Fanfiction: Ritorni

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Elena_R
view post Posted on 9/5/2004, 16:23




Titolo: Ritorni
Autore: Elena_R
Genere: Fanfiction
Stato: Conclusa

Commenti: Qui

Breve descrizione da parte dell autore:

Ciao a tutti!
mi sono appena iscritta al forum e, dato che alcuni id voi hanno già letto la mia ff Mistakes and Chances, ho pensato di mettere personalmente nel forum anche quella che sto scrivendo al momento.
ringrazio tutti per i bellissimi commenti scritti per M&C e spero che ce ne saranno altrettanti per questa nuova storia.
un grazie speciale va a Rita (Phi Phi) per aver avermi fatto scoprire questo sito.
Elena

vi evito i disclaimers, tanto sappiamo tutti a chi appartengono le GilmoreGirls e, purtroppo, anche Milo...





RITORNI



Sapeva che prima o poi sarebbe accaduto; d’altra parte non ci si può nascondere per sempre anche se quegli anni lontani da ciò che più aveva di familiare gli avevano fatto molto bene.
Aveva capito cosa era importante, il significato di avere qualcuno che tiene a te e che, stranamente, è ferito quando ti comporti male; aveva potuto confrontare la vita che aveva vissuto a New York per ben diciassette anni insieme a Liz con quella a Stars Hollow con Luke e a Los Angeles con Jimmy.
Mai una volta era riuscito a chiamarlo “papà”, perché lui semplicemente non lo era mai stato e mai avrebbe voluto esserlo. Gli aveva dato un posto in cui vivere quando nessuno lo voleva, aveva cercato timidamente e con reticenza di avere un rapporto più stretto con lui e dopo cinque anni poteva dire che era diventato un amico a cui appoggiarsi quando ne sentiva il bisogno. Forse anche quello poteva dirsi “essere padre”: in televisione e sui giornali si parlava spesso di genitori amici dei figli e lui ne aveva visto una perfetta esemplificazione a Stars Hollow, ma pensare a Jimmy come ad un padre/amico continuava a sembrargli anormale. Inoltre non erano confidenti, il suo carattere gli aveva sempre impedito di aprirsi con chiunque e Jimmy non era affatto un’eccezione, ma il pensiero di poter guidare fino a Venice o Santa Monica ogni qualvolta avesse avuto un problema, sedersi con quella pazza famiglia, sentire la loro presenza, ricevere una pacca sulla spalla o ascoltare un inutile commento sull’ultima partita di football lo confortava. E non era irrilevante il fatto che a lui non piacesse nessuno sport, men che meno il football. Ognuno di loro era un supporto spirituale ed era esattamente ciò che Jess chiedeva: nessuna domanda, tanto meno intromissioni, solo sostegno.
Con Liz era sempre stato tutto diverso ed un completo disastro: aveva smesso di controllarlo quando lui era ancora un bambino, gli aveva dato troppa libertà e non si era accorta che quel figlio le stava scivolando tra le dita. In pochi anni nessuno era stato più capace di dargli un freno, dagli insegnanti, che dopo un esiguo tentativo avevano subito rinunciato, a sua madre, che continuava a vivere la sua vita fingendo che tutto andasse bene. Era sfuggito al controllo persino di se stesso; si era costruito una fama di cui andava fiero: i ragazzini più giovani lo temevano, quelli più grandi lo rispettavano, anche se a lui non importava. Forse era stata quell’apatia nei confronti di tutto e di tutti a renderlo un mito agli occhi degli altri, eppure lui non l’aveva chiesta anche se lo lusingava non poco. Per questo una volta sceso dall’autobus su cui Liz lo aveva messo e aver appurato che quella non era New York, si era sentito smarrito, ignaro di ciò che l’avrebbe aspettato e aveva cominciato a ricostruirsi la reputazione che ormai lo accompagnava ovunque e che era diventata la sua corazza. Ma quella era Stars Hollow e le strade erano pulite, non c’era confusione, non c’erano ragazzi come lui. Era solo in un mondo di perfezione: una parola di cui conosceva solo il significato letterale.
Nell’istante in cui aveva visto Luke era stato chiaro che tutto sarebbe cambiato e l’aveva odiato, perché voleva togliergli l’unica cosa che era sua: quel carattere ribelle e forte che gli aveva permesso di sopravvivere in un luogo in cui o sbrani o rischi di essere sbranato. Il risentimento nei confronti di Liz e di quella città era cresciuto a dismisura in poche ore e sapeva che sarebbe esploso se quella sera in cui Luke l’aveva obbligato ad andare ad una specie di festa di benvenuto non avesse conosciuto lei: l’unica ragione che poteva fargli sopportare quel limbo. La numerosa serie di norme dettate da quello zio che non aveva mai conosciuto e di cui di rado aveva sentito parlare, le regole che gli andavano così strette all’inizio di quella che riteneva la sistemazione più precaria che avesse mai vissuto, avevano iniziato ad essere assimilate dalla sua mente e in due soli anni era riuscito a recuperare quel controllo che aveva lasciato nei sobborghi del Village. La parola “responsabilità” non era più un insieme di lettere impronunciabili e scottanti la sua lingua: ora ne capiva il significato e una volta arrivato a Los Angeles aveva dimostrato che poteva mettere in pratica gli insegnamenti di Luke, gli stessi che aveva a lungo finto di ignorare, ma che aveva percepito uno per uno e stipato in un luogo sicuro della sua memoria in attesa del momento giusto in cui utilizzarli.
Piegando la testa da un lato notò che quella che aveva iniziato a chiamare famiglia era affascinata dal paesaggio che li circondava: Sasha e Lily continuavano a guardarsi intorno sbattendo le palpebre dalla meraviglia e sorridendo di tanto in tanto, mentre Jimmy, avendo già fatto quel viaggio più di una volta, non aveva staccato gli occhi dalla sua rivista sportiva nemmeno per un istante. Non credeva che avrebbe mai vissuto abbastanza per vivere quel giorno: era il matrimonio di Luke e al solo pensiero di vederlo in tight un sorriso sfuggiva al suo controllo. Eppure il grande giorno stava arrivando anche per lui e ovviamente, concorde ad ogni previsione, la donna che lo avrebbe raggiunto all’altare era l’unica che avrebbe potuto fargli compiere un passo così importante: Lorelai. Gli era sembrato palese fin dal primo istante che tra loro ci fosse qualcosa che andava oltre la semplice amicizia: gli amici non sono disponibili l’uno con l’altro come lo erano quei due, la fiducia e la stima reciproca erano immense, si conoscevano da una vita e Luke era stato più presente in quella di Lorelai che Christopher, il padre di sua figlia. E come dimenticare quegli sguardi languidi, i battibecchi, il flirtare senza nemmeno rendersene conto. Avevano sprecato entrambi più di vent’anni a cercare l’altra metà della mela senza capire che era esattamente davanti ai loro occhi. In verità Luke se n’era accorto da tempo, ma lei era talmente occupata a pensare ad un modo per avere caffè in quantità industriale, al bene di sua figlia, al suo lavoro, a lottare contro la sua stessa madre, da non notare le attenzioni che lui le aveva sempre riservato sperando che si accorgesse della sua presenza. L’aveva amata in silenzio, aspettando con pazienza il momento in cui gli avrebbe sorriso e capito tutto. E a quanto pare quel momento era arrivato: la chiesa era prenotata, il cuochi del ristorante stavano facendo le prove per un menu perfetto e gli inviatati avevano già comprato gli abiti da indossare. Era felice per entrambi, ma al pensiero di partecipare lo stomaco si contorceva e dolorava… Rory sarebbe stata presente e dopo cinque anni non era ancora sicuro di volerla vedere. Volse nuovamente lo sguardo oltre il finestrino in tempo per notare il fantasioso cartello di benvenuto a Stars Hollow.


... fine prima parte...
se volete scrivermi vi do il mio indirizzo e-mail: [email protected]


Edited by Reflecting Light - 16/7/2006, 12:21
 
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Elena_R
view post Posted on 15/5/2004, 15:18




ok, capitoli 2 e 3 così, sono in pari col sito di Castagna.
enjoy it!

Capitolo due

Un passo dopo l’altro riuscì ad entrare in casa sovrastata dalle mille borse di abiti usati che Sookie le aveva chiesto di buttare, ma che lei aveva intelligentemente deciso di tenere per controllare se ci fossero dei tessuti che avrebbe potuto riutilizzare in qualche modo. Chiudendo la porta col tacco della scarpa purtroppo perse l’equilibrio e improvvisamente nella casa vuota risuonò il tonfo sordo della montagna di vestiti sul pavimento. Si morse la lingua per evitare di imprecare e con calma si abbassò a raccogliere tutto e a imbustarlo nuovamente, mentre dalla cucina giungeva una voce ormai familiare e che l’avrebbe accompagnata per molto tempo ancora…
-Lorelai? sei tu?
-e chi altri? Fino a prova contraria la padrona di casa sono ancora io, mio caro futuro sposo!- rispose la donna ansimante per la fatica rialzandosi appoggiando le mani sulle ginocchia –ah, sto invecchiando!
-Ti aiuto- disse Luke prendendo le buste e portandole in cucina, mentre Lorelai lo seguiva ancora provata dallo sforzo appena compiuto. Aveva già trentanove anni e finalmente sua madre l’avrebbe vista varcare la porta di una chiesa col famigerato “abito bianco”. Riusciva ad immaginare Emily inginocchiata ai piedi del letto mentre, ogni sera, pregava il Signore che quella sciagurata della figlia arrivasse alla fine della cerimonia senza scappare per qualche posto esotico o lasciasse lo sposo immobile come uno stoccafisso in attesa del suo arrivo. I precedenti c’erano: bastava pensare a quel povero Max… l’aveva rivisto diversi anni prima e aveva creduto di aver sbagliato a lasciarlo, ma le cose stavano andando magnificamente e da tempo non pensava più a lui: ora al centro dei suoi pensieri c’era il proprietario del locale della città nonché l’uomo che faceva il miglior caffè d’America. Lo scrutò con attenzione mentre con forza appoggiava le buste scricchiolanti sul tavolo della cucina e ne guardava il contenuto, scioccato dalla quantità industriale di vestiti che una donna possiede e decide di eliminare lasciando comunque il proprio armadio ben rifornito: per esempio nella sua camera c’erano camicie e gonne sparse ovunque, dall’interno dei mobili alla poltrona al pavimento al letto… a volte lei stessa si meravigliava di riuscire a trovare ciò che cercava in tutta quella confusione. Se avesse dato via anche solo la metà dei suoi vestiti, avrebbe fatto felici un sacco di ragazze bisognose: ci avrebbe pensato.
-cosa c’è? –le chiese Luke col suo tono da orso, accortosi di essere fissato.
-indovina cosa desidera la tua adorata fidanzata dopo una estenuante giornata di lavoro passata ad ascoltare clienti insoddisfatti e le lamentele dell’unico dipendente francese che nessuno vorrebbe mai avere?- esordì dal nulla con un sorriso addolcendo il suo sguardo che pochi attimi prima si era subito messo sulla difensiva.
-un bacio di bentornata a casa dal suo futuro marito?-le chiese avvicinandosi e sfiorando le labbra della donna con le sue, senza ricevere però un’adeguata risposta.
-no. Ritenta, sarai più fortunato!- rispose Lorelai allontanandosi e aggirandosi nella piccola cucina come in cerca di qualcosa che non riusciva ad individuare.
-la cena già pronta?- tentò lui seguendo con lo sguardo i suoi movimenti, mentre lei scuoteva la testa.
-nemmeno. Hai un’ultima possibilità signor Danes…
-uhm… un bagno caldo?- le chiese, stavolta sorridendo; quello era un gioco che si ripeteva ogni giorno da mesi e dopotutto era divertente.
-mi chiedo perché ho risposto di sì quando mi hai chiesto di sposarti?- si lamentò Lorelai cercando di restare seria, mentre un ghigno le illuminava il viso vedendo una tazza comparire magicamente tra le mani di Luke.
-per il mio caffè?- chiese mentre la tazza che avrebbe abbeverato un cammello per settimane spariva dalla sua vista e finiva direttamente sulle labbra avide della fidanzata.
-riflessi troppo lenti, mio caro… hai ancora molto da imparare!
-e tutta la vita per farlo…
-non ti tirerai indietro stavolta?- gli chiese. A volte dimenticava che anche Luke era come lei: un disertore degli impegni a lungo termine, anche se per motivi diversi dai suoi. Rachel, Nicole… erano state le donne della sua vita, le uniche che aveva immaginato con quell’uomo dai modi rozzi e protettivi allo stesso tempo, che invece le aveva lasciate per seguire un’altra strada e più esattamente quella che lo aveva portato a lei. Quanto tempo avevano perso a giocare agli amici! Gelosi l’uno dell’altra, ma troppo ciechi per vedere ciò che l’altro richiedeva disperatamente: un segno.
-ti prometto che non ti chiederò il divorzio nella prima settimana dopo il matrimonio- rispose sorridendo amaramente ripensando all’errore commesso in crociera con Nicole –inoltre aspetto questo momento da vent’anni e tu lo sai bene…
-l’acutezza per questo genere di cose non è mai stata il mio forte, immagino che te ne sia accorto, Romeo.
-chiunque aveva capito!
-ma io no. Se mi avessi mandato qualche segnale, lasciato qualche indizio…
-tracciato un sentiero con molliche di pane che portavano da casa tua alla mia stanza?!
-era un’idea…- rispose Lorelai ridendo, mentre Luke alzava gli occhi al cielo in attesa di un aiuto divino.
-sai cosa ha detto mio nipote quando ha saputo del fidanzamento? Ti cito testuali parole: ”era ora!”
-è risaputo che Jess è un ragazzo intelligente e accorto di ciò che lo circonda. Era ovvio che avesse intuito qualcosa, mi sarei stupita del contrario! Io invece prendo le cose con leggerezza e spontaneità e, onestamente, quando mi metti una tazza di caffè fumante davanti agli occhi non vedo più nulla! Oh, a proposito! Lo hai sentito? Quando arrivano?
-dovrebbero essere già qui, invece sono in ritardo-rispose dando una rapida occhiata all’orologio- Avrebbero potuto avvisare, ma d’altra parte cosa vuoi aspettarti da una mandria di svitati come loro?
-avanti, Luke! Calmati! Vedrai che saranno qui tra poco!- disse Lorelai dandogli un bacio sulla guancia e abbracciandolo. Se a volte era duro, non era per cattiveria, ma perché voleva molto bene a Jess e si preoccupava per lui. Averlo lontano per tutti quegli anni non era stato facile e il ragazzo non era il tipo da lunghe e frequenti conversazioni telefoniche, così ogni volta che Luke gli parlava, sorrideva per il resto della settimana e riusciva ad andare d’accordo persino con Taylor. Gli prese con rapidità il cappello da baseball, che ormai era un’estensione del suo cranio, e lo indossò facendo una smorfia, mentre il suono del campanello distraeva l‘attenzione di Luke da lei e si rivolgeva alla porta. In un attimo la donna l’aprì, sicura di chi avrebbe trovato, e rimase piacevolmente sorpresa nel vedere un paio di occhi scuri, che ricordava tristi e spenti, con al centro una luce che le sembrava potesse essere allegria. In quei cinque anni avevano parlato al telefono solo per pochi minuti e per puro caso, ma Luke le aveva raccontato con fierezza ogni singolo avvenimento che conosceva della vita di Jess: si era laureato all’Università della California con ottimi voti e aveva un buon lavoro. Sembrava che il pazzo irresponsabile che aveva lasciato Stars Hollow con una pessima reputazione fosse stato risucchiato in un qualche buco nero e non ce ne fosse più traccia. Parlando con Jimmy Luke si era accorto che rimpiangeva di aver perso i momenti migliori della vita di suo figlio, di averlo abbandonato senza essersi fatto vivo per ben diciotto anni e ora andava fiero di lui, di ciò che aveva fatto e di ciò che era diventato contando solo su stesso, sulle proprie capacità e forze.
Il modo in cui aveva abbandonato tutti partendo da Stars Hollow improvvisamente, sparendo senza lasciare nemmeno una spiegazione l’aveva portata a disprezzarlo, ma dopo qualche anno aveva capito molte cose. Jess era un bravo ragazzo e quella partenza dolorosa e inattesa era stato il suo passaggio obbligato, lo stesso che aveva compiuto lei all’età di sedici anni camminando a testa alta lontana da Hartford con una neonata tra le braccia. Rory aveva capito tutto molto tempo prima di lei, sapeva che Jess si era comportato male, ma sapeva anche che lo stava facendo per costruirsi un futuro e lei non poteva impedirglielo. La rattristava il fatto che non potesse farlo a Stars Hollow con lei, ma era la sua vita e doveva essere lui a decidere cosa farne. Per questo, anche se avrebbe potuto, non l’aveva cercato: Luke aveva l’indirizzo di Jimmy e sarebbe stato facile riuscire ad ottenerlo; ma quell’amore e il rispetto per lui erano profondi al punto da lasciarlo andare e vivere la sua vita per renderla migliore. Ed era stato esattamente così. Ora davanti a lei c’era un uomo intelligente, acculturato, con un buon lavoro, la prospettiva di una vita serena e, finalmente, una famiglia.
-ciao Jess!- lo salutò stringendolo in un abbraccio che lo stupì, ma che ricambiò col giusto contegno: quella che lo stava abbracciando era la donna che se avesse potuto lo avrebbe cacciato da Stars Hollow a calci.
-Lorelai.
-Jess- udirono entrambi da una voce alle spalle della donna, esattamente di fronte al ragazzo.
-Zio Luke- disse sorridendo, mentre il caro vecchio zietto si avvicinava e lo stringeva goffamente: non era abituato a quelle manifestazioni di affetto e abbracciare dopo tanti anni quello che amava come un figlio gli provocava una strana sensazione.
-devo esserti mancato!- aggiunse Jess spezzando il silenzio e allentando la tensione che si era formata nel momento in cui Luke aveva guardato dritto negli occhi di Jimmy. Nonostante le rassicurazioni di Jess sul fatto che fosse qualcosa di simile ad un padre e che non dovesse odiarlo, lui non riusciva a dimenticare il passato: se n’era andato lasciando sua sorella e un bambino piccolo, non era un’azione degna di rispetto, ma per il bene del nipote fece uno sforzo e allungò una mano verso il cognato mancato.
-Jimmy.
-Luke.
-conoscete i vostri nomi- aggiunse Lorelai – la mamma vi ha insegnato anche altre parole?
-la mia teoria è che ci abbia provato, ma è questione di geni: Jimmy dice sì e no “buongiorno” e “buona sera”, oltre che la tipica frase maschile ”è pronta la cena?”, mentre Jess non parla nemmeno sotto tortura!- s’intromise una donna dall’apparenza energica, bionda e quasi circondata da un’aurea luminosa e calda; dava una piacevole sensazione di serenità e vitalità allo stesso tempo e Lorelai scrutò per un attimo quel viso felice e fresco nonostante le ore di viaggio in aereo e in autobus. Il suo carisma catturò immediatamente l’attenzione e suscitò simpatia in Lorelai: si somigliavano ed era certa che sarebbero andate d’accordo.
-tu devi essere Sasha, la compagna di Jimmy, giusto?-le chiese avvicinandosi per stringerle la mano e notando una bellissima bambina dai capelli color del grano e gli occhi scuri.
-Esatto, e questa bellissima quanto tranquilla bambina è Lily, mia figlia –rispose indicando la ragazzina che adesso si sentiva al centro dell’attenzione: come Jess, odiava quando ciò accadeva.
-ciao Lily! –la salutò energicamente Lorelai, poi fece cenno a tutti di entrare. Un uomo alto e dai lineamenti giovanili se ne stava in piedi al fianco di Sasha e, dopo aver salutato Luke, non aveva detto una parola. Quello era il padre di Jess, lo stesso uomo che aveva messa incinta Liz e se n’era andato, quello che non aveva mai chiesto notizie ne di lei ne del figlio, quello che era apparso improvvisamente e gli aveva sconvolto la vita; ma era lo stesso uomo che, a quanto pareva, lo aveva aiutato a risollevarsi. Il ragazzo si accorse dello sguardo pensieroso di Lorelai mentre fissava suo padre, così decise di presentarglielo e lo fece dicendo solamente “questo è Jimmy”. Rory l’aveva sempre presentata alle sue amiche e alle persone come “sua madre” non semplicemente “Lorelai”, ma quello era Jess e con lui era tutta un’altra storia. Forse nemmeno lui riusciva a dimenticare il passato.
-immagino che restiate per cena!- aggiunse sorridente spedendo Luke in cucina a preparare il pasto senza dare tempo agli ospiti di rifiutare l’invito.

-Quindi avete dei cani e dei gatti? È meraviglioso!- esclamò Lorelai con entusiasmo dopo aver deglutito l’ultimo pezzo di pane presente sulla tavola imbandita da Luke in pochi minuti –io adoro gli animali, ma purtroppo non ho il tempo per occuparmene. Avrei uno zoo al posto della locanda se mia figlia non avesse frenato la mia mania per gli animali in tutti questi anni! Io avrei preso con me tutti randagi dello stato se lei non mi avesse convinto che avrebbero vissuto da soli per la maggior parte del tempo e avrebbero finito per essere degli animali frustrati e depressi!
-in effetti io passo più tempo che posso con loro, parliamo, giochiamo, cantiamo…- rispose Sasha, mentre Luke sgranava gli occhi: -Cantate?
-certo!- disse lei con un sorriso –sono molto intonati, sai? Ma i vicini a volte si lamentano per il baccano, quindi dobbiamo contenerci…
Era una donna molto eccentrica, non c’era dubbio, e Luke non avrebbe mai immaginato che fosse il tipo adatto per Jimmy: aveva sempre pensato che la sua donna sarebbe stata come lui, una nomade irresponsabile e superficiale, ma Sasha, oltre la sua facciata fuori dal comune, dimostrava di essere molto matura e affidabile. In quegli anni Jess l’aveva dipinta come una persona originale e comprensiva, e il modo in cui si comportava con Lily gli ricordava la sua Lorelai quando Rory era ancora una bambina. Ogni minuto che passava si rendeva conto di quanto fossero simili.
-e lei chi è?- chiese la ragazzina indicando una fotografia che si trovava sul frigorifero: raffigurava Lorelai e una ragazza che poteva essere sua sorella e indossava un bellissimo vestito chiaro molto elegante. Lorelai si alzò per staccare l’immagine e la porse a Lily spiegandole che quella era sua figlia.
-Tua figlia? Ma è grande!- si lamentò: aveva sperato che Rory avesse la sua età, così da poter giocare insieme, invece era un’altra adulta che avrebbe dovuto conoscere durante quella settimana che avrebbero trascorso lontano da casa.
-ha ventitre anni
-come mio fratello- rispose la ragazzina; Lorelai rabbrividì e il suo sguardo andò a Jess: quella bambina lo riteneva suo fratello nonostante non avessero nessun legame di sangue. Si era affezionata a lui a tal punto da considerarlo parte della famiglia, ma si domandava se per lui fosse lo stesso: le aveva presentato suo padre chiamandolo per nome e da quando erano arrivati non una volta la parola ‘papà’ era uscita dalla sua bocca. Anche lui nutriva per Lily lo stesso sentimento che lei aveva nei suoi confronti?
-sì- rispose ancora confusa, mentre la bambina si voltava verso Jess e gli sorrideva: con sua sorpresa quello che vide sul volto del ragazzo fu un sorriso, appena accennato, ma presente.
-perché non è qui? Non viene al tuo matrimonio?
-arriverà tra poche ore- rispose Lorelai –nelle ultime sei settimane è stata a Parigi per lavoro. Doveva essere qui questo pomeriggio, ma il suo aereo ha subito un ritardo.
-oh- fu l’unico suono che uscì dalla sua bocca, mentre l’attenzione tornava alla fotografia che continuava a studiare.
-come mai a Parigi?- si intromise Sasha –che lavoro fa?
-è una giornalista del New York Times- rispose Lorelai con orgoglio-Si è laureata due anni fa a Yale e da allora lavora a New York. Qualche mese fa la corrispondente dalla Francia è andata in maternità e Rory la sta sostituendo.
-immagino che tu ne sia fiera- disse inaspettatamente Jimmy –è un ottimo lavoro, ma è molto difficile prevalere in quel campo. Tua figlia dev’essere una ragazza in gamba.
-lo è sempre stata- rispose la donna –a volte mi sono chiesta se quella persona meravigliosa è veramente nata da me.
-indubbiamente- la rassicurò Sasha –ti assomiglia molto, sembrate quasi sorelle.
-Rory è nata quando Lorelai aveva sedici anni- le spiegò Luke.
-eri una ragazzina! Credimi Lorelai, sei stata molto brava con lei. non dev’essere stato facile.
-abbiamo avuto i nostri momenti di crisi, ma tutto è andato per il meglio, no?
-sembra una modella- disse Lily continuando a stringere la foto tra le sue mani–è bellissima. Hai visto Jess?
In quell’istante l’intera casa era avvolta nel silenzio e lui era perso nei suoi pensieri; non si era accorto del quesito di Lily fino a quando lei gli aveva messo la fotografia davanti al viso e aveva ripetuto la domanda aumentando il volume della voce e attirato l’attenzione dell’intera tavolata. Nessuno della sua famiglia sapeva di Rory e di ciò che c’era stato tra loro, perché lui non ne aveva mai parlato. Aveva tenuto per sé quel segreto e sperato che presto o tardi quella strana sensazione che provava quando pensava a lei sarebbe scomparsa, ma quel giorno sembrava non arrivare mai. Non sapeva cosa fosse, se amore o rimpianto, ma era qualcosa che dopo cinque anni continuava tormentarlo.
-è bellissima, vero Jess?- chiese ancora sua sorella; posò per un momento lo sguardo sulla foto che aveva evitato di guardare per tutta la durata della cena e la vide: cresciuta, una donna e meravigliosa più di quanto ricordasse. I suoi occhi scintillavano alla luce del salotto e quasi lo abbagliavano; il suo sorriso era sempre luminoso e genuino; l’espressione felice e innocente come quella di una ragazzina, ma sicura di sé, determinata. Sorrideva all’obbiettivo stringendosi nell’abbraccio confortante di sua madre, come una bambina bisognosa di protezione, cinta da quell’abito che ne risaltava le forme proporzionate e perfette e che nascondeva la pelle chiara che mille volte aveva sfiorato.
-è vero- rispose afferrando l’immagine e allungandola verso Lorelai pregandola segretamente di nasconderla in un posto dove non avrebbe potuto rivederla. Non l’avrebbe mai immaginato, ma vedere i suoi occhi gli faceva male: come avrebbe potuto affrontarla in un faccia a faccia? Si stava comportando come un ragazzino: evitarla era impossibile ed assolutamente ignobile; lui non era un codardo e probabilmente Rory l’aveva dimenticato. Dopotutto erano trascorsi cinque lunghi anni: lui aveva avuto svariate storie, alcune anche semi-importanti e per lei era stato sicuramente lo stesso; Rory era troppo bella ed intelligente perché qualcuno non potesse accorgersi di lei e corteggiarla. Non era “una come tante”: era diversa, perfetta nei suoi pregi e difetti, e Jess non avrebbe mai dimenticato tutto il sostegno che le aveva permesso di dargli. Fino a quando era partito, ovviamente. Quella ragazza era stata un suo punto fermo e i mesi passati insieme erano ancora un vivido ricordo nella sua mente; dopotutto una Gilmore non si dimentica facilmente e Luke lo sapeva meglio di chiunque altro.
-tu la conosci sicuramente- sentì dire da Sasha –immagino che foste amici…
-non immagini neanche quanto…- rise Lorelai suscitando la curiosità della donna –stavano insieme ai tempi del liceo.
-un altro dei mille misteri della vita di Jess Mariano…- disse Sasha -come mai non ce ne hai mai parlato?
-non ce n’è stata l’occasione- borbottò Jess infastidito da quell’invasione di privacy. Se non aveva mai detto nulla di Rory aveva i suoi motivi, ma quando la curiosità di una donna prende il sopravvento non c’è modo per fermarla e lui cominciava a prevedere il peggio.
-intendi dire che la domanda “avevi una ragazza a Stars Hollow” non era un’occasione per fare il suo nome?- chiese sarcasticamente, mentre lo sguardo di Lily lasciava la coppa di gelato che Lorelai le aveva dato poco prima e si rivolgeva al fratello che ormai stava per scoppiare.
-era davvero la tua fidanzata?!- gli chiese –e perché si è innamorata di te? A volte sei così antipatico!- concluse tornando al suo dolce. Quelle parole dette per puro caso colpirono Jess al cuore: nella sua innocenza, Lily aveva posto una domanda che, accompagnata a mille altre, anche lui si era fatto milioni di volte.
-me lo sono chiesta anch’io- aggiunse Lorelai sorridendo in ricordo dei vecchi tempi senza rendersi conto dell’agitazione del ragazzo–ho lottato con tutte le mie forze per evitare che mia figlia uscisse con lui, ma ho perso…
-in effetti quando è arrivato a Los Angeles mi sono subito chiesta se avesse dei problemi con la polizia- ricordò Sasha -la prima impressione che mi ero fatta di lui era completamente sbagliata e l’ho ammesso diverso volte, vero Jess?- chiese, ricevendo come risposta un debole cenno della testa.
Per qualche strano motivo Lorelai raccontò loro della prima sera che trascorse in quella città, l’episodio della birra, la rabbia nelle sue risposte quella stessa sera, il furto dello gnomo di Babette, la sagoma davanti al negozio di Taylor e tutto ciò che aveva fatto per procurarsi quella pessima reputazione che aleggiava ancora nelle strade della città sottoforma di mito. E non dimenticò di tralasciare quanto fosse sorpresa dal fatto che un ragazzo di quella specie fosse così intelligente: parlò delle lunghe chiacchierate che lui e Rory facevano, le ore che passavano a discutere di letteratura, gli accesi dibattiti che potevano nascere da una singola frase presa da un libro. Lorelai raccontava i fatti con le parole e ad ognuno di essi corrispondeva nella sua mente il ricordo di un’emozione, a partire dalla collera nei confronti di tutti, l’antipatia per lei, la frustrazione, il piacere di parlare con Rory, la serenità che provava solo quando era insieme a lei.
-così non ho potuto fare altro che accettare il fatto che mia figlia uscisse con Jess- concluse Lorelai dopo aver parlato per diversi minuti con estrema foga.
-immagino che il fatto di esservi lasciati sia stato determinante a farti decidere di trasferirti in California- disse Jimmy, sul quale si riversarono gli sguardi infuocati di Lorelai e Luke, mentre lui era in piena crisi di panico: dov’era il suo autocontrollo, quella meravigliosa capacità di trattenersi e ragionare lucidamente anche nelle situazioni più disperate? Evidentemente quella città abbatteva tutte le sue difese, forse c’era un influsso magico preparato da Miss Patty o magari proprio da Lorelai, che lo rendeva incapace di far fronte ad ogni situazione complessa si presentasse entro i confini di Stars Hollow. La realtà era che aveva nascosto molte cose per non complicare ulteriormente quella che cinque anni prima era una situazione insostenibile e ora, nuovamente dove tutto era cominciato, i nodi venivano al pettine; e accadeva tutto troppo in fretta. Non poteva rispondere a quella domanda e sapeva che ci avrebbe pensato la futura signora Danes a chiarire tutto al suo posto, quindi si alzò con decisione per andarsene: erano le dieci passate, probabilmente Rory sarebbe arrivata da un momento all’altro e quella non era l’occasione migliore per ritrovarsi. L’intero gruppo seguì i suoi movimenti e non domandò nulla: erano tutti abituati al sparizioni improvvise di Jess; non si contavano le volte in cui era uscito dal locale senza dire nulla a Luke e spesso spariva per giorni senza contattare nessuno nemmeno a Los Angeles: era il suo modo per pensare ad una soluzione ai suoi problemi, ma a quel tavolo tutti si chiedevano quali fossero in quel momento. Solo Lorelai, ripercorrendo con la mente gli ultimi minuti si accorse che qualcosa non andava: lo aveva visto nelle sue espressioni ogni volta che si parlava del passato e in particolare di un preciso periodo di quei giorni lontani.
-non dev’essere facile per te trovarti ancora in città–disse facendolo fermare sulla porta –immagino che tu ci abbia ripensato mille volte prima di comprare il biglietto aereo per tornare. Ma adesso sei qui e devi affrontare tutti, uno alla volta… andartene non servirà a nulla.
-non c’è motivo per cui debba farlo, Lorelai- rispose il ragazzo sperando che mollasse la presa e lo lasciasse in pace; vana speranza…
-è esattamente quello che stai facendo.
-non vado lontano. Ho bisogno di un po’ d’aria e un breve viaggio solitario nelle vecchie memorie…- fu l’ultima cosa che disse prima di chiudersi la porta alle spalle.

Capitolo Tre

-Grazie per la cena Luke, era tutto squisito!- disse Sasha mentre tutti insieme camminavano verso l’uscita e si fermavano sulla veranda.
-è uno dei motivi per cui lo sposo- sorrise Lorelai –oltre il caffè che rifiuta puntualmente di darmi, ma che riesco sempre a bere...
-devi essere un uomo fortunato Luke! –lo schernì Jimmy sghignazzando. Nonostante la diffidenza iniziale, quella cena aveva portato un progresso tra i due uomini e Luke sentiva che con un po’ di impegno sarebbero potuti diventare amici.
-senti chi parla! Ho l’impressione che anche Sasha ti dia da fare: ha lo stesso temperamento di Lorelai e riesco ad immaginare esattamente il vostro rapporto. Dopo tutto ognuno ha la sua croce… e la mia, oltre i difetti, ha un sacco di pregi!- rispose mettendo dolcemente un braccio intorno alla vita della donna che preso sarebbe diventata sua moglie.
-sono confusa- disse lei –non so se prenderlo come un complimento o…
-è sicuramente un complimento- la interruppe, mentre Jimmy e Sasha sorridevano ai due fidanzatini.
-Mi dispiace per il comportamento di Jess- si scusò la donna –ma a volte, nonostante l’età, sembra tornare un ragazzino. Si chiude in se stesso e lascia il mondo fuori e per noi è impossibile capire come aiutarlo.
-ma lui non vuole aiuto, Sasha- disse Jimmy, che aveva imparato a conoscere il carattere del figlio e sapeva esattamente quando non era il momento di intromettersi nella sua vita; probabilmente i discorsi di Lorelai sul suo passato l’avevano infastidito e aveva pensato che fosse meglio tagliare la corda.
-non importa. Forse ho esagerato io- rispose lei come se stesse leggendo Jimmy nel pensiero – Non immaginavo che ricordare i vecchi tempi lo avrebbe infastidito. Sono passati tanti anni e non credevo che ci sarebbe rimasto male. Probabilmente sono io quella che deve scusarsi con lui.
-no, cosa dici! È abbastanza grande per capire che non si abbandona la casa in cui si è ospitati per cena! È un segno di maleducazione e, credimi, sarà lui a venire da voi di sua spontanea volontà- disse Sasha di slancio. Era certa che Jess sapesse di aver sbagliato e che si sarebbe scusato al più presto.
Prima degli ultimi saluti Lorelai notò un taxi rallentare e fermarsi esattamente davanti al loro giardino; dopo pochi secondi vide una testa castana e i capelli mossi fare capolino dall’automobile, e un bellissimo sorriso che conosceva molto bene. In un attimo corse gridando verso la ragazza che era ormai scesa e l’abbracciò come se non la vedesse da una vita.
-mamma!- urlò Rory vedendola arriva come una furia. Il corpo caldo della madre contro il suo, le sue mani che le accarezzavano la schiena erano qualcosa che le era mancato negli ultimi anni e ogni volta che quella scena si ripeteva, non riusciva a fare altro che restare in quell’abbraccio e goderselo fino alla fine. Vivere lontana da Stars Hollow, non poter tornare a casa in qualsiasi momento le pesava, anche se ormai la sua vita era a New York e non l’avrebbe cambiata per nulla al mondo.
-Tesoro, sei bellissima! –disse Lorelai con le lacrime agli occhi mentre prendeva il viso della ragazza tra le sue mani –l’aria di Parigi ti ha fatto bene!
-Parigi è meravigliosa, te l’ho detto. Ma sono contenta di essere negli Stati Uniti, anche se solo per pochi giorni. Non vedo l’ora che sia domenica: ancora non credo che ti sposi!
-anch’io a volte faccio fatica! Ma è così!- disse Lorelai mentre entrambe saltellavano e si abbracciavano emettendo dei gridolini ormai familiari anche a Luke. Il futuro sposo le raggiunse e ringraziò l’autista, che nel frattempo aveva scaricato le valige di Rory e aveva seguito la scena col sorriso sulle labbra. Ad un estraneo potevano sembrare due pazze, ma in realtà erano semplicemente due persone spontanee e piene d’amore l’una per l’altra; un amore che nel corso degli anni non era mai cambiato e aveva superato tutto, anche la distanza fisica della ragazza, che da quasi cinque anni non viveva più con la madre.
-Bentornata- le disse attirando la sua attenzione e ricevendo in cambio il bellissimo sorriso ereditato da Lorelai.
-Luke!- lo salutò correndo ad abbracciarlo –è bello rivederti! Stai trattando bene mia madre, vero?
-La domanda più giusta è se tua madre tratta bene me. Io faccio il possibile…
-bravo! Sai bene a cosa vai incontro se accade il contrario…- disse tentando di risultare minacciosa, ma non era mai stata una buona attrice e finì per farsi scappare una risata al suono delle sue stesse parole. Stava ancora sorridendo, quando notò in giardino un gruppo di persone che non aveva mai visto. Arrossì al pensiero che avessero assistito alla scena infantile di poco prima, ma se erano amici di Lorelai e Luke erano sicuramente abituati a quel genere di scene: sua madre non era certamente famosa per la sua serietà. Si ricompose in fretta asciugandosi le lacrime, spostando una ciocca di capelli che le copriva il viso e camminò verso casa per potersi presentare agli sconosciuti che la guardavano sorridendo. Molto probabilmente sapevano già chi fosse, ma Rory allungò la mano verso la donna bionda e vestita in modo stravagante e si presentò: -Salve, Lorelai Leigh Gilmore.
-quanta professionalità tesoro!- la rimproverò sua madre, mentre Sasha diceva il suo nome e le presentava anche Lily.
-Scusate, ma è deformazione professionale. Chiamatemi Rory, così eviterete di confondermi per quella pazza di donna che in un attimo di mancanza di fantasia mi ha chiamato come lei- sorrise.
-piacere di conoscerti, Rory. Lorelai ci ha parlato molto di te- disse Sasha ricambiando la gentilezza della ragazza, che adesso era attirata dagli occhi scuri dell’uomo che ancora non aveva detto una parola. Si avvicinò a lui per potergli stringere la mano, ma si bloccò nell’istante in cui Luke le disse chi era.
-Jimmy?- chiese, mentre nella sua testa sentiva uno dietro l’altro decine di discorsi riguardanti un uomo che si chiamava in quello stesso modo, che abitava a Los Angeles e che era il padre di un ragazzo che conosceva bene.
-Jimmy Mariano- rispose lui stringendo la mano che aveva lasciato sospesa a mezz’aria. Il sorriso che aveva avuto fino a quel momento scomparse senza che se ne rendesse conto, mentre l’immagine di Jess si materializzava nella sua mente: quello era il padre che l’aveva abbandonato da piccolo e che non si era fatto vivo nemmeno una volta in diciassette anni della sua vita, lo stesso che indirettamente lo aveva portato via da lei pochi giorni prima della fine del liceo. Un uomo che aveva odiato, perché aveva dato un posto in cui vivere al ragazzo: se Jimmy non si fosse presentato a Stars Hollow forse Jess non se ne sarebbe mai andato, o forse se ne sarebbe andato ugualmente, ma non dall’altra parte dell’America. Jimmy la guardava con uno sguardo interrogativo e Rory si accorse che la sua mano era ancora in quella dell’uomo e i suoi occhi non esprimevano il piacere che avrebbero dovuto. Emily le aveva insegnato che le buone maniere sono tutto e aveva ragione, quindi forzò un altro sorriso e disse che era un piacere conoscerlo.
Restarono all’esterno ancora pochi minuti e Rory rientrò per portare in camera le sue valige dicendo che era stanca e preferiva andare subito a riposarsi. Sasha, Lily e Jimmy dissero che era tardi e che avrebbero fatto meglio a tornare al Dragon Fly, dove avevano preso alcune camere.
-è una ragazza in gamba- disse Sasha ripensando a Rory- ed educata. E poi pensa che bella vita conduce facendo la giornalista! Un lavoro stimolante da ogni punto di vista… inoltre è veramente bella, molto più che in foto. Lorelai ha avuto una gran fortuna con lei, non credi?
Jimmy annuì pensieroso: ripensava ancora allo sguardo della ragazza quando aveva saputo il suo nome. Era chiaro che qualcosa non andava, i suoi occhi la dicevano lunga e quel sorriso sforzato non nascondeva il disappunto che provava nel conoscerlo.
-l’ho notato anch’io- disse Sasha accorgendosi del suo sguardo perso nel vuoto, segno che stava viaggiando con la mentre chissà dove, esattamente come faceva spesso suo figlio.
-cosa?
-Rory, il modo in cui ti ha guardato.
-ho sentito una scarica elettrica- le rispose rivivendo quel momento –come se volesse fulminarmi con i suoi occhi. Era astiosa nei miei confronti, non mi ha più rivolto uno sguardo dopo essersi presentata; ha evitato accuratamente di parlarmi e di guardarmi e qualcosa mi dice che Jess è coinvolto in questa storia.
-Si è comportato in modo strano stasera e alla luce di tutto ciò che è successo, dalla sua fuga fulminea da casa di Lorelai alla stranezza di Rory, sospetto che cinque anni fa sia successo qualcosa di cui nessuno ci ha detto nulla- disse Sasha, mentre Michel dava loro la chiave della stanza e notavano che quella di Jess era ancora appesa al tabellone, segno che doveva ancora rientrare.

