Finalmente ce l'ho fatta! Cavolo sono passati due mesi, ed ammetto d'aver temuto di non riuscire a continuare la ff un paio di volte, poi però ci sono riuscita, e non smetterò mai, mai, mai, mai di scusarmi. Spero potrete T.U.T.T.I. perdonare questo ritardo S.T.R.A.T.O.S.F.E.R.I.C.O., per il quale davvero non ho giustificazioni. Ero bloccata, e chiedo ancora sinceramente scusa a tutti quelli che leggono la ff e che hanno aspettato il capitolo più che pazientemente. Appunto per questo ora chiudo questa specie d'introduzione e non vi faccio perdere altro tempo. Spero ovviamente che il capitolo vi piaccia, e che non deluda le vostre aspettative, se però non sarà così, vi concedo pure la lapidazione nella sezione commenti. Sopporterò in silenzio insulti ed oggetti lanciati contro lo schermo.
"On your way, always"Sagome distorte si levavano leggere dal bordo della tazza, fino ai suoi occhi, danzandole leggere davanti al viso inebriato dal dolce aroma del caffé.
Sospirò appena, sperando che quel lieve respiro potesse aiutarla, liberandola dall’ansia, l’angoscia, eppure l’eccitazione di quel attimo che con ogni forza cercava di controllare.
Era uscita dall’aula quasi correndo quando Jess aveva smesso di parlare, ed il professor Klyne era rientrato in classe avvisandoli che la “lezione” era finita. Aveva camminato incessantemente per qualche minuto, sentendo il battiti impazziti nel petto e voci confuse e contrastanti nella mente.
“Fermati, e torna indietro” le diceva una, “Corri più veloce” le gridava poi l’altra, troppo forte ed insistente perché riuscisse ad ignorarla.
Probabilmente avrebbe fatto meglio a comportarsi in modo adulto e razionale, avvicinandosi a lui, ed ignorando gli sguardi e i pettegolezzi che si sarebbero levati tra le mura dell’aula non appena gli avrebbe rivolto la parola.
Immaginò nella sua mente la scena; il modo goffo in cui gli si sarebbe andata incontro scendendo i gradini lentamente, l’espressione di lui quando, voltandosi, se la sarebbe trovata di fronte imbarazzata ed ancora incerta su cosa dire, i suoi occhi profondi, lo sguardo accigliato e poi sorridente, la lieve fossetta sul viso ogni volta che accennava una risata.
Posò una mano sulla fronte, strofinando appena il palmo sulla pelle ed avanzando ancora di qualche passo mentre ripeteva a se stessa d’aver sbagliato, e che quelle che continuavano ad affollarle la mente erano solo scuse che sperava potessero farla star meglio, liberandola dal rimpianto che sapeva l’avrebbe ossessionata una volta tornata in camera.
Il destino le aveva offerto un’altra possibilità, un’occasione di riscatto sfruttando la quale le sarebbe stato possibile dargli un’altra immagine di sé, diversa, migliore di quella che probabilmente aveva avuto l’ultima volta che si erano incontrati, eppure l’aveva sprecata.
“Stupida” continuava a ripeterle la voce che poco prima le aveva suggerito di non scappare. “Stupida” replicò in un soffio mentre, ormai stanca di camminare, si avvicinava ad una panchina poco distante dai dormitori.
Appoggiò la mano libera allo schienale in ferro, gettando poi distrattamente la borsa al suo fianco dopo essersi seduta. Strinse forte tra le mani la tazza di caffé nero e bollente, avvertendo subito una piacevole sensazione di calore estendersi dalla punta delle dita, lungo le mani esili ed infreddolite dalla brezza invernale.
Avvicinò il bordo della tazza al viso, lasciando che il profumo del caffé la inebriasse, ed inumidendosi di poco le labbra prima di berne un sorso. Chiuse gli occhi quasi sospirando, concentrandosi unicamente sulla sensazione di benessere che provava in quel momento, e che sperò, se non di conservare, almeno di ricordare per qualche ora.
Quando rialzò lo sguardo era più calma, o almeno s’illuse, convincendo poi se stessa che quella era la verità.
Se c’era una cosa che aveva imparato in quei mesi, oltre all’inutilità di rimuginare, rimpiangere e perder tempo a disperarsi per qualcosa che non si può cambiare, era che, lavorandoci su abbastanza, poteva convincersi di qualsiasi cosa, almeno per un po’.
