo. “E’ stato bello rivederti” ammise sorridendo mentre già con un passo, si allontanava da lei.

L’osservò farle un cenno con la mano, e poi avanzare, seguendo la stessa direzione che prima Robert aveva imboccato.
Schiuse di poco le labbra tentando più volte di dire qualcosa, ed ammettere magari che anche per lei era stato bello vederlo, parlargli, guardarlo negli occhi e non leggere odio, disapprovazione, né pena. Mosse un piede in avanti per poi strisciare subito indietro, mentre la sagoma di Jess diventava più piccola ad ogni passo.

L’aveva fatto di nuovo, ancora una volta aveva sbagliato tutto, sprecando l’ennesima occasione, forse l’ultima, che il destino le aveva concesso.

“Stupida, stupida, stupida” ripeté a se stessa, non distogliendo lo sguardo da lui nemmeno un attimo, evitando di respirare quasi, nell’assurda convinzione che forse in quel modo il tempo avrebbe potuto fermarsi, dandole la possibilità di riflettere.

“Stupida, fermalo” replicò decisa a se stessa, mentre si convinceva del fatto che non potevano essere coincidenze, che non poteva, né doveva essere solo il caso a spingerlo ogni volta nella sua vita.

“Jess” lo chiamò senza più pensarci, facendo qualche passo verso di lui già pronta a corrergli dietro qualora non l’avesse sentita. “Aspetta” disse, mentre l’osservava rallentare e voltarsi quasi immediatamente, come se infondo anche lui avesse considerato la possibilità di tornare indietro, mantenendo il passo adagio così da poter pensare.

“Cosa?” le chiese con aria sorpresa, quasi non riuscisse a credere che realmente gli era andata dietro.
“Io mi chiedevo se magari potevamo vederci, o anche solo sentirci qualche volta” disse d’un fiato per non permettere alla parte razionale di se stessa di prendere il sopravvento su quell’improvviso slancio di coraggio e pazzia. “Mi è piaciuto parlare con te” ammise dopo un secondo “Mi piace sempre parlare con te” precisò “E quindi pensavo che forse, se non è un problema, cioè, se non hai troppi impegni, magari potevamo incontrarci, e fare qualcosa insieme” disse senza respirare, permettendo solo dopo all’aria di entrarle nei polmoni, ed interrompere così il flusso di parole che, chissà come, era riuscita a mettere insieme.

Lo guardò respirando a fatica e, forse per l’agitazione o per altro che in quel momento non era capace di decifrare, realizzò di non riuscire bene a mettere a fuoco l’espressione del suo viso. Era enigmatica, un punto interrogativo che pur osservando bene, non riuscì ad interpretare.

“D’accordo, lascia stare” riprese prima che potesse risponderle. “Sicuramente avrai tante cose da fare, e non ti sarà possibile distrarti, lo capisco” annuì senza accorgersi di stare straparlando. “Non preoccuparti, davvero” annuì abbozzando un sorriso, preparandosi già a chiudersi in camera e soffocare tra i cuscini per il troppo imbarazzo.
“Hai da fare stasera?” le domandò sorridendo non appena capì d’avere finalmente la possibilità d’interrompere il suo delirio.
“Come?” chiese stordita, non del tutto certa d’aver capito ciò che le aveva detto.
“Stasera” ripeté “Sei impegnata?”
“Non credo” rispose in un soffio, scuotendo appena la testa.
“Bene, allora passo verso le otto okay?”
“Le otto?”
“Se non va bene posso…”
“Certo, no, le otto vanno benissimo” assentì decisa, pronta a mordersi la lingua qualora avesse parlato troppo.
“Bene” sorrise annuendo. La fissò per un secondo compiaciuto, come se quell’improvviso slancio da parte di Rory, l’avesse sorpreso eppure piacevolmente colpito. E poi quel flusso incontrollato di parole, quel modo impacciato di guardarsi attorno, le guance arrossate, le dita strofinate a forza le une sulle altre…
“Ora vado” aggiunse dopo un attimo, piegando appena il braccio in direzione del parcheggio. “Ci vediamo più tardi” continuò indietreggiando di poco, senza però darle le spalle, e sorridendo ancora riconoscendo nella ragazza che gli stava di fronte, di nuovo quella luce, quell’espressione dolce e leggermente imbarazzata che sapeva dipingerle il viso solo quando si trovava davvero a fare i conti con i suoi sentimenti; qualcosa di nuovo ed esaltante che non credeva di poter gestire e che donava al suo volto una bagliore irresistibile dal quale era impossibile non sentirsi attratti.

Era sempre lei, nonostante gli anni e le difficoltà, nonostante gli errori, le parole dette e poi taciute. Era lei, e lui infondo era lo stesso malgrado i cambiamenti e i passi che si era illuso l’avessero allontanato dal suo ricordo.

Le lanciò un ultimo sguardo prima di sorriderle e voltarsi, dandole le spalle ormai cosciente d’essere di nuovo in quel punto, lo stesso che pensava di poter evitare ormai, ma verso il quale si accorse d’aver sempre camminato. Ed ora, che n’era cosciente, sapeva di non avere più quella famosa possibilità di tirarsi indietro, perché sebbene si sforzasse di evitarla, in un modo o nell’altro le loro strade sembravano destinate ad incrociarsi all’infinito, portandolo ogni volta più vicino, ogni volta sugli stessi passi, i suoi, quelli di sempre, quelli che poteva sperare di fare in maniera diversa, ma che sapeva l’avrebbero condotto comunque nello stesso posto, comunque da lei.

Edited by Pheebe - 7/2/2006, 22:17
 
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