Il sole era alto nel cielo quando aprì gli occhi e li fece girare distrattamente per la stanza: i suoi vestiti erano sparsi ovunque, le valige semi aperte e il portatile spalancato sulla scrivania. La sera prima era rimasta seduta sul divano insieme a Lorelai fino a notte inoltrata per raccontarle nei dettagli la sua vita dell’ultimo mese e mezzo: si erano sentite per telefono molto di rado e per pochi minuti, quindi non sapeva molto di cosa avesse fatto a Parigi. Le parlò del lavoro, della città, dei francesi; erano state insieme in Francia l’estate in cui si era diplomata, ma solo per pochi giorni: vivere in quella città era un’esperienza unica, nulla a che vedere col soggiorno del turista. Aveva visto il lato bello di Parigi, quello dei musei, dei monumenti, dei giardini verdi e profumati, ma anche le strade di notte, le terribili storie di cronaca che caratterizzavano ogni metropoli.
Erano le tre quando aveva deciso che sarebbe stato meglio andare a dormire, ma una volta nel letto, nonostante la stanchezza per il lungo viaggio e il jet-lag, non era riuscita a chiudere occhio per ore. La presenza di Jimmy l’aveva sconvolta: sapeva che sarebbero venuti, perché Lorelai le aveva raccontato di quanto Luke tenesse ad avere Jess al matrimonio. Avevano invitato anche Liz, con la quale erano in rapporti normali dopo che lei era stata a Stars Hollow alcuni mesi prima per parlare col fratello del figlio; sembrava avessero chiarito alcune questioni in sospeso e la loro relazione familiare era migliorata, anche se non poteva essere considerata idilliaca: c’erano decenni di silenzio e di indifferenza tra loro e non potevano essere cancellati in un attimo, ma stavano provando a tornare una famiglia e quello era molto importante. Aveva incontrato Liz un paio di volte e le era sembrata una brava donna dopo tutto; da come ne aveva sentito parlare l’aveva immaginata come una squilibrata e forse lo era stata, ma a quanto pareva aveva smesso di bere e anche di fumare: si stava impegnando per diventare migliore e Rory sapeva che lo stava facendo anche per Jess. Quando sua madre le aveva detto che ci sarebbero stati anche Jimmy, la sua compagna e Lily lei non ci aveva fatto molto caso, anzi aveva creduto che fosse l’ennesimo passo per riunire la famiglia di Jess: sua madre, suo padre e suo zio erano tutto ciò che aveva e vederli insieme comportarsi civilmente sarebbe stato sicuramente un fatto che gli avrebbe fatto piacere almeno un po’. Aveva passato una vita intera senza una famiglia e ora d’un tratto le cose stavano prendendo una piega inaspettata e ciò che aveva sempre voluto si stava per presentare davanti ai suoi occhi. Non aveva previsto che vedere Jimmy le avrebbe provocato quella strana reazione di freddezza, perché in realtà non c’era motivo per essere così scontrosa nei suoi confronti: lui non aveva fatto nulla se non desiderato di conoscere il figlio, anche se in ritardo; era stato lui ad andarsene, nessuno l’aveva costretto.
Erano anni che non pensava a quella vecchia storia: il pensiero di rivedere Jess l’agitava, ma era certa che del vecchio sentimento che provava nei suoi confronti non ci fosse traccia. Aveva sperato silenziosamente nel suo ritorno per mesi, risposto al telefono ogni volta col cuore in gola e l’ansia di sentire la sua voce camuffata dalla distanza, ma sempre calda e rassicurante, invece da parte sua non c’era stato nulla oltre al silenzio più assoluto. E un giorno aveva capito che di lui non avrebbe avuto più notizia, non a breve scadenza almeno; lentamente era riuscita a superare quel dolore e a trovare l’amore in altre persone. Ricordava benissimo che in un primo momento non era stato facile e si era lasciata andare: qualcosa si era mosso nella sua testa, si era ritrovata a commettere un errore dietro l’altro e la memoria dell’ultimo era ancora viva nella sua mente. La sua prima volta… quella che avrebbe dovuto essere con Jess e che invece era capitata in una stanza mai vista insieme ad un ragazzo che aveva conosciuto poche ore prima ad una festa a cui era stata trascinata da una sua pazza compagna di corso e dove aveva bevuto come una spugna: Rory era astemia. Era iniziato tutto innocentemente con un drink, poi un altro e un altro ancora; Aaron, il ragazzo, le aveva fatto compagnia per tutta la serata e lei voleva solo baciarlo, ma in qualche modo erano finiti al piano di sopra in una stanza buia… “dejà-vu” aveva pensato al ricordo di un Jess pensieroso seduto su una sedia in compagnia dell’oscurità. Aveva guardato Aaron negli occhi e visto lui: la speranza e l’alcol le stavano facendo uno scherzo e lei stette al gioco con la consapevolezza della veridicità delle sue azioni e il desiderio di dimenticare o forse di vivere ciò che non aveva potuto. Era amarezza quella che provava, ma la vita non era tutta rose e fiori e quell’esperienza le aveva aperto gli occhi; le era servita a tornare in sé e a rendersi conto che stava sbagliando. Fu allora che, sulla giusta carreggiata, aveva conosciuto Jason, la sua prima storia importante del college. Con lui aveva vissuto un anno e mezzo di felicità e spensieratezza, aveva ritrovato la gioia di avere qualcuno al suo fianco. Era uno studente di giurisprudenza, molto intelligente e studioso, ma capace di divertirsi in ogni situazione, anche la più tragica. Eppure qualcosa era cambiato negli ultimi mesi della loro relazione e Jason era diventato possessivo, geloso e il suo comportamento le aveva ricordato incredibilmente Dean. Anche da parte sua era accaduto qualcosa: quella passione che aveva caratterizzato la loro storia fin dai primi tempi era scomparsa e non era raro che si scoprisse a desiderare di passare la serata leggendo un libro piuttosto che uscire con lui. E quando una sera vide una ragazza corteggiarlo spudoratamente non sentì nulla, nessuna emozione. Fu allora che capì e decise che non era rimasto più nulla da difendere. Nei mesi seguenti era uscita con svariati ragazzi, ma con nessuno di loro aveva costruito nulla di importante: era l’ultimo anno di college e la sua priorità era stata laurearsi in fretta per poter lavorare a tempo pieno ed estinguere il debito che aveva nei confronti dei nonni, una caratteristica che aveva ereditato da sua madre.
Sapeva che Luke era rimasto in contatto con Jess: una mattina d’estate mentre si trovava a casa di Lorelai per qualche giorno di riposo aveva notato un numero californiano nella bolletta e aveva immaginato che si trattasse di lui, sospetto poi confermato quando aveva udito Luke parlare con sua madre e dirle che il nipote aveva telefonato. Le era stato detto che si era laureato all’UCLA e la notizia l’aveva resa felice, perché aveva sempre saputo che Jess era più dello scapestrato che lasciava intendere agli altri e lo aveva dimostrato.
Si alzò dal letto e raccattò la biancheria pulita per potersi cambiare e fare colazione da Luke. Stars Hollow era piccola ed entro domani, il giorno del matrimonio, lo avrebbe sicuramente incontrato; il problema era “cosa si sarebbero detti?”

-Luke, abbiamo bisogno di una montagna di caffè!- ordinò Lorelai entrando nel locale e dandogli un bacio.
-buon giorno anche a te- borbottò lui ignorando volutamente la sua richiesta. Sapeva che sarebbe iniziata una lunga discussione, ma se quella donna non avesse iniziato a bere meno avrebbe vissuto per poco tempo ancora e non era nei suoi piani.
-avanti, Luke! Ieri sera siamo andate a letto tardi e sono solo le…- disse guardando l’orologio che aveva al polso –le dieci! Ho dormito poco più di sei ore!! Come è possibile che sia in piedi in queste condizioni? Forse non sono io, forse quello che vedi è il mio spirito che vagabonda in cerca dell’unica cosa che può ricongiungerlo col mio corpo! Rory!- aggiunse rivolgendosi alla figlia gesticolando teatralmente–tu chi sei? Corpo senza spirito o spirito senza corpo?
-ehm…- pensò la ragazza toccandosi le braccia come per tastare la sua stessa presenza –corpo senza spirito direi. Qui c’è qualcosa, una massa morbida che credo sia un braccio, ma forse è solo il delirio…
-oh, tesoro! Cosa ci sta accadendo!- gridò Lorelai piangendo –non potrò più ricongiungermi col mio corpo e ciò significa una sola cosa…
-niente matrimonio- disse Rory concludendo la sua frase e dando uno sguardo dispiaciuto al povero Luke che si era deciso a preparare le tazze più grandi che aveva nel locale.
-wow!- esclamò Rory notando la loro incredibile capienza –sono nuove?
-Tua madre mi ha obbligato a comprarle- le rispose versando il caffè –io mi sono opposto con tutte le forze, ma lei mi ha preso i soldi dalla cassa, è uscita ed è tornata con questi due “vasi”. E si è tenuta il resto…
-mamma! –la sgridò la ragazza -I soldi non ti bastavano per una terza da regalare alla tua figlia preferita?
-cosa?! –esclamò Luke sgranando gli occhi.
-No tesoro, ma ho preso da Doose un bel po’ di gelato… più tardi chiamiamo Lane per una serata tra sole donne!
-devi andare a letto presto, sai benissimo che domani sarà un giorno importante e devi essere bella e riposata- le ricordò Rory.
-accidenti ai matrimoni!- imprecò –e se non mi sposo?- chiese ridendo dell’espressione di panico sul viso di Luke.
-stai scherzando, vero?- le domandò, mentre madre e figlia non riuscivano più a contenersi.
-ovvio! E chi la sente mia madre se mando all’aria anche questo matrimonio?!- spiegò cercando di ricomporsi, mentre la porta del locale emetteva il suo familiare suono.
-mi sposi solo per non sentire la predica di Emily, eh? Sono proprio un uomo fortunato!
-e quello che penso anch’io- gli rispose cominciando a bere il suo caffè.
-Buon giorno a tutti!- risuonò per la stanza la voce squillante di Sasha, seguita a ruota dai saluti più contenuti di Jimmy e Lily.
-ciao Sasha! Spero che abbiate dormito bene!
-magnificamente Lorelai, il tuo hotel è bellissimo e accogliente. Tu e Sookie avete fatto un ottimo lavoro!
-hai conosciuto Sookie?
-sì, questa mattina ci ha preparato la colazione e ha parlato un po’ con Jess, così abbiamo saputo che è una delle tue damigelle, che siete amiche di lunga data, nonché socie-rispose la donna spiegandole che avevano deciso di venire al locale perché era curiosa di vedere il posto in cui Jess aveva vissuto e lavorato e di cui sia lui che Jimmy avevano parlato.
-oh, mi auguro che non ne abbia parlato male o, al contrario, troppo bene…- aggiunse Luke, sentendo crescere dentro sé un sentimento che non si spiegava, visto l’andamento positivo della cena della sera precedente.
-no, e comunque non avrei potuto dare un vero e proprio giudizio. Sono stato qui solo un paio di volte…- gli rispose accomodandosi in una sedia vuota, la stessa in cui era stato seduto per alcuni minuti una sera di maggio ascoltando una canzone di David Bowie.
-giusto- disse Luke sentendo il veleno uscire dalla propria bocca- se non ricordo male la prima volta è stato quando sei rimasto un’ora seduto a quel tavolo senza dire nulla a Jess, che ti girava intorno cercando di farti ordinare qualcosa, ma tu te ne sei andato lasciando il tuo portafoglio. E la seconda…- pensò –ah, la seconda è quando una sera ti sei presentato dicendogli che eri suo padre. Poi sei sparito senza dire nulla-. Ora capiva l’origine di quella rabbia: quella era la sera in cui avevano litigato, la sera in cui aveva saputo che Jess non si sarebbe diplomato, la sera in cui lo aveva cacciato per sempre, la sera in cui se n’era andato e non era più tornato. E la discussione era iniziata per colpa di Jimmy.
-esattamente quella- rispose Jimmy senza aggiungere altro, né prendersela per il tono della sua voce: Jess gli aveva raccontato di un litigio avuto con Luke e lui aveva immaginato che fosse stato anche a causa sua.
-cosa stai leggendo?- chiese Rory a Lily cercando di non ascoltare più i fatti di quel periodo e voltandosi verso la bimba in modo da non dover fronteggiare né Jimmy né nessun altro. I pensieri di quella stessa mattina le tornarono in mente e con forza li ricacciò da dove erano venuti, concentrandosi sulla biondina che aveva davanti e che sembrava assorta in un mondo parallelo: le ricordava lei stessa alla sua età, quando tutto era più facile e non desiderava altro che la compagnia di sua madre o di un buon libro.
-Oliver Twist- rispose con la sua voce da bambina –me l’ha consigliato mio fratello.
-Tuo fratello?- le chiese sorpresa dal fatto che lo ritenesse tale: non c’era alcun legame tra loro oltre il fatto che sua madre era la compagna di suo padre.
-sì, Jess. Lui l’ha letto decine di volte! Jess legge tantissimi libri e molto spesso mi da dei consigli, così evito di perdere del tempo con delle schifezze. Alcuni scrittori hanno una pessima fantasia e poco talento… tu leggi?- le domandò. Rory non riuscì a non farsi scappare un sorriso al ricordo di una simile domanda fatta ad un ragazzo pensando che non leggesse molto e che invece aveva ammesso di aver letto quello stesso libro di Dickens almeno una quarantina di volte; ma come lui stesso diceva “quanto è molto?”.
-sì, mi piace. Quando ero più piccola passavo ore seduta ovunque con un libro tra le mani, ma adesso ho poco tempo.
-dovresti cambiare lavoro, farne uno come quello di Jess. Lui viene pagato per leggere- disse la bambina riprendendo il segno e continuando la sua attività. Rory non si meravigliava del fatto che le avesse suggerito quel libro: Dickens era sempre stato uno dei suoi autori preferiti e aveva sempre adorato Oliver Twist .
-Dodger…- sussurrò sorridendo senza che nessuno se ne accorgesse, nemmeno Lily che era a pochi centimetri da lei.
Nel frattempo l’atmosfera si era distesa dopo lo scambio di ricordi tra gli uomini e sua madre e Sasha se ne stavano sedute ad un tavolo a chiacchierare di chissà cosa ridendo e scherzando come due scolare al ritorno dalle vacanze. Notò che la sua tazza si era svuotata e la brocca del caffè era stata lasciata incustodita: quale occasione migliore per evitare una piccola discussione? Si alzò dalla sedia e, nel più assoluto silenzio e con discrezione, la riempì nuovamente. Guardandosi intorno vide che Luke era in cucina, Jimmy leggeva la Gazzetta della città con uno sguardo stupito, Lily era sempre persa nel suo libro e le due donne continuavano le loro confidenze. Afferrando la tazza, decise di far loro compagnia e si diresse verso il tavolo senza rendersi conto che qualcuno era appena entrato dalla porta. Se riuscì ad evitare di rovesciare l’intero contenuto della sua tazza fu un miracolo e per fortuna non ci fu nessuna collisione, perché il nuovo arrivato aveva i riflessi sicuramente più svegli dei suoi.
-mi scusi- disse la ragazza alzando gli occhi e incontrando i suoi, specchiandosi in quell’oscurità che ricordava bene. Erano passati cinque anni, ma non era cambiato molto; sentiva lo stesso profumo di allora, leggeva un po’ di maturità in più nei suoi lineamenti, aveva un vestiario più serio, da adulto, anche se casual, ma sembrava lo stesso il diciottenne che era partito prima del suo diploma. –Jess?
-Ciao!- le rispose sorridendo e facendo scorrere il suo sguardo dal suo viso a ciò che stringeva con forza: certe cose non cambiano mai… Si sentiva paralizzato e non sapeva cosa fare o cosa dire: davanti ai suoi occhi c’era Rory, bellissima e cresciuta, ma con quella tazza fumante tra le mani sembrava la ragazzina che serviva senza che lei chiedesse nulla e dalla quale riceveva in cambio un bacio aromatizzato al caffè. Rivedersi in quel modo così improvviso, quasi scontrandosi era scioccante e nessuno dei due aveva una vaga idea di come procedere. C’erano tante cose rimaste in sospeso, rintanate in un angolo del cuore di entrambi e se fossero partiti col piede sbagliato avrebbero rischiato di rovinare quei pochi ricordi belli che erano rimasti.
-scusa, ma ho appena preso del caffè di nascosto da Luke e avevo fretta di filarmela!- disse la ragazza abbassando la voce e rivolgendogli lo stesso sorriso che aveva lui poco prima.
-beh, nel caso in cui se ne accorgesse e cominciasse a rincorrerti posso provare a fargli perdere tempo sbarrandogli la strada…
-bentornato!- gli disse continuando a sorridere e stringendolo in un amichevole abbraccio di accoglienza, facendo attenzione a non versare il caffè.

-Jess! Sei qui!- gridò Lily alzando gli occhi dalle pagine del suo libro e accorgendosi della presenza del fratello. I due ragazzi si lasciarono, ma non troppo in fretta per evitare che il resto dei presenti notasse quell’abbraccio; Jess camminò verso la sorella e le mosse i capelli con la mano: -ti sono mancato, eh scricciolo?
-certo che no!- ribatté Lily –e non chiamarmi scricciolo o dovrò farti il solletico…
-agli ordini!- rispose immediatamente il ragazzo alzando le mani in segno di difesa: lui non soffriva il solletico, ma lasciava credere a Lily che fosse così. Era un malinteso nato alcuni anni prima, quando stavano lottando sul divano di Sasha e lui aveva iniziato a ridere della persistenza della bimba nella battaglia, ma lei aveva preso quella risata per sofferenza al solletico e da allora lo aveva minacciato ogni volta che le conveniva pensando di farlo cedere al ricatto. Jess era stato al gioco e spesso gliela aveva data vinta: era bello vedere la sua espressione fiera quando riusciva a spuntarla e non importava che fosse stato lui a lasciarla vincere; il suo sorriso valeva più di ogni successo.
-dov’eri finito?- gli chiese Sasha dall’angolo in cui era seduta con Lorelai –d’un tratto sei sparito! Sookie ci ha detto di averti visto uscire, ma non aveva idea di dove fossi andato! Pensavamo che venissi con noi…
-Ho fatto un giro- rispose. Era stato al ponte sperando di trovare la calma necessaria per pensare a cosa fare una volta incontrata Rory, ma i suoi sforzi non erano valsi a nulla. Il rumore delle onde del lago e il canto degli uccelli lo distraevano e gli impedivano di ragionare. Ma adesso capiva che non aveva bisogno del lago per trovare le parole; era bastato semplicemente incontrarla e tutto era tornato normale senza alcun artificio.
-ah, Lorelai- disse –Mi dispiace per ieri sera…- Era stato un idiota, lo ammetteva e il minimo che potesse fare era scusarsi.
-oh…- riuscì solo a dire la donna, sorpresa; sentirlo chiedere scusa era un evento da scrivere sul calendario e da festeggiare ogni anno, ma diventava sempre più evidente che il ragazzo che conosceva aveva preso il volo per lasciare posto al nuovo Jess –non preoccuparti, avrei dovuto capire che non ti andava di parlare, ma se mi portassi una tazza di caffè e un pezzo di torta il mio risentimento nei tuoi confronti cesserebbe di esistere completamente… - aggiunse sorridendo, mentre anche il volto del ragazzo si distendeva.
-un nuovo metodo per eludere la sorveglianza di Luke?- chiese vedendo l’aria interrogativa dello zio e volgendo il suo sguardo a Rory –Vedo che vi state dando da fare!
-la sopravvivenza prima di tutto- replicò lei arrossendo, mentre Jess afferrava la caffettiera.
-Non hai intenzione di darle retta, vero?- lo minacciò Luke da dietro il bancone.
-cosa? Ma l’hai sentita!- rispose il ragazzo –Vuoi che torni ad odiarmi? Non sarebbe proficuo dato che fra qualche ora sarà ufficialmente parte della famiglia!
-e così adesso sei interessato alla serenità familiare… - aggiunse Luke addolcendo quasi impercettibilmente il tono, ma Jess sentì la differenza e non rispose, limitandosi a riempire la tazza che Lorelai teneva a mezz’aria da diversi secondi: -anche questo in memoria dei vecchi tempi- le disse –qualcos’altro?
La donna non parlò, ma indicò con un paio di occhioni da bimba il pezzo di torta che era rimasto nel vassoio dal mattino.
-ah, certo- rispose allungandosi per prenderle il piattino, mentre lei lo ringraziava con un “grazie, cameriere!” che ignorò volutamente: se l’era cercata. Sasha e Lorelai ripresero in fretta la loro conversazione dimenticando che lui era in piedi a pochi passi: andavano d’accordo. Fin dal giorno in cui era arrivato a Los Angeles aveva visto la somiglianza dei loro caratteri e in un primo momento aveva creduto che anche lei lo avrebbe odiato e si sarebbe liberata di lui appena possibile. Ma le cose erano andate diversamente: lo aveva accolto in casa sua, nonostante la diffidenza iniziale, e quando Jess tre anni prima aveva deciso di vivere per conto suo la donna quasi aveva pianto. Si era abituata alla sua presenza, ai vestiti sparsi ovunque, ai libri lasciati su ogni superficie piana ci fosse e alla musica ad alto volume, una musica che dopotutto le piaceva. Aveva notato la sua espressione compiaciuta ogni volta che rientrava in casa e lo trovava seduto sul divano intento a studiare mentre Lily, al suo fianco, guardava con attenzione ogni suo movimento o leggeva uno dei testi che le consigliava. Sua figlia aveva sempre adorato la lettura e Jess aveva cominciato ad insegnarle tutto ciò che sapeva, a scegliere con giudizio, a leggere analizzando e cercando di capire ciò che l’autore voleva dire; a suo modo voleva trasmetterle qualcosa e presto Lily aveva iniziato a vederlo sotto un’altra luce: quel ragazzo da “figlio di Jimmy” era diventato “suo fratello”. La prima volta che aveva sentito pronunciare quelle due parole dalla bocca della ragazzina aveva avvertito una strana sensazione, era basito, non sapeva cosa dire: non aveva mai pensato a lei come ad una sorella fino a quel momento, eppure dopo cinque anni sentiva che lo era; non era un legame di sangue a stabilire la parentela: Jimmy era suo padre biologico, ma non lo era mai stato realmente e Jess non riusciva a considerarlo tale, ma con Lily era un’altra cosa. Si sentiva in dovere di guidarla, proteggerla, aiutarla. Le lanciò un’occhiata camminando verso il tavolo in cui si era seduta Rory e la vide intenta a leggere una delle sue ultime proposte: Oliver Twist…
Respirò a fondo, non ancora sicuro se fosse troppo presto per una conversazione faccia a faccia tra loro, ma aveva già la mano sullo schienale della sedia e Rory si era accorta di lui: troppo tardi per cambiare idea. Stava bevendo il suo caffè in religioso silenzio dedicandogli tutta la sua attenzione come se fosse la cosa più importante sul pianeta; aveva quasi dimenticato il rito del caffè, la quantità industriale che ne occorreva ad una Gilmore e la fede che riponevano in quelle tazze sempre piene. Non era cambiato molto nel locale da quando era partito e la presenza di Lorelai e figlia restava una costante; la osservò attentamente mentre stringeva con due mani bianche, quasi cadaveriche, l’enorme tazza che doveva essere nuova, perché non ne ricordava una simile, e la portava alla bocca: il contenuto doveva essere molto caldo dato che il fumo che ne proveniva nascondeva il viso della ragazza. I suoi capelli erano più lunghi e leggermente mossi, probabilmente per una permanente o semplicemente dei bigodini: alle donne piaceva cambiare, tutte le sue ex ragazze passavano ore dal parrucchiere per farsi colpi di luce, tinture, stirare i capelli se i loro erano ricci o arricciarli se invece li avevano lisci. Cambiamenti che di rado aveva capito: erano belle al naturale, perché rovinarsi con acidi o chissà cosa contenevano quelle schifezze? Secondo lui non si trattava di semplice vanità, ma c’era qualcosa di più profondo: insicurezza forse, desiderio di piacere e compiacere gli altri, essere come qualcuno di cui erano invidiose. Ripensandoci Rory era stata spesso una ragazza insicura per certi versi, ma incredibilmente determinata per altri, bastava pensare al suo futuro: non aveva mai conosciuto nessuno che avesse idee così chiare su ciò che sarebbe diventato e lei era riuscita addirittura a realizzare il suo progetto di una vita. Allungò lo sguardo oltre il vapore chiaro del caffè e inaspettatamente si ritrovò ad affogare in un oceano azzurro, lo stesso al quale si era abituato a Los Angeles, ma di cui aveva conosciuto la profondità una sera nella stanza di una ragazza che non aveva mai visto in vita sua.
-c’è qualcosa di cui vuoi parlare o intendi fissarmi per tutto il giorno?
Senza essersene accorto era rimasto in silenzio a guardarla senza lasciarsi sfuggire alcun particolare e la sua voce sarcastica lo aveva risvegliato improvvisamente. Si sentì in imbarazzo per essere stato beccato, ma era famoso per la padronanza di se stesso e delle proprie emozioni, così non lo diede a vedere e le lanciò un sorriso appena accennato; a lei era toccata la prima parola, ora era arrivato il suo turno.
-come vanno le cose a New York?- le chiese: era la prima cosa che gli era venuta in mente.
-bene!- disse con soddisfazione –mi sono abituata a vivere in una grande città e ho scoperto che mi piace più di quanto immaginassi. È molto caotica e i primi tempi rischiavo di impazzire, ma ho capito che sono stati lasciati alcuni polmoni verdi proprio per quando le persone hanno bisogno di un po’ di tranquillità … e ho imparato ad usare la metropolitana!- aggiunse con orgoglio –conosco New York come le mie tasche ormai!
-sì?- le chiese sorridendo per l’atteggiamento che era rimasto esattamente lo stesso di cinque anni prima.
-e se mi chiedono indicazioni non rischio di mandarli nella direzione sbagliata- rise, mentre entrambi ricordavano vagamente un vecchio episodio legato ad una stazione degli autobus ed una sua fuga per vedere il ragazzo che le aveva distrutto l’auto e, incidentalmente, rotto il polso.
-Lorelai ha detto che lavori per il Times e negli ultimi mesi sei stata a Parigi: un sogno che diventa realtà…
-già…- rispose la ragazza. Era stato Jess a dirle che ce l’avrebbe fatta, che poteva diventare ciò che voleva e, nel profondo del suo inconscio, era certa che quelle parole le avessero dato il coraggio e la forza necessari per continuare a lottare e realizzare ciò a cui per l’intera vita aveva aspirato; -non mi trascino per le trincee o rischio la vita per via di qualche bomba che sta per esplodere, ma mi piace: è un lavoro stimolante e abbastanza sicuro. Ovviamente trattandosi di notizie generali mi occupo di ogni tipo di cronaca, ma le probabilità di finire in ospedale sono alquanto ridotte.
-resta il fatto che lavori per una delle testate giornalistiche più conosciute in tutto il pianeta: non è un fattore da sottovalutare.
-certo!- disse la ragazza voltandosi per un istante verso Lorelai che continuava a parlare con Sasha–e quando tuo nonno ha frequentato l’università col direttore tutto diventa più facile!
-che significa?- le chiese incuriosito.
-mio nonno ha studiato col direttore del Times, facevano parte della stessa confraternita e sono rimasti amici negli anni, così per l’ennesima volta mi ha organizzato un colloquio. Se fossi stata una qualunque probabilmente non avrebbero mai preso in considerazione il curriculum di una ragazzina appena laureata e con la sola esperienza in cronaca bianca di un piccolo quotidiano locale…
-sai anche tu che quella gente non assume chiunque, bisogna avere talento e tu devi averne. Forse hanno accettato a farti fare un colloquio grazie alla conoscenza di tuo nonno, ma se ti hanno assunta significa che hai le qualità e tutte le carte giuste per far parte dello staff. L’assunzione non è stata un favore a Richard Gilmore; sono troppo importanti per far lavorare raccomandati incompetenti- le rispose in tutta sincerità: sapeva perfettamente che Rory era intelligente e capace nel suo lavoro e se l’avevano scelta tra centinaia di candidati voleva dire che anche quelli del Times ne erano convinti.
-grazie- rispose timidamente. Aveva difeso a spada tratta le sue capacità, come sempre del resto.
Era strano averlo davanti agli occhi, seduto placidamente sulla sua sedia al centro del locale e sentirlo parlare. Aveva desiderato per mesi con tutta se stessa di vivere quella scena quando era partito per la California, poi aveva rinunciato a quel sogno; e ora Jess era lì e lei non sapeva cosa dirgli: non conosceva più nulla della sua vita, non aveva idea di un argomento che potesse unirli e che non rendesse la conversazione imbarazzante. Eppure doveva essere facile; erano passati cinque anni, avevano entrambi accantonato il brutto ricordo di quell’epoca, conosciuto altre persone, si erano rifatti una vita soddisfacente, il futuro presentava ad entrambi carriere di successo e soprattutto non erano più soli, lei non lo era di sicuro e tra poco il suo fidanzato sarebbe arrivato in città. Allora perché aveva una paura tremenda e sentiva dei brividi di freddo correrle lungo la schiena?

 
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Elena_R
view post Posted on 26/5/2004, 19:24




Ok, quarta parte. un chiarimento: la parte tra questi segni >> << è un ricordo di rory. nel mio pezzo su word era in corsivo, ma qui non viene... sapete come si fa? chi vuole spiegarmelo mi scriva, grazie!
enjoy!
elena

>>Quello era il giorno più bello della sua vita. Due settimane prima il capo le aveva affidato un servizio importante per la sua poca esperienza nel giornale e dopo notti in bianco a fare ricerche, false informazioni, crisi di nervi per la mancata ispirazione finalmente il suo articolo era stato pubblicato nella terza pagina del New York Times. Quella giornata era stata frenetica, ma resa estremamente piacevole dalle continue congratulazioni dei colleghi e la valanga di telefonate ed E-mails dei lettori del quotidiano; le sue gambe erano a pezzi per via dei tacchi che stupidamente aveva deciso di indossare quella mattina, ma dopo essere uscita dall’ufficio aveva sentito l’impellente bisogno di un buon caffè e si era fermata in quello che considerava il bar migliore dell’intero quartiere. James, il proprietario, le aveva offerto l’intera cena e la sua bevanda preferita a volontà per il suo pezzo e Rory cominciava a comprendere i benefici di essere un giornalista apprezzato. Aveva scritto decine di articoli in quegli anni, ma erano sempre passati pressoché inosservati rispetto a quello e sperava vivamente di non dover tornare nella penombra, perché sarebbe stato un brutto colpo. Stava rileggendo l’ultimo paragrafo, quello di cui andava più orgogliosa, quando un ragazzo di poco più grande di lei si sedette al suo fianco e chiese distrattamente un bicchiere di vino. Rory lo aveva guardato per un attimo e aveva notato la sua pessima cera: nonostante fosse giovane, il suo abbigliamento elegante e i lineamenti tirati e stanchi lo facevano apparire più vecchio.
-pessima giornata, eh?- gli aveva chiesto rivolgendogli un sorriso, come se potesse risollevargli il morale.
-una delle peggiori- le aveva risposto sorseggiando il suo vino –spero solo che finisca presto.
-la vita è fatta di alti e bassi… dopo una caduta c’è subito una bella sorpresa, no?
-dal perenne sorriso stampato sul tuo viso credo che invece per te sia stata un’ottima giornata!- le aveva detto cercando di dimenticare ciò che lo ho opprimeva.
-molto ottima!
-sì? qualche proposta di matrimonio? O soddisfazioni sul lavoro?- le chiese ricevendo come risposta un enorme cenno del capo –vuoi rallegrare anche la mia giornata dividendo la tua gioia con la mia?
Rory gli passò il giornale e il ragazzo diede un’occhiata alla pagina che ormai conosceva a memoria in ogni dettaglio; aveva riletto quell’articolo decine di volte e imprecato in tutte le lingue che conosceva; aveva odiato quella L. G. che aveva scritto l’articolo.
-non dirmi che è tuo…- la pregò.
-Lorelai Gilmore- gli rispose la ragazza – ma preferisco essere chiamata Rory.
Fu in quell’istante che Rory vide il ragazzo ridere di gusto, allentarsi la cravatta e abbandonare il suo bicchiere ancora mezzo pieno sul bancone per non rischiare di rovesciarlo. Non sapeva se sentirsi lusingata per essere riuscita a fargli cambiare umore o stupida per aver detto o fatto qualcosa che aveva suscitato la sua ilarità. Però guardandolo attentamente notò quanto fosse carino e il suono della sua risata era piacevole, armonico, di una sonorità che pochi uomini avevano.
-Scusami, ma è uno strano scherzo del destino…
-cosa?
-Matthew Horizon, piacere- le disse porgendole la mano che Rory evitò accuratamente di stringere, troppo occupata a cercare una via di fuga da quella che era una situazione estremamente imbarazzante.
-Matthew Horizon?- gli chiese per essere certa di aver capito bene – il figlio di Edward Horizon, capitalista della Horizon Industries?!
-A meno che il test del DNA provi il contrario…
Quello non stava accadendo: Rory aveva appena cercato di consolare uno dei soggetti del suo articolo; -Oh…
-“oh”?- le chiese interrogativamente, divertito dall’imbarazzo della ragazza –è tutto quello che una giornalista, una che lavora con le parole, riesce a dire?
-Beh, non mi aspettavo di incontrare il figlio del dirigente dell’azienda che ho appena citato nel mio articolo apparso in terza pagina del New York Times, uno dei quotidiani più letti, e che ho volontariamente segnalato come uno dei peggiori esempi di affare del paese… concedimi un momento di sbalordimento!- disse d’un colpo perdendosi nel suo discorso senza un filo logico e la lucidità per pensare a qualcosa di più sensato.
-fatto?- le domandò dopo un istante, affascinato dal suo viso confuso e le guance arrossate come quelle di una ragazzina. Era molto carina, aveva un’aria innocente e sensuale allo stesso tempo e non ricordava di aver mai conosciuto una come lei.
-ok… Senti, vorrei subito chiarire che non era un articolo contro voi in prima persona, ma le aziende di quel tipo in generale; la vostra sfortuna è stata di aver avuto un tempismo pessimo nell’aprire il nuovo stabilimento!
-e le tue parole dovrebbero farmi sentire meglio, Lorelai Gilmore?
-no, ma…- cominciò abbassando lo sguardo: si sentiva terribilmente in colpa, non aveva pensato nemmeno per un istante che le sue parole avrebbero ferito qualcuno, si era sentita nel giusto e il resto era passato in secondo piano.
-Non preoccuparti, sto scherzando!-la rassicurò –indubbiamente questa non è un’ottima pubblicità –disse indicando la pagina abbandonata sul bancone –ma mio padre sta dando lavoro a centinaia di persone, questo non è un dato da scordare. La concentrazione di aziende in quella zona è alta, ma anche l’offerta di manodopera lo è, per non parlare del proficuo mercato: ci sono tutte le premesse per un affare e per quanto riguarda l’oggetto del tuo articolo… l’inquinamento non diminuirà se lo stabilimento chiude, inoltre noi adottiamo tutti gli accorgimenti possibili per ridurre i danni sull’ambiente, nei limiti del possibile ovviamente.
-ti ho già detto che non ho nulla contro l’Horizon? Che la mia era una riflessione su un problema generale?
-un paio di volte… - le sorrise- e comunque, nonostante il soggetto, lo ritengo un buon articolo.
-Si? Credo che detto dalla parte lesa sia un bel complimento, grazie.<<
Era stato il loro primo incontro, l’inizio di una serie di appuntamenti, serate passate camminando per le vie di New York a discutere di cinema, teatro e persino salvaguardia dell’ambiente! Poi, una sera di dicembre, il loro primo bacio. Erano usciti insieme per esattamente tre settimane e Matt non l’aveva mai sfiorata; era arrivata a pensare di aver commesso un fragoroso errore di giudizio, forse a lui piacevano gli uomini e cercava solo un’amica… ma al ritorno dal cinema l’aveva accompagnata alla porta come tutte le volte e prima che se ne potesse rendere conto i suoi occhi color smeraldo la stavano fissando da una distanza ravvicinata e le sue labbra erano ormai pericolosamente prossime a quelle di lei. Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentire l’odore fruttato del detergente per pavimenti con cui quella mattina erano state lavate le scale misto al suo profumo, il suono della televisione del vicino, probabilmente sintonizzata su un quiz, gli applausi del pubblico e il rumore delle auto proveniente dall’esterno, poi un petalo di rosa posato sulla sua bocca… se non fosse stato per l’uscita improvvisa di Marthy che aveva spalancato la porta credendo di aver sentito qualcuno bussare, forse quella sera Matt sarebbe rimasto per la notte, ma era così imbarazzato da averla salutata velocemente e corso per le scale. In effetti Marthy era stata un po’ invadente con tutte le sue domande, ma era pur sempre un’anziana signora che amava conoscere la vita degli altri per riempire di avventura la sua sempre più solitaria.
Erano simili da diversi punti di vista: non contava più le sere che avevano trascorso insieme passeggiando per le vie illuminate della città dopo uno spettacolo a teatro o una visione al cinema, le ore trascorse sul divano di casa sua a mangiare pop-corn e dolci guardando un film a noleggio, il sostegno ogni volta che si sentiva sola o non riusciva a scrivere, il suo silenzioso supporto seduto alle sue spalle mentre lei stava ore a guardare il foglio elettronico di word completamente bianco in attesa che il getto delle parole affluisse attraverso le sue dita. Da un lato Matt era diventato un surrogato di Lorelai, perché in quegli anni non era riuscita a vederla regolarmente e le mancava, ma dall’altro sapeva che non si trattava solo di quello: l’amava e a in un paio di occasioni si era ritrovata a sperare di poter trascorrere con lui il resto della sua vita. Eppure erano già passati diciotto mesi da quell’incontro al caffè, poco più di sedici da quando una mattina si era svegliata e aveva trovato quel laureato in economia a Yale nel suo letto, ma soprattutto le sue braccia che la stringevano. La sensazione di sentire qualcuno così vicino aveva cominciato a esserle estranea: dopo Jason, il ragazzo con cui era uscita per un anno e mezzo durante il primo anno di università, non c’era stato nessuno d’importante, solo qualche appuntamento senza senso né meta, aveva dormito con qualcuno senza provare nulla che andasse oltre l’attrazione fisica. Aveva cercato l’amore nelle persone che non avrebbero potuto darglielo, aveva sperato che quelle notti passate con uno sconosciuto potessero colmare il vuoto affettivo che sentiva dentro, ma ogni mattina nel letto restava solo l’alone di una presenza che aveva occupato quello spazio che alla luce del sole si era nuovamente svuotato. Quel giorno invece lui era rimasto, aveva guardato con attenzione la sua pelle chiara illuminata dai deboli raggi del sole invernale e aveva sentito che quello era l’inizio di un nuovo capitolo della sua vita. Matt non era come i ragazzi che aveva avuto, ma un “Frankestein” di tutte le loro qualità, anche se ovviamente non era perfetto… aveva lo stesso amore di Craig per il rock, la passione per lo sci di Dylan, l’odio per la musica country, esattamente come Michael, la fede in Dio lo accomunava con Jason, quel piacere per le gallerie d’arte invece lo metteva sullo stesso piano di J. D., la mania per le feste era sempre stata una prerogativa di Brian, mentre a ricordarle Dean c’era lo sport che quando aveva tempo praticava: l’hockey. In lui c’era un pezzetto di ognuno di loro e allo stesso tempo era distante da quei ragazzi anni luce. Quelli erano solo nomi, non parlava con nessuno di loro da tempo, tranne che con Dean, ma la storia con lui era diversa; quando Jess era partito per la California, lui si era sposato e per qualche mese Lindsay lo aveva voluto solo per sé, era gelosa di lei e che potesse portarglielo via, ma a distanza di tempo aveva capito di non avere nulla da temere e lentamente erano tornati ad essere amici e anche con la signora Forester il rapporto era divenuto più piacevole.
E dopo cinque anni esatti la persona che più l’aveva ferita in assoluto era tornata e del vecchio ragazzo che conosceva non era rimasto nulla oltre l’aspetto esteriore: nei pochi istanti che avevano passato insieme le era sembrato più aperto, più propenso a parlare, stava allo scherzo, anche se non aveva perso il suo sarcasmo e quell’aria da ragazzaccio che lo aveva sempre caratterizzato. Nonostante il tempo trascorso era sempre Jess, il bellissimo Jess, l’amico con cui passava ore a discutere di libri, a difendere Ayn Rand, a lottare per preservare le sue tesi contro Hemingway, il suo colpo di testa, la perdita della razionalità: era sempre stato un imprevisto arrivato a sconvolgere la sua serena vita col fidanzato perfetto, a crepare il meraviglioso rapporto con la madre, a renderla “quel tipo di ragazza”, qualunque cosa questo potesse significare. Ma oltre quelle somiglianze c’era dell’altro: un Jess cresciuto, maturato e diventato ciò che lei aveva sempre creduto, uno che aveva scoperto quel lato nascosto dentro sé per troppi anni e che finalmente era emerso, quel lato che aveva mostrato sempre e solo a lei e che ora era almeno in parte sotto gli occhi di tutti. E forse era merito di Los Angeles e di Jimmy, della sua nuova vita nell’Ovest e adesso sapeva che averlo lasciato andare era stata una buona scelta. Almeno per il suo bene. Il colore scuro dei suoi occhi, a volte inquietante e misterioso, brillava alla luce del sole e nell’iride riusciva a scorgere mille pagliuzze dorate che risaltavano ancora più sulla sua pelle abbronzata dal sole della California; i suoi capelli erano come sempre un disastro, una confusione ordinata… chissà se passava ancora decine di minuti davanti allo specchio a modellarli col gel finché non prendevano la giusta piega? E la prima cosa che faceva dopo essersi alzato era ancora radersi o le sue abitudini erano cambiate? Solo ora si rendeva conto di quanto le fosse mancato, di quanto non sapere più nulla di lui le pesasse, ma alcuni giorni non erano forse troppo poco per riprendere le redini di un’amicizia dopo cinque anni di silenzio più assoluto?
-Hey! Guarda chi si vede!-sentì dire dalla voce profonda di Luke interrompendo il flusso dei suoi pensieri e facendole distogliere lo sguardo da Jess: non si era accorta di aver passato gli ultimi attimi a fissarlo attentamente e l’intervento di suo zio le aveva fatto notare che per tutto quel tempo si erano guardati dritto negli occhi, ma lei era stata talmente presa da se stessa da non farci caso.
-buon giorno a tutti! È bello rivederti, Luke!- sentì aggiungere dalla persona che era appena entrata e velocemente il suo sguardo abbandonò il contatto che aveva avuto fino allora con Jess e si posò sul nuovo arrivato. Il cuore le batté a mille l’ora e di scatto si alzò dalla sedia che aveva occupato placidamente negli ultimi minuti quasi scagliandola verso il pavimento, per correre a salutare l’ultimo ospite del locale. Erano passate sei settimane da quando si erano visti, due giorni dall’ultima volta che si erano sentiti… Con un balzo fu tra le sue braccia e si sentì sollevata sentendo che erano ancora capaci di stringerla.
-Matt!-gridò quasi stordendolo. Finalmente era di nuovo con lei.