Poteva convincersi d’aver il controllo su tutto ciò che la terrorizzava; di stare bene, anche quando un senso d’angoscia sembrava divorarla; d’essere totalmente ed assolutamente felice di quella che era la sua vita, e poteva convincersi d’aver dimenticato il ragazzo triste della sua adolescenza, anche quando gli si trovava di fronte e tutto le gridava che non era vero.
Sollevò le spalle tirando indietro la testa, e, sentendo il vento accarezzarle il viso, si convinse quasi che niente fosse successo, di essere forte tanto da sapere andare avanti anche dopo averlo rivisto, anche dopo le parole che aveva detto e che, chissà per quale motivo, le avevano fatto credere che forse avrebbero potuto dimenticare tutto ciò ch’era andato storto tra loro.
Sbuffò, stanca di ritrovare nella propria mente le solite illusioni, quelle che l’accompagnavano di notte e la facevano star male anche più della verità. Allungò una mano verso la borsa, afferrando la tracolla con le dita e sorseggiando lentamente il caffé prima di sollevare lo sguardo e vederlo lì, immobile, a pochi metri da lei.
Si fermò all’istante come se improvvisamente si fosse ritrovata schiacciata contro una parete invisibile. Guardò a destra, poi a sinistra in ricerca di qualcosa o qualcuno che magari anche stavolta le avrebbe dato la possibilità di scivolare fuori da una situazione che sapeva l’avrebbe travolta se non fosse scappata via. Esitò per un secondo, l’unico che sapeva potersi permettere, poi scorgendo il suo sorriso, stralunò gli occhi e con gesto rapido ed agile tanto da far invidia a un giocoliere, si voltò sistemando la borsa a tracolla, ed avanzò qualche passo velocemente in direzione opposta a quella di lui.
Tenne il volto girato di poco verso destra in modo da riuscire a cogliere movimenti sospetti alle spalle, e capire quindi che l’aveva seguita, maledicendosi poi perché non era stata abbastanza veloce o abile nel prendere strade che gli sarebbero state difficili da percorrere.
Evitare Logan, le prime settimane dopo il suo ritorno al college, era stato semplice; lo conosceva abbastanza bene, e quindi le bastava evitare, o anche semplicemente aggirare i posti dove sapeva sarebbe stato inevitabile rimanere a contatto con lui. Certo era strano, ed anche stancante, quel continuo scappare, correre e guardarsi le spalle, ma lei proprio non ce la faceva ad affrontare ogni volta lo stesso discorso, ripetendo poi all’infinito che non era colpa sua se le cose tra loro non avevano funzionato. Ed era vero, non era colpa di Logan se la loro storia era finita, ma solo colpa sua, delle sensazioni che provava ogni volta che gli stava vicino, così lontane dal sentirsi bene, e tanto simili invece ad un continuo bisogno d’approvazione.
Non voleva ferirlo, ma ricordare ogni volta che lo vedeva, la riportava indietro nel tempo, e lei non voleva più sentirsi in quel modo.
Procedette a passo svelto senza fermarsi né pensarci su più di tanto, continuando a cercare con la coda dell’occhio, qualcuno alle sue spalle, finché la sua corsa non fu stroncata da un altro muro, stavolta reale, saldo e ben visibile. Sobbalzò indietro di un passo attenta a non cadere, ma rovesciando quasi interamente il caffé che per un attimo aveva sperato di poter gustare una volta evitato l’ennesimo agguato.
“Dannazione” imprecò abbassando la testa, vedendo il bicchiere rotolare a terra e cercando poi di capire se la bevanda l’era caduta addosso.
Scrutò i jeans con attenzione, passando la mano sulle gambe per percepire al tatto ciò che agli occhi poteva sfuggire. Niente, e sospirò sollevata pensando che non avrebbe dovuto lottare anche contro macchie di caffé sui jeans quel fine settimana. Sollevò lo sguardo quasi sorridendo per la fortuna che sembrava l’avesse improvvisamente illuminata, poi di nuovo quel viso, quegli occhi, di nuovo quel modo di fare che tanto le mancava, perché semplice, spontaneo, semplicemente suo.
“Jess” sibilò, sentendo le guance in fiamme e la gola secca. “Oddio scusami” disse mortificata notando che la manica della sua giacca non aveva avuto la stessa fortuna dei pantaloni. “Scusami, non ti ho visto” continuò quasi balbettando mentre lo vedeva tentare di ripulirsi in qualche modo, e sentiva poi la voce del suo editore alle spalle.
