| - UNA STRANA NOTTE D’INVERNO -
Lorelai si alzo di scatto quasi inciampando nel suo stesso pigiama. Non aveva la più pallida idea di che ore fossero, nè di dove fosse finito il telefono e dovette arrendersi, aprire entrambi gli occhi, togliersi i capelli dal viso e decidersi a cercare la cornetta. Nonostante il basso livello di caffeina e il brusco risveglio in piena notte, riuscì a riconoscere la voce di Luke e il sonno le passò definitivamente quando sentì pronunciare le parole “Jess” e “Stars Hollow” nella stessa frase.
“Cooosaa??? Stai scherzando, vero? Vero??? Luke!!! ...Accidenti...Si...No, non preoccuparti, hai fatto bene ad avvertirmi...Si, credo anch’io sia meglio fare come dici...Ok, allora. Buonanotte anche a te...”
Lasciò cadere il telefono sul letto disfatto scuotendo la testa. Scese le scale al buio, attraversò il salotto, e si avvicinò alla stanza di sua figlia. Attenta a non fare rumore, entrò chiudendosi la porta alle spalle e si sedette accanto a lei sul letto. Era così tranquilla, con le coperte che le scoprivano le spalle e un libro ancora aperto tra le mani. Era così serena, persa in chissà quali sogni, la sua Rory. Le accarezzò la testa sorridendo, poi si guardò intorno. Le mensole riuscivano appena a sostenere tutti quei libri ammucchiati nel corso dei suoi 18 anni, mentre altri ancora se ne stavano uno sopra l’altro come torri di parole sulla scrivania, insieme ad alcune foto, quaderni e matite. Le pareti erano coperte di poster di paesi lontani e scrittrici del passato. Vicino al letto, lo stereo si nascondeva dietro a una pila di cd in bilico sul comodino. Sembravano saldi, immobili, definitivamente in equilibrio, ma Lorelai riuscì quasi a percepire la tensione con cui si aggrappavano al legno mentre con tutte le loro forze cercavano disperatamente di mantenere quella sicurezza apparente, sapendo che sarebbe bastato un leggero tremolìo della voce, una vibrazione dell’aria, per farli sussultare, traballare e infine crollare rovinosamente a terra. Esattamente come avrebbe sussultato e traballato sua figlia, l’indomani, sentendo di nuovo quel nome, cercando disperatamente di non darlo a vedere. Le si stese accanto, abbracciandola, e si addormentò con la dolorosa consapevolezza che non avrebbe potuto fare niente per evitarlo.
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Strano. Stranissimo. Innanzi tutto si era svegliata sentendola canticchiare in cucina, il che voleva dire che sua madre era già in piedi di buon’ora e lei non aveva dovuto trascinarla fuori dal letto minacciando di tappezzare la città con la foto che le aveva scattato mentre dormiva a bocca aperta. Poi, quando uscì dalla sua stanza e vide il caffè fumante nelle tazze e sua madre che le sorrideva mentre metteva le frittelle nei piattini, ebbe la conferma dei suoi sospetti: era successo qualcosa di grosso.
“...sorpresa!!!”
“Allora, quanto è grave?”
“Come?”
“Andiamo, tu non prepari la colazione!”
“Su, assaggia!”, disse sorridendo e spingendola sulla sedia.
Era peggio di quanto pensasse: la colazione era squisita e sua madre le stava indubbiamente nascondendo qualcosa.
“Mamma, l’hai presa da Luke! Avanti, che succede??”
“Non l’ho presa!”
“Mamma!”
“beh...è...è venuta da sola!”
“Mamma!!!”
“Ok, va bene. L’ha portata Luke. Volevo prepararti prima che lo vedessi lì...”
“Prepararmi prima di vedere Luke?”
“Prepararti prima di vedere Jess...”
Rory deglutì per cacciare via quel nodo che le si era stretto in gola, prese una frittella e in tono distaccato disse:
“Ah. Beh, dovresti saperlo che l’ho superata.”
Nella stanza accanto una pila di cd in bilico sul comodino crollò a terra, mentre Rory cercava con tutte le sue forze di essere credibile.