La sensazione che stava provando era indescrivibile e, nonostante non sapesse esattamente di cosa si trattasse, sapeva di non aver alcun diritto di sentirla. Era passato troppo tempo da allora, molte cose erano a cambiate, a cominciare da loro due. Le aveva spezzato il cuore, ne era consapevole e un giorno si sarebbe scusato per il modo in cui se n’era andato, ma anche lui aveva sofferto e solo dopo qualche anno era stato capace di ammetterlo; perché prima era troppo orgoglioso e pieno di sé da capire ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, sicuro di avere sempre ragione, in ogni momento, in ogni decisione, desideroso di fuggire dalle responsabilità che Luke aveva cercato di dargli, impaurito dalle conseguenze delle sue azioni, terrorizzato da lei. Sapeva che Rory non era come le altre, l’aveva capito fin dal primo istante, ma dopo essere usciti insieme per mesi si era accorto che era molto più di un’infatuazione. A volte, quando era steso nel suo letto, da solo, in attesa che Morfeo lo prendesse tra le sue braccia, gli sembrava di sentire la sua voce lievemente metallica attraverso la cornetta di un telefono pubblico sulla spiaggia e quelle parole riecheggiavano nella sua mente come in una valle. Non le aveva detto nulla quel giorno, ma sapeva già di sentire lo stesso. Togliendo il “forse”. Ma era finita, era stata lei a deciderlo dopo che lui non le aveva lasciato altra scelta. E comunque una relazione a distanza non avrebbe mai funzionato; quando Jenna, una delle sue ex-ragazze, era stata fuori città per un paio di settimane non era riuscito a fermarsi ed aveva dormito con una rossa spettacolare incontrata all’ingresso di un club. Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima. Se in quei cinque anni era stato capace di diplomarsi, laurearsi e trovarsi un lavoro gratificante e piacevole, la sua vita sentimentale era un vero disastro: non aveva costruito nulla e la scena che gli si stava proponendo glielo ricordava dolorosamente. No, ciò che stava vedendo non era reale. Improvvisamente Rory era scattata come una molla ed aveva raggiunto un ragazzo in giacca e cravatta appena entrato nel locale; dopo aver gridato il suo nome – Matt - lo aveva abbracciato. Fin qui tutto bene, poteva essere un qualsiasi amico; ma gli amici non si baciano, non sulla bocca, non in pubblico e non con quella foga. Era il fidanzato e sembrava perfetto per lei. Lo stomaco gli si contorceva e sentiva che entro breve avrebbe vomitato se avesse continuato a guardarli, ma non poteva andarsene. Anche lui aveva avuto mille storie, tutte inutili e improduttive, ma non l’aveva aspettata, perché non c’era motivo di farlo e lei era libera di comportarsi allo stesso modo. Il problema era solo suo e ancora una volta si ripeté che non poteva avanzare alcuna pretesa su Rory, era in ritardo di cinque anni per farlo. Inoltre poterle parlare nuovamente e in piena serenità, senza rancore, era più di quanto sperasse.
Rimase seduto fissarli, immaginando di non essere nel locale o di essere invisibile ed osservare la scena senza essere visto: dopo qualche minuto, dopo baci, abbracci e parole sussurrate, Rory e quel ragazzo si guardarono intorno e Jess vide una Lorelai sorridente avanzare verso i due e stringere lui in un rapido abbraccio, uno come quello che gli aveva riservato la sera precedente. Era strano: aveva impiegato sette anni per trovarsi in quella situazione, aveva dovuto dimostrarle che poteva combinare qualcosa nella vita, mentre al fidanzato di Rory era bastato molto meno, ne era certo; non fece caso ai suoni, ma sapeva che stavano parlando, scambiandosi convenevoli probabilmente, poi si accorse che Luke era uscito da dietro il bancone e gli stava stringendo la mano, anche lui sorridendo e dicendo qualche parola. Quel ragazzo cominciava a sembrargli il benvenuto, parte della “famiglia” e non era certo di volerlo come parente acquisito, marito della figlia della moglie di suo zio: troppo complicata come parentela, ma pur sempre esistente. Mentre tutti chiacchieravano allegramente diede un’occhiata a Rory: era contenta, lo vedeva dalla luce nei suoi occhi, dalle sue guance rosse e dalla sua gestualità; in un certo senso era felice per lei, però…
Mentre la osservava, ancora seduto al tavolo che poco prima li aveva uniti in una breve conversazione e un intenso scambio di sguardi che lo aveva confuso, notò che Sasha e Jimmy erano stati presentati a loro volta al nuovo arrivato e lei sembrava rapita dal fascino da businessman di quello che poteva essere suo figlio. Fortunatamente Lily non si era lasciata prendere dalla gioia e, dopo un rapido cenno del capo a quel damerino, aveva continuato la sua lettura, come se nulla fosse più importante: era fiero di lei, in alcuni atteggiamenti gli somigliava sempre di più. Poi accadde qualcosa che avrebbe preferito evitare: vide un paio di occhi verdi puntarlo, seguiti da quelli degli altri presenti e sentì che era arrivato il momento di smetterla di fingere di essere invisibile e tornare alla realtà. Rory si fece avanti dicendo qualcosa e Jess ricordò di riattivare il sonoro in tempo per udire le sue parole: -Matthew questo è Jess.
La frase era breve e coincisa, il tono della voce calmo, non traspariva imbarazzo, né esitazione, ma quando i suoi occhi passarono da lei a Matt notò che l’espressione allegra sfoggiata poco prima era scomparsa e nei suoi occhi, con un po’ di immaginazione, riusciva a vedere due bei punti interrogativi.
-Jess?- chiese il ragazzo rivolgendosi sia a Rory che a lui.
-esatto- rispose alzandosi dalla sedia: complicare le cose non aveva senso e comportarsi da persona educata era la scelta migliore; si trattava del matrimonio di Luke e Lorelai, rovinarlo sarebbe stata una carognata e non era tra i suoi propositi; per essere sincero non aveva alcun’intenzione di fare nulla: non era venuto per lei, non voleva nemmeno vederla all’inizio, ma quel fastidio nell’assistere alla scena col fidanzato gli aveva fatto capire che qualcosa, qualunque cosa fosse, esisteva ancora. Però Rory era felice e lui sarebbe tornato a Los Angeles e anche se fosse esistita una sola possibilità di ricominciare, sarebbe stata inutile: aveva tradito Jenna e tutte le altre, poteva farlo anche con lei e non lo meritava; -Sono il nipote di Luke- disse porgendogli la mano che, dopo una breve esitazione, Matt strinse.
-Piacere di conoscerti Jess- rispose il ragazzo insicuro su ciò che avrebbe dovuto aspettarsi dalla sua presenza: conosceva bene il suo nome, sapeva cosa aveva fatto alla sua fidanzata e aveva perfettamente inquadrato la categoria di persona cui apparteneva, ma mostrargli i suoi timori non sarebbe servito a nulla, quindi gli sorrise garbatamente –ho sentito parlare di te.
Jess non rispose: Matt sapeva chi era, probabilmente lei gliene aveva parlato e non era certo se fosse un bene o un male. D’un tratto ricordò i molteplici sguardi e alzò il suo nella loro direzione: perché diavolo tutta quella gente non era capace di pensare ai fatti suoi? si chiese, pensando a qualche commento sarcastico da dire. Ma non gli veniva in mente nulla: pessimo segno.
Non credeva che lo avrebbe mai fatto, ma quando sentì il suo cellulare squillare ringraziò silenziosamente l’inventore di quell’affare che interrompeva sempre nel momento sbagliato, o quasi.
-e da quando usi quella roba?!- inveì Luke vedendo che non si trattava di quello di Lorelai o di qualcun altro –non ti ho insegnato proprio nulla!
-mi hanno obbligato- si giustificò –è solo per il lavoro, vogliono che sia sempre raggiungibile- disse estraendolo dalla tasca dei pantaloni e rispondendo: -Pronto? Hey, Sean!- si diresse verso l’uscita, conoscendo bene le regole del locale; inoltre era l’unica soluzione che vedeva per sottrarsi a quella situazione. Abituarsi a stare nella stessa stanza in cui si trovavano Rory e il suo ragazzo richiedeva tempo e lui non ne aveva avuto. Luke non gli aveva mai accennato nulla, Jess non l’aveva mai chiesto. Se avesse saputo che era fidanzata e che lui sarebbe stato presente si sarebbe preparato ad affrontare la situazione, avrebbe cercato qualcosa da dire, pensato a come comportarsi, ma ora come ora non aveva idea di cosa fare. Era indubbiamente strano vederla con Matt, ma era la realtà e avrebbe fatto meglio ad accettarla il prima possibile o sarebbe impazzito.
-chi è Sean?- chiese Luke dall’interno del locale, mentre il nipote era fuori a parlare in modo concitato al telefono.
-è il suo capo- rispose Lily riponendo il libro sul bancone –il proprietario della casa editrice. Tu non hai un capo?
-oh, no- disse Luke –questo posto è mio.
-wow! Anch’io voglio un negozio mio, è molto meglio non avere nessuno che ti da ordini. Non mi piace quando la mamma mi dice di fare qualcosa. Prendi Jess: in ogni momento Sean può chiamarlo e dirgli di lavorare. Io voglio lavorare quando voglio…
-certo…- rise Luke: fino a qualche anno prima Jess avrebbe preferito lavorare con una maglietta azzurra che combinare qualcosa, mentre quella ragazzina aveva già le idee chiare, anche se non del tutto realiste.
-sebbene lui formalmente sia solo un dipendente- aggiunse Sasha –il loro lavoro è prettamente paritario, anzi, spesso Sean si affida completamente a Jess per le decisioni, quello che ricopre è un ruolo importante. Comunque so che gli piacerebbe realizzare qualcosa di suo, ma come tu sai bene Luke c’è bisogno di soldi e Jess si sta impegnando a risparmiare la cifra necessaria.
-c’era in ballo un progetto- disse Jimmy –Sean e Jess pensavano di aprire una società e di espandersi: la casa editrice ha lavorato molto negli ultimi mesi e ho sentito parlare di filiali fuori dalla California, ma Jess dice che c’è bisogno di molto denaro e non è sicuro di accumulare una tale cifra entro breve.
-sarebbe fantastico se riuscisse a farcela- aggiunse Lorelai –mi sembra di capire che sta lavorando molto e quella è una soddisfazione che merita.
-hai ragione- disse Jimmy –quando è arrivato a Los Angeles era un ragazzo senza alcuna prospettiva, ma in poco tempo ha fatto cose incredibili e ora ha la possibilità di realizzare qualcosa di così importante… non avrei scommesso nulla su mio figlio e ora so che sarebbe stato un grosso errore.
-Senza saperlo ha sempre avuto un enorme potenziale- disse Rory guardando all’esterno, dove Jess continuava a parlare al cellulare camminando avanti e indietro sul marciapiede –e finalmente ha capito come usarlo…- al contrario di suo padre, lei non avrebbe mai esitato a scommettere su di lui; sapeva benissimo che era una delle persone più intelligenti e in gamba che avesse mai conosciuto e aveva aspettato che anche lui se ne rendesse conto e la smettesse di interpretare il ruolo del ragazzo senza prospettive. Jess era sempre stato una persona fantastica e, nonostante i suoi tentativi di non mostrarlo agli altri, lei l’aveva capito, aveva cercato di spronarlo, gli aveva teso una mano che lui aveva sempre rifiutato di afferrare e la sua testardaggine per una volta era servita a qualcosa, perché sembrava che ora le cose andassero alla grande per lui.
-a quanto pare avremo visite!- disse il ragazzo rientrando nel locale –Sean sarà a New York lunedì mattina.
-come mai? È per quello scrittore che devi incontrare?- gli chiese Jimmy.
-sì. A quanto pare il potere che ho ora non basta e quell’idiota vuole lui. Mi chiedo come faccia un tale deficiente a scrivere così bene…- aggiunse passandosi una mano tra i capelli e aggrottando la fronte –Ad ogni modo andremo entrambi all’appuntamento e Sean lascerà a me l’ultima parola, quel Meyers capirà che fare lo schizzinoso non l’ha portato da nessuna parte, anzi si è inimicato la persona sbagliata.
-e partirà subito dopo?
-no, ha detto che resterà fino a mercoledì e pensava di venire qui a Stars Hollow. Gli ho consigliato il Dragon Fly e più tardi gli prenoterò una stanza.
-un nuovo cliente…- disse Lorelai –perfetto!
-sei in debito con me, ora.
-ti farò portare la colazione a letto dalla più bella cameriera del mio staff, accontentati.
-non mi dai altra scelta- rispose Jess sorridendo. Imbarazzo: era l’unica cosa che gli veniva in mente e la telefonata era durata troppo poco tempo per pensare adeguatamente ad un modo per sciogliersi da quella situazione. Voleva andarsene immediatamente, perché la visione di Matt lo nauseava; desiderava che quella settimana passasse in fretta per poter tornare alla sua vita a Los Angeles, tuffarsi nel suo lavoro, non pensare ad altro e dimenticare tutto: Stars Hollow, Luke, Matt, Rory e il passato. Ce l’aveva fatta una volta, poteva riuscirci ancora.
-è meglio che porti le mie cose all’Inn- disse Matt pregando con lo sguardo Rory di accompagnarlo: non si vedevano da settimane e preferiva restare solo con lei, dato che avevano solo un paio di giorni per farlo prima che lui partisse per Savannah, dove si trovava l’azienda madre dell’Horizon Industries. Quando suo padre gli aveva parlato di quel viaggio l’aveva quasi odiato: era l’unica settimana in cui Rory sarebbe stata in America e lui doveva partire per lavoro.
-certo- rispose la ragazza- ti accompagno. Ci vediamo più tardi!- disse salutando tutti e aspettando che Matt facesse lo stesso per poi uscire dal locale. Jess respirò a fondo, lieto di non aver dovuto trovare una scusa per andarsene, soprattutto perché la sua fantasia sembrava essere andata in ferie negli ultimi minuti.

Le rosee prospettive di un tranquillo week-end con la fidanzata che nelle ultime sei settimane non aveva visto per più di pochi giorni erano state infrante per ben due volte: la prima da suo padre e la seconda da quell’uomo che sembrava occupare ancora un posto troppo grande nel cuore di Rory. Stava guidando già da cinque minuti e lei non aveva detto una parola, cosa alquanto insolita per una Gilmore. Conosceva lei da un anno e mezzo, sua madre da diversi mesi e non le aveva mai sentite tacere per più di pochi secondi, ovvero il tempo di masticare un boccone e ingoiarlo, quindi quel silenzio cominciava ad infastidirlo. Certo il paesaggio verde che anticipava l’arrivo al Dragon Fly diventava più suggestivo se nessuno disturbava i tuoi pensieri con discorsi continui: la frenesia delle parole era in contrasto con la tranquillità del posto e in una circostanza diversa avrebbe apprezzato quella calma da parte della ragazza, ma ciò che era accaduto pochi minuti prima lo innervosiva e non poteva passare inosservato.
-e così lui è Jess…- disse distrattamente vedendo all’orizzonte la locanda di Lorelai. Ricordava il giorno in cui Rory gli aveva parlato di un ragazzo di cui era stata innamorata molto tempo prima, uno importante, ma che se n’era andato senza dirle una parola. Gli aveva detto che per lei era stata una storia importante, anche se vista da fuori poteva sembrare una semplice infatuazione per il ribelle appena arrivato in città; per un certo periodo era stato effettivamente così, era rimasta affascinata dall’aria di mistero che Jess aveva intorno a sé, ma col tempo qualcosa era cambiato e un doloroso sentimento si era radicato nel suo cuore. Quel giorno lo sguardo di Rory era diverso, i suoi occhi sembravano aver perso la loro naturale lucentezza quando gli aveva parlato di lui. Ma ricordava benissimo un altro particolare, le parole della ragazza: “ Ormai Jess non conta più nulla, ho smesso di pensare a lui ”. Come poteva non crederle?
-in persona- rispose mentre Matt parcheggiava l’auto tra due alberi che le avrebbero fatto ombra.
-e… come ti senti?
Rory sgranò gli occhi, incredula della domanda che le stava ponendo: perché glielo stava chiedendo? Sperava che non stesse pensando qualcosa di sbagliato, perché tra lei e Jess non poteva più esserci niente. Ora amava Matt; -che significa?
-se non sbaglio è la prima volta che lo rivedi da quando se n’è andato e so benissimo che da allora sono cambiate molte cose, ma mi chiedevo se questo incontro improvviso ti ha fatto qualche effetto. Sarebbe normale provare qualcosa, qualunque cosa…- specificò spegnendo il motore.
-mia madre mi aveva detto che sarebbe stato presente al matrimonio. Luke gli è molto affezionato, hanno vissuto insieme per un paio d’anni e voleva che ci fosse in quello che per lui è un giorno molto importante.
-non mi hai risposto…- le ricordò uscendo dall’auto, dopo che lei aveva fatto la stessa cosa. Stava diventando evasiva o era una sua impressione? Sembrava combattuta, come se stesse cercando una risposta dentro se stessa, come se nemmeno lei sapesse cosa aveva sentito nel momento in cui l’aveva rivisto.
-è strano, devo ammetterlo- cercò di spiegargli sperando che non vedesse nelle sue parole qualcosa di falso –io e Jess siamo stati amici prima di ogni cosa, nonostante il suo carattere chiuso e la poca disponibilità a comunicare, quando eravamo insieme parlavamo tantissimo e di ogni cosa, dalla scuola ai libri o film, parlavamo del nostro futuro delle mie paure… eppure oggi non avevo idea di cosa dire e per lui era lo stesso. Siamo diventati due estranei, due persone che non sanno più nulla l’uno dell’altra. Non me ne ero mai accorta prima d’ora, ma purtroppo ho perso un amico e mi dispiace molto.
- nient’altro?
- nient’altro- gli rispose con un rassicurante sorriso sulle labbra. Matt poteva essere un capo duro ed intransigente, ma a volte sembrava così insicuro ed indifeso! Era capace di un grande sangue freddo nelle peggiori situazioni, ma quando si trattava dei sentimenti diventava una persona completamente diversa.
-nessuna emozione particolare, rimpianto…- elencò mentre ad ogni affermazione la ragazza scuoteva la testa ridandogli poco a poco la sua normale sicurezza- … brama di sbatterlo contro una parete e violentarlo?
-adesso che mi ci fai pensare… sì, è un istinto che ho avuto, ma l’oggetto del mio desiderio non era lui- disse ridendo e facendo gonfiare d’orgoglio il ragazzo che stava aprendo la porta della stanza che Lorelai gli aveva riservato.
-…quando ho visto Taylor - continuò la ragazza prendendosi gioco di Matt –non ho capito più nulla!
-che bambina cattiva!- la sgridò ridendo –tutti, ma non Taylor! Forse avrei preferito… come si chiama? Kirk?
-oddio!
-te la farò pagare cara, lo sai?- chiese prendendola in braccio e portandola di peso all’interno dopo aver spostato il suo borsone con un calcio e chiuso la porta con il piede.
-sono letteralmente tra le tue grinfie… - rispose Rory mentre Matt l’appoggiava sul letto profumato di primavera e le chiudeva la bocca con le sue stesse labbra: quello non era il momento di parlare.

Il debole sole del pomeriggio filtrava attraverso le persiane semichiuse e solo alcuni raggi percorrevano la stanza appoggiandosi alla parete chiara colorandola con una lieve sfumatura rosata: erano passate diverse ore da quando aveva oltrepassato la soglia del locale di Luke e il tramonto rosso cominciava a calare su Stars Hollow. Rory era stesa al suo fianco, dormiente. Sul suo volto c’era un sorriso compiaciuto e Matt, guardandola, si chiedeva cosa stesse sognando, o chi. L’angoscia che aveva lasciato fuori dalla porta quello stesso pomeriggio era entrata lentamente ma con costanza attraverso le fessure e ora si era impossessata nuovamente di lui. Le parole di Rory avrebbero dovuto rassicurarlo completamente, come i fatti del resto. Da una anno e mezzo usciva solo ed esclusivamente con lui, non baciava nessun altro, era l’unico al quale rivolgeva le famose parole”ti amo”, spendeva centinaia di euro per sentire la sua voce ogni sera chiamandolo da Parigi; l’aveva presentato alla sua famiglia, agli amici; era uscita da quel locale con lui e poche ore prima avevano fatto l’amore.
L’amava più di ogni altra donna che aveva avuto nella sua vita e Rory diceva di sentire lo stesso: non gli aveva mai mentito, perché farlo ora? Tutto ciò che lei diceva e faceva avrebbero dovuto dimostrargli che non c’era alcun pericolo di perderla, eppure un’immagine vista quello stesso pomeriggio continuava a materializzarsi nella sua mente. Arrivato a Stars Hollow e sceso dall’auto aveva dato un’occhiata all’interno del locale di Luke per assicurarsi che fosse lì e in effetti l’aveva vista, ma era rimasto sconcertato: Rory aveva gli occhi fissi su un ragazzo seduto al suo stesso tavolo, non parlavano, ma si stavano guardando e l’intensità di quello sguardo gli aveva fatto stringere il cuore. Aveva saputo chi fosse prima che Rory glielo presentasse, nel profondo del suo cuore era consapevole che quello era Jess: la storia importante, l’amore doloroso per il ribelle, l’amico. E non aveva capito tutto ciò dal modo in cui si stavano guardando, ma dai suoi occhi: non li aveva mai visti così luminosi da quando la conosceva.
 
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Elena_R
view post Posted on 30/5/2004, 16:35




eh, sono troppo buona... altro capitolo, altro regalo (spero).
mi raccomando i commenti!
elena

Capitolo cinque

Dal suo tavolo riusciva a scorgere i cambiamenti di espressione del povero Jimmy che era costretto da diversi minuti ad ascoltare una delle più recenti idee di Taylor per aumentare il turismo a Stars Hollow e quindi la popolarità oltre che le entrate della piccola città: questa volta la sua proposta consisteva nel trasformare gli abitanti in attori viventi facendo loro indossare abiti tradizionali (da portare giornalmente) dei primi pellegrini fondatori, convertire alcuni spazi negli antichi negozi di artigiani, mostrare la lavorazione del legno, del ferro, del pane come si faceva secoli prima e organizzare feste di quell’epoca. Inoltre per pubblicizzare questo nuovo aspetto di Stars Hollow aveva pensato all’apertura di un sito internet che spiegasse tutto nei minimi dettagli e sembrava che Kirk stesse studiando dell’informatica, anche se con scarsi risultati, proprio per poterlo creare e metterlo on-line. Le facce di Jimmy erano impagabili: passavano dallo sconcerto all’allucinazione e all’incredulità, probabilmente si chiedeva come potesse esistere una persona del genere o quale fosse il segreto per sopportarlo. Quando Taylor cambiò soggetto, Rory decise di essersi divertita abbastanza e rivolse nuovamente la sua attenzione a Lorelai e Matt, i quali da diversi minuti parlavano del matrimonio che avrebbe avuto luogo il giorno seguente. Sua madre era al settimo cielo e non la vedeva così felice da anni: a volte il pensiero che non sarebbero state più sole la spaventava, temeva che le cose sarebbero cambiate, ma in cuor suo sapeva che non sarebbe mai accaduto. Luke aveva sempre fatto parte della loro vita e il fatto che ora abitasse nella sua vecchia casa non aveva modificato di molto le cose. Ovviamente non poteva andare in giro per casa nuda, ma d’altra parte non l’aveva mai fatto… Lui era stato quasi un padre, forse anche più di Chris, e ripensandoci trovava normale che finalmente entrambi indossassero quel benedetto anello. Avevano impiegato troppo tempo a capire cosa volevano in realtà, ma per fortuna ce l’avevano fatta prima che fosse troppo tardi per entrambi, anche se un paio di volte avevano rischiato molto: bastava pensare a Max, o Rachel, o Nicole e anche suo padre, quando in un surreale momento aveva pensato di ripristinare la famiglia e aveva illuso entrambe che fosse possibile… ci sarebbero stati anche lui, Sherry e la piccola Giorgia al matrimonio. Ricordava il giorno in cui gli avevano annunciato il fidanzamento di Lorelai e Luke: era stupito, ma non per la notizia in sé. Era sorpreso perché finalmente ce l’avevano fatta a trovarsi e ne era stato felice: anche lui aveva capito da tempo che tra loro c’era qualcosa che andava oltre la mera amicizia. Era strano che da tanto dolore, tanti dissidi, in quella stanza fossero presenti persone che avevano diviso amore e passione tra loro a discapito della felicità di altri: sua madre aveva fatto soffrire nel silenzio Luke per anni, Jimmy aveva lasciato suo figlio e la fidanzata e ora stava con Sasha, che a suo parere non doveva aver avuto una vita fatta di rose e fiori, e Lily ne era la prova, perché nessuno si ritrova da solo con una figlia e lei conosceva bene la situazione. Che dire delle persone che mancavano all’appello? Liz, Chris, Jess… tanto odio covato per anni e che ora sembrava dissipato nel passato per far spazio ad un minimo di tolleranza da parte di ognuno nei confronti di tutti. Almeno questo valeva per Liz e suo padre, dato che di Jess sapeva ben poco e non aveva idea di cosa provasse per sua madre. Sapeva che si erano sentiti per telefono in un paio di occasioni, ma nulla che andasse oltre i consuetudinari convenevoli “come stai”, “come va”, “come è il tempo laggiù”… Sembrava quasi che avesse rimpiazzato la figura di Liz con quella di Sasha, ma forse era solo una sua impressione. Evidentemente vivere in una vera famiglia era stata una fantastica esperienza per lui, abituato ad essere spedito a destra e a sinistra come un pacco postale, e l’affetto che provava ora per lei poteva dirsi somigliante a quello che sentiva per Luke. Una cosa la preoccupava: il loro incontro. Jess sapeva che sua madre sarebbe stata presente e sicuramente si era preparato all’occasione, ma i giochi della mente differiscono troppo spesso dalla realtà e se avessero rovinato tutto sarebbe stato triste. Fu in quel momento che lo vide entrare dalla porta a vetri e salutare tutti con un cenno del capo, evitando volutamente di rivolgere lo stesso a lei. Aveva un libro tra le mani e Rory immaginava dove fosse stato fino a quel momento; dopo aver preso il panino che Jimmy aveva abbandonato nel suo piatto, troppo occupato com’era ad ascoltare i discorsi insensati di Taylor e a divertirsi alle sue spalle, disse qualcosa a Lily, la quale stava guardando una rivista sugli animali insieme a Sasha. Luke gli chiese di andare nel magazzino a prendere delle bibite e Jess acconsentì, sparendo poco dopo dietro la vecchia porta di ferro. Quell’indifferenza l’aveva irritata, ma non c’era nessuna necessità di dar troppo peso a lui, non era più un suo problema, anche se sperava che dopo quel pomeriggio potessero ritrovare un qualche tipo di rapporto. Era vero che dopo l’arrivo del suo ragazzo anche lei aveva fatto il possibile per non incrociare il suo sguardo e quando Matt aveva detto di voler andare in albergo si era sentita sollevata; ma non doveva essere quello l’effetto che la sua presenza doveva procurarle e ripensandoci forse per Jess era lo stesso.
-buona sera a tutti!- disse una voce allegra preceduta dal solito ring del campanello appeso alla porta. Non ci fu bisogno di voltarsi, perché, non stante l’avesse incontrata solo in un paio di occasioni, avrebbe riconosciuto quel tono squillante tra mille.
-Liz?!- gridò Luke vedendo arrivare quella furia della sorella: da quando aveva iniziato la terapia di disintossicazione sembrava un’altra persona, chiunque se ne sarebbe accorto e lui era felice che finalmente anche lei avesse ritrovato la sua strada; forse era una peculiarità di famiglia combinare disastri e maturare più tardi rispetto al resto del mondo, e in quella famiglia di squilibrati lui era l’eccezione che confermava la regola.
-hey, fratellino! È bello rivederti!- disse abbracciandolo.
-anche per me. Ti trovo in forma!
-in effetti ultimamente le cose vanno molto bene. Lorelai!- aggiunse vedendo la neosposa avvicinarsi-stai benissimo! Allora, sei pronta? Domani è il grande giorno!
-cercherò di esserci!- rispose la donna sorridendo e abbracciandola a sua volta. Aveva capito molte cose su Jess da quando aveva conosciuto Liz e lei le aveva raccontato del suo passato incasinato, dei suoi fidanzati, dell’alcol e di come era stata una pessima madre per il ragazzo. Aveva provato una gran pena anche se non era certa per chi dei due; non che quel trascorso lo giustificasse, ma spiegava molte delle sue azioni e spesso si era ritrovata a pensare come si sarebbe comportata lei se fosse stata nei suoi panni.
-ci sarà- intervenne Rory –la scorterò io personalmente…
-ero certa che l’avresti fatto- le rispose Liz- come stai? Mi hanno detto della Francia, congratulazioni!
-grazie -disse la ragazza arrossendo impercettibilmente, mentre gli occhi della donna l’avevano già lasciata e si erano posati su un volto di cui conosceva ogni lineamento. Lui aveva smesso di ascoltare Taylor nel momento in cui aveva sentito la sua voce inconfondibile e ancora viva nella memoria dove aveva rinchiuso i ricordi di un ragazzo che vagabondava spensieratamente tra le strade New York e della ragazza che gli aveva dato un figlio dal quale era fuggito.
-Liz- disse alzandosi con fatica dalla sedia per poterle stringere almeno la mano.
-Jimmy. È passato qualche anno dall’ultima volta…
-ventitré, già…
-non sembri cambiato, eccetto per l’abbronzatura ovviamente…
-sai, laggiù hanno il sole e io lavoro in spiaggia quindi è inevitabile.
-La California, l’oceano, belle donne: il sogno americano, no?-sentiva una gran rabbia che crebbe quando notò una signora eccentrica e bionda dall’altra parte del locale, e immediatamente capì di chi si trattava: la donna che Jimmy aveva preferito a lei, la stessa con cui il suo stesso figlio aveva vissuto e forse considerato come una madre.
-beh…-cominciò timidamente prima di essere interrotto dalla voce di suo figlio immobile davanti alla porta del magazzino con tra le braccia una cassa di bottiglie d’acqua.
-Liz?
La donna si voltò verso il ragazzo e un enorme sorriso comparve sulle sue labbra nel vederlo cresciuto, un uomo bello e, a quanto pareva, forte. Non ricordava nemmeno più da quanto tempo non s’incontravano, si sentiva molto nervosa e le mani avevano cominciato a tremare. Il ricordo che Jess aveva di lei non era dei migliori e voleva fare una buon’impressione su di lui fin dall’inizio.
-Jess!-lo salutò avvicinandosi a lui e aspettando che appoggiasse il pacco sul pavimento per poterlo abbracciare –oddio, sei così … diverso!
Il ragazzo si sentiva soffocare da quell’abbraccio e sperava che lo lasciasse al più presto, ma sembrava che Liz, al contrario di lui, trovasse accogliente quella posizione, quindi fu costretto a ritrarsi bruscamente. Quella era diversa dalla madre perennemente ubriaca che aveva lasciato sette anni prima in un appartamento di New York; sapeva della disintossicazione, dei suoi tentativi di uscire da quel tunnel senza fine in cui si era trovata, di come stesse riuscendo nel suo scopo, ma il presente non cambiava il passato e, anche se sperava di poter appianare le cose anche con lei come aveva fatto con Jimmy, ora si chiedeva se ce l’avrebbe fatta. L’espressione dolce di poco prima e quella di disappunto che aveva quando l’aveva allontanata lo disorientavano lievemente, ma era stata lei ad abbandonarlo e un paio di telefonate non avevano risolto il problema. Non era così semplice…
-in sette anni i ragazzini crescono… -le rispose freddamente ricevendo per risposta un solo cenno della testa da parte di sua madre.
-hai ragione e mi dispiace, ma… Luke mi ha detto che te la sei sempre cavata bene: niente guai e ora…
Non aveva intenzione di rovinare il matrimonio di suo zio, ma quello era troppo: non poteva essere una madre normale e limitarsi a chiedergli come andavano le cose? Perché tirare fuori sempre la solita storia?
-ci vediamo domani- le disse afferrando nuovamente il libro che poco prima aveva appoggiato sul banco e uscendo come fulmine sbattendo la porta dietro sé, lasciandola immobile contro la parete e la testa tra le mani. Luke le si avvicinò per confortarla: sapeva quanto le stesse a cuore il ragazzo e volesse che le cose potessero prendere una piega normale, ma immaginava che non sarebbe stato facile. Jess era sempre stato un mago nel complicare tutto, forse perché lui per primo non sapeva come comportarsi finché non si ritrovava faccia a faccia con la realtà.
-dagli un po’ di tempo- le disse Jimmy conoscendo bene le reazioni del ragazzo. I primi tempi tra loro erano stati un vero inferno per entrambi, l’odio e il rancore erano troppo forti, ma i mesi e la conoscenza reciproca avevano sbollentato tutto e quella specie di rapporto era finalmente decollato.
-tempo?- chiese la donna andando verso la porta e cercando la sua figura nel buio senza riuscire a trovarla- non abbiamo che poche ore, Jimmy.
-gli basteranno- rispose Rory alzandosi dalla sedia dalla quale aveva seguito l’intera scena e mettendole una mano sulla spalla –deve solo fare un po’ di chiarezza in se stesso.
-e tu che ne sai?
-probabilmente sono la persona che lo conosceva meglio- disse pensando al tempo verbale che aveva usato, il passato, sperando di non sbagliarsi e fissando a sua volta la strada deserta: se era sparito così in fretta c’era solo un posto in cui poteva essere andato.

Rigirandosi per l’ennesima volta tra le lenzuola umide si rese conto che riuscire a prendere sonno sarebbe stata un’impresa possibile solo a Tom Cruise. Al suo fianco Sasha aveva chiuso gli occhi da molti minuti e sembrava che l’arrivo di Liz non l’avesse per nulla scossa. Prima di partire per il Connecticut ne avevano parlato e aveva capito che la madre di Jess non sarebbe stata gradita tra la cerchia di amici della donna; forse era ostilità o gelosia perché con lei aveva avuto un figlio, lo stesso che a sua volta adorava e al quale dava la stessa importanza di Lily. Per cinque anni era stata quasi una madre per lui e trovarsi di fronte Liz le avrebbe ricordato che con Jess non aveva alcun legame di sangue; eppure sapeva perfettamente che non erano quelli a fare una famiglia tale e gli esempi si sprecavano: lui e Lily, Rory e Luke, Jess e Lorelai, seppur a loro modo. Non sarebbe stato facile mantenere un’atmosfera serena e sperava che tutto quell’astio non rovinasse il matrimonio, perché, a detta del figlio, quella era l’unica cosa a rendere Luke veramente felice.
La reazione di Jess non l’aveva preoccupato particolarmente: sapeva che incontrare Liz dopo tanti anni non avrebbe scaturito una scena strappalacrime da talk show e la decisione del ragazzo di andarsene prima di dire qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi era stata la migliore. Quando era arrivato a Los Angeles all’improvviso chiedendo un tetto sulla testa, lui e Sasha avevano parlato per ore: sapevano entrambi che sarebbe stato difficile creare un rapporto inesistente, far sparire la collera che il ragazzo, nonostante cercasse di nasconderlo, provava, riuscire a dimenticare o almeno a superare il passato e ricominciare daccapo, ma avevano rischiato. Ci erano volute settimane di silenzio e di convivenza falsamente pacifica seguite da altrettante di discussioni, urla e sensi di colpa per trovare un equilibrio, capirsi e cominciare a costruire mattone dopo mattone ciò che ora avevano. Ovviamente con Liz la situazione era diversa: avevano parlato al telefono diverse volte e la loro non era una partenza da zero; Jess aveva bisogno di chiarirsi le idee su come comportarsi e la prossima volta che si sarebbero incontrati tutto sarebbe stato più facile. Aveva sempre pensato che quel ragazzo riflettesse troppo: a chi non lo conosceva poteva sembrare un impulsivo, uno che fa ciò che gli passa per la testa, ma non era così: ogni decisione importante della sua vita era passata sotto un’attenta analisi, ore ed ore di meditazione, forse qualche lista dei pro e dei contro, ma aveva quasi sempre fatto la scelta giusta. Era certo che anche la sua partenza da Stars Hollow cinque anni prima non fosse stata un semplice colpo di testa: da un lato l’aveva fatto perché Luke l’aveva sbattuto fuori, ma sentiva che c’era dell’altro e dalla sera precedente aveva capito che la causa poteva essere solo una: la figlia di Lorelai.
Non gli era passato inosservato il suo sguardo mentre guardava la foto della ragazza e la fuga da quella casa poco prima che lei arrivasse era segno che non si sentiva pronto per riaffrontarla. Aveva ritardato l’inevitabile, perché se l’era trovata di fronte all’improvviso quella stessa mattina e ancora una volta l’aveva osservato attentamente: riconosceva la luce negli occhi che aveva mentre parlavano, perché era la stessa che una volta aveva avuto lui per una donna dalla quale era fuggito perché gli aveva dato un figlio; una donna che aveva amato moltissimo, ma dalla quale era stato costretto ad allontanarsi per paura e, poiché se n’era andato senza darle nessuna spiegazione, temeva che Jess avesse agito allo stesso modo e per lo stesso motivo.