“Jess” disse avvicinandosi a lui, e guardandolo poi come per accertarsi che l’impatto non avesse danneggiato altro che la giacca.
“Sto bene” rispose dopo un attimo. Rialzò gli occhi verso Rory, accennando un sorriso e socchiudendo le labbra come per pronunciare qualcosa, forse un saluto, quando notò ancora Robert intento a scrutargli le spalle, le braccia… “La smetti di fissarmi?” chiese con tono appena seccato, sfilandosi l’indumento macchiato di dosso.
“Sto solo tentando d’accertare la tua incolumità” gli rispose prontamente spostando lo sguardo dal petto alle spalle di Jess.
“Ti sembro fatto di cristallo?” domandò scuotendo la testa, contrariato dal fatto che lo stesse ancora osservando. “E’ solo caffé” spiegò stringendo tra le mani la giacca. “E’ solo caffé?” chiese poi a Rory sospettoso.
“Si, certo” annuì lei prontamente. “Mi dispiace molto, non stavo guardando”
“Stia più attenta la prossima volta” le suggerì Robert.
“Ha ragione, io…”
“Ehi basta” s’intromise Jess “Non è successo niente. Questa è solo una giacca” assentì scuotendo la mano in cui stringeva l’indumento “…e tu la smetti di fissarmi per favore?” chiese ancora a Robert seccamente, aprendo le braccia e facendo un passo indietro.
“Si okay” annuì “Visto che stai bene, muoviti” l’incitò “Abbiamo da fare questo pomeriggio” gli ricordò alzando appena la manica e guardando l’orologio.
“Sei uno schiavista” assentì ironicamente “Vai avanti, ti raggiungo subito”
“D’accordo” acconsentì prendendo il cellulare dalla tasca della giacca “Ma sbrigati” lo sollecitò ancora, portando il telefono all’orecchio ed accennando un saluto per Rory prima di allontanarsi.
L’osservò procedere speditamente verso uno dei parcheggi del campus, parlando al cellulare e gesticolando di poco alzando il tono della voce. Probabilmente aveva appena iniziato un discussione, e sorrise pensando che quello strano tipo, tanto preciso e diligente, fosse proprio l’editore di Jess, la sua guida, il punto di riferimento per quella che era la sua carriera adesso.
Già, Jess era un scrittore, quasi lo dimenticava a volte.
“Scusalo” riprese Jess dopo un minuto in cui l’aveva osservata in silenzio, tanto assorta nei suoi pensieri. “Non è poi così terribile” aggiunse scuotendo la testa.
“Sembra un tipo impegnato” disse lei sorridendo.
“Oh si” annuì “S’impegna molto per farmi impazzire” spiegò inarcando un sopracciglio ed abbassando lo sguardo. “Piuttosto, prima ti sei fatta male?” riprese allungando di poco il braccio verso di lei.
“No, no” rispose scuotendo la testa “Anzi scusami ancora, devo aver iniziato a correre senza accorgermene”
“L’ ho notato” disse sorridendo “Mi hai praticamente investito”
“Lo so” continuò mortificata.
“Ti citerò per danni” scherzò infilando la mano libera in una delle tasche anteriori dei pantaloni.
“Aspetterò la lettera del tuo avvocato, insieme al conto della tintoria”
“Oh certo” sorrise “Ti manderò anche quello” confermò abbassando appena la testa “E perché correvi? In ritardo per qualcosa?” chiese subito dopo, deciso a non lasciare che il silenzio né l’imbarazzo s’insinuasse tra loro rovinando quel momento tanto piacevole.
“No, no” scosse la testa “Solo, c’era una persona che…” spiegò voltandosi per tentare d’individuare Logan, senza però riuscirci. Era sparito chissà dove, e quasi ebbe paura di vederlo sbucare da dietro un cespuglio con l’intento di prenderle alla sprovvista. Guardò a destra, poi oltre un piccolo gruppo di ragazzi poco distanti non riuscendo però ad identificarlo.
Chissà, magari aveva rinunciato al proposito di pedinarla per quel pomeriggio…
“Una persona che…?” le domandò Jess incerto, notando il modo sospettoso con cui si guardava intorno.