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No. Stavolta non ci sarebbe cascata. Non gli avrebbe permesso di ferirla di nuovo. E non sarebbe nemmeno scappata. Lo avrebbe affrontato e avrebbe finalmente chiuso con quel dolore assurdo e con quei ricordi che la tormentavano. Avrebbe chiuso quel capitolo della sua vita una volta per tutte. Era assolutamente decisa, sicura di potercela fare, mentre in realtà non riusciva nemmeno a concentrarsi sul film che stava guardando da Lane, quella sera. Decise di tornare a casa, aveva bisogno di stare un pò da sola e fare due passi.
Faceva freddo, si stava alzando il vento e la notte odorava di pioggia. Rory guardò le nuvole coprire la luna, si strinse nel cappotto e affrettò il passo. Non aveva voglia di andare subito a casa, c’era qualcosa di affascinante e misterioso nel momento che precede un temporale di notte, la faceva rabbrividire, le piaceva quasi. Si diresse verso il gazebo e si sedette su una panchina. Stava proprio per piovere. Era lì già da un pò, assorta nei suoi pensieri, quando sentì dei passi raggiungerla e poi la sua voce.
“Ehi...”
Chiuse gli occhi un attimo, quasi a raccogliere le forze. Era lui. Rory si voltò senza dire una parola, poi si alzò mentre Jess si avvicinava. Trascorsero attimi di silenzio assordante, poi lui parlò.
“Senti, volevo dirti che m...”
“Non occorre. Non serve che tu dica niente. E’ passata, è finita, e basta. Non ho bisogno che ti sforzi di trovare delle scuse. Sto bene, sai? Sto bene. Quindi non sentirti obbligato a parlarmi. Non parlarmi affatto. Anzi, non avvicinarti nemmeno. Ciao”
Parlò tutto d’un fiato, con una freddezza che si stupì lei stessa di riuscire ad ostentare, poi si voltò per andarsene. Jess le prese un braccio, fermandola. Rimase a guardarla tremare, per il freddo - pensò lui - , per la sua mano che la teneva – sapeva lei - .
Eccolo lì, vicino a lei, a guardarla di nuovo in quel modo. Sentì di nuovo quel maledetto nodo in gola, cercò ovunque la freddezza di poco prima, cercò parole da dire, credette anche di averle trovate, ma lui le catturò prima ancora che riuscisse a pronunciarle. Eccolo lì, stretto a lei, a baciarla di nuovo in quel modo. Il respiro che si blocca, aria pressata di colpo nel petto, soffoca, fa male, le parole che le si strozzano in gola, che le muoiono sulle labbra, lacrime, lacrime che bruciano, graffiano, lacrime che le urlano dentro, lacrime che non lascerà scorrere davanti a lui, e il cuore, il cuore che batte forte, sempre più forte, il cuore che schizza e le frusta l’anima...Accidenti a te, maledizione! Accidenti a te che mi fai questo! Accidenti a te che mi fai sentire così, di nuovo, ancora come allora! Poi il fuoco sulle guance, le mascelle strette a mordere quella gran voglia di piangere ed urlare, le mani che si serrano a pugno, le gambe che tremano e via, correre, via da lì, scappare lontano da tutto quel dolore, da tutta quella rabbia, da tutto quell’amore. Via. Solo correre, correre, correre, un piede dopo l’altro, con forza, asfalto, scalini, erba, vento, vento che le punge la faccia, vento che le arruffa i capelli, vento portami via, portami lontano, porta via lontano queste mie emozioni assurde, porta via il suo odore, porta via la sua voce che mi sta chiamando, e poi pioggia, pioggia che le confonde le lacrime, lacrime che le feriscono il volto, lacrime come pioggia, pioggia come lacrime, lei e la notte che piangono insieme, nascondimi, notte, nascondimi, non farmi trovare, notte, e fango, fango sulle scarpe, fango sull’orlo dei jeans mentre corre nel giardino dell’albergo di mamma, fango e pioggia e vento e notte e lacrime e amore e rabbia, e poi la mano sul legno della porta, freddo, umido, ruvido, la porta del vecchio capanno che si apre e si chiude cigolando, e finalmente un rifugio, un vecchio materasso, l’odore di quando era bambina, di quando c’era il temporale e le braccia di mamma la stringevano forte. Poi solo lei e il suo dolore, la sua rabbia, il suo amore. Poi solo lei, le sue lacrime e i suoi pugni chiusi. Aveva giurato a se stessa che sarebbe andata avanti, che non avrebbe pianto per lui, ma ora, col viso sprofondato nell’abbraccio di una strana notte d’inverno, quella promessa sembrava lontana e polverosa come non mai.
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