-io credo che dovresti restare- spiegò Matt cercando di non farle raggiungere la porta della sua stanza d’albergo –è tardi e ci sono tipi strani in giro a quest’ora…
-sono solo le dieci e questa è Stars Hollow: non può accadermi assolutamente nulla e comunque so come difendermi!- rispose Rory indietreggiando verso l’uscita.
-ma se ti perdessi…
-ho vissuto qui tutta la mia vita, Matt, non dire sciocchezze!
-allora diciamo che il tuo fidanzato vuole che dormi con lui piuttosto che in un vecchio letto a casa di tua madre in una stanza che non ti farebbe dormire per i troppi ricordi d’infanzia…
-anche la tua fidanzata vorrebbe restare- disse afferrando la maniglia- ma domani ci sarà un matrimonio e il caso vuole che la sposa sia proprio mia madre e ciò significa una sola cosa: che la figlia razionale e calcolatrice dovrà farla alzare in tempo, preparare quantità industriali di caffè, aiutarla col trucco, il vestito e darle una buona dose di sostegno morale!
-odio i matrimoni, soprattutto quelli in cui non posso passare la notte con te!
-è solo una notte, Matt! Domani staremo insieme tutto il giorno, non ti mollerò un attimo e a fine giornata non vorrai più saperne di me!-rise aprendo la porta.
-se faccio un ultimo tentativo resterai?- le chiese supplicandola con lo sguardo.
-buona notte…
-se non riuscirò a dormire domani sarò intrattabile e tu dovrai sopportarmi.
-devo correre il rischio, mia madre mi sta aspettando a casa. Ciao!- disse dandogli un ultimo bacio e chiudendosi la porta alle spalle per evitare che la trattenesse ancora e la facesse cedere. Anche lei avrebbe preferito restare con lui, ma per quella sera Lorelai aveva bisogno di sua figlia più di chiunque altro e dato che negli ultimi mesi non era stata per nulla presente nella sua vita, restare con lei era il minimo che potesse fare. Passando nella hall sorprese Michel dire parole dolci ad una donna per telefono e pensò che quello era un fatto più unico che raro; lo salutò con un cenno della mano e fu certa che, se fosse stato bianco, l’avrebbe visto arrossire vistosamente. Sorrise al pensiero di Michel innamorato, perché pensava che l’unica persona che potesse amare fosse se stesso e un po’ sua madre, forse; ma dopotutto anche lui era un essere umano e in qualche parte remota del suo cuore doveva esserci un po’ di spazio anche per una donna.
-chissà se la mamma lo sa?- si chiese uscendo e bloccandosi sulla loggia alla vista di Jess, il quale probabilmente stava rientrando proprio in quel momento dopo essersene andato dal locale di Luke.
-cosa dovrebbe sapere?- le chiese distrattamente. Poche ore prima non era riuscito nemmeno a guardarla negli occhi e ora, di nuovo, si trovavano da soli uno di fronte all’altra.
-oh, beh… sembra che Michel, te lo ricordi vero? Pare che abbia una fidanzata ed è strano perché è la prima volta che lo sento sussurrare parole romantiche a qualcuno, anzi è la prima volta che lo vedo sussurrare! È sempre stato così cinico e preoccupato per sé che mi ero abituata alla sua facciata individualista…
-le persone possono cambiare, no?-le domandò retoricamente avvicinandosi per poter entrare.
-tu lo sei- rispose la ragazza guardandolo negli occhi e facendolo fermare–e anche Liz.
-lo so- disse. Aveva passato ore seduto sul legno scricchiolante del ponte a ripensare alla sua vita a New York con lei, alle terribili giornate in cui non stava bene e beveva come una spugna, all’infinità di urla che gli rivolgeva ogni volta che faceva o diceva qualcosa che lei riteneva sbagliata, al via vai continuo di uomini di cui non ricordava più il nome; aveva ricordato la sua espressione indifferente quando lo guardava e gli passava davanti senza rivolgergli parola né guardarlo. L’immagine della vecchia Liz era totalmente diversa dalla donna che aveva incontrato quella sera: sua madre aveva sempre avuto le occhiaie e gli occhi rossi per il poco dormire e la vita sregolata, i capelli biondissimi, tinti ovviamente, il trucco ad ogni ora del giorno e della notte e l’odore del fumo e dell’alcol erano il suo deodorante. Ma la donna che si trovava a Stars Hollow era completamente diversa, il colore dei suoi capelli era di un biondo quasi naturale, il viso rilassato e fresco, nessuna traccia di stanchezza e un trucco leggero, quasi invisibile e un odore diverso… una fragranza che era rimasta nascosta in un luogo remoto nella sua memoria, il profumo di una mamma che era stata tale fino a quando lui aveva compiuto dieci anni e che nel giro di poco tempo si era tramutata in un’estranea. Sapeva ogni cosa dei suoi progressi, Luke gli aveva raccontato tutto, e lui ne aveva visto i risultati.
-allora perché ti sei comportato in quel modo? Non vi vedevate da secoli!
-non pensi che questo sia uno dei problemi?- le chiese e Rory scorse un frammento di dolore nei suoi occhi, un’ombra che aveva caratterizzato il suo sguardo per tutto il tempo che aveva vissuto con Luke quando erano due ragazzi –Insomma, l’ultima volta che l’ho vista era una pazza alcolizzata alla quale non importava nulla di me e ora sta bene, sembra che abbia risolto tutti i suoi problemi e, credimi, sono orgoglioso dei suoi progressi, ma come credi che possa sentirmi? Liz ha smesso di essere una madre quando ero poco più di un bambino e da allora non mi ha mai detto una parola dolce, né mi ha abbracciato. Stasera era tutto così strano… non sono abituato ad avere una madre, Rory, tanto meno una che mi abbraccia e che…
-che sembra ti voglia bene?- lo aiutò. Non aveva pensato troppo accuratamente a come l’avrebbe presa lui, a cosa avrebbe provato. Sapeva che si erano sentiti e, ingenuamente, aveva dato per scontato che Jess avesse messo da parte il passato in nome di una nuova famiglia unita.
-già- rispose il ragazzo sorridendo –strano, eh?
-non credo che sopporterei una remota possibilità che mia madre possa non volermi bene- disse a sua volta pensierosa: vivere una vita come quella di Jess non sarebbe stato facile per nessuno e lei era certa che nei suoi panni non avrebbe resistito a lungo; aveva ragione quando pensava che, da ragazzina, a New York non sarebbe sopravvissuta un giorno, lei così naïf nella tana del lupo. Ora le cose erano diverse, non era più un’ingenua bambolina e la grande metropoli non la spaventava né era capace di sbranarla.
-per te è diverso-la interruppe nelle sue riflessioni- io ho dimenticato cosa significa avere l’affetto di una madre, quindi non ci ho fatto più caso. È scioccante riaverlo…
-è una bella cosa, non credi? Finalmente il mondo comincia a girare nel verso giusto anche per te, Jess.
-probabilmente sì. Devo solo abituarmi all’idea e cercare di mettere da parte il passato.
Il passato… che ne sapeva lei del suo passato? Non ne avevano mai parlato per il semplice fatto che quello per lui era un argomento tabù: non le aveva mai detto nulla di Liz, dei suoi amici di New York, del reale motivo per cui era stato mandato da Luke, non sapeva niente nemmeno di suo padre. A detta di Lorelai, da quanto aveva potuto vedere la sera prima a cena, andavano d’accordo e anche lei aveva notato che avevano una connessione, un feeling che Jess sembrava avere con tutti i membri della famiglia Mariano.
-come hai fatto con Jimmy.
Il ragazzo sembrò perso nei suoi ricordi per alcuni secondi, come se stesse ripercorrendo il lungo viaggio che l’aveva portato a superare il rancore per il padre che l’aveva abbandonato e un modo per riuscire a trovare un modo per fare lo stesso con Liz.
-diciamo di sì- le rispose –l’hai conosciuto?
-ieri sera-rispose ripensando alla strana sensazione che aveva provato nel vederlo- e anche Sasha e Lily. Mi sembrano tutte brave persone e poi lei è simpaticissima! Ha lo stesso temperamento di mia madre! Un vero e proprio uragano!
-Hai ragione! Infatti sono andate d’accordo fin dal primo istante!
-Jimmy invece ti assomiglia molto: è uno di poche parole, riservato. E ho notato una cosa: avete una gestualità molto simile! Guardandolo mi sembra di vedere te!
-sì- disse Jess ricordando il primo incontro avuto con Jimmy quella sera in cui era apparso da Luke- all’inizio sono rimasto sconvolto anch’io! Non ci eravamo mai visti eppure ci muovevamo allo stesso modo! Dal mio punto di vista era tutto assolutamente contro natura!
-è nei geni! Invece ho notato che Lily è una del nostro club…
-lettrice?-le chiese ricevendo in risposta un cenno affermativo del capo -Jimmy ha un sacco di libri e lei ha cominciato a leggerli poco dopo essere andati a vivere tutti insieme. Sasha ha detto che è stato lui ad insegnarle a leggere.
-E tu continui la sua opera di acculturazione consigliandola… mi auguro che non le proporrai mai Hemingway!
-ho deciso di aspettare ancora un po’ per farle leggere qualcosa di suo -sorrise- ma lo farò.
-dovrò regalarle un paio di libri meno soporiferi… -lo schernì, come quando erano due ragazzi e discutevano per ore sull’abilità dell’autore che mai era riuscita ad apprezzare nonostante gli sforzi.
-non cambi mai, eh Gilmore?!
-sempre fedelissima del mio credo! Ma adesso è tardi- disse guardando l’orologio –domani sarà una giornata molto lunga ed è meglio andare a dormire.
-ok - rispose senza fare un passo. Voleva guardarla ancora rischiarata dalla luce della luna che la faceva sembrare allo stesso tempo pallida e luminosa; doveva smetterla di pensare a lei, ma sembrava che nelle ultime ventiquattrore fosse diventato inevitabile, eppure aveva un uomo adesso e per lui non c’era posto… ma quando, come in quel momento, sentiva i suoi occhi azzurri fissi su di lui, quando riusciva ad esserle tanto vicino da respirare il suo profumo e gli bastava stendere un braccio per toccarla, la sua mente si svuotava e i suoi occhi non riuscivano a vedere altro che la sua luce. Si chiedeva cosa stesse pensando, cosa passasse nella sua testa quando lo vedeva, cosa sentiva quando erano uno vicino all’altra, se anche lei era confusa almeno un decimo di quanto fosse lui.
-Jess?-gli chiese senza smettere di guardare dalla sua parte, come se fosse stata immobilizzata e non potesse staccare lo sguardo.
-huh?
-sono contenta di vederti, davvero.
-anch’io- rispose: era vero, ne era felice, ma avrebbe voluto di più, molto di più…
-adesso siamo quasi come due estranei, ma se tu pensi che sia possibile… potremmo provare a tornare amici, non credi?
Amici? Poteva essere realmente suo amico dopo tutto quello che era successo? Sì, poteva.
Ma poteva essere suo amico con la coscienza di provare qualcosa che andava oltre la mera amicizia? Poteva fingere d’essere felice sentendola parlare di Matt, vedendola baciare Matt, essendo solo un amico della fidanzata di Matt? Sarebbe stato capace di sopportare tutto ciò? Sì, forse sì, perché nel giro di pochi giorni sarebbe tornato a Los Angeles e le cose sarebbero tornate come prima, si sarebbero ignorati, ne era sicuro. Ma non era certo se fosse più doloroso essere suo amico nonostante l’amara verità o separarsi definitivamente da lei…
-dopotutto è passato molto tempo e entrambi abbiamo superato ciò che c’era stato tra noi: viviamo due vite diverse, abbiamo altre persone al nostro fianco, Matt e sicuramente tu hai qualcuno che ti attende a casa, no? Non c’è motivo per cui non dovremmo tentare…
Certo, era quasi tutto vero, eccetto il fatto che nessuno di cui gli importasse lo stesse aspettando in California, ma lei non poteva saperlo, non parlavano da cinque anni e la loro vita in quel periodo era un buco nero l’uno per l’altra, un capitolo bianco tra le pagine di un libro. Forse era il caso di riprendere a scriverlo, anche se da due punti di vista diversi.
-immagino che nulla ci impedisca di provare- le rispose: preferiva parlarle di tanto in tanto che perderla nuovamente per sempre; e le sue parole le fecero sorridere un sorriso per cui avrebbe pagato tutto ciò che aveva per vederlo sul viso in ogni momento.
-Bene!- disse la ragazza felicissima –allora ci vediamo domani!
-a domani, buonanotte!
-Buonanotte Jess- rispose avvicinandosi e dandogli un bacio sulla guancia, sfiorandola per un attimo che a lui sembrò un’eternità, e sparendo velocemente nella notte.
… Mille volte buonanotte!-aveva detto Giulietta al suo Romeo rientrando in casa senza udire la sua triste risposta: -Mille volte cattiva, senza la tua luce! … pensò guardando nel buio, sperando di vederci attraverso per poter riconoscere la sua sagoma, ma non riuscì a scorgere nulla, così decise di rientrare e cercare di dormire, anche se sapeva che non sarebbe stato facile. E quella notte non sarebbe stato l’unico a soffrire d’insonnia, perché nella mente di Matt, dopo aver richiuso la tenda della sua finestra, l’immagine alla quale aveva appena assistito si sarebbe ripetuta all’infinito…

NdA: la citazione in corsivo è ovviamente di Shakespeare, Romeo e Giulietta.
 
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Elena_R
view post Posted on 8/6/2004, 19:45




capitolo sei in arrivo! grazie a tutti per i commenti!
elena

-Oh, tesoro! Sono così felice per te! Non immagini quanto ho sperato che questo giorno arrivasse! Sono successe così tante cose e ogni volta che incontravi un uomo mi dicevo: è lui! È quello giusto! Ma puntualmente la storia finiva e io mi chiedevo cosa c’era di sbagliato, perché non funzionava? Stavo per perdere le speranze, poi tu mi hai detto cosa era successo tra te e Luke e ho capito che gli altri non ne valevano la pena, perché stavi aspettando lui! È meraviglioso! Come ti senti? Io ero agitatissima, ti ricordi? E…
-Sookie!- la interruppe Lorelai mentre Rory, aggiustando il vestito della madre, rideva delle parole della donna mentre–mi hai fatto questo discorso almeno un paio di volte: la prima quando ti ho detto che mi ero fidanzata e la seconda quando ti ho comunicato la data delle nozze. Per favore, oggi risparmiamela!
-scusa, ma sono così emozionata…-rispose l’amica con gli occhi sognanti e le mani a mezz’aria, fervide e in continuo movimento.
-Eppure se non sbaglio la sposa sono io! Dovresti calmarti, non credi?
-la mamma ha ragione, perché non vai a prendere le scarpe in cucina e nel frattempo bevi un sorso d’acqua? Inoltre non fa bene al bambino questa agitazione- le suggerì la ragazza accarezzandole una spalla e indicando la pancia della donna: era al quarto mese del suo secondogenito e questa volta sarebbe stato un maschietto. Non si stavano attenendo all’originale progetto di Jackson di avere quattro figli in altrettanti anni, ma riuscivano a darsi da fare ugualmente.
-sì, è meglio che mi sieda cinque minuti e respiri a fondo- disse Sookie avviandosi in cucina –Ci vediamo dopo.
Sia Lorelai che Rory seguirono con lo sguardo le spalle della donna fino a quando scomparve e si guardarono lasciandosi sfuggire un gioioso sorriso: -è molto felice per te, mamma.
-lo so. Mi è sempre stata vicina e immagino che sia orgogliosa di vedere che finalmente anch’io sono arrivata all’altare… forse più di mia madre!
-non penso che sia possibile! La nonna non sta più nella pelle, ma credo che abbia paura di non riuscire a vederti con l’anello al dito…
-il suo incubo dev’essere che decida all’ultimo minuto di fuggire in moto con un bellimbusto col fisico da Baywatch?
-o magari con un cow boy
-uno spogliarellista… hai presente i California Dream Men? Chissà che fine hanno fatto?
-ricordi quando Kirk per carnevale si era imbottito di cotone e si era travestito da uno di loro? Oddio! Era terribile! Un insulto alla virilità maschile!
-povero Kirk! Pensa che l’altro giorno ha incontrato una ragazza che doveva andare ad Hartford e gli ha chiesto indicazioni e lui ha creduto che lo stesse molestando perché lo ha fiancheggiato in auto mentre stava camminando per andare da Doosie!
-dici sul serio?
-sì, ha cominciato ad urlare in mezzo alla strada: “signorina! Se ne vada! Io non sono un gigolo, la mia mamma non lo sopporterebbe!”
-oh, poverina! Deve essersela data a gambe levate!
-Miss Patty ha fatto allontanare Kirk e le indicato la strada, poi la ragazza è sgommata via attraversando addirittura col semaforo rosso! Taylor era uscito dal negozio attirato da quelle urla e quando l’ha vista ha cominciato a gridare a sua volta contro quella ”scellerata”… -rispose Lorelai segnando con le dita l’epiteto che il vecchio aveva utilizzato per identificare la forestiera.
-nessuno cambierà mai in questa città! Sembra che siano personaggi di un libro, una favola…
-ma il mondo là fuori è diverso- aggiunse la madre pensando ad una persona in particolare.
-ti riferisci a lui?- le chiese Rory retoricamente, poiché sapeva benissimo chi fosse il soggetto di quel discorso.
-l’atteggiamento di Jess è cambiato molto, a volte stento a riconoscerlo.
-credo che sia dipeso dalla vita che ha ora. Quando abitava qui le cose erano molto diverse per lui: non aveva una madre, né un padre. Era stato costretto a vivere in un posto che odiava con uno zio che non conosceva. Se ci pensi oltre me non aveva nessuno… ma adesso c’è una famiglia che gli vuole bene, ha ritrovato Jimmy e credo che anche con Liz le cose andranno meglio.
-da come si è comportato ieri pomeriggio io non ci spererei… -rispose Lorelai sedendosi sul divano facendo attenzione a non rovinare il vestito da sposa che la figlia aveva sistemato con tanta cura.
-ho parlato con lui e…
-quando?- la interruppe.
-ieri sera prima di tornare a casa ci siamo incontrati al Dragon Fly; stava rientrando e mi sono fermata un paio di minuti.
-e così ti ha detto che le darà una possibilità.
-praticamente sì.
-cos’altro?
-cosa?
-cosa vi siete detti?
-non molto. È tutto così strano tra noi adesso… la mattina in cui ci siamo praticamente caduti addosso ero molto confusa, ma ho cercato di mantenere tutto il controllo possibile e credo di essermi comportata bene; poi è arrivato Matt e ho avuto l’impressione che qualcosa fosse cambiato, come se quel fragile equilibrio che in pochi minuti si era creato tra noi fosse stato spezzato, ma ieri sera tutto è tornato alla normalità e probabilmente avevamo solo bisogno di ritrovarci nello stesso luogo da soli, senza nessuno che ci interrompesse in modo da poter parlare e chiarirci.
-chiarire cosa? Il passato?
-no, non si tratta di quello. Sono passati cinque anni mamma, ormai non ha più importanza e sarebbe da stupidi rivangarlo. Non ho rimuginato su di lui per molto tempo e ora non voglio pensare nuovamente a ciò che ho dovuto attraversare quando mi ha lasciato-disse guardando verso un punto vago di fronte a se, cercando di evitare di incrociare lo sguardo di sua madre- Gli ho proposto di riallacciare i rapporti…
-Rory, Jess adesso vive in California, tu hai una meravigliosa vita e per qualche altro mese resterai in Francia e poi c’è Matt…-Lorelai non poteva permettere che sua figlia soffrisse ancora per lui.
-Jess era mio amico- disse Rory con fermezza –vorrei che tornasse ad esserlo. Nient’altro.
-tra voi c’è qualcosa di irrisolto, lo sai benissimo. Non credi che riprendere a frequentarlo potrebbe riportare a galla vecchi sentimenti che non hanno mai avuto una fine? Potrebbe essere doloroso e questa volta non sei sola, perché hai un fidanzato e fare soffrire anche lui sarebbe terribile. Jess non è mai stato un ragazzo perfetto, penso a Dean e vedo che non aveva nulla a che fare con lui: ti ha trattata molto male e non lo meritavi…
-mamma…
-so che è cambiato e so che non lo farebbe mai volontariamente, ma quando si tratta di sentimenti la ragione è fuorigioco: tutto dipende dal cuore
-come hai detto anche tu poco fa- la riprese la ragazza- al momento viviamo in due continenti diversi divisi dall’immenso e profondo oceano, praticamente in parti opposte del globo… un paio di telefonate non ci faranno riscoprire nessun amore nascosto o sentimenti sopiti nel profondo del nostro animo!-disse con tono quasi di derisione – non accadrà nulla e io rimarrò fedelissima al mio fidanzato, come sempre.
Lorelai ascoltava con attenzione la parole della figlia, cercando di leggere nei suoi occhi, splendenti come sempre, cosa provasse in realtà, se quella che le stava dicendo era la verità o fingeva che tutto andasse bene. Ma crescendo la limpidezza di Rory era scomparsa con la sua adolescenza e anche per lei era diventato difficile capirla come quando era una bambina o una quindicenne innamorata o preoccupata. Un tempo le bastava un’occhiata per rendersi conto che c’era qualcosa che non andava, che le stava nascondendo qualcosa o che, al contrario, moriva dalla voglia di raccontarle ciò che succedeva. Non aveva bisogno di fare domande perché Rory era un libro aperto; ma col tempo le pagine si erano irrigidite e ingiallite e leggere le parole che vi erano scritte era diventato sempre più difficile: aveva pensato di essere lei il problema, che forse col passare degli anni la sua vista si fosse abbassata. In realtà l’inchiostro si era scolorito e le frasi erano diventate illeggibili.
E anche senza il suo costante aiuto Rory se l’era sempre cavata egregiamente, segno che, dopotutto, il sostegno di una madre non è indispensabile. Poteva continuare a starle vicina consigliandola senza pretendere di avere l’ultima parola su ogni cosa, fidandosi del suo giudizio, anche se ogni volta che si era trattato di Jess avevano avuto idee discordanti e fino a quel momento, nonostante sembrasse una contraddizione, avevano entrambe avuto ragione.
-lo so- le rispose –ma anche Matt mi è sembrato strano di fronte a lui e ho pensato che fosse geloso. Se questa amicizia compromettesse il vostro rapporto non sarebbe saggio continuare a coltivarla, non credi?
-gli avevo parlato di Jess molto tempo fa, sa che per me è stato importante quanto scioccante… è per questo che di fronte a lui è molto inquieto, credo. Ne abbiamo discusso e gli ho detto chiaramente ciò che provo. Non ha di che preoccuparsi; dovrà abituarsi alla sua presenza per un paio di giorni, tutto qui.
Lorelai si chiese cosa provava veramente sua figlia; poco prima se l’era cavata dicendo semplicemente che era stata confusa durante il loro primo incontro, ma oltre quello non aveva specificato nulla. Sapeva che quella per Jess non era stata una semplice cotta adolescenziale e stava per domandarglielo quando la porta si spalancò improvvisamente e Lane corse all’interno rischiando di cadere a causa dei suoi altissimi tacchi a spillo.
-Rory!- gridò la ragazza fondandosi tra le braccia dell’amica che non vedeva da mesi.
-Lane!-urlò a sua volta continuando ad abbracciarla –sono così contenta di vederti! Mi sei mancata tantissimo!
-oh, anche tu! Sei bellissima, Rory! L’aria di Parigi non ti fa che bene! Sophie Marceau da giovane diventa una donna insipida a tuo confronto!
-non esagerare! Oh, Lane ho tante di quelle cose da dirti!
-Anch’io! Ma avremo tempo per farlo dopo -rispose l’amica voltando lo sguardo verso la sposa, mentre Sookie rientrava con in mano una scatola da scarpe – Sbaglio o c’è un matrimonio da celebrare, futura signora Danes?

Luke alzò il braccio per la decima volta negli ultimi due minuti e controllò nuovamente l’ora; conosceva Lorelai e le tradizioni: la sposa deve arrivare in ritardo e una Gilmore non ha idea di cosa significhi la parola “puntualità”… Nervosamente pulì la giacca da un’impercettibile polvere e si sistemò il nodo della cravatta, diede un’occhiata alla chiesa gremita di persone che chiacchieravano amabilmente sorridendo in continuazione come se avessero una paresi facciale: le signore indossavano i loro abiti più belli e avrebbe scommesso che non una di quelle donne aveva evitato il parrucchiere perché riusciva a sentire l’odore di tintura e lacca nonostante si trovasse a diversi metri di distanza dalla più vicina di loro. Jackson l’aveva lasciato da pochi secondi –o poche ore?- e poteva vederlo mentre diceva qualcosa riguardo i fiori a Emily Gilmore, la quale, sprezzante come sempre, si guardava intorno quasi disgustata, mentre il marito accarezzava la testa boccolosa della piccola Maggie, la primogenita di Sookie. Maggie era la bambina più carina che avesse mai conosciuto, dopo Rory ovviamente: era incredibilmente vispa ed intelligente, ma allo stesso tempo beneducata e riservata. Lei e “la zia Lol”, come era solita chiamare la più giovane delle Gilmore, andavano molto d’accordo e ogni volta che tornava a Stars Hollow, la zia le regalava qualche vecchia favola illustrata, per educarla fin da subito alla passione per i libri in attesa che imparasse a leggere. Ricordò il povero Jackson durante la gravidanza di Sookie e nei mesi seguenti il parto: dopo le voglie improvvise della moglie e le notti in bianco a causa dei “cori notturni” della piccola appariva ogni mattino con le occhiaie scure e il volto pallido per la stanchezza. Eppure ripeteva costantemente che quella era la cosa più bella che gli fosse mai capitata: essere padre. Vederli insieme era affascinante e Luke non poteva che chiedersi se anche a lui la sorte avrebbe riservato una tale fortuna e se sarebbe stato capace di occuparsi di un bambino; con Jess era stato un disastro, ma forse imparare gradualmente, crescere con il piccolo sarebbe stato diverso che dover vivere con un ragazzo di diciassette anni con alle spalle una vita piena di problemi. O probabilmente non aveva sbagliato tutto perché adesso Jess era una persona diversa e forse il merito era anche suo, no? Mentre alcuni invitati si sedevano, stanchi dell’attesa, cercò tra la folla la sua famiglia e notò il ragazzo e Jimmy parlare: si chiese perché fossero così seri in un giorno felice, quello del suo matrimonio; perché loro non avevano la paresi facciale come il resto degli invitati? Sperò ardentemente che non succedesse nulla, che non decidessero di farne una delle loro e gli rovinassero la giornata, la più importante della sua vita, quella che dovrebbe essere indimenticabile per lieti motivi, non per tragedie familiari. Stava quasi per muoversi in direzione del nipote e del cognato, quando Jimmy sorrise impacciatamente e diede una pacca sulla spalla al suo ragazzo; Luke sospirò profondamente e rimase sul lato della navata centrale, mentre i suoi occhi seguivano il nipote, che nel frattempo aveva lasciato il padre e stava attraversando la chiesa in direzione di Liz. Il suo portamento non era cambiato, era quello fiero e menefreghista del giovanotto di New York, lo stesso di quando era un ragazzino cacciato di casa dalla madre, ma qualcosa in lui era diverso, più maturo: probabilmente i vestiti, dato che da quando era arrivato non aveva visto magliette con teschi e immagini oscene stampati sul davanti o parole volgari sul retro. Lo vide attraversare l’intera larghezza della chiesa, passare davanti a Matt, fargli un cenno di saluto, una semplice cortesia, raggiungere Sasha e Lily che si stavano sedendo, scompigliare i capelli della bambina e sogghignare nell’udire le sue lamentele e raggiungere finalmente la madre. Il giorno precedente Jess se n’era andato dal locale quando lei era arrivata, mentre in quel momento si stavano parlando e riusciva a vedere Liz sorridere alla parole del ragazzo: pareva che si fossero riconciliati; l’evento che credeva non sarebbe mai avvenuto si stava presentando davanti ai suoi occhi e quella famiglia che gli era sempre sembrata una pura utopia si stava ricostruendo. Finalmente sua sorella era rinsavita e riusciva a parlare civilmente con suo figlio e l’uomo che li aveva abbandonati, Jess sembrava aver acquistato un po’ di felicità in una nuova famiglia, col padre, una sorella e una donna che poteva considerare una madre, suo nipote stava diventato l’uomo che aveva sperato, la donna che aveva amato per un’infinità di anni stava per cambiare il cognome col suo e la ragazza che aveva sempre considerato una figlia stava quasi per diventarlo realmente: quello era un giorno memorabile. Stava pensando a quanto fosse meravigliosa la vita che gli si prospettava quando notò due paia di occhi scuri scrutarlo e vide Jess muoversi nuovamente nella sua direzione.
-zio Luke- disse il ragazzo notando l’agitazione degli ultimi minuti, quel continuo guardare l’orologio e controllare l’ingresso della chiesa -nervoso?
-no- mentì Luke, deciso a non mostrare alcuna debolezza – ti ho visto parlare con Liz… le dai una tregua?
-cambi argomento?- lo ammonì.
-non hai risposto- disse Luke cercando accuratamente di non tornare sul discorso dell’irrequietezza, mentre Jess sorrideva tra sé per quanto suo zio fosse ostinato a non voler mai rivelare ciò che provava; lo capiva, perché dopotutto era anche nei suoi geni.
-se vuoi chiamarla così… l’ho data a Jimmy. Credo che comportarmi allo stesso modo anche con lei non possa farmi più male di quanto a già fatto, no? E poi mi sembra cambiata.
Sentiva tristezza nella sua voce, ma anche speranza che le cose non cambiassero più, che Liz meritasse quella fiducia e non la tradisse un’ennesima volta. Luke asserì con un cenno del capo e, del tutto involontariamente, controllò nuovamente l’ora.
-sei ancora in tempo per fuggire!- disse il ragazzo al quale non era sfuggito il gesto, mentre Jackson si avvicinava pericolosamente, segno che qualcosa stava per accadere –o forse no…- aggiunse facendo un passo avanti verso le panche nell’istante in cui l’organo iniziava a suonare la marcia nuziale.
 
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Elena_R
view post Posted on 17/6/2004, 17:51




Capitolo sette

-Tesoro è stata una cerimonia fantastica! E tu sei veramente meravigliosa!
-grazie, Patty- rispose Lorelai, che da quando aveva sentito dire Luke “sì, lo voglio” non aveva smesso di sorridere per un solo attimo. Finalmente alla veneranda età di trentanove anni era riuscita a trovare l’uomo giusto e per la prima volta non era fuggita. Forse non l’aveva fatto per non deludere Rory, forse perché era giunto il momento di maturare, forse perché, dopo tutti i suoi fallimenti amorosi, aveva deciso di affrontare la paura e sconfiggerla. Forse perché tutto il dolore del passato era servito per arrivare finalmente a lui. Vederlo senza la sua solita camicia e il cappellino da baseball era stato uno shock e, mentre percorreva la navata, aveva dovuto sforzarsi per non scoppiare a ridere. Una sposa che ride del suo sposo era da comica e sua madre l’avrebbe certamente fulminata con lo sguardo. Nonostante l’insicurezza iniziale di Emily a dispetto di quel matrimonio, ora la vedeva felice e sembrava che cominciasse ad accettare completamente Luke. L’aveva sempre saputo, persino prima di se stessa e, se quando affermava che era innamorata di lui lei le avesse dato retta e avesse confessato ciò che negava a sé e agli altri, quel giorno sarebbe arrivato sicuramente molti anni prima. “Ma dopotutto ne è valsa la pena” pensò sfiorando con la mano l’anello che aveva al dito e che non avrebbe tolto per il resto della sua vita.
-e poi Luke è un così brav’uomo…- continuò Miss Patty, avvolta in un abito dai colori sgargianti che non la faceva certamente passare inosservata.
-perché credi che sia stata sua amica per tutto questo tempo! Semplicemente per approfittare dei suoi favori…
-ah, sarebbe piaciuto anche a me approfittarne- rispose la donna con tristezza –è uno dei pochi uomini che non hai idea di che colore siano le mie lenzuola!
-credo che adesso sia tardi- disse Lorelai reprimendo una risata all’idea di Luke e Patty insieme.
-lo credo anch’io. Oh, a proposito di uomini!- esclamò cambiando argomento mentre i suoi occhi si illuminavano e Lorelai cominciava a tremare all’idea di ciò che stava per svelarle –immagino che il fascino dei Danes sia nei geni… ho visto che suo nipote è tornato ed è diventato veramente un ragazzo meraviglioso! Ricordo perfettamente che anche quando era un adolescente non era assolutamente da buttare, anzi… e con il tempo è diventato così attraente! Se solo avessi qualche anno di meno!
-qualche decade, forse- sussurrò Lorelai sicura che Patty non la sentisse –certo, ma sono sempre i migliori ad essere presi per primi! Non ne so nulla, ma immagino che abbia già una ragazza.
-oh, sul serio?- chiese dispiaciuta –peccato. In effetti quando prima mi sono avvicinata a lui l’ho visto un po’ scostante. Forse ha paura di tradire la sua donna californiana. Infondo al mio fascino è difficile resistere…
-indubbiamente…
-proprio un peccato- ripeté- e non solo per me. Continuo a pensare che lui è Rory sarebbero una coppia splendida: sono così belli!
-dimentichi Matt- le ricordò Lorelai, gettando uno sguardo in direzione di sua figlia e del suo ragazzo.
-non fraintendermi, anche lui è molto affascinante. Ma Jess ha quel qualcosa che… non so come definirlo. Beh, ora vado. Babette ha portato con sé suo fratello; ha una certa età, ma credo che farà meno storie di Jess. Ci vediamo dopo tesoro!- disse schioccandole un sonoro bacio sulla guancia e fuggendo verso un uomo altro e dai capelli brizzolati, che alla sua vista aveva spalancato gli occhi e cercato una via di fuga, mentre Rory, che si trovava poco distante, rideva di gusto della scena.
Al ricevimento c’era l’intera città, alcuni amici dei suoi genitori, Chris con Sherry e Giorgia, e Liz. Si guardò intorno e realizzò che quella era la sua nuova famiglia, quella definitiva, prima che Rory si sposasse e l’allargasse ulteriormente con i parenti del marito. Era strano: quello era il giorno del suo matrimonio e lei già pensava a quello della figlia. Chissà se avrebbe dovuto attendere che anche lei compiesse quasi quarant’anni per vederla camminare in abito bianco verso l’altare di una chiesa. Lei e Matt erano una bella coppia, si volevano molto bene, ne era certa. Si vedeva da lontano quanto lui ne fosse innamorato e questo la lusingava: le dimostrava per l’ennesima volta quanto Rory fosse meravigliosa. Aveva ventitre anni ormai e, anche se non ne avevano mai parlato, era certa che pensasse a Matt come quello definitivo. Ma qualcosa catturò la sua attenzione mentre contemplava dolcemente la ragazza. Seguì il suo sguardo e il dubbio l’assalì quando capì a chi era rivolto: Jess era dall’altro lato della sala a parlare con Lane e, anche se impercettibilmente, percepì qualcosa di diverso nei suoi occhi, qualcosa che non le era nuovo e che non vedeva da quasi cinque anni.
-dev’essere proprio nei geni- disse a se stessa, mentre un paio di forti braccia la stringevano da dietro e il profumo di suo marito faceva cadere nell’oblio ogni altro pensiero.

-Jess Mariano.
-Lane Kim. - rispose voltandosi per vedere a chi apparteneva quella voce. Non era cambiata di molto: un po’ più alta, senza occhiali, i capelli lunghi e raccolti, uno strano sorriso sulle labbra.
-non immaginavo di vederti da questa parte degli Stati Uniti- confessò la ragazza stringendogli la mano, sorpresa dal fatto che lui gliel’avesse offerta -manchi da diverso tempo.
-era arrivato il momento di fare un saluto a Taylor. Sai quanto eravamo legati…
-lo ricordo vagamente- rispose sorridendo al ricordo dell’odio che correva tra i due quando loro erano dei ragazzi.
-allora, come vanno le cose? Sempre pronta a studiare sotterfugi per fuggire dalle grinfie della signora Kim o con la maturità ti sei guadagnata un po’ di libertà?- le chiese infilando le mani nelle tasche, imbarazzato dal ricordo dell’ultima volta in cui aveva visto Lane: la notte della festa a cui aveva partecipato prima di partire per la California.
-oh, come sei spiritoso! Tanto per la cronaca mia madre ha deciso che ero padrona del mio destino e della mia vita diversi anni fa e da allora il suo tasso di controllo è decisamente diminuito…
-ma non sparito del tutto- le ricordò.
-la mamma è sempre la mamma- rispose la ragazza sconsolata- dopotutto ora è sopportabile: ho un lavoro che mi piace, non devo più renderle conto della mia vita e chiederle il permesso per ogni cosa, nessuno mi rinchiude in camera e posso ascoltare la musica che voglio! Pensa che quando ha scoperto dove nascondevo i cd rock non li ha bruciati! È un enorme passo avanti, non credi?
-immagino di sì- le disse sorridendo, sorprendendola per l’ennesima volta.
-sbaglio o quello è un sorriso, Jess Mariano? Mi è capitato raramente di vedere i tuoi denti e ho persino pensato che fossero un disastro, tutti e storti e scuri… invece vedo che sono perfettamente normali. Cosa ti hanno fatto nell’ovest? Dave non è cambiato, ma forse Los Angeles e San Francisco non hanno nulla in comune…
-San Francisco?- le chiese dopo aver ricordato di chi stava parlando: Dave era il suo ragazzo al liceo e, a quanto pareva, stavano ancora insieme o forse erano solo amici –cosa ci fa laggiù?
-lavora. Si è trasferito due anni fa.
-e così voi due…-si interruppe lasciando la frase a metà sperando che lei la continuasse.
-siamo amici- rispose cercando di sembrare tranquilla, ma Jess notò una nota di dispiacere nella sua voce –ci siamo lasciati poco dopo la sua partenza. Ora ho la conferma che le relazioni a distanza sono una gran fregatura.
-mi dispiace- le disse. Gli dispiaceva davvero. Cominciava a ricordare Dave: un bravo ragazzo. Gli piaceva. Se non fosse partito forse sarebbero diventati amici.
-sembra che le cose gli vadano bene, quindi non ce nulla di cui dispiacersi. La band va forte e riscuote un discreto successo.
-purtroppo non sono più molto informato in fatto di musica…
-invece la musica è il mio lavoro: dirigo una piccola rivista di musica alternativa a Boston. È soddisfacente.
-complimenti!
-grazie. Tu invece?
-io cosa?
-Cosa fai per mantenerti? Continui a rubare gnomi e li rivendi al mercato nero o hai un lavoro legale?
Jess finse di sorridere, ma sentiva una punta di veleno nelle sue parole: era quello ciò che veramente pensava di lui? Che fosse un disgraziato senza lavoro né dignità? Ripensandoci lui non aveva mai dato motivo a nessuno di credere che sarebbe diventato qualcuno nella sua vita, che avrebbe combinato qualcosa di buono. Ma si erano sbagliati.
-nulla di illegale- le rispose cercando di trattenere un po’ dell’astio che si era imprigionato di lui negli ultimi secondi –lavoro per una casa editrice.
Lane non disse nulla ma lesse perfettamente il suo sguardo: i suoi occhi dicevano ”oh, povero Jess. Lavora come sguattero per qualcuno di importante. Ha una vita da frustrato, sottomesso da direttori e artisti. Come previsto non è riuscito a combinare nulla nemmeno lontano da qua. È stata una fortuna che se ne sia andato o avrebbe rovinato anche noi perfetti abitanti di Taylorville”. Era abituato ad essere compatito: quello gli era sempre sembrato lo sport preferito dagli abitanti di Stars Hollow. Non aveva intenzione di dirle che si era laureato a pieni voti e che il suo lavoro stava evolvendosi in una posizione più importante. Prima o poi l’avrebbe scoperto e lui sarebbe stato lì a godersi la sua espressione sorpresa.
-hai visto Rory?- gli chiese cambiando discorso, credendo che quello fosse un tasto imbarazzante per lui. Dopotutto lei dirigeva un giornale e lui …
-un paio di volte. Ho saputo della Francia… impressionante
-già. È ciò che ha sempre sognato, ha lavorato duro e ce l’ha fatta. Lo meritava -rispose Lane guardandosi intorno e vedendo l’amica in lontananza insieme al suo ragazzo, mentre Jess seguiva il suo sguardo e non diceva nulla- hai conosciuto Matt?
-il suo fidanzato? Sì, ieri mattina. Sembra un figlio di papà, tutto vestito elegante, con la sua macchina sportiva perfettamente lucida…
-è un bravo ragazzo.
-è ricco
-è vero. Ma Rory non ha mai avuto pregiudizi nei confronti di nessuno- rispose fissandolo dritto negli occhi -tu lo sai meglio di chiunque altro, no?
-e questo che significa?- le chiese. Domanda inutile: lo sapeva benissimo, ma voleva sentirselo dire. se Lane era tanto coraggiosa da fare insinuazioni, doveva esserlo anche per digli in faccia ciò che aveva sempre represso per rispetto nei confronti della sua migliore amica.
-significa che a Rory non importano i soldi, Jess. Dean era benestante, tu non avevi un centesimo, Dylan e Michael avevano un buon conto in banca, ma Craig, Jason e Brian non erano definibili ricchi- disse facendosi prendere dalla situazione dimenticando che stava parlando all’ex della sua amica –inoltre, anche se i suoi nonni non hanno idea di cosa significhi la parola sacrificio, non dimenticare che Lorelai e Rory hanno cominciato dal nulla… Rory rispetta tutti e la prima cosa che chiede ad una persona non è certamente il numero di carte di credito che possiede.
Jess rimase immobile, sorpreso dall’esorbitante numero di nomi maschili che Lane aveva appena pronunciato. Non era quella la risposta che si aspettava e mai avrebbe immaginato che Rory in quei cinque anni si fosse data tanto da fare. Pensò per un attimo alle ragazze che lui aveva avuto: superavano di gran lunga il numero di quelli con cui era uscita Rory.
-wow! Accidenti Lane, non sono certo che Rory sarà felice del fatto che mi hai raccontato la sua vita amorosa in meno di venti secondi!-le confessò sogghignando, mentre la ragazza impallidiva, rendendosi conto dell’errore commesso nell’euforia del momento.
-Oh, cavolo! Ho l’impressione che non tornerò a casa con tutti i miei arti al loro posto…- piagnucolò, mentre Jess rideva e la lasciava nella sua infelicità, dirigendosi verso il buffet. Era stato troppo facile.