“Nessuno d’importante” spiegò scuotendo la testa “Tu piuttosto, Jess Mariano che tiene un seminario a Yale, non l’avrei mai immaginato” ammise sorridendo.
“Ah lascia perdere, non è stata un mia idea” disse crucciando appena la fronte, rabbrividendo quasi al ricordo di ciò a cui era stato “costretto”.
“Sospettavo non lo fosse stata”
“Non mi piace parlare in pubblico” affermò scrollando le spalle “Ma Rob dice che è una buona pubblicità, quindi mi ci ha praticamente trascinato”
“Infatti ho notato il modo in cui ti guardava” ammise non potendo fare a meno di sorridere. “Come se fosse pronto in ogni momento a bloccare una tua fuga”
“Ho pensato di scappare dalla finestra un paio di volte, ma poi ho pensato che mi avrebbe seguito, e lui ormai ha una certa età, non lo volevo sulla coscienza” disse sorridendo, alzando le spalle e guardandola poi per un attimo.
Sentì la sua risata entrargli nella testa, osservò gli occhi appena lucidi a causa del vento, e subito fu come tornare indietro, quando ogni cosa gli sembrava perfetta anche se procedeva nel verso sbagliato. La guardò in silenzio spostare i capelli dal viso, alzare di poco le spalle, tentando di proteggersi dal freddo, perché la maglietta che indossava probabilmente era troppo leggera per ripararla dalla brezza invernale di cui l’aria era ormai satura.
Pensò fosse assurdo stare lì a fissarla come se non l’avesse mai guardata prima, infondo era la stessa ragazza, quella che aveva conosciuto, quella che l’aveva fatto sorridere e che poi aveva rincorso, amato ed anche odiato qualche volta; forse era questo il problema. Se anche per un attimo, il suo viso gli era sembrato nuovo, era pur sempre lei, di nuovo lei, e per quasto ebbe quasi l’impulso di scappare via, perché di fronte alla sua Rory, quella che di lui sapeva tutto anche senza averlo mai veramente conosciuto, non avrebbe avuto possibilità di scelta.
Pensieri, pensieri, troppi e troppo in fretta nella mente. Si ritrovò confuso, disorientato senza riuscire a ritrovare la strada che sembrava aver smarrito, quella che lo avrebbe riportato alla ragione, probabilmente lontano da quella strana sensazione che ogni volta lo colpiva quando c’era lei a guardarlo.
“Si è fatto tardi” disse d’un tratto fingendo quasi di guardare l’ora. “Rob mi starà aspettando”
“Si, certo” annuì lei, provando in qualche modo a controllare i muscoli del viso così che Jess non capisse la voglia che aveva di continuare a stare con lui.
Era cosciente del fatto che doveva andare, lo sapeva, eppure sentiva dentro il desiderio di trattenerlo, prendergli la mano e dirgli qualcosa, qualunque cosa, che le avrebbe concesso anche solo un minuto, l’ultimo da passare insieme. Tuttavia, sebbene sentisse di nuovo quella voce nella testa che le diceva di fermarlo, non riuscì a fare un passo, né a proferire parola.
“Allora vado” ripeté Jess dopo un secondo. “E’ stato bello rivederti” ammise sorridendo mentre già con un passo, si allontanava da lei.
L’osservò farle un cenno con la mano, e poi avanzare, seguendo la stessa direzione che prima Robert aveva imboccato.
Schiuse di poco le labbra tentando più volte di dire qualcosa, ed ammettere magari che anche per lei era stato bello vederlo, parlargli, guardarlo negli occhi e non leggere odio, disapprovazione, né pena. Mosse un piede in avanti per poi strisciare subito indietro, mentre la sagoma di Jess diventava più piccola ad ogni passo.
L’aveva fatto di nuovo, ancora una volta aveva sbagliato tutto, sprecando l’ennesima occasione, forse l’ultima, che il destino le aveva concesso.
“Stupida, stupida, stupida” ripeté a se stessa, non distogliendo lo sguardo da lui nemmeno un attimo, evitando di respirare quasi, nell’assurda convinzione che forse in quel modo il tempo avrebbe potuto fermarsi, dandole la possibilità di riflettere.
“Stupida, fermalo” replicò decisa a se stessa, mentre si convinceva del fatto che non potevano essere coincidenze, che non poteva, né doveva essere solo il caso a spingerlo ogni volta nella sua vita.