Stars Hollow non sarebbe mai cambiata: ogni volta che metteva piede in città aveva la conferma che quello era un universo parallelo e chi vi abitava non poteva avere tutte le rotelle apposto. Jimmy si guardò intorno, verificando che una certa Miss Patty non fosse nei paraggi per importunarlo, e seduta in disparte, con lo sguardo fisso verso un punto indefinito nella folla che danzava, vide Liz. Non si erano scambiati molte parole e non la biasimava; nonostante fossero passati più di vent’anni, non lo perdonava per essersene andato lasciando una ragazza incapace persino di prendersi cura di se stessa con un bambino appena nato. Ma Jess aveva superato il rancore nei suoi confronti e forse, se avesse fatto il primo passo, avrebbe scoperto che dopotutto anche lei non aveva motivo per continuare ad odiarlo.
-Bel matrimonio- iniziò con non poco imbarazzo dopo essersi avvicinato al tavolo. Lei alzò gli occhi verso di lui e gli parve di scorgere un sorriso.
-Molto. Non troverai una festa ben organizzata come a Stars Hollow in nessun’altra città. I party di New York sono nulla a confronto. Dev’essere per questo che ti riempiono il bicchiere prima che tu l’abbia svuotato…
-per non farti notare quanto è scialba la festa?
-sì. Ma immagino che a Los Angeles le cose siano diverse- disse la donna, rivolgendo lo sguardo alla pista, dove Lily e Sasha ballavano e ridevano come pazze. Anche a lei sarebbe piaciuto quel genere di rapporto con suo figlio. Ma aveva rovinato tutto fin dall’inizio. Aveva permesso che il suo bambino si allontanasse e non tornasse più indietro. Mai una volta Jess aveva chiesto il suo aiuto. E anche se l’avesse fatto, ridotta com’era, non glielo avrebbe mai dato.
-falò sulla spiaggia, feste varie… c’è molto movimento- rispose Jimmy seguendo il suo sguardo.
-mi sembra in gamba- confessò Liz senza specificarne il soggetto, perché aveva notato che stavano guardando la stessa persona.
-lo è.
-Me l’ha detto Jess. Abbiamo parlato- disse sorridendo, ripensando al momento in cui quella stessa mattina era andato da lei e avevano trascorso diversi minuti a parlare del passato, della California, del suo nuovo lavoro e… della sua famiglia. Le aveva riassunto gli ultimi sette anni in pillole concentrate, ma se l’era fatte bastare.
-mi fa piacere- le rispose –è giusto che le cose cambino anche con te. Il nostro problema è l’orgoglio: impieghiamo troppo tempo a prendere la decisione giusta. A me ci sono voluti diciassette anni per capire che volevo conoscere mio figlio!
-più o meno il tempo che di cui ho avuto bisogno io per rendermi conto che le bottiglie vuote non rispondono quando parli loro- disse Liz a sua volta, mentre entrambi sorridevano.
-ma alla fine ce l’hai fatta…
-anche tu. Lui sta bene con voi- disse con una punta di rimpianto e tristezza per la realtà dei fatti.
-sai- la interruppe Jimmy sedendosi con lei –quando Jess si è presentato in spiaggia, cinque anni fa, ho avuto il terrore che la sua presenza mi avrebbe rovinato la vita. Ero stato io a fare girare quella ruota, ma non mi aspettavo di vederlo davanti a me. Credevo che conoscerlo sarebbe bastato, mi sentivo apposto con la coscienza. Invece una settimana dopo essere tornato ecco che Sash si presenta con lui. Volevo solo che se ne andasse, ma lei, in tutta la sua saggezza, lo ha fatto restare.
Liz lo ascoltò attentamente: non conosceva perfettamente quella storia; sapeva che Jess era partito, arrivato a Los Angeles e rimasto lì con Jimmy. Nessuno le aveva detto i dettagli.
-credo che non la ringrazierò mai abbastanza per avermi convinto a dare a Jess l’opportunità di restare. Sono stati cinque anni fantastici, ho imparato qualcosa sull’essere padre, ho ricevuto affetto da mio figlio e, anche se a modo suo, so che non gli sono del tutto indifferente. Vivere con lui mi ha dato delle sensazioni incredibili, emozioni che non ho provato nemmeno quando l’ho visto nascere. Sono stati anni bellissimi e se sono riuscito a sopravvivere lo devo anche a Jess: mi ha reso le cose le più facili possibili. E se un giorno dovesse decidere di lasciare nuovamente Los Angeles non so come la prenderei.
Liz aveva un’espressione stupita dipinta sul volto: non avrebbe mai immaginato che il Jimmy che conosceva potesse essere così sensibile e incline alla paternità. Dopo tutto aveva abbandonato fidanzata e figlio perché non si sentiva pronto a prendersi una tale responsabilità e ora sembrava pronto ad essere candidato “padre dell’anno”. Incredibile come le persone cambiano… aveva capito che col tempo il rapporto che legava padre e figlio si era rafforzato e da un lato era felice perché Jess aveva trovato un po’ di stabilità, ma dall’altro il fatto che l’avesse trovata lontano da lei la rendeva incommensurabilmente amareggiata. Aveva avuto l’occasione di costruire una meravigliosa relazione con lui e la sua stupidità le aveva fatto perdere tutto.
-posso immaginarlo- gli disse ripensando a quanto, negli ultimi mesi da sobria, avesse sentito la mancanza di Jess. Sembrò che Jimmy capisse il suo stato d’animo, perché le confessò che era felice di vedere che finalmente tutto si stava sistemando con lei e sperava che un giorno non ci sarebbe stato rancore da nessuno per nessuno.
-forse dovrei mettere da parte quello che provo per te- ammise Liz bevendo avidamente dal bicchiere l’acqua di rose che Sookie aveva fatto importare per l’occasione –ma ho trascorso così tanti anni ad odiarti, che vivere senza sarebbe come se un pezzo della mia vita venisse a mancare.
-potremmo riempirlo con un po’ amicizia, Liz. Potremmo farlo per Jess. Anche se è ormai è grande credo che meriti una famiglia unita.
Liz rise: -è strano. L’ultima volta che l’ho visto, mio figlio era un ragazzino completamente indipendente e arrabbiato col mondo, uno che non aveva bisogno di nessuno. E ora pensare che ciò di cui ha sempre sentito la mancanza era l’affetto dei genitori e di una famiglia è veramente insolito… non avrei mai pensato di poter pronunciare nella stessa frase “Jess”, “affetto” e “famiglia”.
Anche Jimmy si lasciò sfuggire un sorriso: -dobbiamo biasimare Luke per questo. Tuo fratello sa come comportarsi con lui e credo che gli abbia inculcato una buona disciplina.
-come? Ma se si è sempre incolpato di non essere riuscito ad aiutarlo!-protestò Liz. Ne avevano parlato spesso e ogni volta lui aveva pronunciato la stessa frase: “ho fallito”.
-forse non se n’è reso conto- le rispose Jimmy –o forse Jess ha nascosto bene ciò che aveva imparato da lui. Quando è partito dal Connecticut era ancora abbastanza arrabbiato, ma sulla buona strada per diventare ciò che è ora. Immagino che volesse mantenere la reputazione che si era costruito.
La donna fu pensierosa per alcuni istanti, poi una giovane voce interrupe le sue meditazioni e alzando gli occhi vide che Lily stava pregando Jimmy di andare a ballare con lei. Quella era un’altra delle cose strane a cui aveva assistito da quando era arrivata: all’improvviso era padre non di uno bensì di due ragazzi e sentiva che era molto affezionato alla piccola. È risaputo che i papà tengono molto più alle figlie femmine e nonostante quella non fosse la sua bambina biologica, Jimmy l’adorava come se fosse realmente sua. A volte il destino giocava strani scherzi: Jess si era ritrovato con una madre che lo aveva spedito dallo zio, che lui aveva considerato come un padre, poi era partito alla volta di quello naturale e ci aveva guadagnato anche una madre e una sorella. E lei si era trovata completamente abbandonata: dal fidanzato, dal fratello, dal figlio… lei che aveva tutto era riuscita a distruggere ogni cosa.
Mentre Jimmy e Lily si allontanavano, Sasha si sedette al suo stesso tavolo e solo più tardi finse di accorgersi della sua presenza. Avrebbe preferito ignorare la donna che le aveva portato via l’uomo e il figlio, ma decise di fare uno sforzo per il bene di entrambi e intavolò la conversazione: -è una bambina molto vivace.
-oh? Sì- rispose Sasha senza nascondere lo stupore per quel tentativo di dialogo da parte di Liz. Forse si era sbagliata sul suo conto, forse era davvero così sola come pensava e aveva bisogno di qualcuno che le tendesse la mano, anziché nasconderla lasciandola nel suo isolamento.
-vanno d’accordo- continuò Liz, sentendosi estremamente stupida e notando che quella situazione era ovviamente insolita.
-Jimmy ci sa fare coi bambini- rispose Sasha sorridendo nel constatare quanto fosse pessimo come ballerino –e anche coi ragazzi.
-ne stavamo parlando prima…
-oh?
-di Jess. Mi ha raccontato qualcosa degli ultimi anni. Credo…- si interruppe guardandosi intorno riflettendo bene sulle parole che stava per pronunciare, perché una volta proferite non avrebbe più potuto tornare sui suoi passi. Sasha attese, incerta su ciò che stava per sentire. Li aveva visti parlare per diversi minuti, li aveva visti sorridere insieme e ne aveva avuto paura. Era stata lei a lamentarsi di essere stanca e a dire a Lily di cercarsi un altro partner, sperando che andasse proprio da lui. Ma ora sentiva di aver avuto un’impressione sbagliata di Liz e le sue seguenti parole ne furono la conferma.
-credo di doverti ringraziare.
L’aveva detto. Aveva ringraziato la donna che odiava, quella che aveva preso il suo posto nel cuore dell’uomo che più aveva amato, quella che l’aveva sostituita nell’ambito parentale di Jess, quella che sembrava riscuotere la simpatia di tutti. La stessa che trattava un figlio che non era suo come se fosse tale, che si era dimostrata più meritevole di essere chiamata madre di quanto lo fosse lei.
Aveva appena riconosciuto i suoi limiti, i suoi sbagli. La sua senilità.
E lo strano sorriso che vedeva sul volto di Sasha non le stava certamente rendendo più semplice quel conflitto interiore; ma bastarono poche parole per fare sparire l’ansia.
-non devi- rispose lei –ho solo cercato di calmarlo e di farlo ragionare. Il resto è tutto merito suo. Jess è un bravo ragazzo, lo è sempre stato. Aveva solo bisogno di capirlo –sorrise –e so essere molto convincente! Le tirate d’orecchie non fanno mai male, nemmeno a ventitré anni e lui lo sa bene!
Liz rise di gusto al pensiero che quella donnina potesse sottomettere quello che era il suo piccolo ribelle.
-povero figlio!-esclamò tra le risate –non vorrei essere nei suoi panni e nemmeno in quelli di Jimmy!
-hanno entrambi imparato che gli ordini di Sasha non si discutono… e comunque credo che il merito sia di Stars Hollow. Questo posto è incredibile e immagino che l’influenza di Luke abbia dato i suoi frutti.
-immagino di sì. Hai conosciuto Lorelai?
-certo! È una donna in gamba- rispose Sasha con entusiasmo –e anche sua figlia!
-Rory è una ragazza meravigliosa- le disse Liz –stavano insieme, sai? Forse dovremmo ringraziare lei.
-L’abbiamo scoperto venerdì sera per puro caso -confessò Sasha con un po’ di tristezza, perché Jess non si era mai confidato con loro riguardo a quell’argomento, ma dopotutto faceva parte del suo carattere e quello non si poteva cambiare-ho l’impressione che sia stato importante. Quando è intorno a lei sembra un’altra persona… non so spiegarlo, ma è come quando ad un bambino nascondi il suo gioco preferito e lui lo vuole insistentemente, allora decidi di ridarglielo e lui è estasiato di rivederlo, lo afferra e lo contempla a lungo… è esattamente quello che è successo ieri mattina quando si sono incontrati: Jess l’ha rivista dopo cinque anni e l’ha ammirata a lungo in ogni suo dettaglio. Ma spero che sia solo una mia sensazione perché Rory ha un fidanzato e non vorrei che Jess combinasse un casino.
-credo che si terrà a distanza- rispose Liz dopo aver elaborato tutte le informazioni –fra una settimana lei sarà in Francia e lui in California… il resto sarà dimenticato.
-eppure se prova qualcosa anche dopo cinque anni… temo che l’oceano che li divide non avrà una grande importanza. Ma questi non sono affari nostri- aggiunse respirando a fondo –se Jess sapesse che mettiamo il naso negli affari suoi…
-hai ragione- asserì Liz, diventata in pochi minuti una degna compagna di chiacchiere e introducendo un altro argomento di conversazione che non comportasse minacce da parte del figlio.

Vedere dopo tanti anni l’intera città riunita le provocava una strana sensazione e si sentiva quasi agitata, come quando da bambina Miss Patty la costringeva a partecipare ai saggi di danza di fronte al pubblico. Non era il fatto che l’attenzione fosse completamente rivolta a lei ad inquietarla, tanto quello che ogni persona aveva dedicato il proprio tempo a lei e non a qualche altra occupazione; essere la ragione della loro presenza era ciò che la metteva sulle spine. E anche se in quell’occasione la protagonista era sua madre, da una parte si sentiva chiamata in causa: il matrimonio di Lorelai era un po’ il suo, perché con Luke si creava un’altra famiglia, una famiglia che era anche sua.
Ma la sua agitazione era data anche dalla presenza di persone che non avevano mai fatto di quel mondo o che c’erano state per poco o che mancavano da molto: Jimmy, Sasha, Lily, Matt e suo padre, Jess. E infine Lane. Non ricordava nemmeno più l’ultima volta che aveva parlato alla sua migliore amica guardandola negli occhi! Il lavoro al giornale l’aveva tenuta a Boston negli ultimi anni e così si erano viste di rado, poi lei era partita per la Francia e, a parte qualche sporadica telefonata, i loro contatti era ridotti all’osso. Stava ascoltando Matt raccontarle qualcosa circa un’importante affare dell’Horizon quando la notò camminare avanti e indietro con l’aria crucciata. Si chiese cosa le fosse successo e, dopo essersi scusata col proprio fidanzato, la raggiunse: poteva essere qualcosa di importante e almeno nel poco tempo che avrebbero passato insieme voleva rendersi disponibile, come ai vecchi tempi.
-Lane!- la chiamò avvicinandosi e posandole una mano sulla spalla, mentre l’amica soprasaliva per lo spavento.
-Rory! Ah, ciao!- rispose pregando Dio che lei e Jess non fossero a livello di amicizia tale che lui le avesse già raccontato del suo piccolo sfogo –bel matrimonio, vero?
-Lane, ti senti bene?
-certo! Perché non dovrei? Hai assaggiato quei buonissimi antipasti che ha preparato Sookie? Sono buonissimi! Così delicati… ti ho già detto che sono buonissimi?
Rory la guardò con sospetto, certa che le stesse nascondendo qualcosa e, dal suo strano comportamento, non fu difficile capire che Lane si era lasciata sfuggire qualcosa che la riguardava in prima persona: quell’atteggiamento era sempre stato una sua caratteristica fin da bambina e, dopo più di vent’anni, aveva imparato a conoscerla. Rifletté per pochi istanti su ciò che aveva visto nelle ultime ore e come un fulmine ricordò di averla vista parlare con Jess: forse era quella la via giusta da percorrere… -così tu e Jess siete diventati amici?- le chiese, conscia di aver centrato il problema nel momento in cui l’aveva vista sbiancare.
-oh, beh… no! Perché pensi una cosa simile?
-vi ho visti parlare poco fa, tutto qui.
-davvero?
-davvero- le rispose Rory con un ghigno in attesa che Lane si decidesse a parlare.
-non abbiamo parlato- si difese la ragazza in visibile agitazione – gli ho detto ciao, lui ha risposto, ci siamo scambiati i soliti convenevoli… sai come vanno le cose, no?
-certo, i convenevoli… non vi vedevate da cinque anni e vi siete limitati ad un “ciao, come va?” e nient’altro?
-conosci anche tu Jess, non è il tipo da chiacchiere…
-lui no, ma tu…
-io… cosa?
-tu sei una macchinetta, Lane e io ti conosco troppo bene per credere che non abbiate parlato di nulla.
-ok- aggiunse la ragazza decidendo che una parte di verità poteva essere detta –gli ho chiesto del lavoro e gli ho raccontato del mio.
Rory decise di prendere per buona quella misera spiegazione; -l’hai notato anche tu, vero?
-notato cosa?
-il cambiamento.
-cambiamento? –chiese Lane senza preoccuparsi di lasciare trasparire il proprio stupore –a parte il sorriso che ogni tanto sfoggia credo che sia il vecchio burbero, nullafacente di sempre.
-nullafacente? Ma se mi hai appena detto che avete parlato di lavoro?- domandò Rory confusa.
-infatti. Ha detto di lavorare per un editore.
-tralasciando il fatto che sta per creare una società col suo attuale capo? E che hanno intenzione di aprire qualche filiale in giro per gli Stati Uniti? Oh, e non ti ha nemmeno detto di essersi diplomato e poi laureato all’Università della California col massimo di voti?
Lane rimase atterrita dalle rivelazioni dell’amica: Jess si era preso gioco di lei lasciandole credere trovarsi ad un livello superiore perché era alla direzione di una stupida rivista di terz’ordine letta da un paio di fanatici e nient’altro. No, non era cambiato.
-laureato? Massimo dei voti? Società?- riuscì a dire disarticolatamene, mentre Rory rideva di gusto: se solo Jess avesse potuto assistere alla scena!
-qualcuno si è divertito alle tue spalle, Lane…
-oddio! –esclamò la ragazza sentendosi sempre più in colpa: l’unico desiderio che aveva era seppellirsi il più profondamente possibile. In pochi secondi non solo aveva rivelato ai quattro venti i segreti della sua migliore amica, ma aveva anche giudicato male Jess, sentita in dovere di compatirlo e poi l’aveva trattato come l’ultimo dei perdenti. Che pessima giornata…
-non preoccuparti- la consolò Rory cercando di non ridere troppo o il mascara le sarebbe colato.
-oddio!-ripeté in preda al panico –voglio morire!
-Lane!
-oggi non me ne va bene una! Sono così mortificata, mi dispiace così tanto Rory… io non volevo, è successo tutto così in fretta e… dopo tutto il dolore che ti ha inflitto io non ci ho visto più. È stato come se risalisse all’improvviso e ho fatto quelle insinuazioni e poi lui… e allora io…
-Lane, che stai dicendo? Cos’è successo?- le chiese Rory attirandola da parte, pronta ad ascoltare finalmente ciò che la stava preoccupando. La ragazza respirò a fondo, certa che quella sarebbe stata l’ultima boccata d’aria che avrebbe concluso gaiamente tutto il processo respiratorio, e le raccontò dall’inizio la conversazione che aveva avuto con Jess, ciò che aveva pensato e il modo in cui l’aveva trattato. E infine i dettagli che involontariamente gli aveva rivelato. Lei ascoltò con attenzione, sgomenta non del fatto che Jess sapesse il nome di tutti i ragazzi con cui aveva avuto una storia, ma dal giudizio che Lane aveva di lui. Ovviamente non era mai stato un angelo, ma sperava che col tempo le opinioni delle persone fossero cambiate o perlomeno si fossero addolcite. Invece l’amica aveva continuato a nutrire dei pregiudizi nei suoi confronti ed era incredula che Jess avesse potuto realmente raggiungere uno scopo, concretizzare qualcosa che non fosse solo uno scherzo e un’azione compiuta nell’illegalità. Credeva che l’astio provato da Lane nei confronti di Jess fosse solo temporaneo e conseguenza dell’abbandono a cui l’aveva sottoposta; ricordava che durante i mesi precedenti la sua partenza il comportamento nei confronti del ragazzo era mutato: sembrava che andassero addirittura d’accordo, anche perché avevano scoperto di avere molte cose in comune, dalla musica all’amicizia che Jess stava stringendo con Dave. Avevano passato ore a dire cose orribili sul suo conto, ma Rory non le aveva mai pensate realmente. Lane sì. Non le importava il fatto che Jess ora fosse a conoscenza della sua vita amorosa, anche se detto come un elenco si accorgeva che il numero era veramente esorbitante e trovava imbarazzante che le fosse stato riferito in quella maniera.
L’amica, con i suoi attenti occhi scuri e coreani, colse quell’imbarazzo e passarono pochi attimi prima che il cervello elaborasse l’informazione che Rory aveva dei sentimenti in sospeso con Jess. Ma c’era Matt ed era altrettanto consapevole che n’era innamorata.
-comunque non credo che gli importi- le disse, come se quella frase potesse eliminare completamente quella sorta di imbarazzo che stava provando –ha riso della mia sventura e se n’è andato come se nulla fosse accaduto.
-certo che non gli importa, perché dovrebbe?- chiese Rory.
-non lo so, forse pensavi che… no, niente. Immagino che abbia qualche ragazza in California. Voglio dire… tu hai Matt, perché lui non dovrebbe?
-non ho mai affermato il contrario, Lane- rispose –spero che tu non stia pensando che tra noi possa esserci qualcosa…
-no!- si affettò a rispondere –tu sei fidanzata con uno dei ragazzi più meravigliosi che abbia mai conosciuto! Perché dovrei pensarlo? So che Jess è stato molto importante ed è incredibilmente affascinante, lo ammetto, ma non può esserci nulla tra voi. E anche se fosse ci sarebbero troppi ostacoli: Matt, la Francia, la distanza… siete cresciuti, non siete più i diciottenni di una volta. Le persone cambiano e anche i sentimenti. Tra qualche giorno ripartirete entrambi con destinazioni opposte e tutto sarà dimenticato. Giusto?-le chiese ritenendo essa stessa quella domanda puramente retorica, mentre il viso di Rory cambiava espressione e la preoccupazione si materializzava nei suoi occhi. Lane seguì il suo sguardo fino ad un punto ben preciso e quando si accorse di ciò che stava guardando non riuscì a trattenere un “oh, Dio!”. L’amica partì come un fulmine verso il trio che aveva identificato cercando di evitare un terzo conflitto mondiale e la rovina di quel matrimonio.

Forse avrebbe dovuto sentirsi lusingato dal fatto che nonostante fossero passati tanti anni la sua reputazione non fosse stata minimante scalfita: significava che la sua presenza non era passata del tutto inosservata e, anche se cercavano di nasconderlo, aveva fatto breccia nel cuore di tutta la città. In fondo aveva sperato con tutto se stesso che avessero dimenticato ciò che era accaduto, ma sapeva perfettamente che era impossibile e di conseguenza non era particolarmente sorpreso dal comportamento di Lane. Il pensiero sul suo conto, non quello che aveva espresso a parole, ma quello che le aveva letto negli occhi, era severo e pareva che nel corso del tempo il ribrezzo che provava per lui non si fosse per nulla sbiadito. Indubbiamente nessuno era a conoscenza di ciò che era veramente successo in quei cinque anni, non sapevano che ora Jess Mariano era sinonimo di rispettabilità, ma era imbestialito perché quel pessimo passato che si era creato comprometteva il giudizio degli altri e sembrava non lasciare spazio alla verità attuale. L’intero esercito difensore della città avrebbe continuato a vederlo come il teppistello che aveva sconvolto la loro vita, minato la tranquillità pacifica che regnava di preoccupazioni e caos, rovinato la serenità e l’integrità di Rory, la loro protetta, il simbolo della razionalità, della coerenza, della correttezza, della purezza. Nessuno sarebbe stato sfiorato dall’idea che il ragazzo problematico dalla vita frantumata, quello che non aveva idea di cosa fossero onestà e amore, fosse riuscito con molta fatica e con le sue sole forze a superare il proprio dolore, le paure che lo costringevano ad erigere un muro tra sé e gli altri e materializzavano una scura maschera sul suo volto che ne copriva anche gli occhi (perché alcune persone sono capaci di leggere anche quelli) e a costruirsi una vita che poteva essere aggettivata col termine dignitosa. Riflettendo con lucidità però gli balzavano alla mente un paio di nomi di persone che non potevano essere buttate nel gruppo: Lorelai e Luke, per esempio, gli erano parsi piacevolmente stupiti di quel nuovo Jess che si era presentato alla loro porta solo due giorni prima e soprattutto in suo zio aveva colto una punta di orgoglio. Luke era sempre stato un maestro a nascondere ciò che provava, ma in un momento di debolezza aveva afferrato la sua gioia nel vedere che dopo anni, urla e litigi finalmente anche lui aveva trovato “la retta via”. Era anche merito suo, ma non lo sapeva. Avrebbe dovuto dirglielo e forse ringraziarlo per la pazienza che aveva avuto quando il suo unico scopo era “movimentargli” la vita e farlo impazzire con i suoi scherzi. Però, che divertimento…
E Rory. Non poteva esserne certo al cento per cento, ma il suo sesto senso gli diceva che aveva sempre creduto in lui e gli era sembrata la meno sorpresa di vedere che non era un alcolizzato, drogato e disoccupato. Ironia della vita che proprio la persona alla quale aveva procurato più dolore potesse continuare a stimarlo. Di solito quando si prova un grande affetto o un profondo amore si tende a dimenticare gli errori e dare una possibilità dietro l’altra: lo fanno i genitori coi loro figli, le mogli con i mariti di cui sono innamorate a punto tale da non sapere come vivere senza l’altra parte della coppia. Ma pensare a Rory e all’amore nel medesimo tempo non era salutare per il suo equilibrio mentale così, dopo aver assaggiato un paio di pietanze, decise di versarsi un bicchiere di vino. Sorseggiando un ottimo rosso la cercò con lo sguardo e la vide dirigersi in direzione di Lane, che aveva lasciato pochi minuti prima dopo la sua rivelazione sui fidanzati dell’amica: sorrise al pensiero che presto avrebbe confessato la sua malefatta e Rory avrebbe avuto l’ennesima conferma di quanto la lingua di Lane fosse lunga.
-permesso- sentì da una voce proveniente dalla sua sinistra, un tono che aveva sentito una sola volta ma che non aveva dimenticato. Voltandosi e spostandosi di lato ebbe la conferma su chi fosse e lasciò che Matt avesse a sua volta accesso ai vini. Rimasero in silenzio per diverso tempo, in piedi l’uno al fianco dell’altro. La situazione non era delle più semplici e da parte di entrambi c’era un certo imbarazzo: lui era l’ex della sua attuale fidanzata e la guerra di sentimenti che faceva da sfondo a tutto sarebbe stata paralizzante per chiunque. Ma dopo tutto Matt era il forestiero, colui che meno conosceva la città e le persone che erano al matrimonio, quindi per qualche stupida regola di cortesia toccava a lui cominciare la conversazione, anche se l’idea di scoprirlo una brava e simpatica persona lo sconcertava. Era certo che lui si uniformasse alla massa e non avesse un ottimo giudizio nei suoi riguardi, ma era stato educato quando erano stati presentati e continuare ad esserlo sarebbe stata la cosa più giusta da fare.
-è un buon vino- disse per cominciare, picchiandosi mentalmente per lo stupido argomento con cui aveva esordito. Forse parlare del tempo sarebbe stato meglio, ma ormai era fatta. Matt lo guardò con la coda dell’occhio e poté assicurare che fosse sorpreso da quel suo intervento. Probabilmente gli avevano raccontato di un tipo solitario che parlava poco e solo se ne aveva voglia, di un maleducato che passava il tempo ad ascoltare musica fino a spaccare i timpani e che, se non leggeva, se ne andava in giro a rubare o fare scherzi meschini. Aggiungendo il piccolo episodio in cui aveva lasciato Rory senza una parola il quadro era completo: un pessimo elemento. Dopo i primi secondi di confusione notò che la sua attenzione si era spostata dalla sua ragazza e Lane a lui e Jess vide arrivare la fine: stavano per iniziare una vera conversazione. Aveva sperato in una risposta monosillabica o in un suo abbandono, invece Matt era troppo educato per lasciar cadere l’argomento e andarsene. Iniziò a pentirsi del suo bisogno di essere cortese con le persone.
-sì, è molto buono- rispose –ma ammetto che la qualità dell’intero pranzo è ottima. Sookie è una cuoca eccezionale e il ricevimento è organizzato alla perfezione.
-se c’è una cosa che contraddistingue Stars Hollow sono proprio le feste: gli eventi cittadini si sprecano!
-e tu non ne sei un fanatico, immagino…- disse Matt sorridendo al tono sarcastico che aveva avuto il suo interlocutore.
-sono famoso per la mia asocialità. Ma questo matrimonio non è male- rispose a sua volta.
-e il pranzo è gratis, no?
Jess sorrise e come previsto si trovavano sulla stessa lunghezza d’onda: male, perché non aveva alcuna intenzione di privare simpatia per il ragazzo di Rory.
-ho sentito dei tuoi progetti di lavoro- aggiunse il ragazzo finendo il suo bicchiere di vino –complimenti. Credo che il rischio sia meglio affrontarlo da giovani.
-non è nulla di speciale…
-modesto, eh? Non dovresti. Non conosco molto del mercato californiano, ma mi sembra di ricordare che quello dello Stato di New York è fiorito molto negli ultimi anni. Le università creano artisti molto dotati e quindi diversi ragazzi si riuniscono in circoli per discutere di loro opere o di quelle di altri…
Se avesse avuto la capacità di far prendere fuoco alle cose con l’uso degli occhi come Supermen, Jess avrebbe ridotto Matt in cenere in pochi secondi; -gli artisti non si creano- gli fece presente –l’arte fa parte delle persone. Non diventi uno scrittore perché il tuo insegnante ti ha inculcato le regole di grammatica e sintassi, tanto meno se è capace di spiegare la letteratura.
-è ciò che credi?- gli chiese –anche Rory ha delle idee diverse dalle mie su questi argomenti, ma io credo che tutto si debba imparare. Voglio dire che tutti impariamo a scrivere e tutti siamo degli incompetenti all’inizio, no? Poi qualcuno impara la matematica, altri migliorano lo stile di scrittura.
-non tutti sono capaci di scrivere e ancora meno sanno creare un’opera letteraria. Pochi eletti hanno il dono di affascinare le persone con il solo uso delle parole. e in effetti i nostri contatti a New York raccontano in modo diverso da quelli della California, ma semplicemente perché le esperienze di vita non sono le stesse, gli ambienti a volte sono opposti. Io ho vissuto sia nell’est che nell’ovest e so di cosa parlo.
-forse dovresti rimanerci nell’ovest!-disse Dean avvicinandosi ai due uomini. Jess sentì un fuoco crescere dentro, ma decise di restare calmo e non dare spettacolo, perché non ne valeva la pena, mentre Matt lo guardava con aria confusa, cercando di ricordare chi fosse quel ragazzo che gli era parso di aver già conosciuto in un’altra occasione e quando Jess pronunciò il suo nome riuscì immediatamente a capire di chi si trattava.
-tu non cambi mai, eh Dean?- gli chiese.
-quando ti guardo mi vengono in mente tante cose che…
-ti riferisci ai bellissimi momenti che abbiamo condiviso?-lo interruppe mostrando il suo sorriso sornione che l’aveva sempre fatto irritare.
-non ti nascondo la mia preoccupazione quando ho saputo che saresti tornato. Mi chiedevo con quale coraggio venissi in un luogo dove non sei il benvenuto e dove hai rovinato la vita di Dio solo sa quante persone! Avevo cominciato a pensare che fossi intelligente, ma evidentemente mi sbagliavo…
-oh!- disse Jess mettendosi una mano sul cuore –mi sento profondamente ferito, Dean. Da te non me l’aspettavo… dimmi: tu non hai nulla da fare oltre che pensare a me? Sono passati anni!
-hai ragione, è trascorso molto tempo, ma so per certo che nessuno ha dimenticato chi sei e non credere di passarla liscia solo perché in qualche modo sei riuscito a tenerti lontano dalla galera.
Quello che inizialmente era solo un fuoco, all’improvviso si era tramutato in un incendio di enormi proporzioni e Jess sentiva un forte prurito alle mani: era andato lì con la chiara intenzione di provocarlo e non poteva soffrire l’idea che si prendesse gioco di lui in quel modo senza andare incontro alle conseguenze. Ma scatenare una lotta non sarebbe stato giusto nei confronti di Luke e Lorelai, così decise di alzare le tende prima che gli potesse sfuggire il controllo della situazione. Aveva mosso i primi passi quando sentì qualcuno afferrarlo per il braccio; non c’era bisogno di chiedersi chi fosse, quindi respirò a fondo e si voltò verso il caro vecchio Dean.
-cosa fai? Scappi?- gli chiese. Ricordava perfettamente l’espressione da presuntuoso che in una sola occasione aveva avuto il fegato di mostrare: era successo durante la sera del giorno del ringraziamento di molti anni fa, quando gli aveva dichiarato che non si sarebbe nascosto da lui, perché quella era la sua città e si era stancato di comportarsi come un lebbroso. Anche in quell’occasione Jess si era contenuto, sia per Rory sia per dare al ragazzo un momento di gloria che lo avrebbe confortato nei giorni deprimenti della sua vita. Si era sfogato in seguito con un sacco della spazzatura, ma nessuno lo sapeva e poteva continuare a camminare a testa alta.
-lasciami in pace, Dean - disse strattonando il braccio e liberandolo dalla sua presa.
-oh, ma allora ti ho ferito davvero?- domandò Dean deridendolo e facendo cadere la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso.
-Stai parlando di cose che non sai. Sei sempre stato un asso ad intrometterti nelle questioni degli altri!-disse alzando inconsapevolmente la voce facendo sì che l’aria sorniona di Dean mutasse in una più preoccupata, anche se cercava di nasconderlo.
-se l’hai dimenticato sei stato tu a metterti sulla mia strada, Jess.
-Avanti! Pensi ancora a quella storia?-gli chiese senza nascondere la sua sorpresa.
-Mi ci sono voluti mesi per convincere tutti che non ero un violento!
-sbaglio o sei stato tu ad iniziare? Ricordo perfettamente che me ne stavo andando e tu mi hai preso alle spalle. Un colpo basso, davvero…
-se una ragazza viene da me in lacrime dopo essere stata insieme ad uno come te, puoi giurarci che non me ne frega nulla delle regole dell’onore!
-e sentiamo, Dean - disse Jess con sicurezza –perché piangeva?
-non ha importanza- rispose con un lieve imbarazzo. Non aveva idea di cosa fosse successo quella sera, ma all’epoca non aveva ancora messo da parte i suoi sentimenti per Rory e vederla in quello stato gli aveva fatto perdere le staffe.
-era la tua occasione, vero? –gridò Jess puntando un dito contro il suo torace, mentre le ragazze che avevano seguito la scena da lontano si erano avvicinate –finalmente si era presentata la scusa per alzare la mani sul sottoscritto, saresti stato giustificato agli occhi di questa stupida città. Cosa era successo veramente non contava…
-Dean- disse Rory cercando di evitare un disastro- che succede?
-non mi serviva saperlo- continuò Dean ignorandola –e ne è valsa la pena perché così te ne sei andato definitivamente. Era ciò che meritavi.
-ciò che meritavo?- chiese con stupore, incredulo che tutto ciò stesse accadendo –oh, certo. Correggimi se sbaglio: il delinquente di New York doveva pagare per i crimini commessi e prendermi a pugni era il modo migliore per farmi capire una volta per tutte che non ero il benvenuto?! Mi avete esasperato per due interi anni e alla fine ce l’avete fatta, ma ricorda una cosa: se avete vinto è stato solo perché io ve l’ho permesso!
-Jess!- disse Rory mettendosi tra lui e Dean. Il ragazzo riprese a respirare regolarmente dopo quello scatto d’ira e solo allora si rese conto di aver esagerato. Non avrebbe dovuto dargli retta e andarsene, invece era restato a discutere e ora Luke, Jimmy e pochi altri avevano assistito la scena e suo zio l’avrebbe sicuramente odiato, gli avrebbe ricordato che non sarebbe mai cambiato, che non era ancora capace di controllarsi e avrebbe dato ragione a Dean. Rory era davanti a lui e nei suoi occhi leggeva preoccupazione e disappunto: perfetto! Aveva appena deciso di non complicare le cose, di starsene buono e invece due giorni dopo essere tornato riusciva a rovinare il matrimonio di sua madre. Proprio perfetto… non poteva immaginare che lo sguardo della ragazza era determinato dai suoi stessi occhi che le ricordavano una notte alla fine di una festa con retata, quando aveva visto rabbia e dolore sul suo sguardo e non aveva potuto far nulla per lui. Non rimaneva molto da fare se non andarsene il più in fretta possibile. Guardò per un’ultima volta la ragazza, poi Dean e di nuovo lei, infine appoggiò sul tavolo il bicchiere che aveva continuato a tenere in mano e voltò le spalle ai presenti.
-Jess! Jess, aspetta! –disse Rory seguendolo per pochi metri con la speranza di trattenerlo –fermati!
-lascia stare! –disse senza darle retta continuando per la sua strada: doveva andare via da quel posto, non importava dove, ma doveva farlo.
Per l’ennesima volta non poté fare altro che guardare la sua schiena scomparire dietro un angolo rinunciando a seguirlo, perché molto probabilmente preferiva stare da solo. Si voltò verso Dean, il quale, probabilmente in preda al timore suscitato dallo sguardo inferocito di Rory, capì che la cosa migliore da fare era lasciare il campo. Quando i contendenti sui furono separati e lo spettacolo fu finito, l’aria si alleggerì nuovamente e i pochi ospiti che avevano assistito alla scena ripresero i festeggiamenti. La ragazza si rivolse a Matt, che nel frattempo non si era mosso dalla sua posizione iniziale e si era goduto la scena da un posto d’onore.
-Wow- esclamò quando si ritrovarono l’uno di fronte all’altra.
-Wow?- ripeté Rory –ma che gli ha preso?
-non ho idea di cosa stessero parlando- le spiegò –ma io e Jess stavamo conversando molto amabimente, poi è arrivato quel ragazzo e ha iniziato a provocarlo. Subito Jess non ha reagito, ma alla fine ha ceduto e hai visto anche tu cosa è successo.
-avrebbe potuto evitarlo…
-credimi, quel Dean ha esagerato. Se fossi stato in Jess un pugno dritto nel naso non glielo avrei risparmiato!-rispose Matt sotto lo sguardo misto stupito e preoccupato di Rory. Il suo ragazzo stava difendendo Jess? Era proprio vero che non si vive mai abbastanza per vedere tutto!
-e così i tuoi ex del liceo continuano a litigare per te?- le chiese sorridendo, mentre lei era seriamente preoccupata per Jess – Dean deve avercela a morte con lui…
-non sono mai andati d’accordo- gli spiegò tralasciando il particolare che aveva tradito Dean con Jess e poi si erano lasciati a causa sua –non riesco a capire il comportamento di Dean!
-dev’essersi sentito un po’ patriottico – le rispose abbracciandola –La mia donna è proprio una rubacuori!
Rory sorrise, lasciandosi stingere dalle sue braccia, ma negli ultimi minuti troppe emozioni sepolte erano riaffiorate e da quando aveva guardato negli occhi di Jess si era sentita fiondata indietro nel tempo: le sembrava di essere nuovamente una diciottenne.
 
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Elena_R
view post Posted on 1/7/2004, 20:23




capitolo otto:

La luna si era levata da molte ore e le tenebre della notte avvolgevano completamente la città ancora tappezzata di striscioni di auguri per sua madre e Luke. Il matrimonio era finito, lentamente tutti erano tornati alle proprie case, e le strade poco prima animate dalla musica erano ripiombate nell’usuale silenzio. Era l’una e Rory, stesa nel letto e coperta dalle lenzuola, si chiese se Jess era rientrato. Alcune ore prima, quando aveva lasciato Lorelai alla sua prima notte di nozze e si era avviata con Matt verso il Dragon Fly, non le era sfuggito che la chiave della sua camera era ancora appesa nel quadro della reception. Dopo lo scontro con Dean se n’era andato e nessuno aveva avuto più notizie; notando la sua preoccupazione, Sasha l’aveva avvicinata per assicurarle che era tipico di Jess sparire: lo faceva ogni qualvolta dovesse schiarirsi le idee, ma poi tornava sempre. Anche Rory conosceva bene quel suo lato sfuggente, bisognoso di spazio e tempo per riflettere senza che nessuno lo disturbasse, ma dopo cinque anni non era più abituata a quell’attesa. Sapeva che stava bene, che non avrebbe dovuto essere in pensiero per lui, ma sentiva il bisogno di vederlo con i suoi occhi. Si mosse lentamente, cercando di non far rumore e svegliare il ragazzo che stava dormendo al suo fianco. Dopo aver indossato un paio di jeans e la prima maglietta che le era capitata sottomano, afferrò le sue scarpe e schiuse la soglia: diede un’ultima occhiata a Matt, che dormiva beatamente nei suoi boxer. Chiudendo la porta alle sue spalle sperò che non aprisse gli occhi e si accorgesse della sua assenza. Camminò con calma lungo il corridoio illuminato da una tenue luce che non disturbasse troppo gli ospiti e raggiunse la hall; Cole, uno dei dipendenti di sua madre, stava leggendo una rivista cercando di tenersi sveglio. Rory gli sorrise e i suoi occhi scorsero ancora la chiave della sua stanza; non era ancora rientrato ed era notte fonda. Il ragazzo le chiese dove stesse andando a quell’ora e lei rispose che non riusciva a dormire, poi uscì. L’aria fresca le ricordò che nella fretta non aveva preso la giacca per proteggersi e quasi bestemmiò per essere stata così stupida. Fu tentata di rientrare e chiedere in prestito quella di Cole, ma decise che non era una buona idea, così mise le mani nelle tasche e scese gli scalini. Dopo pochi minuti il suo corpo si era abituato alla temperatura e non sentì più il bisogno di un riparo. Raggiunta la strada principale pensò che erano passati anni dall’ultima volta in cui aveva passeggiato da sola a Stars Hollow. Aveva dimenticato l’odore primaverile dell’aria, i colori abbaglianti delle piante e dei fiori resi luminosi dai lampioni di luce bianca, la pulizia quasi maniacale che però rendeva tutto più bello, il silenzio protettivo che la circondava. New York e Parigi erano l’esatto opposto: non c’era un attimo di calma, tutto era sempre in continuo movimento e la parola quiete aveva un significato diverso.
Un gattino bianco attraversò la strada e la precedette oltre il parco, mentre le sue scarpe lasciavano l’asfalto ed entravano in contatto col manto vellutato dell’erba. L’illuminazione diminuì di colpo e dovette proseguire nel buio completo per diversi metri fino a quando, in lontananza, scorse una luce fioca che l’avvertiva di aver raggiunto la sua meta. Da quando era arrivata in città non aveva ancora avuto il tempo di fare un salto al ponte e avvicinandosi sempre più all’acqua si chiese se era cambiato, ma riflettendo giunse alla conclusione che a Stars Hollow i cambiamenti non sono mai ben accetti. Quando la luce divenne più forte, scorse una figura familiare seduta sul vecchio legno della passerella e senza rendersene conto si scoprì a sorridere. Sperava di trovarlo lì, come ai vecchi tempi, ma il fatto che entrambi non fossero più le persone di quei giorni le aveva seminato il dubbio che forse Jess non ricordava nemmeno più quel luogo che aveva continuato ad esserle caro negli anni. Arrivata a pochi metri da lui vide il suo corpo irrigidirsi, segno che si era accorto della sua presenza. Rory continuò a camminare e si sedette al suo fianco senza dire una parola. Lo sbirciò per un istante con la coda dell’occhio e i tratti tesi del suo viso le dissero che era profondamente ferito.
Matt le aveva raccontato l’intero scontro, dalla prima parola che si erano scambiati all’arrivo di Dean e tutto il resto. Era sempre stato un duro, aveva sempre mostrato la sua facciata menefreghista, cercato di non affezionarsi a nessuno, ma il cuore di Jess non era di pietra e la conversazione con Dean, insieme agli sguardi che molto probabilmente l’intera città gli aveva rivolto, la pressione psicologica che aveva subito in quei due giorni, avevano fatto breccia e colpito il centro, quello che provoca più dolore: la consapevolezza di essersi comportato male e di non poter cambiare un passato che, a Stars Hollow, lo aveva etichettato per sempre. Restare seduti e in silenzio non li avrebbe portati da nessuna parte, ma cosa poteva dirgli? Non voleva peggiorare la sua condizione, tanto meno sembrare una stupida facendogli una domanda banale… Pensò che aveva avuto l’intera sera per riflettere e forse a quel punto era giunto ad una conclusione.
-va meglio? –fu l’unica cosa che le venne in mente: non era retorica, non richiedeva ipocrisia nella risposta, che poteva essere anche semplicemente monosillabica. Al suo fianco non sentì nulla e ruotò la faccia per controllare che respirasse ancora: forse era in una morte apparente e lei non se n’era accorta. Jess mosse solo la testa in un cenno d’assenso e Rory fu sollevata nel costatare che era ancora vivo. Aveva compiuto il suo dovere: ora sapeva che Jess stava bene, fisicamente. Poteva alzarsi e tornare dal suo fidanzato che l’aspettava nel loro letto. Doveva alzarsi e tornare dal suo fidanzato che l’aspettava nel loro letto. Ma poteva lasciarlo da solo nella sua commiserazione? Jess non aveva bisogno di lei, non ne aveva mai avuto, però non se la sentiva di andarsene.
-ti dispiace se resto?- gli chiese, come se fosse necessario il suo permesso per rimanere in un posto pubblico. Lui non disse nulla, ma per la prima volta alzò gli occhi dall’acqua del lago e appoggiò lo sguardo sul suo viso e, per qualche motivo che lei ignorava, le sorrise. Il significato non aveva importanza, perché quella era la risposta in cui aveva sperato.

-Cosa?!- gridò Sasha attirando su di sé gli occhi dell’intero locale. Lorelai non aveva immaginato che dirle di aver rimandato la luna di miele potesse suscitare un tale effetto, ma purtroppo né lei né Luke potevano lasciare le rispettive attività in quel momento dell’anno e avrebbero organizzato qualcosa per la fine dell’estate.
-due imprenditori…- aggiunse dopo aver ascoltato la sua spiegazione –che coppia ben assortita! Dovrete programmare ogni istante insieme con un anticipo di settimane!
-perché?- chiese Lily, la cui domanda rimase senza risposta poiché ognuno l’aveva ignorata e Lorelai aveva ripreso la parola: -nel frattempo il dibattito è aperto e Luke insiste nel voler fare un viaggio di nozze “tranquillo”!-disse scandalizzata –ti rendi conto? Ho sposato un pantofolaio!
-non c’è nulla di male nel voler trascorrere i pochi giorni di vacanza che ho nella più assoluta pace- le ricordò il neo-sposo.
-voglio il divorzio!- aggiunse la moglie fingendosi arrabbiata –e non voglio andare a Parigi!
-a Parigi?- le chiese Jimmy –Sbaglio è la città degli innamorati?
-sono già stata in Francia- rispose abbassando il tono di voce, mentre Rory, seduta al banco sorseggiando il suo caffè, sorrideva. –non è stata una grande esperienza. I francesi hanno la puzza sotto il naso!
-ti ricordo che le occhiate disgustate che ti rivolgevano erano del tutto giustificate, mamma- le rammentò la figlia -tu passeggiavi con una baguette sotto l’ascella in pieno agosto e con un caldo torrido! C’erano 40° all’ombra!
-tutti i francesi camminano col pane sotto il braccio!- si difese Lorelai –guarda le cartoline e ne avrai la prova! Sono spesso stampati signori sorridenti con una baguette sotto il braccio e un fumetto con scritto “j’aime la France!”!
-un po’ di buon senso ci avrebbe evitato tutti quegli sguardi… non mi sono mai sentita tanto in imbarazzo!
-davvero?- le chiese Lorelai, mentre Rory si fermava a pensare e il campanello della porta suonava per la centesima volta in quella mattinata. Lily alzò distrattamente gli occhi e il suo viso si illuminò quando riconobbe la persona che era appena entrata nel locale: -Sean!-gridò balzando dallo sgabello e correndo verso un ragazzo poco più grande di Rory, con gli occhi chiari, la pelle abbronzata e i capelli biondi il cui disordine le ricordavano quelli di Jess.
-hey piccola! –disse il ragazzo prendendo in braccio la bambina e dandole un bacio sulla fronte –come sta la mia donna preferita?
Rory sorrise nel vedere le guance pallide di Lily diventare improvvisamente più rosa: quell’arrossire alle parole adulatrici di un ragazzo le ricordava quando anche a lei bastava un semplice complimento per abbassare gli occhi e sentire il fuoco crescere nel suo corpo e sul suo viso.
-sto bene. Sai che qui non c’è il mare?- chiese la piccola con un’espressione delusa.
-stai scherzando?- disse Sean fingendo amarezza –allora portare il costume è stato un grande errore!
-però c’è un lago- lo rassicurò –una volta lo zio Luke ci ha buttato Jess. Vuoi provare? Ti spingo io!
-viperetta! Niente scherzi, ok?
Lily fece un enorme cenno con la testa e corse nuovamente a sedersi al banco, mentre Sean veniva accolto da Sasha e consorte; - com’è stato il volo?- gli chiese Jimmy stringendogli la mano.
-buono- rispose – e soprattutto sono arrivato sano e salvo. Domani non la farò passare liscia a quel tipo: odio volare!
-verrà anche Jess con te, giusto?
-ovviamente! Il suo senso critico è la mia arma migliore: se non fosse per lui, non guadagnerei tanti soldi! Dio lo preservi!- disse sorridendo e guardandosi intorno per cercare il collega, che però non vedeva. Per la prima volta da quando era entrato notò diverse persone che lo fissavano, ma solo una catturò la sua attenzione: un angelo dagli occhi di un azzurro che non aveva mai visto fino a quel momento e labbra rosse piegate un sorriso da lasciare un qualsiasi uomo con un minimo di ormoni senza fiato e con un solo desiderio. Se solo non fosse sposato…
-a proposito- disse distogliendo lo sguardo da quella meravigliosa ragazza e volgendosi verso Sasha –dov’è?
-quando siamo usciti stava dormendo; ieri sera dev’essere rientrato molto tardi- rispose la donna offrendogli una tazza di caffè.
-a quanto pare il nostro amico si è dato da fare, eh? Il playboy di Venice non si lascia arrugginire…
-oh, non credo proprio. Da quando è qui non è uscito con nessuna ragazza. Il tuo discepolo forse si è stancato?
-non dirlo nemmeno per scherzo, Sash! –affermò scandalizzato il ragazzo non riuscendo però ad evitare di lasciarsi sfuggire un sorriso –ora che io ho le mani legate tocca a lui continuare la conquista dell’universo femminile!
-parli sempre a sproposito, eh?-disse una voce familiare dalle sue spalle.
-Jack!- rispose ignorando il commento dell’amico e andandogli incontro per dargli una pacca sulla spalla –cosa sono quelle occhiaie? Tu e Neal avete fatto baldoria?
-come sempre- disse Jess –sesso, droga, be-bop e una ricerca disperata dei perché della vita.
-Neal? Jack?- chiese Lorelai confusa cercando di capire di cosa quei due pazzi stessero parlando.
-sì, e cos’è questa storia della droga, Jess? –aggiunse Luke già sul piede di guerra: se quello squilibrato di Jimmy permetteva a suo figlio di fare uso di stupefacenti avrebbe dovuto rendergliene conto.
-Neal Cassidy e Jack Kerouak- spiegò Rory, attirando l’attenzione su di sé –due dei maggiori scrittori della Beat generation. Vissero nell’inquietudine, sempre alla ricerca di qualcosa che finiva solo per portarli alla fuga dalla realtà. Ovviamente tramite l’abuso di alcol e stupefacenti.
-wow!-fu tutto ciò che, in un primo momento, Sean riuscì a dire, mentre Jess non era riuscito a trattenere un sorriso: era chiaro che il suo amico non aveva idea della profonda conoscenza culturale letteraria della ragazza; -è incredibile! Non sono molte le persone che hanno una vaga idea di cosa sia la Beat!
-beh, non sanno cosa si perdono- rispose Rory con un genuino sorriso, sorpresa di aver sbalordito quel ragazzo a tal punto. Avrebbe potuto citare qualunque scrittore e lei sarebbe stata capace di riconoscerlo, evidentemente Sean non era abituato ad una persona come lei. Ripensandoci anche Matt aveva avuto una reazione molto simile quando aveva scoperto il suo amore per i libri, ma non aveva mai ritenuto quella passione qualcosa di utile o degna di apprezzamento.
-esattamente la mia corrente di pensiero- disse Sean sfoggiando il suo sorriso da ammaliatore. Quell’angelo non era solo l’ottava bellezza del mondo e non si limitava a saper leggere, ma aveva una determinata conoscenza in fatto di letteratura. Doveva saperne di più di quella ragazza: guardandola sentiva uno stimolo che non era limitato alla sfera fisica. La sua bellezza non passava inosservata, ma c’era qualcosa che andava oltre la fisicità ed era determinato a scoprire di cosa si trattava.
-Sean- disse Jess interrompendo la contemplazione dell’amico, che negli ultimi secondi non le aveva staccato gli occhi di dosso –lei è Rory…
La ragazza allungò la mano verso il ragazzo che nel momento in cui aveva sentito pronunciare il suo nome era diventato visibilmente più meravigliato e, incerto se ciò che aveva udito era proprio quel nome, aveva voltato lo sguardo verso Jess in attesa di una conferma che non aveva tardato ad arrivare. Gli aveva parlato di una ragazza una volta. Quella importante; quella che ricordi per tutta la vita. Quell’unica che è giusta per te, ma che non puoi avere per le ragioni più assurde.
Quella ragazza per Jess era stata una certa Rory.
L’argomento era saltato fuori dal nulla una sera di diversi anni prima, quando entrambi erano liberi da legami sentimentali e avevano in corpo litri di birra. Jess aveva detto qualcosa contro i politici; Sean gli aveva dato ragione. Poi, seduti al tavolo di un pub, avevano assistito al litigio di una coppia. E Jess aveva detto che a lui non era successo mai nulla di simile, perché semplicemente se n’era andato se dire nulla a nessuno, nemmeno a Rory. Sean non aveva idea di cosa stesse parlando, ma lo lasciò continuare e scoprì che c’era una ragazza meravigliosa nell’Est dalla quale l’amico era fuggito senza una spiegazione. All’epoca lo aveva lodato per il suo comportamento da macho che non si piega davanti a nulla e a nessuno; poi aveva conosciuto Ally, se n’era innamorato e l’aveva sposata. Si era chiesto come avrebbe reagito se di punto in bianco lei se ne fosse andata senza degnarsi di dirgli perché: tutto ciò che riuscì ad immaginare furono dolore e confusione. Aveva provato a mettersi nei panni di Jess e aveva capito che solo un motivo molto grave avrebbe potuto “forse” spingerlo a comportarsi un quel modo. Ma c’era sempre un forse. Di una cosa era quasi certo: l’aveva amata. Jess non era il tipo da svelare quel genere di cose, ma lui l’aveva capito. Conosceva Jess da più di tre anni e non una volta l’aveva visto coinvolto in una storia con qualche ragazza; passava da una all’altra, le tradiva, mentiva… riusciva ad avere il controllo di tutto tranne che dei sentimenti. O forse anche quelli erano sotto sorveglianza e il resto era solo desiderio di dimenticare. In un paio d’occasioni aveva creduto che provasse ancora qualcosa per quella ragazza di cui gli aveva parlato in un momento di debolezza, ma erano passati tanti anni e non gli era sembrato proprio possibile.
Forse si sbagliava.
-…e lui…- continuò Jess fermando il fiume di pensieri che aveva allagato la sua mente –…è Matt, il suo ragazzo.
-oh!-esclamò Sean con una nota di disappunto nella voce –avrei dovuto aspettarmelo: sono sempre le migliori a non essere disponibili…
-non credi di sopravvalutarmi?- chiese Rory divertita dal comportamento giocoso del nuovo arrivato–dopotutto non mi conosci.
-già- aggiunse Matt con frustrazione –da quando sei entrato non hai fatto altro che elogiarla e, se mi permetti l’espressione adatta al luogo in cui ci troviamo, mangiarla con gli occhi! Ammetto che è lusinghiero sapere che la mia donna viene apprezzata, però…
Sean sorrise al commento di quel ragazzo che non gli era piaciuto dal primo momento: quell’espressione saccente, l’aria di chi ha avuto una vita facile ed agiata, la sensazione di superiorità che vedeva nei suoi occhi verdi, i capelli castani perfettamente pettinati… era sicuramente un figlio di papà, probabilmente lavorava nell’azienda di famiglia o forse era un raccomandato presso qualche prestigiosa agenzia; era vero che, visto al fianco di Rory, erano una coppia molto bella, ma qualcosa gli diceva che quel Matt non aveva idea di chi fossero Cassidy e Kerouak!
-la parola chiave del discorso dev’essere mia, giusto?-chiese con un ghigno sul volto che Jess riconobbe all’istante: il suo amico stava per andare all’attacco e purtroppo non riuscì a fermarlo; sperava solo che non ci andasse giù troppo pesante. –Uno: non credo che Rory si consideri una proprietà; due, oltre ad aver dimostrato di possedere un’istruzione letteraria al di sopra della media ed essere incredibilmente bella, sono certo che è una ragazza estremamente intelligente; e qui collego i due punti: una persona intelligente e acculturata ha le conoscenze necessarie per non farsi contendere come un pezzo di carne tra due animali affamati, tanto meno “appartiene” a qualcuno.
Il povero Matt decise di non rispondere alla sfacciataggine di quell’editore californiano e si appoggiò comodamente allo schienale della sedia scotendo la testa, mentre la sua fidanzata, rossa per i complimenti e lo sforzo di non scoppiare in una risata che avrebbe potuto imbarazzare il ragazzo, si limitò a sorridere.
-mi conosci meglio di quanto potessi immaginare e non posso fare altre che domandarmi come mai…- disse spostando il suo sguardo da Sean a Jess, il quale, cogliendo ciò che intendeva, afferrò il fiero compagno per un braccio trascinandolo verso la porta dicendo che dovevano andare.
-dove andiamo?- gli chiese continuando a sorridere ad una Rory divertita che non aveva tolto loro gli occhi di dosso.
-non lo so, ma dobbiamo andare- fu la frettolosa risposta che ricevette, seguita dal rumore del campanello della porta.
-in vena di citazioni, eh?!- disse del riferimento ad una frase di Dean Moriarty, uno dei protagonisti di Sulla strada di Kerouak. Jess scosse il capo e lo strattonò oltre l’uscio poco dopo che Sean aveva mandato a Rory un bacio con la mano.

Che nessun uomo sulla faccia della terra fosse immune al fascino di Rory era ormai un dato di fatto; persino lui a diciassette anni aveva perso la testa, ma si era sempre comportato con un determinato contegno, aveva cercato di essere il più discreto possibile, evitato i grandi elogi e le dichiarazioni plateali, soprattutto perché non faceva parte del suo carattere manifestare apertamente sentimenti e sensazioni. Ma da quando avevano lasciato il locale, Sean non aveva smesso per un attimo di parlare di lei: “quella è una creatura angelica, Jess! Non avrei mai creduto che potesse esistere una donna così sublime!” oppure “amico, quando l’ho guardata negli occhi ho sentito il mio corpo diventare un enorme blocco di marmo; ero paralizzato da quegli zaffiri… ma quali zaffiri? Quel colore dev’essere unico, perché non l’ho mai visto in nessuno!” per non parlare poi delle lodi alla sua pelle “candida, bianca come la luna; sembrava che riflettesse la luce come uno specchio di deboli raggi del sole che entravano dalle vetrate e rischiarasse la penombra del locale.”
Odiava ammetterlo, ma aveva ragione. Tutto ciò che diceva di lei era esattamente quello che lui stesso aveva pensato mille volte. E a Sean mancavano un paio di particolari: se avesse accarezzato la sua pelle si sarebbe chiesto se era seta; e se avesse baciato le sue labbra…
Jess scosse la testa al pensiero e diede un’occhiata furtiva all’amico che, con gli occhi accesi, continuava a parlare di lei senza dar peso al suo silenzio. La conoscenza di Rory in fatto di letteratura l’aveva sorpreso: evidentemente non pensava che le donne avessero un cervello funzionante e pensieri che non si limitano ai vestiti, al trucco e al parrucchiere. Probabilmente di ragazze di quel tipo ne aveva incontrata solo una, Ally, e l’aveva sposata.
-la maggior parte delle persone ha un’idea sbagliata di loro- disse in riferimento agli scrittori della Beat –si limitano all’apparenza: vita sregolata, uso di droghe e alcol sono visti solo come indici di un prominente fallimento, gente così non può scrivere nulla di buono… sento che Bukowski si sta rivoltando nella tomba…
Jess fece un cenno col capo e continuò a camminare, chiuso nel suo mutismo. Era vero, l’idea generale era sbagliata, soprattutto se limitata al moralismo. Ma come dare torto a quelle persone? Lui stesso era stato uno sbandato e fino a quando non aveva messo la testa sulle spalle la sua vita era stata un completo disastro; forse non era giusto generalizzare; forse lui era l’eccezione che conferma la regola. C’erano voluti Rory, Luke e Stars Hollow per cambiare… e che cambiamento!
-se solo l’avessi saputo…- continuò –sai, l’avevo immaginata come una ragazza perfetta e moralista, senza personalità, che ti aveva stregato con un paio di sorrisi, il profumo costoso e la certezza di essere irraggiungibile… il frutto proibito dell’Eden. Non mi sembravi il tipo da lasciarsi abbindolare in quel modo, ma si sa che l’amore è cieco e ci rende completamente stupidi. Poi dopo averla vista e averle parlato oggi ho finalmente capito!
L’espressione di Jess cambiò e si scurì al ricordo del loro primo incontro: sapeva di cosa Sean stesse parlando perché per lui era stato lo stesso. Dalle parole di Lorelai e Luke l’aveva immaginata come una secchiona scialba e saccente che lo avrebbe giudicato prima ancora di conoscere il suo nome, proprio come avevano fatto tutti prima di lei; ma dopo averla vista nella sua camera qualcosa era cambiato: quando lei aveva alzato gli occhi dal suo libro Jess aveva sentito la forza gravitazionale aumentare e se non si fosse impegnato le sue gambe si sarebbero sfracellate al suolo.
-peccato per quel Matt… ma l’hai sentito? La mia Rory!-gridò con tono solenne assumendo la postura eretta e impostata del ragazzo, totalmente diversa da quella rilassata ma allo stesso tempo sicura che avevano sia lui che Jess –da un momento all’altro mi aspettavo che le mettesse un guinzaglio al collo e una museruola! Mi chiedo cosa ci faccia con quel figlio di papà. Non lo sto giudicando, sono certo che anche lui abbia dei lati positivi, ma salta subito all’occhio che non è adatto a lei!
Forse aveva ragione, ma come potevano esserne certi? In fin dei conti non lo conoscevano e soprattutto non era loro compito decidere chi Rory potesse frequentare. Nemmeno a lui piaceva Matt, ma la sua era pura, semplice e genuina gelosia. D’altronde totalmente ingiustificata. Rory aveva Matt, lui aveva… qualche decina di messaggi in segreteria di donne con cui era uscito e che volevano un bis: non se la passava male. E aggiungerne una all’harem sarebbe stato inutile; Rory non gli serviva; non aveva più bisogno di lei. Non ne aveva mai avuto. Poteva diventare il suo mantra…
-sai, se non avessi una fede al dito e una moglie a casa non ci penserei due volte a farle la corte! Ma conosco qualcuno che potrebbe prendere degnamente il mio posto… da quel po’ che ho capito, Jess, quella ragazza è davvero perfetta per te!
-no, non lo è Sean - fu la risposta fredda del ragazzo, che non aveva nemmeno avuto la compiacenza di alzare gli occhi dall’asfalto della strada.
-lo è- gli assicurò dopo aver preso nota di quell’aria mesta e assente che aveva avuto dal momento in cui avevano lasciato il locale dove aveva trovato la famiglia –credi che non abbia visto il modo in cui la guardi? Ti sembrerò uno stupido romantico, ma la tua voce è diversa quando parli con lei. Il ragazzo in presenza di Rory non è il Dean Moriarty che mi ha girato intorno per tutti questi anni; ti ho visto con non ricordo più quante donne, Jess, e a nessuna hai mai rivolto quello sguardo.
Non aveva bisogno che Sean si mettesse ad analizzare la sua vita e i suoi rapporti con le donne, a maggior ragione se il discorso verteva su Rory; -non sai di cosa stai parlando- lo ammonì sogghignando, fingendo che l’argomento non lo interessasse e cercando una scappatoia per cambiare discorso. Ma il fuoco negli occhi di Sean gli fece subito intendere che non era arrivato il momento di fare il furbo.
-so quello che mi hai raccontato…- gli disse in tono paterno, senza però far sì che Jess abbassasse le sue difese.
-ero ubriaco!- gli ricordò.
-… e so quello che ho letto- continuò ignorando ciò che gli aveva appena detto l’amico. Jess si sentì intrappola: immaginava che prima o poi Sean se ne sarebbe accorto, era troppo intelligente perché non cogliesse il vero significato delle sue parole.
-quella sera mi dissi che te n’eri andato dal Connecticut dopo aver combinato non pochi casini a tuo zio ed eri partito senza dire nulla alla tua ragazza, perché così avrebbe sofferto di meno –respirò a fondo, conscio della reazione che stava per scatenare, e continuò – sai qual è la verità? Non le hai detto nulla perché così tu avresti sofferto di meno!
-non dire stronzate - lo interruppe Jess timoroso di scoprire dove Sean voleva arrivare. Aveva passato una vita intera a schivare l’affetto e le attenzioni degli altri, a non farsi coinvolgere da nessuno, persino dalla sua stessa madre; ma era capitolato con Rory e Luke, e delusione e dolore erano stati troppo forti. Aveva imparato la lezione e creduto che gli errori non si sarebbero ripetuti, ma per l’ennesima volta stava sbagliando, perché amare era un’esperienza che non era riuscito a dimenticare, un incubo che lo aveva tormentato per mesi e che ancora, durante certe notti in cui era da solo, tornava a fargli visita. Forse era solo il rimorso di aver gettato tutto al vento o il rimpianto di non averle dato una spiegazione che meritava. L’amore e l’amicizia avevano avuto per lungo tempo un solo nome, poi la seconda aveva assunto altre forme, altri visi, altri occhi… uno di quei volti apparteneva a Sean e Jess, pur restando la persona chiusa di sempre, non si era opposto alle sue richieste di accesso e aveva lasciato trasparire un lato di sé che solo la sua ex aveva conosciuto. E ora era il momento di scoprire l’entità del danno, perché l’espressione dell’amico era chiara e lui aveva già un’idea delle parole che stava per pronunciare.
-le hai mai detto che l’amavi?
La doccia fredda era arrivata ed era gelata al punto che Jess sentiva degli aghi al posto delle gocce. Come faceva Sean a sapere? Era così bravo a capire le persone o era stato lui ad essere incapace di mantenere il riserbo che lo aveva sempre caratterizzato? Una sbronza e un libro erano stati davvero così catastrofici e decisivi da metterlo completamente allo scoperto? Ma un po’ di segretezza l’aveva mantenuta, perché Sean non aveva idea che non poteva amare e soprattutto non poteva amare lei.
-no?- fu ciò che seguì –lo immaginavo. Sei un folle, Jess. Possibile che non ti renda conto che potresti pentirtene per il resto della tu avita? Se ci fosse una sola possibilità…
-perché dovrebbe esserci?- gli rispose interrompendolo bruscamente; odiava i “se”, disprezzava il congiuntivo, detestava rimuginare il passato e fare congetture su improbabili futuri; -me ne sono andato, l’ho ignorata per cinque anni, Sean. Cinque anni! Non so più nulla di lei tranne che ha realizzato i sogni di cui una volta mi parlava e che ora condivide col nostro amato Matt. “Appartiene” a lui adesso e non solo fisicamente. Io non l’ho mai avuta, nemmeno per un secondo e se anche ci fosse stata una sola possibilità io, da perfetto idiota, l’ho buttata come un inutile pezzo di carta straccia. Tu che ne sai, Sean? Hai la tua meravigliosa casa sull’oceano, la donna che ami, un lavoro che ti gratifica e ti riempie il conto in banca! Che ne sai di me, eh Sean?- gridò. Di colpo la rabbia verso se stesso aveva preso il sopravvento e la stava scaricando sul primo sfortunato che aveva commesso l’errore di provocarlo aprendo quella voragine di sentimenti che Jess avrebbe solo voluto offuscare nell’oblio –te lo dico io: sai ciò che ti ha raccontato un ubriaco dopo aver scolato litri di birra e chissà cos’altro! Poche parole al sapore d’alcol sono quanto ti basta per capire? Non credi di essere un po’ presuntuoso?
-quel libro, Jess- rispose con calma –l’ho sempre ritenuto meraviglioso, anche se tu eri restio a crederci. E adesso capisco l’ultimo significato che mi mancava, ho finito il tuo puzzle.
-no! Non nominarlo. Nessuno sa nulla e nessuno deve venirne a conoscenza. Tu ed io siamo gli unici a sapere chi l’ha scritto realmente: il mio nome non deve saltare fuori in nessun caso.
-è uscito da mesi- disse Sean dopo averlo rassicurato con un cenno del capo –e ti ricordo che ha avuto un discreto successo e buone critiche. Forse lei lo ha letto; non saresti curioso di sapere cosa ne pensa? Sono certo che abbia un’opinione in proposito.
-puoi chiederglielo, ma tienimi fuori da questa storia- rispose con più calma.
-non ti capisco. Hai scritto un romanzo meraviglioso che è stato un successo in California e che anche qui nell’Est ha avuto buoni apprezzamenti, ma non vuoi che si sappia di te. Devi essere pazzo, amico, perché io pagherei per essere al tuo posto.
-dovrei dare troppe spiegazioni e sai che non sono il mio forte. Uno pseudonimo è molto più sicuro.
-troppe? Io credo che dovresti darne una ad una sola persona il cui nome comincia per R- e finisce per -ory…
-non ha più importanza, Sean. Qualunque cosa abbia provato in passato ora è finita.

-Non riesco a credere che al mondo esistano persone come quel William!- esclamò Sean mentre un uomo sulla trentina si allontanava in direzione del City Hall, nel quartiere di Tribeca- ma l’hai visto? Quell’aria da disadattato, triste, pallido! E poi i suoi occhiali… mentre leggeva la prefazione che si è scritto avevo voglia di gridargli: hey, amico! Siamo nel XXI secolo, comprati le lenti a contatto! E che dire di quella camicia a quadri? Mi chiedo coma faccia a sopravvivere a New York.
-New York non è poi così male… basta trovare un atteggiamento adatto- rispose Jess, cercando di proteggere il povero William Meyers. Anche se aveva manie d’egocentrismo e superiorità, a volte gli faceva pena: era solo e incompreso in un mondo dove i canoni sono talmente rigidi e stereotipati da escluderti alla prima mossa anticonformista. I suoi scritti erano fantastici, anche Sean lo sapeva, e le sue parole semplici e disperate non potevano passare inosservate. A volte lo capiva e si sentiva esattamente come se nulla importasse; altre lo condannava per essere troppo estremista e sentiva il desiderio di spiegargli che valeva la pena mettere da parte le sue idee e ascoltare anche gli altri, sentire cosa avevano da dire, perché lui non era l’unico a pensare. Voleva dirgli che soffrire, per quanto masochistico potesse sembrare, è ciò che ti rende vivo veramente. E lo avrebbe fatto, scrivendolo nella sua prefazione. Ok con la preservazione della sua identità e della sua ideologia, ma prendere il suo posto era troppo.
-un atteggiamento?- chiese l’amico accendendosi una sigaretta –e credi che il suo funzioni?
-è sopravvissuto, no? Forse è stata dura da piccolo, ma immagino che ora le cose gli vadano meglio.
-sarà come dici tu, ma io non mi capacito di quanto una persona all’apparenza così insignificante possa essere altrettanto profonda: quello è un genio della letteratura e purtroppo ne è consapevole… ci rovinerà, amico.
-è per questo che ci sono io, no? Hai visto la sua faccia quando mi ha visto? Probabilmente voleva sprofondare…- rise Jess ricordando quanto William lo temesse.
-è per questo che ho bisogno di te- aggiunse attraversando la strada e passando oltre la sua auto.
-dove vai?- gli chiese Jess immobile al lato della Mercedes dell’amico, che nel frattempo indicava un punto a una decina di metri da loro.
-la metropolitana?!
-esattamente- fu la risposta che ottenne –direzione: Greenwhich Village.
Jess corse per raggiungerlo facendo lo slalom tra le auto che non accennavano a decelerare per lasciarlo passare. Un ulteriore sosta non era in programma, ma erano passati molti anni dall’ultima volta in cui era stato da quelle parti. Ricordava un giro in macchina, un incidente nella notte, il dolore nel petto nel vedere Rory ferita, un autobus per New York e una settimana infernale con sua madre. E l’epilogo: due occhi azzurri spuntare alle sue spalle e uno dei pomeriggi che non avrebbe mai dimenticato. Quei giorni avevano scatenato una serie di conseguenze a catena che lo avevano condotto a ciò che era adesso. Greenwhich Village: dove aveva iniziato a sperare nell’amore; Greenwhich Village che, sette anni dopo, lo vedeva tornare solo e senza speranza.
-perché questo cambio nei piani?- chiese entrando nella metropolitana.
-non c’è stato nessun cambio. Avevo già in mente di fare un salto laggiù; semplicemente non ti avevo avvertito.
-e perché non l’hai fatto?
-sarà una sorpresa- rispose Sean sorridendo. Jess si mise l’animo in pace ed entrambi rimasero in silenzio per il tragitto che li portò nel nuovo quartiere. Non aveva idea di cosa passava per la mente di quel ragazzo, ma aveva imparato a conoscerlo e sapeva quanto era imprevedibile e lunatico. C’erano giorni in cui adorava un testo all’inverosimile e altri in cui lo stesso scritto gli faceva quasi ribrezzo. Anche con lui si era comportato stranamente: il giorno in cui si era permesso di criticare una sua scelta, Sean, anziché sbatterlo fuori come un qualsiasi egocentrico e presuntuoso imprenditore avrebbe fatto, l’aveva sfidato. Jess sapeva di avere ragione, ma il carattere del capo era ben noto a tutti e per un istante aveva temuto di perdere il posto; non che fare fotocopie fosse la sua massima aspirazione, ma gli permetteva di pagarsi il college. E tutto si era risolto per il meglio. Ricordava di aver citato un paio di volte Eliot e Shakespeare durante il confronto con Sean, binomio che aveva approvato con soddisfazione. Quella era stata una grande giornata: basandosi su ciò che aveva imparato sui banchi di scuola, dai dibattiti con Rory, dalle sue stesse idee, utilizzando la sua famosa testardaggine e un po’ di furbizia aveva messo in piedi un discorso che avrebbe convinto chiunque. Le poche perplessità che aveva in merito a quel libro erano scomparse mentre parlava e fu allora che comprese realmente la forza della persuasione e dell’oratoria. Aveva pensato che fosse la fine, mentre la situazione si era risolta divenendo l’inizio di tutto: della sua nuova vita, della fase finale del suo cambiamento, della sua carriera di lettore editoriale. A volte credeva di dover ringraziare Sean per la possibilità che gli aveva dato, mentre altre era certo di dover essere grato solo a se stesso e alle sue convinzioni.
Spostando lo sguardo da una ragazza e il suo bambino che si trovavano a pochi metri da lui, si concentrò sul biondo californiano ormai diventato una costante della sua vita. Era un pazzo, esattamente come lui, un misto di ribellione e tradizione deducibile da quell’amore viscerale per i modernisti e la Beat e l’apprezzamento dei classici che stanno alla base di tutto: senza Aristotele non ci sarebbero stati Shakespeare, Donne, Austen, Hemingway, Kerouak, Ginsberg. E nemmeno il povero William. Senza Sean molte cose sarebbero state diverse e forse non avrebbe avuto un lavoro che gli piaceva, non avrebbe potuto scrivere, non sarebbe stato nuovamente a New York.
La metropolitana raggiunse la loro fermata ed entrambi lasciarono il mondo sotterraneo emergendo nuovamente alla luce del sole. Jess continuò a restare in silenzio e, per occupare le mani stranamente tremolanti per l’ignoranza di ciò che lo aspettava, si accese una sigaretta. Non era un vizio che aveva ripreso, ma ogni tanto sentiva il bisogno di nicotina, come quello dell’alcol, e allora non si negava un paio di bicchieri e una sigaretta: ma capitava molto di rado e ogni volta provava meno piacere nel farlo. Sean continuava a sorridere e lui si chiese se non fosse completamente impazzito; camminava con sicurezza e Jess realizzò che era strano dato che non era mai stato a New York.
-come fai a sapere dove dobbiamo andare?-gli chiese incuriosito da quella confidenza con la città –hai detto di non essere mai venuto da queste parti.
-mentivo- rispose con l’innocenza di un bambino –ci sono stato un paio di volte.
-e così adesso mi tieni nascoste le cose!-esclamò Jess fingendosi geloso e ferito imitando a Doc Ally, la moglie di Sean –non mi starai tradendo con un altro?
-piantala!- gli rispose colpendolo su una spalla- sai che amo solo te!
-immagino che tu lo dica a tutti…
-sì, ma è un sentimento che provo veramente solo per te. Ecco- disse fermandosi –siamo arrivati.
Jess si guardò intorno e tutto ciò che vide fu un cantiere edile. Una costruzione di media grandezza era già in piedi, ma mancavano le finestre e dall’esterno riusciva a scorgere le pareti dei locali ancora da imbiancare. Ammucchiati da un lato c’era una collinetta di cocci, probabilmente piastrelle rotte e non più utili; una gru e diverse macchine per il trasporto dei materiali erano in movimento e decine di uomini correvano avanti e indietro per la zona spostando, trasportando, cambiando e riparando. Uno di loro fece un cenno con la mano e Sean ricambiò con un sorriso. I muratori continuarono il loro lavoro senza badare alle due nuove presenze. Un cartellone in origine bianco, ma ora sfumato di una polvere scura, indicava che quella costruzione era destinata ad ospitare degli uffici. Jess contemplò la struttura per alcuni minuti, poi, annegando nei dubbi, decise di chiedere a colui che lo aveva trascinato fino lì quale fosse lo scopo di quella pagliacciata.
-Ti ricordi Farrel? Qualche mese fa mi ha presentato un progetto per quella nostra idea…- disse dosando le parole con estrema lentezza facendo aumentare la frustrazione in Jess- e ho deciso che era ora di realizzarla. All’epoca tu avevi ancora qualche problema economico, così ho pensato di fare tutto da me in attesa che il tuo libro cominciasse a darti i profitti che meritavi. Ero certo che sarebbe stato un successo e sapevo perfettamente che solo una volta avuto i soldi in tasca avresti accettato, così non ti ho detto nulla. Ma dato che è capitata questa fantastica occasione di trovarci contemporaneamente a New York ho ritenuto che fosse arrivato il momento.
-il momento?- chiese il bruno ancora stordito sia dalla mossa fatta a sua insaputa sia da ciò che aveva davanti agli occhi.
-questa è la filiale che apriremo a New York- aggiunse con solennità accendendosi a sua volta una Malboro –e tra qualche mese, quando tutto questo sarà finito, tornerai a casa.
Jess era senza parole: avrebbe lasciato la California e sarebbe tornato nell’Est, a New York, una città che sentiva più sua che Los Angeles. Sean gli stava offrendo l’ennesima possibilità e la sua vita stava per trovarsi di fronte all’ennesimo cambiamento: lascia New York, vai a Stars Hollow, ritorna a New York, ritorna a Stars Hollow, lascia Stars Hollow e va a Los Angeles, ritorna a New York. Una New York che lo aveva visto nascere e crescere, diventare un ragazzo di strada, disperarsi per la mancanza di un padre e l’assenza di una madre; tornare cambiato e innamorato, ma col fardello del rimorso sulle spalle, ripartire per amore volando con le ali della speranza, sparire lacerato dall’illusione e per il bene di se stesso. Ritornare per lavoro senza nulla oltre una valigia di libri di grandi scrittori morti, di giovani promesse speranzose e uno dalla copertina bianca e il suo nome anagrammato. Avrebbe gestito una filiale per Sean, anzi, per la società che di lì a poco avrebbero costituito e ciò che aveva ritenuto un sogno realizzato, continuava ad espandersi e a fargli credere che, dopotutto, la vita non è crudele come aveva sempre creduto. Diede un’ulteriore occhiata al cartellone quasi illeggibile e un sorriso apparve sulle sue labbra, mentre inalava l’ultimo tiro della sua sigaretta.
Stava tornando a casa.
 
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Elena_R
view post Posted on 15/7/2004, 17:41