“Jess” lo chiamò senza più pensarci, facendo qualche passo verso di lui già pronta a corrergli dietro qualora non l’avesse sentita. “Aspetta” disse, mentre l’osservava rallentare e voltarsi quasi immediatamente, come se infondo anche lui avesse considerato la possibilità di tornare indietro, mantenendo il passo adagio così da poter pensare.
“Cosa?” le chiese con aria sorpresa, quasi non riuscisse a credere che realmente gli era andata dietro.
“Io mi chiedevo se magari potevamo vederci, o anche solo sentirci qualche volta” disse d’un fiato per non permettere alla parte razionale di se stessa di prendere il sopravvento su quell’improvviso slancio di coraggio e pazzia. “Mi è piaciuto parlare con te” ammise dopo un secondo “Mi piace sempre parlare con te” precisò “E quindi pensavo che forse, se non è un problema, cioè, se non hai troppi impegni, magari potevamo incontrarci, e fare qualcosa insieme” disse senza respirare, permettendo solo dopo all’aria di entrarle nei polmoni, ed interrompere così il flusso di parole che, chissà come, era riuscita a mettere insieme.
Lo guardò respirando a fatica e, forse per l’agitazione o per altro che in quel momento non era capace di decifrare, realizzò di non riuscire bene a mettere a fuoco l’espressione del suo viso. Era enigmatica, un punto interrogativo che pur osservando bene, non riuscì ad interpretare.
“D’accordo, lascia stare” riprese prima che potesse risponderle. “Sicuramente avrai tante cose da fare, e non ti sarà possibile distrarti, lo capisco” annuì senza accorgersi di stare straparlando. “Non preoccuparti, davvero” annuì abbozzando un sorriso, preparandosi già a chiudersi in camera e soffocare tra i cuscini per il troppo imbarazzo.
“Hai da fare stasera?” le domandò sorridendo non appena capì d’avere finalmente la possibilità d’interrompere il suo delirio.
“Come?” chiese stordita, non del tutto certa d’aver capito ciò che le aveva detto.
“Stasera” ripeté “Sei impegnata?”
“Non credo” rispose in un soffio, scuotendo appena la testa.
“Bene, allora passo verso le otto okay?”
“Le otto?”
“Se non va bene posso…”
“Certo, no, le otto vanno benissimo” assentì decisa, pronta a mordersi la lingua qualora avesse parlato troppo.
“Bene” sorrise annuendo. La fissò per un secondo compiaciuto, come se quell’improvviso slancio da parte di Rory, l’avesse sorpreso eppure piacevolmente colpito. E poi quel flusso incontrollato di parole, quel modo impacciato di guardarsi attorno, le guance arrossate, le dita strofinate a forza le une sulle altre…
“Ora vado” aggiunse dopo un attimo, piegando appena il braccio in direzione del parcheggio. “Ci vediamo più tardi” continuò indietreggiando di poco, senza però darle le spalle, e sorridendo ancora riconoscendo nella ragazza che gli stava di fronte, di nuovo quella luce, quell’espressione dolce e leggermente imbarazzata che sapeva dipingerle il viso solo quando si trovava davvero a fare i conti con i suoi sentimenti; qualcosa di nuovo ed esaltante che non credeva di poter gestire e che donava al suo volto una bagliore irresistibile dal quale era impossibile non sentirsi attratti.
Era sempre lei, nonostante gli anni e le difficoltà, nonostante gli errori, le parole dette e poi taciute. Era lei, e lui infondo era lo stesso malgrado i cambiamenti e i passi che si era illuso l’avessero allontanato dal suo ricordo.
Le lanciò un ultimo sguardo prima di sorriderle e voltarsi, dandole le spalle ormai cosciente d’essere di nuovo in quel punto, lo stesso che pensava di poter evitare ormai, ma verso il quale si accorse d’aver sempre camminato. Ed ora, che n’era cosciente, sapeva di non avere più quella famosa possibilità di tirarsi indietro, perché sebbene si sforzasse di evitarla, in un modo o nell’altro le loro strade sembravano destinate ad incrociarsi all’infinito, portandolo ogni volta più vicino, ogni volta sugli stessi passi, i suoi, quelli di sempre, quelli che poteva sperare di fare in maniera diversa, ma che sapeva l’avrebbero condotto comunque nello stesso posto, comunque da lei.
Edited by Pheebe - 7/2/2006, 22:17