Capitolo nove

-e quindi puoi immaginare la mia faccia quando ho alzato gli occhi e mi sono ritrovata sulla porta Courtney Love in persona! Fino a due secondi prima stavo urlando come una pazza con la segretaria perché non era capace di far rispettare ai manager i loro impegni e non la lasciavo parlare, convinta che stesse per propinarmi chissà quali scuse, mentre la povera Julie cercava in tutti i modi di dirmi che lei era lì!- disse Lane saltando da una parte all’altra della sala evitando con mirabile destrezza le centinaia di riviste di abiti da sposa sparse sul pavimento –avrei voluto sprofondare… poi ho pensato “Lane Kim, non sei più una ragazzina immatura, quindi ricevila con più naturalezza possibile. Fingi che non sia successo nulla e sorridi”; e indovina cos’ho fatto?
-hai sorriso?- le chiese Rory cercando di trattenere la risata che le era cresciuta dentro negli ultimi secondi.
-certo!-rispose divenendo poi mortificata –e un secondo dopo Courtney ha chiesto alla sua assistente se avevo tutte le rotelle al loro posto. Pensa che sia svitata… che figura patetica!
-la prossima volta andrà meglio- la rassicurò l’amica lasciandosi sfuggire un sorriso, mentre Lane era di spalle –e poi sono certa che ti abbia trovato molto più simpatica di quei professionisti incravattati ed imbalsamati che la intervistano di solito.
-più simpatica?- chiese con un barlume di speranza raggiungendo Rory sul divano.
-senza dubbio. La tua spontaneità non lascia indifferenti -disse –e a proposito di spontaneità… Jess dice di essersi divertito molto ieri pomeriggio davanti alla tua crisi isterica.
-oh- esclamò –ne sono sicura. Sa sempre come farmi perdere in un bicchiere d’acqua. Con una sola domanda è riuscito a farmi fare una gran figuraccia.
-credo che tu te la sia cercata, Lane. Ciò che gli hai detto non è stato molto carino. Potevi parlargli tranquillamente senza fare riferimenti ambigui e supposizioni sgradevoli, invece ti sei lanciata, inutilmente, in una delle tue crociate per proteggere me… sicuramente immaginava che avessi avuto altre storie dopo la sua partenza –aggiunse, mentre la sua amica ascoltava con attenzione e uno sguardo che la diceva lunga –ma fargli un elenco!
-perché mi stai dicendo questo? Quando l’hai visto?- le chiese improvvisamente. Non era mai riuscita a capire perché Rory avesse perdonato Jess dopo il modo in cui l’aveva trattata e, anche se erano passati molti anni e la sua vita aveva preso un’altra direzione, come poteva dimenticare il male che le aveva fatto lasciandola senza uno straccio di spiegazione? Cosa aveva fatto Jess per meritare la sua comprensione incondizionata?
-ieri sera- le rispose. Nessuno sapeva che erano rimasti al ponte a parlare per ore della loro vita, del passato che non avevano condiviso, di ciò che aspiravano dal futuro. Erano riusciti ad oltrepassare lo stadio di imbarazzo che aveva aleggiato tra loro in quei giorni, l’insicurezza sulle parole da usare, i sentimenti, che come fantasmi aleggiavano tra loro creando quasi una prigione in un universo parallelo dal quale non potevano fuggire. Aveva ritrovato il Jess dell’adolescenza, quello con cui poteva parlare di tutto; era stato un ennesimo tuffo nel passato, ma questa volta l’impatto con l’acqua non aveva fatto male ed entrambi erano riusciti a risalire in superficie e a nuotare.
-ieri?
-non riuscivo a dormire e sono uscita a fare una passeggiata. Lui era in giro e ci siamo incontrati per caso. Con tutto quello che è successo al matrimonio anche lui aveva qualche difficoltà a prendere sonno.
-Dean ha detto la verità, no? L’ha ferito sentirsi dire di essersi comportato da schifo con tutti? Non credi che sia un po’ tardi per recitare la scena del figliol prodigo? Il fatto che abbia capito finalmente che agire legalmente non è disonorevole e che l’istruzione è importante non gli dà automaticamente il diritto ad avere un posto in paradiso, non credi?
-non è questo- rispose Rory. Avrebbe voluto poterle spiegare che Jess era veramente pentito di ciò che aveva fatto, voleva farle capire che andarsene senza dire era stato un errore e lui lo sapeva benissimo, ma che era l’unica cosa che poteva fare per dare un taglio al passato. Voleva dirle che se lei che lo amava era riuscita a perdonare e comprendere, anche gli altri dovevano smetterla di giudicare e biasimare il suo comportamento per quanto sbagliato fosse stato. Avrebbe voluto essere capace di mostrare anche a lei il Jess che conosceva, quello geloso che aveva partecipato ad una delle feste della città per non lasciarla con Dean, quello che aveva letto più libri di lei e che aveva ceduto a dare una possibilità ad un’autrice che odiava per farla felice, quello che, nonostante l’apparenza, era dolce e forse innamorato. Ma probabilmente Lane aveva ragione: sarebbe stato facile e giustificato odiarlo. Allora perché non ci riusciva? Vedeva Jess realizzato e soddisfatto, non più arrabbiato col mondo e sapeva che la sua scelta era stata giusta, questo era il motivo. Impedirgli di avverare i suoi sogni sarebbe stato da egoista. E lei non lo era mai stata.
-non lo conosci e mi dispiace che tu non possa mettere da parte il rancore che provi per lui- le disse- non ha senso farsi la guerra, Lane. Io sto bene, lui sta bene e non c’è bisogno di complicare tutto. Anche se mi ha fatto soffrire io sono felice di come siano andate le cose, perché mi sono laureata, ho trovato un ragazzo meraviglioso che mi ama e ho un lavoro che adoro. E lo stesso vale per lui. Era così che doveva andare.
-non lo so, Ror. Quando parli così… -disse guardando nei suoi occhi blu e lucidi, con una luce tipica di quando nella sua mente c’era solo lui, nel bene o nel male; -c’è un pensiero che mi passa per la testa e io vorrei che fosse un’illusione, ma a volte temo che non sia solo la mia immaginazione…
-che stai dicendo?
-e se tu ne fossi ancora innamorata?
No. No. No. Non c’era nulla di ciò. Forse una scheggia del vecchio amore era rimasta, ma era naturale. C’era anche con Dean. E con tutti gli altri. Jess era come gli altri. Nel suo cuore c’era posto solo per un uomo e quello era Matt; amava lui e nessun altro. Il fatto che sperasse di ricucire un’amicizia che era stata molto importante non significava che provava amore nei suoi confronti; perché tutti continuavano a guardarli come se dovessero correre da un momento all’altro l’uno delle braccia dell’altra? Aveva notato gli sguardi della gente al matrimonio: quel passare da lei a Jess e poi a Matt, controllare i loro movimenti, pesare le parole e gli sguardi. Lo aveva salutato dopo la cerimonia in chiesa e lo stava ringraziando per essere venuto, perché per Luke era molto importante e aveva visto Miss Patty e Babette confabulare qualcosa e lanciare un’occhiata di compatimento a Matt. Perché non era possibile poter essere solo amici?
-e in un’ipotetica equazione dove metteresti Matt, il mio ragazzo da un anno e mezzo?-chiese all’amica aspettando con le braccia conserte.
-no stiamo parlando di Matt, Rory.
-scusa, ma se mi parli di amore io penso a lui- ribatté. Acida: ecco cosa sembrava. Perché mettere in discussione i suoi sentimenti le faceva quell’effetto? Amava Matt, non c’era bisogno di diventare scontrosa. Eppure la sua risposta sembrò sufficiente e Lane cambiò discorso dirottandolo sul caffè. Ripensandoci Rory ricordò di non averne preso uno in diverse ore, e quale migliore occasione per scroccarne uno gratis dal suo neo-patrigno?
Archiviato il precedente discorso su Jess, le ragazze si misero in fretta le scarpe e in pochi minuti arrivarono nel centro della città. L’aria fresca della sera era confortante e i bambini che giocavano per strada mettevano allegria in entrambe. Il discorso cadde su Kirk e sul buffissimo smoking azzurro anni ottanta che aveva al matrimonio di Lorelai.
-Ben Stiller in Tutti pazzi per Mary!- esclamò Rory con un sorriso vittorioso.
- era beige- la corresse scotendo la testa.
-era azzurro
-no!
-sì!
-ti ho detto di no! Noleggiamo il video e ti proverò che ho ragione- propose Lane indicando il videonoleggio poco distante.
-ma io voglio il caffè…-piagnucolò Rory volgendo uno sguardo disperato al locale che si trovava a soli due metri da loro. Lane spostò un paio di volte lo sguardo da un lato e l’altro della strada, poi decise che una Gilmore in deficit di caffeina poteva essere pericolosa.
-ok, andiamo da Luke, ma dopo…
-Tutti pazzi per Mary- continuò lanciandosi verso la porta.
-Rory!
La ragazza si voltò in direzione della voce maschile che aveva attirato la sua attenzione e sorrise nel vedere che si trattava di Sean, l’amico di Jess. Avevano parcheggiato l’auto in modo deplorevole, occupando lo spazio di due posti.
-chi ti ha dato la patente?!- chiese Lane scandalizzata quando i due ragazzi si avvicinarono.
-Patente? Non ne mai sentito parlare- rispose il californiano –e tu?
-è qualcosa che si mangia?- chiese Jess massaggiandosi le tempie fingendo di ricordare cosa significasse quella strana parola.
-nel giro di due minuti Taylor sarà qui e non se ne andrà senza farvi fare una multa- disse Rory ai due ragazzi che continuavano a ridere. Non aveva mai visto Jess ridere tanto in pochi giorni e in quel momento c’era qualcosa di nuovo nel suo sguardo, un bagliore diverso dagli altri e che non aveva mai notato. Forse gli era successo qualcosa di piacevole a New York con quello scrittore, molto probabilmente si erano divertiti a torturarlo.
-caffè?-le chiese. Aveva smesso di ridere con Sean e si era accorto che lo stava guardando; sentì il sangue correre alle sue guance e quasi si vedeva, come in uno specchio, arrossire. Non ebbe il tempo di rispondergli, perché Lane aveva esultato e si era fiondata all’interno, seguita da Sean. Ricambiò il sorriso che Jess le aveva mostrato e lo precedette all’interno, dove l’aria condizionata avrebbe raffreddato il suo viso.
-hey, zio Luke- disse il ragazzo entrando e dando una rapida occhiata all’insolito deserto che regnava –Taylor è finalmente riuscito ad attuare un boicottaggio del locale?
L’espressione stoica di Luke non mutò nemmeno per un istante mentre asciugava una tazza e alzava lo sguardo al nipote: -sai, Jess, ciò che mi è mancato maggiormente in questi cinque anni è stata la tua spiritosaggine… mi chiedo come ho fatto a sopravvivere.
-se ti è mancata così tanto- rispose il ragazzo avanzando verso il banco –d’ora in poi ogni giorno mi inventerò qualcosa e ti chiamerò per riferirti la battuta, ok?
-e io lascerò che sia Lorelai a rispondere…- minacciò sapendo che con lei il duello verbale diventava difficile per chiunque, anche per quel sarcastico nipote dalla risposta sempre pronta. Senza contare che era fuori allenamento…
-se la metti su questo piano… -disse afferrando una coca per Sean e tre tazze per il caffè.
-serviti pure- aggiunse sarcasticamente lo zio seguendo i suoi movimenti tra i tavoli: il tempo non aveva cancellato la destrezza che aveva quando lavorava come il cameriere per lui.
-come se fossi a casa mia- rispose afferrando anche la caffettiera e portandola direttamente al tavolo.
-non credo che ci sia bisogno di spendere tutti quei soldi in bollette del telefono- si intromise Sean dopo aver aperto la sua lattina- tra qualche mese potrete parlare di persona ogni volta che vorrete.
-oh, certo!- esclamò Luke portandosi una mano alla fronte –dimenticavo che la California è a due passi! Come ho potuto essere così sbadato…
Sean rise della somiglianza di comportamento tra i due parenti: -il vostro sarcasmo dev’essere nei geni.
-e non solo quello- aggiunse Lane sorseggiando il suo caffè e pensando all’attrazione tra Gilmore e Danes/Mariano: Lorelai aveva sposato Luke dopo anni di amore nascosto; Rory era stata innamorata di Jess e ancora non riusciva a toglierselo dalla mente. E tutti erano bravissimi a fingere che la verità fosse un’altra…
-dacci tempo qualche settimana e il nostro Lassie tornerà a casa…- aggiunse, mentre a Rory andava di traverso ciò che stava bevendo.
-cosa?
-avevamo deciso di formare una società- spiegò Sean, mentre Rory asseriva ricordando che Jimmy ne aveva parlato distrattamente alcuni giorni prima e Jess quella notte al ponte le aveva invece raccontato nei dettagli di quel loro progetto – e oltre a quella di L.A. ne apriremo una a New York gestita dal nostro eroe. Perderò il mio miglior editor in California, ma guadagneremo entrambi dal suo incarico quaggiù. Ovviamente continuerà il suo lavoro di lettore, anche se purtroppo dovrà ridurlo.
E nel giro di pochi secondi tutti gli sguardi erano su di lui: gli occhi ampiamente aperti di Lane non nascondevano l’ennesima sorpresa che quel ragazzo le aveva propinato, perché in un paio di giorni l’immagine negativa che si era creata per poterlo detestare meglio era stata ripetutamente attaccata da tentativi di cancellazione; sembrava che Jess se la fosse cavata più che egregiamente e, odiava ammetterlo, in pochi anni aveva raggiunto un livello di soddisfazione della vita probabilmente più elevato del suo. Per quanto invece Luke tentasse di non esplodere dalla felicità, un sorriso orgoglioso e compiaciuto gli sfuggì al pensiero che il suo unico nipote con quale aveva condiviso due interi anni della sua vita e del quale aveva avuto sporadiche notizie nel corso degli ultimi cinque anni tornasse e diede origine ad una lieve scarica elettrica che corse lungo tutto il suo corpo donandogli un solletico che mai avrebbe potuto ritenere più piacevole. Jess, cogliendo l’attenzione che aveva attirato, si limitò a concentrarsi sul caffè che si era versato e decise di aspettare che Sean continuasse con le rivelazioni, una cosa che aveva sempre adorato fare e come previsto non tardarono ad arrivare, perché la sua voce soddisfatta aggiunse: -ho organizzato una sorpresa per lui e siamo stati al cantiere prima: a Jess è quasi venuto un infarto! Avreste dovuto vederlo: la sua espressione era impagabile, un misto di shock, sorpresa, disappunto e soddisfazione.
-complimenti Jess- disse Lane senza mascherare quella che chiunque avrebbe considerato invidia- con questa mi sento proprio un verme.
-hey Lane, hai fatto tutto da sola- le rispose Jess alzando gli occhi dopo aver sentito il tono della sua voce: da quando lo disprezzava così tanto? Sapeva di non essere mai stato tra le sue simpatie, ma solo ora si rendeva conto che c’era qualcosa di più profondo, un rancore forse antico e causato dal suo comportamento di cinque anni prima. Non che dovesse sentirsi legittimata a trattarlo in quel modo, giacché colei che aveva ferito non rispondeva certamente al nome di Lane.
-vi siete messi d’accordo?- chiede la ragazza spostando lo sguardo su Rory –ad ogni modo devo andare, mia madre mi aspetta per cena e se parto ora- disse guardando l’orologio- ad una media di 15 km orari arriverò con dieci secondi d’anticipo. Ciao!
-anch’io sono stanco-aggiunse Sean dopo l’uscita di Lane finendo in un sorso la coca - e devo ancora riprendermi dal fuso orario. È meglio che vada a farmi una doccia e a telefoni alla mia cara mogliettina. Ci vediamo domani ragazzi
-ciao Sean, salutami Ally, ok?-si assicurò Jess dopo una stretta di mano.
-sarà fatto. Buona serata!-
E anche la seconda persona se n’era andata. Nel locale riecheggiava ad intervalli regolari il rumore che facevano le posate riposte da Luke nei cassetti dopo averle attentamente asciugate. Il crepuscolo era calato da diversi minuti e dalle strade, nonostante fosse estate, i bambini se n’erano andati e il suono gaio delle loro risate li aveva seguiti. Jess, senza dire una parola, riempì nuovamente la tazza di Rory sotto lo sguardo di disapprovazione dello zio il quale, capendo che nessuno avrebbe detto nulla in sua presenza, decise di salire nell’appartamento con un’improbabile scusa. Com’erano lontani i tempi in cui li sorvegliava continuamente, controllava i loro movimenti, gli sguardi; saliva nella stanza del ragazzo con mille espedienti per impedire che accadesse qualcosa di spiacevole (dal suo punto di vista) e che in qualche modo potesse mettere nei guai la figlia della donna che amava.

-all’improvviso sei diventato silenzioso- gli fece notare Rory quando furono soli nel locale –cosa c’è?
-niente- rispose Jess cercando di nascondere ciò che lo tormentava, sapendo che comunque avrebbe insistito fino a farlo confessare; lo leggeva nei suoi occhi, come quando erano due ragazzi, e sapeva che nemmeno la sua tenacia avrebbe resistito. In fondo non voleva resistere.
–è strano –aggiunse suscitando la curiosità della ragazza.
-cosa è strano?
-mettere New York e casa nella stessa frase. Ma immagino di dovermi solo abituare, no?
-è il posto in cui sei nato, cresciuto, dove hai vissuto per almeno sedici anni. Senza contare gli amici, le esperienze, tua madre…
-tasto sbagliato, Gilmore- le disse scherzosamente –ciò che dici è corretto, ma non ho mai pensato a New York in quel modo e per quelle ragioni. Nonostante tutto non l’ho mai sentita casa mia. In realtà non ho mai avuto una vera casa: ho vissuto qua e là e le esperienze che più hanno significato qualcosa le ho fatte altrove.
-Los Angeles?
-E Stars Hollow.
-Stars Hollow?- gli chiese senza preoccuparsi di mostrare la sua sorpresa –cos’è successo di così significativo in questa città che hai sempre odiato e dalla quale non hai fatto altro che fuggire?
Non si trattava di amore od odio; -Parlo di persone, Rory. A volte penso che nonostante essere mandato qui sia stata l’esperienza più sconvolgente della mia vita, per una sola volta Liz ha agito con coscienza. Anche se all’epoca non pensava ad altro che suoi interessi. Stars Hollow era il passaggio obbligato per crescere e trovare la mia strada.
-per diventare chi sei ora?- chiese con tristezza: il pensiero di essere stata solo un periodo di transito non l’entusiasmava, ma forse Jess aveva ragione e comunque non intendeva precisamente che lei era stata un passatempo. O almeno così sperava.
-non ho sprecato due anni qui. Ma tu e Luke mi avete dato un paio di lezioni fondamentali.
-Lezioni?- chiese sorridendo, la tristezza di poco prima passata –e cos ti avrei insegnato? Ricordo perfettamente quanto fossi restio a studiare: facevi il diavolo a quattro per evitare di memorizzare qualsiasi nozione!
-lo so- rispose mentre i suoi ricordi avanzavano come un film nella sua mente: il tutorato, l’incidente in auto, partenze e ritorni, le mille volte in cui Rory aveva cercato di farlo studiare mentre lui riusciva sempre a farle cambiare idea giocando sporco, ma raggiungendo il suo scopo. Bastavano un paio di baci e Rory dimenticava tutto, anche la scuola - e continuo a pensare che formule matematiche siano solo un’accozzaglia di simboli incomprensibili e assolutamente non logici e che i piani economici senza alcun’eccezione servano solo ad arricchire chi di soldi ne ha già troppi… ma- riprese il suo tono serio- le lezioni di altruismo e solidarietà non si tengono né nei licei né nelle università. Se prima di venire qui qualcuno mi avesse chiesto di aprire un locale per il ricevimento del funerale di un uomo che non conoscevo o se mi avessero obbligato a lavorare per aiutare chi mi stava ospitando e mantenendo lo avrei mandato a quel paese senza giri di parole.
-ti credo- rispose la ragazza tra le risate, ripensando alle tirate di orecchie e alle torture a cui l’aveva sottoposto per costringerlo ad aiutare Luke. E poi a come fosse cambiato e avesse iniziato a fare tutto di sua spontanea volontà. Era quello ciò di cui parlava? Ed era a lei che attribuiva il merito di quel cambiamento?
-e tu questa la chiami solidarietà?- lo schernì senza porgergli le domande che le frullavano in testa. Rivangare il passato troppo a fondo era inutile.
-sono stato solidale con i pazzi di questo posto, li ho assecondati nei limiti del possibile, ovviamente. Sean crede di essere sbarcato in una favola di Disney! Nemmeno i cartoni animati sono più così irreali: pensa ai Simpson, South Park…
-ti prego!- lo interruppe, protestando contro alcuni di quei programmi che, nonostante i buoni propositi, erano un insulto alla televisione.. Come faceva la gente a guardare cose simili?
-non sto scherzando! Chiunque sano di mente lo vedrebbe!-ribattè il ragazzo.
-Torre di controllo chiama Huston!- disse Rory –abbiamo divagato e perso di vista l’argomento iniziale di questa conversazione. Stavamo parlando di…
-altro caffè?-le chiese cercando di distrarla dal riprendere la conversazione dove l’avevano lasciata.
-… di casa. Non cambiare discorso, Jess.
-ok- si arrese facilitando il compito a Rory- Beh, a Los Angeles ci sono tutta la mia nuova vita, gli amici, il lavoro, Jimmy, Lily e Sasha. Forse ognuna delle città in cui sono stato è casa mia, o forse non lo è semplicemente nessuna.
-filosofico?
-realista.
-Ti faccio una domanda. Se potessi scegliere, dove vorresti avere una casa: Los Angeles, Stars Hollow o New York?
La domanda lo colse impreparato ed ebbe bisogno di un po’ di tempo per riflettere. Los Angeles era tutto ciò che aveva costruito, il suo presente da persona cambiata; era stato il suo futuro fino a poche ore prima. Era dove quella sua pseudo famiglia viveva e la mancanza della cena settimanale a base di pizza e gelato da Sasha gli procurava una fastidiosa sensazione di vuoto. Chi avrebbe parlato con Lily dei libri adatti a lei? Jimmy non avrebbe potuto più chiamarlo per farsi una birra con lui e i ragazzi dell’Inferno. Le strade e i palazzi sono tutti uguali, ma per quanto tentasse di comportarsi da duro, avrebbe sentito la mancanza di molte persone.
Eppure qualcosa gli diceva che avrebbe potuto fare a meno di Los Angeles.
Stars Hollow era fuori discussione: ovviamente c’era Luke, uno zio che era stato un padre per lui, che l’aveva sostenuto come nessuno aveva mai fatto, che aveva dirottato su di sé l’ira di un’intera città per difenderlo, perché, anche se era un delinquente di pessima categoria, Jess era parte della famiglia. E alla famiglia non si rifiuta aiuto. Mai. Ma cos’altro c’era lì oltre a molti ricordi legati ai pochi luoghi di cui la città era formata? Purtroppo ogni angolo gridava “Rory”: non esattamente ciò di cui aveva bisogno; per non parlare di quei simpatici abitanti che aspettavano con trepidazione il momento della sua fine. Aveva imparato le sue lezioni vivendo nell’irrealtà di quella parte di Connecticut e una di queste diceva ‘ non commettere due volte lo stesso errore ’.
E New York? Se nel Connecticut c’era Luke, lì abitava sua madre. Vivere nella metropoli significava avere l’opportunità concreta di risanare quel rapporto, eppure non l’avrebbe scelta per lei. New York gli faceva pensare ai giochi da bambino per le strade, alle librerie di usati malconci e odoranti di vecchio, ai colori delle manifestazioni, agli hot dog degli ambulanti, alla Columbia e alle centinaia di studenti dei quartieri, a Washington Square Park e alle ore trascorse in quel verde immerso in un romanzo.
E, per antitesi, scatenava i ricordi legati ai pub, ai barili di birra, all’alcol, al fumo; ai suoi amici eccitati e sudati, la confusione. Alle ragazze attirate da occhi scuri e sguardi tenebrosi, al sesso con sconosciute il cui profumo faceva girare la testa. Non aveva scordato come ci si diverte e le notti di New York erano molto simili a quelle di Los Angeles; ma con tutti i suoi pro e contro New York non si può dimenticare.
E anche quella città aveva una lezione che aveva sempre seguito: “non ti fermare”, perché lassù, dove tutto è movimento e azione, lui non aveva mai smesso di tenersi occupato. Tuttavia quello era il passato ormai chiuso in un cassetto. E nemmeno la certezza di un lavoro, seppur gli desse una sensazione positiva, era il fattore scatenante per preferirla.
-Allora?- chiese Rory dopo vari secondi passati a riflettere.
Quella semplice domanda era stata rivelatrice, perché per la prima volta si rese conto che ciò che aveva non gli bastava. Desiderava altro, qualcosa che aveva messo da parte anni prima ma che riaffiorava lentamente nonostante volesse opporsi.
-New York- rispose e non fu certo se l’espressione di Rory fosse sconvolta o sorpresa. Forse si aspettava che rispondesse Los Angeles, perché lì aveva una vita ed una famiglia che apparentemente lo rendevano molto felice; forse sperava che rispondesse New York perché avrebbe dato conferma che quella era casa sua e lei avrebbe avuto ragione: il suo ego si riempiva quando le sue convinzioni non venivano contraddette. Lo ricordava benissimo.
-Perché?- fu la domanda che seguì e Jess si aspettava che non avrebbe lasciato cadere l’argomento; -avevi detto una domanda –le ricordò prendendo tempo.
-è pertinente a quella che ti ho fatto- rispose con quell’aria innocente che aveva sempre avuto quando tentava di fare la furba. Jess conosceva la risposta, ma non aveva senso dirgliela, perché non avrebbe cambiato le cose, se non in peggio. E non poteva permetterlo ora che tutto si stava normalizzando. Non poteva confessare che la chiave di tutto era lei: lei viveva a New York, lei gli aveva offerto un’amicizia che non credeva di poter avere. Avrebbe scelto New York per avere la possibilità di starle vicino, anche se non nel modo che avrebbe voluto. Si sarebbe fatto bastare ciò che poteva ricevere, avrebbe abbandonato ogni pretesa.
-ti prego, Jess… -lo supplicò facendolo sorridere per quell’insistenza così infantile, una caratteristica ereditata dalla madre.
-Washington Square Park.
Rory sorrise al ricordo del suo momento di ribellione o più probabilmente di nostalgia nei confronti di un ragazzo che le piaceva nonostante non volesse ammetterlo a se stessa. Nella sua calma e tranquillità Jess era sempre stato un tornado e aveva sconvolto la sua perfetta vita.
-oh, senti la mancanza del tuo parco preferito? Non sarai diventato un sentimentale?-lo schernì.
-oh, no! Questa sarebbe la fine del mondo…
Lo sguardo di Rory tornò ad essere serio e Jess ritenne di aver detto qualcosa di sbagliato.
-sei cambiato- affermò la ragazza guardandolo negli occhi e lui notò che quello sguardo era serio, dolce, malinconico, profondo come non aveva mai visto e oltre quel blu c’era dell’altro, qualcosa che non capiva, ma che in qualche modo gli scaldava il cuore–a volte mi sembri un’altra persona, sento la maturità nei tuoi discorsi, ti vedo premuroso con Lily o mentre scherzi con Sasha e mi fa piacere vedere che tu abbia trovato ciò che cercavi. Poi fai qualcosa, come versarmi il caffè e passarti una mano trai capelli e mi sembra che il tempo sia tornato indietro, mi sento una liceale in attesa del suo dibattito quotidiano sul libro che sta leggendo con l’unica persona che sa esattamente di cosa parla. Non conosco più una parte di te ma vedo che l’altra sopravvive al cambiamento ed è bello vedere che possono convivere. E ora stai per tornare a New York, apparentemente felice di questo trasloco dato che è anche la città che hai scelto, e sono sollevata perché c’è una possibilità concreta di mantenere fede al nostro patto.
-Abbiamo un patto?
-quella sera al dragon Fly, ricordi?
Certo che la ricordava: come dimenticare il dolore di quella giornata, l’incontro con sua madre, Matt, la realizzazione che Rory amava un altro uomo e che a lui potevano essere concesse solo le briciole di un amico. Ma lei era più importante di qualsiasi cosa, più forte persino del dolore e non riusciva a capire perché era così difficile staccarsene.
-Sì e sarò onesto, Ror. ti avevo assecondata perché ero certo di ripartire per la California e sapevo che non avrebbe funzionato. Eravamo due quasi sconosciuti che vivono agli antipodi della terra, ma inaspettatamente le cose hanno preso una piega inaspettata e credo che in qualche modo riusciremo a recuperare tutto. Le persone cambiano e vivere separati esperienze come le nostre non ci avrebbe aiutato a ricostruire quell’amicizia che era praticamente scomparsa nel corso degli anni. La lontananza fisica sommata al buco diciamo “sentimentale” che c’è tra noi non avrebbe aiutato, ma ora…- si interruppe lasciando in sospeso il discorso per mancanza di parole che avrebbero dovuto definire l’attuale situazione. In realtà non aveva idea di dove avrebbe portato tutto ciò e in tutta sincerità forse ne era anche un po’ spaventato. Ma Rory sembrava felice e vedere la sua gioia gli faceva dimenticare, anche se solo per pochi attimi, le sue riserve. Però non sarebbe stato facile riprendere le redini di qualcosa che era sfuggito al loro controllo da ragazzi e che poteva accadere ancora; Jess si conosceva ed era consapevole dei suoi sentimenti, delle sue debolezze, ma soprattutto voleva ridurre al minimo le possibilità di soffrire più di quanto volesse concedersi.
-ma ad una condizione- disse facendo sbiancare la ragazza, dal cui volto il sorriso di prima sfumò–Matt è un bravo ragazzo, Rory, ma non chiedermi di recitare la parte dell’amico con lui. Io scelgo i miei amici, non quelli degli altri. Io ho scelto te, non lui. Ti dico questo perché non vorrei che tu o lui lo prendeste come un affronto. Sono stato educato, ma non cerco altro.
Dovette ammettere a se stessa che quelle poche parole così dirette la ferirono: se Jess non cercava nulla, lei voleva armonia tra tutti ed escludere Matt non rientrava proprio nella categoria di “cose da fare per vivere tutti in pace e con equilibrio”; però sapeva che forzarlo sarebbe stato inutile e annuì, promettendosi che ne avrebbero riparlato quando si sarebbe trasferito a New York e una volta che lei fosse rientrata in patria. Forse col tempo anche lui avrebbe imparato ad apprezzare di più Matt e forse sarebbero anche diventati amici.
Nel mentre Luke fece la sua comparsa lamentandosi del peso della cassa piena di utensili che aveva appena preso dall’appartamento e portato nel locale. Appoggiando la scatola sul banco sentì una certa tensione aleggiare nell’aria e con la coda dell’occhio vide i due ragazzi seduti in silenzio allo stesso tavolo in cui li aveva lasciati pochi minuti prima. Da sopra li aveva sentiti parlare e scherzare e si chiese cosa fosse successo all’improvviso da renderli così calmi; Rory guardava la sua tazza vuota, mentre il nipote aveva lo sguardo fisso sulla strada. Aveva cercato di non pensarci, ma da quando si erano ritrovati entrambi nella stessa stanza aveva avuto la sensazione che ci fosse qualcosa in sospeso: si chiese se mai quella situazione di stallo di sentimenti sarebbe giunta a termine, perché l’ultima cosa che desiderava era che i problemi in famiglia si ripresentassero a causa di un amore adolescenziale.
-allora…- sentì dire all’improvviso dalla ragazza che, finalmente, si era decisa a smettere di sorvegliare la tazza e aveva alzato gli occhi verso Jess.
-allora?- le chiese il nipote, incerto su cosa dovesse rispondere.
-torni a casa- fu l’affermazione che seguì e, mentre il ragazzo accennava un sorriso, Luke alzò gli occhi al cielo e ringraziò chiunque ci fosse lassù per non aver complicato ulteriormente le cose.
 
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Elena_R
view post Posted on 25/7/2004, 15:09




capitolo dieci

-mi dispiace così tanto di dovermene andare- disse Lorelai a Matt con uno sguardo mortificato –ma purtroppo dobbiamo salutarci. Sookie ha avuto un problema al Dragon Fly e ha bisogno di me.
-non preoccuparti, Lorelai- rispose il ragazzo-dopotutto parto tra poco e non fa differenza salutarci ora o dopo.
-lo so, ma quando sarai partito dovrò consolare una figlia in lacrime che non vede il suo fidanzato da mesi e ha avuto la possibilità di stare con lui solo per pochi giorni…
-è una predica? –rise –sai benissimo che se fosse per me non lascerei mai il fianco di questa ragazza- disse stringendo Rory a sé più che poteva, come se volesse annullare qualsiasi distanza tra loro –ma gli ordini non si discutono. Se vuoi protestare, e farmi quindi un favore, manda una bella lettera di lamentela a mio padre…
-credimi, lo farò- disse infine la donna dandogli un frettoloso abbraccio e salutandolo, prima di uscire definitivamente dal locale di Luke.
-mia madre sentirà la tua mancanza- gli comunicò Rory.
-spero che non sia l’unica…
La ragazza gli sorrise e gli diede un bacio sulle labbra, ma il loro scambio di effusioni fu interrotto da Luke che, di fronte a quelle affettuosità, si schiarì la voce: quello era pur sempre un locale in cui le persone mangiavano, anche se al momento oltre lui, i due ragazzi, Sean e Jess non c’era nessuno.
Matt si scusò, lasciando controvoglia le labbra della fidanzata e iniziò a parlare con lui di affari, del motivo che lo spingeva fino a Savannah e del suo lavoro laggiù, mentre Rory, leggermente rossa per l’imbarazzo, afferrò la tazza di caffè che Luke le aveva riempito poco prima.
-io preferisco sedermi su una spiaggia deserta, il vento sulla pelle, la sabbia tra le dita, il rumore delle onde che s’infrangono sulla costa e leggere un buon libro- disse Sean interrompendo quella che riteneva una noiosa conversazione su un noioso lavoro. Ad eccezione di Rory, nella vita di quel Matt non c’era nulla degno d’interesse.
-l’idea di fondo è ottima- rispose la ragazza –ma preferirei un’altra location. Qui non abbiamo il mare, Sean… credo che un parco, un bosco, o la riva di un lago siano perfetti.
Jess sorrise tra sé al ricordo delle ore passate al ponte con un libro tra le mani e l’acqua del lago che scorreva sotto i suoi piedi. Ore che spesso aveva condiviso con lei.
-hai letto qualcosa di interessante ultimamente?- le chiese Sean cogliendo la palla al balzo: quando si trattava di libri Rory entrava con facilità nel discorso e quella era l’occasione migliore per sapere se casualmente aveva messo mano su quello scritto da Jess.
-purtroppo ho avuto pochissimo tempo- ammise a malincuore-a Parigi mi sono concentrata su un paio di autori francesi e uno degli ultimi che ho letto è stato Pennac.
-è bravo- le rispose il ragazzo –ma non è il mio genere. Di suo ho letto qualcosa in inglese, dato che non conosco il francese.
-ieri sera mi parlavi di un americano- si intromise Matt, felice di poter dire una parola in un discorso che, data la sua ignoranza in materia, lo escludeva a priori. Quello era un gruppo di letterati fanatici e lui, interessato più che altro alla ragioneria, non aveva molte possibilità di competere con loro e sostenere una buona conversazione. Sean corrugò la fronte e i suoi occhi si riempirono di speranza; - però non ricordo l’autore- continuò Matt, orgoglioso di aver conquistato per la prima volta l’attenzione di quel californiano.
-è un libro che ho preso in aeroporto quando sono arrivata. -spiegò Rory –mi stavo guardando intorno e il commesso me l’ha consigliato. Ammetto di essere stata un po’ scettica all’inizio, ma dopo aver letto un paio di pagine ho dovuto dare ragione al giudizio di quel ragazzo e l’ho preso. L’autore mi è sconosciuto, non ne ho mai sentito parlare, ma sembra che qui in America abbia avuto un discreto successo.
-porti sempre un libro con te nella borsa- le ricordò Matt che anni prima era rimasto senza parole quando lei glielo aveva confessato –l’hai preso anche oggi?
Rory afferrò la sua borsa e cercò all’interno il libro di cui stavano parlando e nel momento in cui lo estrasse Sean riconobbe la copertina bianca, estremamente essenziale, e due righe scritte in colori differenti: in blu il titolo, in nero il nome dell’autore che lo aveva fatto esasperare, e i suoi occhi si illuminarono.
-è la storia di una ragazza texana con alle spalle un’infanzia difficile, orfana di entrambi i genitori e costretta a vivere in un istituto fino a quando viene adottata-spiegò Rory- Una volta maggiorenne lascia la casa dei genitori adottivi per vivere a New York e dopo alcuni anni finalmente riesce a costruirsi una vita tutta sua e sembra dimenticare la sua infanzia e l’adolescenza. Ma quando tutto sembra andare per il meglio si ritrova faccia a faccia col passato: incontra un ragazzo che era con lei in istituto, praticamente il suo migliore amico, ma del quale aveva perso le tracce una volta partita con la sua nuova famiglia.
Sena la seguiva attentamente e Rory era quasi imbarazzata dall’insistenza del suo sguardo, ma l’interpretò come un grande interesse e continuò la sua spiegazione: -non è stata solo la storia a colpirmi, ma il modo in cui l’autore descrive le sue sensazioni nei confronti non delle persone, ma del mondo: il fatto che si sia preso tutto e l’abbia lasciata sola, senza null’altro che le proprie forze a cui a aggrapparsi per superare le mille difficoltà che esso stesso le ha posto; il fatto che mentre le altre ragazze sono felici e spensierate, lei non ha idea di cosa significhi divertirsi veramente, non fingere di farlo mentre nella sua testa correvano mille preoccupazioni. E poi … c’è l’amore ovviamente, che come spesso accade non è felicità, ma sofferenza. L’amore che scopre di provare per quel suo vecchio amico, lo stesso che a quindici anni aveva detto di amarla e che lei aveva deriso. Sono entrambi reduci di una vita dura e senza fede nella speranza. Mi piace il modo in cui i piccoli ricordi felici che hanno condiviso tornano improvvisamente nel testo, come i flash back si materializzano nella nostra mente quando meno ce l’aspettiamo. È stato rivelatore il momento in cui ha capito che lui era ciò che aveva sempre cercato, l’unico di cui avesse veramente bisogno, ma che aveva spesso rinnegato a se stessa per soffrire meno.
Sean sorrise nell’udire le sue parole e la ragazza arrossì, imbarazzata per essersi fatta prendere dall’emozione che aveva provato leggendo il libro: era passato tanto tempo dall’ultima volta in cui aveva parlato a qualcuno in quel modo… cinque anni.
-lo so- gli disse sentendo di doversi difendere non di fronte a Sean o a Jess, ma a Luke e Matt che stavano ascoltando- sono un’inguaribile romantica.
-non sei l’unica- le rispose il suo interlocutore –quel libro è sinonimo dell’amore, del dolore, della passione eppure, anche se la parola non viene mai scritta, a mio avviso il tema centrale dell’opera è un altro…
-il rimpianto- dissero all’unisono, mentre la stasi del volto di Jess spariva e il povero ragazzo sobbalzava dalla sedia sulla quale si era seduto pochi secondi prima per ascoltare Rory.
-stai bene?- gli chiese la ragazza vedendo la sua strana reazione.
-sì, certo. Ma credo che parlare di rimpianto non sia appropriato- le rispose evitando accuratamente di andare oltre nell’analisi.
-ho sempre pensato che leggere Hemingway ti avrebbe causato qualche danno…- lo schernì, per poi riprendere il suo tono serio –ma è palese, Jess. Ok, è mascherato da tutto il resto, come se l’autore volesse dare un’altra idea del libro, nasconderlo, far credere che sta parlando d’altro: cambia continuamente scenario e passa rapidamente da un discorso all’altro; è come se avesse paura di avvicinarsi alla verità. Almeno questo è ciò che ho percepito io… Quindi anche voi due l’avete letto?
-quella è la nostra casa editrice- le rispose Sean indicandole il piccolo logo nell’angolo basso della copertina. Rory studiò l’immagine con attenzione e si complimentò con loro perché quel libro era fantastico, anche se, con tutto quello che aveva avuto da fare in quei giorni, non l’aveva ancora finito.
-è merito di Jess- le confessò Sean, mentre l’amico gli rivolgeva un’occhiata assassina.
-ovviamente- disse la ragazza ricordando che lui era l’editor ed era il suo lavoro approvare o meno i testi che venivano mandati a Sean –ma non avete scritto nulla né in prefazione né in appendice; perché? Sono stata costretta a leggere qualche pagina per sapere di cosa parlava.
-esattamente ciò che volevamo- le rispose ancora –sarebbe stato complesso fare chiarezza nella mente del lettore quando persino noi abbiamo idee discordanti riguardo al contenuto del libro. In questo modo tu hai capito da sola che t’interessava e non hai subito condizionamenti da parte nostra. Non è stata una cattiva idea, no?
Rory fece un rapido cenno col capo e si affrettò a sfogliare il libro bianco che era rimasto sul tavolino negli ultimi minuti; -ascolta- disse a Jess dopo aver aperto una determinata pagina –“Era tutto come allora. I tempi in cui, solitari, prendevano la loro merenda e si appartavano dalle voci dei ragazzi più grandi e più piccoli, dalle grida di incitamento per quelli che giocavano con la palla, dalle bimbe che canticchiavano, dalle istitutrici che si scambiavano opinioni sugli studenti meno meritevoli, e andavano a sedersi ai piedi della quercia, lontano da tutti e da tutto. Quell’albero secolare del giardino che con la sua ombra donava un rifugio fresco dalla calura di quell’agosto torrido. Non aveva mai saputo che quel senso di fresco non era solo merito dell’ombra…
Ora, come dieci anni prima, lo ascoltava parlare, questa volta dell’ennesimo reality show che la televisione propinava credendo di ingannarci. Ma stranamente non capiva nulla. Era come ipnotizzata dai suoi occhi lucenti e vivaci e, abbassando lo sguardo, vedeva la sua bocca muoversi e le labbra cambiare posizione così rapidamente che non riusciva a star loro dietro. Concentrandosi sulle sue parole, sempre confuse, e spostando lo sguardo dal suo viso ai ragazzi alle sue spalle, sentì un’ondata gelida attraversarle il corpo in tutta la sua lunghezza. Sembrò che lui non si fosse accorto di nulla, ma nell’attimo in cui quei due ragazzi si scambiarono un bacio, in lei tutto cambiò. Il freddo si tramutò in fuoco esattamente con quell’affetto e quell’amicizia mutarono mostruosamente in qualcosa che non aveva mai creduto potesse esistere veramente. Un pensiero oscurò tutti gli altri: mentre lui le diceva che la televisione faceva schifo e stava rincoglionendo la metà della popolazione, lei avrebbe solo voluto tappargli la bocca e baciarlo. Avrebbe voluto recuperare tutti gli anni di gioia che si era negata…”- disse alzando gli occhi a Jess, il quale l’ascoltava fissando le sue dita mentre voltava pagina alla ricerca di un’altra parte –“e mai donna ebbe pensiero più sbagliato, perché lei non lo aveva preso sul serio quando da ragazzi le aveva dichiarato il suo amore con un bacio. Ricordava di avergli detto di non credere nell’amore e che, di conseguenza, non avrebbe mai potuto amarlo. Ma a quell’epoca era una ragazzina cinica con tanti sogni uccisi dalle poche speranze e dalla dura realtà che la circondava. E nonostante fossero trascorsi più di dieci anni lo era ancora, perché anche se il suo stile di vita era cambiato, la sua adolescenza di orfana tormentata dagli incubi di un incidente di cui era l’unica sopravvissuta, costretta a vivere in un istituto che odiava e poi con una famiglia di estranei che giocavano a fare il papà e la mamma, l’aveva segnata. Da allora riconduceva ogni vittoria ad una futura perdita, ogni gioia al suo essere effimera. Se lui l’aveva amata, quel sentimento era certamente svanito. Se lei lo amava non c’era da preoccuparsi, perché presto sarebbe passato tutto. E sapere che un giorno non ci sarebbe stato più nulla faceva quasi più male dell’idea di non essere corrisposta.”
Richiuse le pagine del libro e lo appoggiò nuovamente sulla superficie liscia del tavolo, in attesa che qualcuno dicesse qualcosa. Si aspettava che Jess le desse ragione, che avesse capito a cosa si stava riferendo, ma sembrava che fosse entrato in sciopero, perché non si muoveva e non accennava a parlare. Da quando avevano iniziato a discutere di quel libro era diventato strano… perché lo innervosiva così tanto?
-perché hai letto questa parte?- le chiese Matt, spezzando quella strana atmosfera che si era creata e che cominciava ad infastidirlo. Era un appassionato della confusione, non del silenzio.
-è il rimpianto di cui parlavo prima- spiegò la ragazza, mentre Jess scuoteva la testa con disapprovazione –rimpiange di non aver capito prima quanto fosse importante; di non aver avuto la forza di guardare dentro sé per scoprire che dopotutto anche lei provava lo stesso amore che lui sentiva per lei; rimpiange di non aver ceduto al suo cuore; rimpiange di non aver ancora il coraggio di confessarsi. Se si fosse lasciata andare e non avesse nascosto ciò che provava nemmeno a se stessa credendo di soffrire meno ora sarebbe felice. E potrebbe zittirlo con quel bacio… Non hai nulla da obbiettare, eh?- chiese ad un Jess che continuava a tenere gli occhi bassi e la bocca chiusa –come sempre ho ragione.. –continuò con orgoglio- e così questo giovane talento è una vostra scoperta? Dà l’impressione di essere un ragazzo tormentato da qualcosa o da qualcuno. Forse è un po’ autobiografico… sembra strano da dire, ma a volte…- s’interruppe. A volte s’immedesimava in alcune delle situazioni descritte, era come se certe esperienze vissute dalla protagonista la riguardassero da vicino, come se potesse capirla. Era come se in quel libro vedesse una parte di sé. E una parte di Jess. Ma era un caso ed era inutile dirlo, perché lì c’era Matt e non voleva che se n’andasse con stupidi dubbi in testa –è come se conoscessi l’autore- disse ripiegando su un’informazione altrettanto vera.
-è un tipo strano- le raccontò Sean – estremamente contraddittorio a volte: è uno che adora il silenzio e ama la confusione, che vede le cose o bianche o nere, ma che coglie ovunque le più sottili sfumature … è complicato da descrivere, ma credo che dietro la sua aria strafottente e da duro ci sia un gran cuore. Con molte ferite.
Rory asserì, soddisfatta da quella descrizione che almeno in parte rispondeva alla sua precedente affermazione: era tormentato da qualcuno, forse un vecchio amore che non riusciva a dimenticare.
-che ne dite di questa parte?- disse Matt che nel frattempo aveva sfogliato quel libro per la prima volta e si era fermato sulla pagina in cui era il segnalibro di Rory –“era una rosa rossa, semplice, col gambo lungo. E tante spine. Il simbolo dell’amore che, nonostante fosse doloroso e ferisse entrambi, provava ancora nei suoi confronti. E lei non l’aveva capito. La raccolse dal tavolo su cui era stata appoggiata e l’annusò: sentiva il profumo del fiore e quello della sua colonia che aleggiava ancora nella stanza. Il telefono squillò e lei sorrise: era lui…” Non mi sembra che si parli di rimpianto qui- disse spalleggiando la teoria di Jess. Non adorava quel ragazzo, dopotutto era quasi un suo rivale, ma presto si sarebbe trasferito a New York e si sarebbero incontrati, forse frequentati: doveva almeno cercare di tenerselo buono. Il ragazzo, al contrario, sorrise alla sua ottusità e si chiese ancora una volta perché Rory stava insieme a lui.
-quello è un sogno- spiegò la ragazza: Matt aveva preso una frase fuori dal suo contesto e non poteva capire –solo la sua immaginazione. Freud direbbe che il suo inconscio ha elaborato un suo desiderio.
- non c’è un lieto fine?- le chiese incuriosito da tutto quel parlare del libro e della trama.
-sarebbe tanto meraviglioso quanto scontato- rispose lei- ma ho l’impressione che questo libro sia un capolavoro dell’irrisolutezza e dell’incompiuto. Ci sono molte questioni in sospeso e non credo che vengano risolte nelle…- si interruppe prendendo nuovamente il libro tra le mani e contando le pagine che le mancavano per arrivare alla fine -…ultime dieci pagine. Qualcosa mi dice che non c’è una conclusione e se è veramente autobiografico come credo, il motivo è che nemmeno l’autore sa come le cose andranno a finire. E il sorriso che Sean mi sta indirizzando in questo momento è la risposta che stiamo cercando… ho ragione.
-scusami- le disse –non volevo rovinarti il finale.
-non preoccuparti, l’avevo capito almeno venti pagine fa- disse sorridendo. Anni di esperienza di lettura sulle spalle non erano stati inutili e percepiva ciò che la maggior parte delle persone non riusciva a capire finché non lo vedeva scritto nero su bianco. Alla sua sinistra udì un forte sospiro e il rumore della sedia che lentamente scivolava sul pavimento; di colpo la vista si appannò e capì che era arrivato il momento che più aveva temuto.
-per quanto adori ascoltarvi mentre discutete di letteratura-disse Matt alzandosi- ora devo proprio andare.
Nei due minuti che seguirono quelle parole rimase immobile, mentre introno a lei i discorsi si confondevano; i saluti furono scambiati troppo in fretta e all’improvviso sì sentì trascinare fuori dal locale. Erano stati insieme troppo poco tempo, non era nemmeno riuscita a riabituarsi alla sua presenza ed era già ora di lasciarlo. Se solo la Francia non fosse stata così lontana! Quando da bambina aveva iniziato a coltivare il sogno di diventare una corrispondente dall’estero non immaginava che nel quadro ci sarebbe stato anche un uomo che amava e dal quale non avrebbe mai voluto separarsi. A cinque anni non si sa nulla dell’amore, all’infuori di quello materno, e lei era rimasta in quello stato infantile fino a sedici anni, età in cui aveva baciato il suo primo ragazzo. Ma anche allora, nonostante sperasse che fosse il primo e l’ultimo, non aveva pensato al futuro lontano da casa e da lui, o da chiunque altro ci fosse. Eppure, anche ora se qualcuno le avesse chiesto di scegliere tra Parigi e Matt si sarebbe trovata notevolmente in difficoltà. Era troppo attaccata al primo o non amava abbastanza all’altro?
-Rory.
La sua voce, triste quanto i loro cuori, la risvegliò dallo stato pensieroso in cui era rimasta negli ultimi secondi e guardandosi intorno vide minacciosa a pochi metri la sua auto.
-il fato ci è avverso- protestò –vorrei tanto poter stare con te più tempo.
-lo so, ma anche tu partirai tra pochi giorni e non ha senso venire a Savannah, senza contare che mi faranno lavorare ventiquattrore su ventiquattro… è stato meraviglioso finché è durato. Ora dedica questi due giorni a Lorelai, credo che ne abbia bisogno.
Perché era così dannatamente dolce? Anche a lei mancava terribilmente sua madre e passare un po’ di tempo solo con lei era ciò che voleva; sabato avrebbe preso l’aereo da New York e per altri sei mesi nessuno l’avrebbe più rivista.
-verrò a Parigi il prima possibile- le disse, come se le stesse leggendo il pensiero- ti chiamo più tardi, ok?
Rory fece un rapido cenno col capo, perché le parole le morivano in gola o forse quello che sentiva era un nodo che ne bloccava l’uscita? Matt conosceva già quella situazione e non le chiese più nulla, limitandosi a darle un lungo bacio, stringendola come se volesse che i loro corpi si fondessero in uno solo per poterla portare con sé senza problemi. Rory rispose al bacio e ciò che sentì non fu il sapore dell’arrivederci, ma quello salato delle sue stesse lacrime che scendevano come cascate dai suoi stessi zaffiri.
-ora devo andare- sussurrò il ragazzo allontanando di pochi millimetri le proprie labbra dalle sue- ti ho mai detto che ti amo?
-non abbastanza- rispose la ragazza cercando di sorridere.
-oh, allora dovrò farlo più speso, non credi? Ti amo… ti amo… ti amo…
-stupido! Ti amo anch’io.
-lo so.
-devi andare. Se resti altri due secondi giuro che sigillo le portiere e tu non potrai più partire per Savannah. Fai il bravo, non guardare troppe ragazze e pensami ogni tanto, ok?
-ok. Ci sentiamo dopo.
-ciao.
-ciao.
-quella ragazza ti conosce troppo bene, Jess- disse Sean dall’interno mentre entrambi guardavano il lungo congedo dei due fidanzati e Matt che lentamente lasciava il fianco della ragazza e apriva la porta dell’auto. Dopo un’ultima occhiata a lei, che piangente cercava di sorridere mentre il suo ragazzo metteva in moto, diede le spalle alla vetrata che offriva l’occasione di vedere lo spettacolo dalla prima fila e ignorò palesemente il socio in affari.

Quando Jess era piombato a casa loro un giorno di maggio di cinque anni prima, le cose erano cambiate anche per lei. Lui era stato il primo a non trattarla come fosse una stupida mocciosa e gliene sarebbe sempre stata grata.
Aveva presentato una richiesta scritta a Sasha e Jimmy per avere un fratellino, ma dopo quell’estate aveva accantonato il desiderio; finalmente non era più sola, finalmente aveva qualcuno con cui parlare di Lena, Matilda, del piccolo principe, Oliver. Alcuni mesi prima aveva anche letto qualcosa di Hemingway, nonostante dicesse che era troppo piccola, ma non era riuscita a cogliere le doti da lui decantate.
Anche se era molto scostante, quando erano soli Jess giocava con lei, guardavano insieme la televisione e le veniva il mal di pancia dal troppo ridere quando vedeva la sua faccia disgustata di fronte ai documentari sugli animali, soprattutto quando si trattava di accoppiamenti. Chissà perché vedere gli animali innamorati gli faceva così impressione? Lo aveva visto baciare decine di ragazze e lui non era certo diverso da uno di quegli animali…
E poi si divertiva un mondo quando gli faceva il solletico: sapeva benissimo che Jess faceva finta di soffrirlo, ma non glielo aveva mai detto; le piaceva quando la implorava di smettere e, soprattutto, le piaceva quando suo fratello rideva. Non lo faceva spesso. Cinque anni prima il suo sguardo serio e costantemente arrabbiato l’aveva intimorita, poi quell’espressione era scomparsa.
Ma questa volta era veramente troppo. Poteva accettare che Sasha e Jimmy avessero deciso di nasconderle la novità, però non poteva perdonare Jess, lui aveva il dovere di metterla al corrente della verità.
Camminando a passo spedito e con una severa espressione sul viso, in netto contrasto con il tenero e sorridente pupazzo che stringeva al petto, attraversò la strada ignorando la voce profonda di Miss Patty che gridava “dolcezza” cercando di attirare la sua attenzione. Non aveva tempo da perdere in smancerie, doveva occuparsi di una cosa molto importante. In un lampo raggiunse il posto in cui avevano mangiato praticamente ogni giorno da quando erano arrivati e dove Luke lavorava. Aprendo la porta con forza vide immediatamente che oltre a Jess e suo zio c’erano anche Lorelai, Rory e Sean.
-New York?!-gridò fermandosi in piedi di fronte al fratello attonito da quel suo tono aggressivo Sapeva esattamente a cosa stava pensando in quel momento: si chiedeva come avesse fatto a scoprirlo, si malediceva per non averlo fatto lui personalmente la sera prima quando, una volta rientrato in albergo, le aveva dato la buonanotte.
Lorelai, che stava bevendo il suo caffè, si era improvvisamente immobilizzata e aveva rivolto la sua attenzione ad entrambi; dalla sua espressione incuriosita Lily riusciva a capire che nemmeno lei sapeva nulla. Beh, almeno non era l’unica… Rory, invece, sembrava sconvolta dalla sua presa di posizione; evidentemente non aveva mai visto una bambina tanto in collera.
-Lil…- iniziò Jess e nei suoi occhi riusciva a leggere la colpevolezza; forse c’era anche un’ombra di tristezza o forse era semplicemente buco nero che aveva sempre avuto e lei ci stava leggendo troppo.
-Niente Lil!- lo interruppe: non poteva certo arrendersi così presto e lasciarsi abbindolare da qualcosa che aveva visto nei suoi occhi e che probabilmente non esisteva nemmeno –volevo solo che la mamma desse un bacio a Phi Phi –disse alzando il peluche che aveva continuato a stringere- e invece ho sentito che parlava con Jimmy della tua nuova trovata: trasferirti a New York! Perché non me l’hai detto?
-ascolta…- la pregò. Non aveva idea di come gestire quella situazione. Sapeva che avrebbe reagito male perché si era troppo affezionata a lui in quegli anni, e avrebbe preferito che venisse a saperlo dalla sua bocca, non da una conversazione udita da dietro una porta. Ma ormai il guaio era stato fatto e doveva inventarsi qualcosa per calmarla. Odiava vederla soffrire.
-no, ascolta tu! Credi che solo perché sono una bambina le persone possano nascondermi le cose? Ho dodici anni! Sono abbastanza grande!
-non ho mai detto questo –disse cercando di avvicinarla, mentre lei indietreggiava di un passo allontanandosi da lui. Quel gesto, forse insignificante agli occhi di qualcuno che non la conosceva, gli faceva capire quanto l’avesse delusa e quanto lei fosse in collera. Persino durante i loro litigi più seri Lily non aveva mai cercato di prendere le distanze.
-perché te ne vai?-continuò la bambina con gli occhi pieni di lacrime- non stai bene con noi?
-non è questo…- le rispose con un nodo in gola. Il suo silenzio le aveva fatto credere davvero che si trovasse male con la sua stessa famiglia?
-vuoi lasciarci e andare a New York, Jess. Sai quanto è lontano? Perché non riesci mai a fermarti, eh? Sei andato via da casa tua, poi hai lasciato Stars Hollow, poi casa nostra… e adesso hai deciso che anche Los Angeles non va bene per te? La verità è che a te non importa nulla se io, la mamma e Jimmy siamo tristi.
-piccola- disse Sean, colpito dalla versione amareggiata della bambina che considerava come la sua sorellina minore. Conosceva i sentimenti di Jess nei confronti dei Mariano ed era certo che le parole di Lily lo stessero ferendo. Voleva solo aiutarlo, ma lo sguardo che ricevette da lei lo impaurì: era carico di odio: -Taci tu! È solo colpa tua, sei stato tu a dargli questo lavoro e a dirgli di partire. Perché non ti sei fatto i fatti tuoi? Vacci tu a New York!
-Lily!- l’ammonì Jess –sai benissimo che lui non centra.
-sì che centra!- protestò sbattendo i piedi. Voleva aver ragione, voleva che non partisse.
-avrei potuto rifiutare, non mi sta obbligando.
-allora ho ragione- continuò mentre le lacrime aumentavano e quasi non riusciva più a vedere ciò che le stava davanti – tu vuoi andare via, non ci vuoi più bene.
-oh, Lily!- sussurrò Sasha entrando in nel locale insieme a Jimmy in tempo per udire quell’ultima frase. Quando si erano resi contro che la figlia li aveva sentiti parlare e l’avevano vista uscire come un fulmine dalla locanda di Lorelai, si erano affrettati a seguirla per tranquillizzarla, ma sembrava fossero arrivati tardi, perché il confondo con Jess era già aperto.
-e non ci vedrai più, non verrai più a casa… non giocherai più con me, non faremo più i compiti insieme. E i libri? Con chi parlerò, dato che alla mamma non interessando e Jimmy tende a censurare tutto, persino le storie di Disney?
-potrai parlarmi ogni volta che vorrai- le rispose sorridendo, perché se iniziava fare commenti sarcastici significava che il suo umore era favorevole al cambiamento. Ma nonostante il sorriso, si sentiva terribilmente in colpa per fare soffrire sua sorella per uno stupido lavoro.
-tutti i giorni?
-tutti i giorni- le assicurò, mentre i singhiozzi della piccola diminuivano d’intensità.
-e posso anche leggerti le pagine che mi piacciono di più?
-beh, se Jimmy è disposto a spendere il suo stipendio il bollette…
Sembrava che l’aria tesa si fosse allentata, ma lo sguardo pensieroso che Lily continuava ad avere gli diceva che c’era dell’altro e doveva solo aspettare che lo rendesse partecipe dei suoi pensieri.
-non puoi proprio restare? Hai già un lavoro a Los Angeles, non te ne serve un altro a New York.
Tentava di trovare una soluzione ragionevole, ma gli occhi di Jess le risposero senza bisogno di aggiungere parole: doveva andare. Cercando un altro modo per tenerlo in California, il suo sguardo vagò introno al locale, dove tutti erano in attesa di un altro commento, e incontrarono quello dolce e rassicurante di Rory, i suoi occhi freddi per via del colore, ma paradossalmente caldi.
-però… se lo fai per lei…- disse innocentemente ricordando che la sera in cui avevano cenato da Lorelai e Luke aveva saputo che erano stati innamorati –Rory adesso abita a Parigi e tornerà tra tanti mesi. Puoi restare a Los Angeles fino a quando lei torna…
-Lil- disse cercando di fermare quel disco che sembrava non volesse più tacere, mentre l’espressione di Rory era d’assoluta sorpresa.
-oppure Rory può venire a vivere in California!-aggiunse rivolgendosi alla ragazza –la casa di Jess è bella, puoi vivere con lui e lavorare al Los Angeles Times: è un giornale importante quanto quello di New York.
Gli occhi della ragazza si spostarono su Jess e incontrarono il suo sguardo: cos’era quello che stava vedendo? Paura, rassegnazione, disappunto? Affetto? Ma con la velocità della luce quello sguardo non era più rivolto a lei, bensì nuovamente alla piccola speranzosa.
-Lil! Rory non centra. A New York c’è un lavoro molto importante, ci sono mia madre e i miei amici, è la città in cui sono nato. Anche tu vorresti tornare a casa se vivessi da un’altra parte, no? Sarebbe più bello frequentare le tue vecchie amiche…
-sì, ma… io vorrei anche stare con te.
-verrò tutte le volte che potrò e abbiamo deciso che ci chiameremo sempre, giusto?
Lily tirò su col naso e fece un cenno d’assenso con la testa, cedendo, perché aveva capito che quella era una battaglia persa in partenza e la cui vittoria, per quanto tentasse, non dipendeva da lei. Jess si avvicinò alla piccola che, finalmente, non si allontanò e le asciugò l’ultima lacrima con il pollice, prima di attirarla a sé e abbracciarla; -vieni qui, scricciolo- le disse sospirando.
-non chiamarmi scricciolo!-protestò cingendogli le braccia al collo.
L’intero locale si commosse, soprattutto Lorelai che aveva iniziato ad asciugarsi le lacrime col lembo della camicia di Luke; Rory respirò a fondo, cercando di far sparire l’imbarazzo causato dalle ultime parole che Lily le aveva rivolto, e alla vista di quel tenero abbraccio, lasciò che un sorriso le sfuggisse.

Da quando si era calmata, Lily non aveva lasciato il fianco di Jess nemmeno per un istante.
Sean era partito da alcuni minuti e sembrava che anche l’ira nei suoi confronti fosse scemata, insieme alla rabbia e alla paura che aveva mostrato quando, come una furia, aveva spalancato la porta a vetri del locale e iniziato ad inveire contro Jess. Rory aveva una discreta esperienza con i bambini, eppure non n’aveva mai visto uno così pieno d’odio e tristezza allo stesso tempo; i suoi occhi, mentre parlava cercando di trattenere le lacrime, erano al contempo spenti ed infuocati. Le era stato palese fin dall’inizio che tra Jess e Lily ci fosse un rapporto speciale, complice, e quel pomeriggio n’aveva avuto la prova finale. Jimmy, Sasha e lei gli erano molto legati ed era chiaro che anche lui, nonostante cercasse a volte di nasconderlo, provava un sentimento molto forte nei loro confronti. Ed era proprio questo fatto ad indispettirla: perché lasciava quel rifugio a cui aveva anelato? Più lo guardava parlare con Jimmy e accarezzare il braccio di Lily mentre lei leggeva Oliver seduta sulle sue gambe, più si chiedeva perché ritenesse più giusto abbandonare tutto e tutti a Los Angeles per tornare a New York. Non era per Washington Square Park, ovviamente. Quella era stata la stupida risposta datale per chiudere il discorso e lei aveva assecondato il suo gioco. C’era qualcos’altro dietro quella decisione ed era curiosa di sapere di cosa si trattava.
Fu in quel momento che Luke offrì alla bimba del gelato e lei abbandonò di corsa libro e fratello per afferrare l’enorme coppa che le stava preparando al banco. Jess, disapprovando l’assenza di coni, si alzò per sgranchirsi le gambe che avevano retto a lungo il peso della sorella. Rory seguì il ragazzo fuori sul marciapiede, riuscendo a cogliere nei suoi occhi la sorpresa di trovarsela a fianco.
-Ciao!
-Hey, sei venuta a corrompermi per farmi rubare la caffettiera di Luke? Ti avverto che non correrò il rischio di essere bastonato con una mazza da baseball.
-non sono qui per questo- lo rassicurò sogghignando –ma sarebbe divertente vedere Luke che ti insegue facendo lo slalom tra i tavoli del locale… una scena memorabile.
Jess smise di guardarla e spostò lo sguardo sulla strada deserta nonostante fossero solo le sette di sera.
-volevo congratularmi per il modo in cui hai gestito Lily prima.
-non ho fatto nulla. È abbastanza intelligente da capire da sola quando sbaglia e arrendersi all’evidenza facendoti credere di essere stato bravo a convincerla; - rispose –in questo modo salva la propria e la tua dignità.
-questo non cambia che quando è entrata era arrabbiatissima, mentre ora sembra serena.
-è brava a fingere. In realtà credo che sia ancora triste, ma è normale, no? In questi anni si è appoggiata molto a me e vedermi andare via improvvisamente deve crearle un grande scompenso.
-appunto.
-appunto cosa?
-perché te ne vai? Lily soffre, tuo padre e Sasha sentiranno la tua mancanza e anche a te mancheranno, è ovvio.
-Rory, di cosa stai parlando?
-Lily ha ragione: non hai bisogno di quel lavoro, ne hai già uno che adori e che ti permette di stare vicino alla tua famiglia. Forse Sean ha sbagliato: non avrebbe dovuto decidere di aprire a New York senza consultarti. Non è stato corretto scegliere una città così lontana.
-Rory, non iniziare anche tu. Io e lui n’avevamo già parlato e a me non dispiace affatto tornare qui. È naturale dover rinunciare a qualcosa o a qualcuno, ma questo lavoro è importante.
-più della tua famiglia?
-non smetteranno di esserlo solo perché viviamo a più di trenta chilometri di distanza!
-le cose cambiano, Jess. Non ci avevo pensato prima ed ero felice che tu tornassi, ma vedere quella piccola così… io.. – Era stata nuovamente catapultata indietro nel tempo, a quando Jess era partito e non aveva avuto più sue notizie; sapeva bene come ci si sentiva quando lui se ne andava e la rattristava che Lily o cinque altro dovesse provare quello stesso dolore.
-Rory, i sentimenti non cambiano con la distanza e tu lo sai bene- le disse e per un momento credette che l’avesse letta nel pensiero –voglio dire… vivi a Parigi eppure ciò che provi per Matt non è cambiato, giusto?
Matt. Era partito da poche ore e il pensiero di lui era già stato accantonato nella sua mente. Come poteva essere così spregevole?
-e lo stesso vale per Lorelai. Anzi, forse questo è l’esempio più pertinente. Perché per me le cose dovrebbero essere diverse?
Credeva che gli avesse dato dell’insensibile?
-Scusami, mi sono lasciata prendere la mano. Volevo solo dire che puoi scegliere di restare con loro in California, invece…
-è il sogno di una vita, Rory. Sto provando a me stesso e agli altri che non sono un fallito e quest’occasione è perfetta: è il lavoro che mi piace, che mi permette di guadagnare e avere ciò che ho sempre desiderato. E poi non sono più alle dipendenze di qualcuno. Questo rende orgoglioso Luke: credeva che avrei passato la mia vita con un vestito blu, ma ha dovuto ricredersi. I motivi che mi spingono a New York sono gli stessi che hanno portato te a Parigi; la differenza tra noi è che tu hai sempre saputo dove volevi arrivare, mentre io l’ho scoperto più tardi.
-i sogni, quindi.
-i sogni.
-non ci sono altre motivazioni?-gli chiese ripensando ancora una volta alla bambina –quando Lily ha detto…
-Lily non sapeva di cosa stava parlando e per quanto riguarda ciò che ha detto… dimenticalo. È stato un bene che Matt non ci fosse o chissà cosa si sarebbe messo in testa.
Di cosa stava parlando? Non l’aveva lasciata finire e aveva tirato in ballo Matt. Perché improvvisamente parlava a vanvera?
-Jess.
-dovremmo rientrare- disse. Non era un invito, ma un ordine secco; stava chiudendo il discorso definitivamente e Rory si chiedeva cosa fosse stato detto di così scomodo da farlo reagire in quel modo. Aprì la bocca per protestare, ma Jess aveva già un piede nel locale e Luke faceva degli strani segni con le mani, agitava le braccia e indicava il telefonino che aveva lasciato sul bancone poco prima. Inspirò profondamente, gettando nuovamente nell’angolo più remoto della sua mente il pensiero che Jess avesse accettato la proposta di Sean di tornare a New York anche perché c’era lei. Per un momento quando, dopo la proposta di Lily di vivere a Los Angeles, i suoi occhi avevano incontrato quelli di Jess nel locale, aveva provato la sensazione più sbagliata che avrebbe potuto, qualcosa che, se il suo fidanzato ne fosse venuto a conoscenza, gli avrebbe dato ogni diritto di prenderla a schiaffi: la speranza. Deglutì a fatica e riprese la sua postura eretta e sicura prima di udire il famigliare scampanellio e chiudersi la porta alle spalle.
-prendi quell’arnese assassino portatore di tumori cerebrali ed esci da questo locale!- sentì vociare da Luke una volta dentro.
-come sei paranoico- rispose Jess avvicinandosi al cellulare, ma evitando qualsiasi movimento per rispondere. Vedendo il display si era improvvisamente immobilizzato e Rory aveva notato il suo volto offuscarsi.
-che aspetti?- continuò suo zio –che mi si frigga il cervello? Se hai deciso di uccidermi questa è la maniera peggiore, Jess. Vuoi spegnere quel coso? Giuro su Dio che se non lo fai smettere di suonare…
-rispondi tu, così la finiamo una volta per tutte- lo interruppe.
-cosa?- chiese Luke schifato e innervosito dall’ostinazione del ragazzo: sembrava che lo facesse apposta per torturarlo –mai e poi mai prenderò in mano uno di quelli e poi hai detto che lo usi per lavoro, no? Dovresti rispondere, non ignorarlo.
-in questo caso non è per lavoro- disse quasi sussurrando –non sono tenuto a rispondere.
Luke si tolse il cappello e giunse le mani mentre, rivolgendo gli occhi al cielo, pregava che chiunque ci fosse lassù, facesse qualcosa per bloccare quella suoneria.
-ok, sarò la tua segretaria per due minuti- disse Lorelai alzandosi dalla sua sedia e afferrando il telefono prima che Jess potesse fermarla –Pronto! Pronto? No sono… la moglie di suo zio. Sì, praticamente sua zia acquisita adesso che mi ci fai pensare…wow! No, Jess non c’è; ha dimenticato qui il telefono. Tu sei…oh, Kate. Devo riferirgli qualcosa, Kate? Ah, ah. Ok, ciao!
L’intero locale era calato nel silenzio e tutti riuscirono persino a sentire la voce elettronica della donna dall’altra parte del telefono. Lorelai chiuse la linea, appoggiò delicatamente il cellulare sul bancone e morse la ciambella che aveva abbandonato pochi secondi prima per rispondere. Persino Babette, che stava cenando con Morey, aveva smesso di parlare e aspettava con trepidazione l’ennesimo gossip su quel ragazzo che attirava l’attenzione di tutti in città (per ovvi motivi). Sentendo gli occhi puntati su di lei, Lorelai deglutì e soddisfò la curiosità dei presenti, anche se era chiaro chi fosse al telefono: -era Kate. Richiamerà.
Jess sentì Babette sospirare e sperò che non lavorasse troppo d’immaginazione per dare una spiegazione al nome di una donna che lo aveva chiamato; annuì e spense l’apparecchio per evitare situazioni simili nell’immediato.
-cosa stai facendo?- gli chiese Luke. Riusciva a vedere un enorme punto interrogativo sulla sua fronte: stare con Lorelai lo stava rendendo petulante come il resto della città; ma dopotutto, vivendo decine d’anni laggiù non poteva rimanere totalmente immuni, no?
-lo spengo, contento?- rispose riponendo l’oggetto in tasca e avviandosi verso l’uscita. Sentiva l’eco dei suoi passi risuonare tra le pareti e tutta quell’attenzione non lo rendeva propriamente felice.
-dove vai?-interruppe quel silenzio e coprì l’eco la voce.
-fuori!-disse, e tutto ciò che si sentì per diversi secondi fu il suono del campanello della porta.
-chi è Kate?- chiese Babette quando il ragazzo fu scomparso nelle strade della città. Lorelai sorrise e le rispose che non aveva idea.
In realtà conosceva bene la storia.
Kate era una delle ex di Jess, una ragazza, a detta di Sasha, bellissima quanto insopportabile. Quella con lei era stata una delle relazioni che avevano avuto una durata maggiore rispetto alle altre, ma che, come la maggior parte di esse, era finita a causa di un tradimento e questa volta era stata lei ad andare con un altro prima che fosse lui a esserle infedele. Si erano lasciati all’inizio dell’anno e da alcune settimane la ragazza aveva deciso che lo rivoleva indietro. Sasha le aveva detto che avevano passato anche un paio di notti insieme prima di partire per il Connecticut, ma poi forse lui se n’era pentito e aveva smesso di rispondere alle sue chiamate. Esattamente come quella sera da Luke. Kate era un’amica di Ally, la moglie di Sean. Si erano conosciuti proprio al loro matrimonio. Sasha ed Ally, nonostante i vent’anni di differenza, andavano molto d’accordo ed era stata proprio lei a lasciarsi sfuggire le confidenze dell’amica; Jess ovviamente non aveva idea che la sua vita privata avesse fatto il giro dell’America da Ovest ad Est o qualcuno non avrebbe vissuto abbastanza per arrivare all’età della pensione.
-e quindi Sasha te ne ha parlato- affermò Rory mentre insieme alla madre e a Luke attraversava il giardino di casa e saliva le scale del porticato.
-esatto! Spero solo che Babette e Patty non ci ricamino troppo… è stata una sfortuna per Jess che lei si trovasse al locale proprio in quel momento.
-non credo che gli interessi più di tanto- rispose Luke aprendo la porta.
-lo so, ma da una parte mi dispiace vederlo al centro del gossip cittadino.
-stai diventato molto buona nei suoi confronti- notò Rory –qualche anno fa avresti voluto ucciderlo!
-quei tempi sono finiti, il passato è passato- disse Lorelai dando un bacio sulla fronte alla figlia e augurandole la buonanotte. Rory fece lo stesso ed andò nella sua stanza, chiudendo la porta. Lasciò cadere la borsa sul pavimento e, senza nemmeno cambiarsi, si stese sul letto, le mani sotto la nuca, gli occhi fissi sul soffitto ed un inaudibile sussurro: -Kate.
 
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Elena_R
view post Posted on 4/8/2004, 21:04




Credo che un breve riassunto, data la mia caratteristica dispersività, sia dovuto:
VENERDì: La famiglia Mariano al completo arriva a Stars Hollow e viene invitata a cena a casa di Lorelai e Luke. Il dolore dei ricordi e la paura di incontrare Rory spingono Jess ad andarsene poco prima che la ragazza arrivi da Parigi, dove lavora.
SABATO: Rory e Jess si “investono” al locale di Luke, ma mentre parlano arriva Matt, fidanzato di Rory da un anno e mezzo. Lui conosce bene la storia di Jess e finalmente lo conosce di persona.
Arriva anche Liz e il suo primo incontro col figlio non è dei più rosei, ma tutto si risolve per il meglio.
DOMENICA: è il giorno del matrimonio tra Lorelai e Luke. Dean attacca duramente Jess e Matt inizia ad apprezzarlo nonostante tutto. Rory invece è molto in pensiero per lui e la sera stessa, di nascosto, lo incontra al ponte.
LUNEDì: arriva Sean, amico e socio di Jess. Riconosce subito in Rory la ragazza di cui una volta Jess gli ha parlato e cerca di fargli capire che l’ama ancora. Ma Jess è ostinato e non ammette nulla.
MARTEDì: Jess e Sean partono per New York e Jess vede la sua futura sede di lavoro.
MERCOLEDì: abilmente Sean riesce a sapere cosa Rory pensa del libro che Jess ha scritto sotto pseudonimo. Non sapendo la verità, lei gliene parla molto bene e coglie un lato del ragazzo che lui cerca a tutti i costi di rinnegare. Matt parte e Lily scopre che anche suo fratello lascerà la California. Si arrabbia, ma lui riesce a calmarla. Anche Sean se ne va e Ror, dopo una frase di Lil, si rende conto di aver nutrito delle speranze sbagliate nei confronti dell’uomo sbagliato.
E ora passiamo al capitolo undici. È GIOVEDì.

Capitolo undici

Il piccolo gruppo che chiacchierava davanti al locale, le loro risate e le pacche sulle spalle le ricordavano scene che di rado aveva vissuto nella sua vita. Non c’erano mai state grandi partenze o struggenti addii, le venivano in mente poche occasioni e ognuna di esse implicava una sua partenza: la prima volta quando era stata a Washington per sei settimane insieme a Paris Geller, la seconda quando si era trasferita definitivamente a New York, la terza quando era salita su un aereo per Parigi. E Lorelai era sempre stata l’unica ad essere presente.
Questa volta, invece, erano altri ad andarsene e a lei toccava il ruolo di spettatrice esterna. Vedeva Sasha e sua madre parlottare gaiamente, promettersi di mantenersi in contatto e di rivedersi al più presto; la piccola Lily era al fianco della bionda ossigenata e sembrava stesse ascoltando la loro conversazione, perché i suoi occhi erano fissi sulle due donne e casualmente faceva cenni di assenso con la testa, ma Rory sentiva che la sua mente era altrove, probabilmente su qualche nave pirata nel Mar dei Sargassi o nella stanza di Oliver o forse fissava un orso grizzly nascosta dietro un albero trattenendo il respiro per non farsi scoprire; un taxi si era fermato da pochi secondi e Jess si era diretto verso lato del conducente per dirgli qualcosa che non riusciva a capire, mentre, poco distanti, Luke e Jimmy sembravano dialogare amabilmente. Il fatto che dopo una settimana quei due riuscissero a sostenere una conversazione senza finire col mettersi le mani addosso e che Luke avesse messo una pietra sopra al rancore che aveva provato per il padre di Jess in quei lunghi venticinque anni, erano un enorme passo avanti. Ricordava il giorno successivo a quando era rimpatriata, l’atmosfera tesa che si percepiva al locale e i commenti velenosi e acidi che Luke non era riuscito ad astenersi dal fare nei confronti di Jimmy. Anche se non n’aveva mai parlato apertamente, almeno non con lei, quel povero uomo aveva sofferto molto per la partenza del nipote e il fatto che avesse preferito a lui un padre che lo aveva abbandonato e al quale non interessava nulla del figlio, forse gli aveva spezzato il cuore. Jimmy aveva un’immensità di errori da farsi perdonare e sembrava che, seppur lentamente, stesse facendo ammenda per ognuno di essi.
Solo ora Rory si accorgeva di quanto poco sapesse di quell’uomo. Da quando era tornata, ad eccezione di poche frasi di circostanza dette a tavola, loro due non avevano mai avuto una vera conversazione. Aveva sempre cercato di evitare di restare sola con lui per essere costretta ad avere un confronto e c’era riuscita. Non capiva bene il motivo di quel comportamento a dir poco infantile, dopotutto non le aveva mai fatto alcun torto poiché si erano visti per la prima volta la sera del suo ritorno a casa. Ricordava perfettamente la strana sensazione che aveva provato, lo sgomento nel constatare che il padre di Jess esisteva davvero, che la ragione per cui se n’era andato non era una bugia detta ad una bambina per farla stare buona. Jimmy c’era e Jess aveva scelto lui.
-Luke?- aveva detto attirando la sua attenzione nel locale semideserto a quell’ora del pomeriggio. Erano passate alcune settimane, mancava un giorno al ricevimento dei diplomi, lei e Lorelai avrebbero fatto a breve il loro agognato viaggio in Europa, poi si sarebbe trasferita a Yale per iniziare la sua nuova vita da universitaria. Però c’era un’incognita del passato che continuava a tormentarla nonostante i suoi vani tentativi di ignorarla; -Tu sai dov’è, vero?
L’espressione di Luke era cambiata e Rory non sapeva se fosse triste o preoccupata o entrambe o nessuna, perché forse era solo una sua impressione.
-come mai vuoi saperlo?- le aveva chiesto evitando di rispondere alla sua domanda e riprendendo a scrivere qualcosa su un blocco di fogli; -non credi che…
-Credo che me lo deva- l’aveva immediatamente interrotto. Sapeva cosa voleva dire ed era stanca di essere estromessa dalla verità per il suo bene e la sua serenità: non sarebbe stata tranquilla fino a quando non avrebbe saputo che fine aveva fatto; -e dato che ha deciso di non dirmelo spero che almeno tu possa aiutarmi. Non ho intenzione di fare nulla, Luke. Vorrei solo… sapere.
Aveva concluso la sua richiesta con un tono di voce talmente basso che, data la sua esitazione nel rispondere, aveva creduto che non avesse sentito. Il suo problema era il magone, il nodo in gola che si formava ogni volta che parlava di lui o sentiva nominare il suo nome o vedeva qualcosa che glielo ricordava; certi giorni anche camminare per strada o vedere una panchina in cui si erano seduti a parlare, le faceva male.
-non me l’ha detto, ma penso che sia da suo padre- le rispose –si è presentato all’improvviso in città, ha incontrato Jess, poi è sparito.
Rory mosse il capo affermativamente: era con suo padre; una buona cosa, no?Almeno aveva qualcuno, non era solo chissà dove. Forse si trovava ancora nelle vicinanze, non poteva certo essere in capo al mondo.
-ok. E… dove abita?-chiese speranzosa. Forse c’era la possibilità che sarebbe tornato indietro; ma Luke doveva aver letto la fiducia nei suoi occhi illuminati, perché all’improvviso distolse lo sguardo da lei per rivolgerlo insistentemente ad un cucchiaino che si trovava sul bancone.
-Los Angeles- aveva detto quasi sussurrando –California.
Si era sentita svuotata dall’interno: non le era rimasto più nulla, persino quel barlume di speranza era scivolato via.
-Wow- disse con la voce tremante –è … lontano.
Non aveva trovato nulla di meglio da dire, perché il suo cervello si era sciolto e dei suoi neuroni non c’era più traccia.
-Lo so- aveva risposto Luke iniziando a pulire il già brillante e lucidissimo banco, mentre lei si alzava, raccoglieva le sue cose e usciva con gli occhi lucidi.
-Rory?- disse Sasha risvegliandola dal suo ricordo e facendole cenno di avvicinarsi per un ultimo saluto. La ragazza le sorrise e mosse i suoi passi in direzione del gruppo nello stesso istante in cui Jess si muoveva verso il padre e Luke. Per un momento i loro sguardi si incontrarono e Rory sentì un brivido correrle lungo la schiena, mentre una scena ed un vecchio monologo si ripetevano nella sua testa:
Il suo cellulare aveva suonato instancabilmente per giorni e troppo spesso chi era dall’altra parte aveva riattaccato.
-ne hai ricevute tante ultimamente- aveva detto sua madre alla fine della cerimonia del diploma dopo l’ennesima chiamata muta. Non aveva fatto in tempo a controbattere che un’altra volta il telefono aveva ripreso a squillare.
-Pronto? Pronto?
C’era qualcosa di strano in quelle telefonate. Non era qualcuno che sbagliava, come invece aveva pensato all’inizio, e non erano nemmeno degli stupidi scherzi, perché in sottofondo non c’erano risatine, ma solo le voci confuse delle persone che passavano e non avevano nulla a che fare col suo persecutore. Una volta, la prima, le era sembrato di sentire il mare, le onde, ma non conosceva nessuno che abitava in una località marittima o era già in vacanza.
Guardò Lorelai e all’improvviso un pensiero le balenò nella mente, quindi si diresse a passi veloci verso l’interno dell’edificio della Chilton. Il quadro era completo e molto probabilmente aveva capito di chi si trattava: qualcuno che non sapeva cosa dire, non riusciva a parlare. E una sola persona non era stata capace di farlo con nessuno, nemmeno con lei.
-Jess, sei tu? Jess, so che sei tu- disse una volta sola. Non ricevette risposta, ma quel silenzio era più eloquente di mille parole. La rabbia per il suo comportamento, la tristezza per l’abbandono e la felicità per quella chiamata la confusero e quel turbine d’emozioni prese il sopravvento trasformandosi nell’unico sfogo della sua vita che con poche frasi aveva messo fine a tutto.
Però, se gliene avesse data la possibilità, lo avrebbe amato veramente.
-Sarà un viaggio lungo e noioso- stava dicendo Sasha a Luke, quando Rory li raggiunse- Jimmy passerà il suo tempo a dormire e i ragazzi mangeranno e leggeranno, ignorandomi completamente.
-non è affatto vero- rispose Jess –credo che anche Lily ed io ci faremo una bella dormita. Tu cosa dici, scricciolo?
-sì. Mamma, sai benissimo che leggere troppo fa male agli occhi. Dopo un po’ bisogna riposarsi, non credi?
-ah!-gridò esasperata –cosa devo fare con voi tre?!
-ci vuoi troppo bene e sei orgogliosa di noi, o non mostreresti le nostre fotografie a tutte le persone che incontri- disse Jimmy ridendo.
-e che male c’è? Non capita a tutte di avere una figlia splendida, un compagno niente male e un figliastro che potrebbe concorrere per Mr. Universo! Sono soddisfazioni anche queste…
-farò finta di non aver sentito…- disse Jess mostrandosi offeso –ma ora è meglio sbrigarsi coi saluti o il tassista ci lascerà a piedi e addio aereo.
Alle sue parole tutti si affrettarono con i baci e le strette di mano e, senza nemmeno accorgersene, Rory si trovò di fronte a lui, l’ultimo a cui dire arrivederci. Era strano avere la possibilità di salutarlo: da quando si conoscevano non era mai successo; dopo l’incidente ai tempi del liceo se n’era andato senza dire nulla; partendo per la California la storia si era ripetuta. Questa volta si sentiva quasi privilegiata.
-Sash ha invitato Lorelai e Luke a Los Angeles- le disse senza distogliere lo sguardo dal gruppo che si trovava poco lontano da loro –se non troveranno un accordo per il viaggio di nozze credo che le spiagge di Santa Monica saranno liete di ospitarli.
-è una scusa. Mia madre farà di tutto per non trovare un punto d’incontro, così potrà rivedere Sasha: vanno così d’accordo!
-già.
Rory sentiva di non essere l’unica a disagio, perché l’anormale postura di Jess, il vagare del suo sguardo ovunque, persino al menestrello, tranne che a lei, erano il chiaro indice che anche per lui tutto ciò aveva qualcosa di strano, inusuale. E un po’ la faceva ridere vederlo così impacciato, perché non lo era mai stato. Ripensandoci, durante quella settimana una sfilata di numerosi Jess aveva passeggiato davanti ai suoi occhi e il suo comportamento rispetto alle persone era stato molto incostante, seppur perfettamente attinente al suo modo d’essere. Al modo in cui era.
Vederlo sorridere a qualcuno che non fosse lei era stata la prima cosa a stupirla; negli anni del liceo l’aveva visto raramente ridere in pubblico e lei era l’unica con la quale in un certo senso “si lasciava andare”.
La sera in cui si erano conosciuti aveva l’aria di uno che ce l’aveva a morte col mondo intero, che avrebbe preferito essere ovunque ad eccezione di Stars Hollow, Connecticut; probabilmente nella sua testa capelluta stava già ideando di fuggire da Luke. Poi si erano incontrati per caso sulle strade sicure della città, avevano parlato per qualche secondo, le aveva fatto un paio di trucchi magici con una monetina, le aveva restituito Urlo; ricordava la leggera scossa elettrica che aveva percorso in lungo il suo corpo mentre si parlavano, ma allora non immaginava come si sarebbero evolute le cose tra loro. Poi il congedo, le spalle di Jess, le sue parole “Buona notte, Dodger”, l’espressione pensierosa per una frazione di secondo e subito dopo un sorriso carico di soddisfazione sulle sue labbra: Oliver Twist, la sua risposta. L’inizio dell’amicizia che mascherava un sentimento ben più profondo; forse allora era stato seminato il seme del loro amore.
E da quel giorno aveva riso solo con lei, solo per lei.
Ora invece lo faceva anche con Luke, Lily, Sasha, Jimmy, Liz e persino Lorelai! La catastrofe sarebbe iniziata se avesse rivolto un gesto del genere anche a Taylor…
In quella settimana il suo umore era cambiato col vento: mentre scherzava con qualcuno improvvisamente i suoi occhi si rabbuiavano, qualcosa lo irritava ed innervosiva; il primo incontro con Liz non era stato dei migliori e per quanto riguardava Dean… avrebbe meritato un premio per il sangue freddo che aveva dimostrato: il Jess diciottenne lo avrebbe preso a pugni, come già era accaduto. Anche con Sean c’era qualcosa di anomalo: sembravano grandi amici, oltre che colleghi, eppure doveva esserci qualche divergenza, perché a volte le occhiatacce che Jess gli aveva rivolto erano state tutt’altro che amichevoli.
Ciò che era cambiato in Jess era il fatto che ogni evento del passato fosse dietro le sue spalle e lui aveva smesso di guardarlo: Jimmy, Liz, gli errori non avevano più il peso di un tempo e recuperarli sembrava uno scopo comune a tutti. Ma dove si trovava lei in tutto ciò? Rory, la sua ex-ragazza, l’unica che aveva il privilegio di renderlo contento e farlo sorridere, una delle tante persone che aveva lasciato senza una spiegazione, che ruolo ricopriva? Era solo questo: una delle tante? Aveva messo una pietra sopra anche a lei e l’aveva dimenticata? Più passava del tempo con lui, più si rendeva conto che Jess non era minimamente turbato dal passato. In un paio di occasioni aveva creduto che provasse ancora qualcosa nei suoi confronti, ma la verità era che lei aveva un fidanzato e per Jess c’era… Kate, o chiunque altro. Non si ama una persona di cui non si hanno notizie per cinque anni e quell’imbarazzo era probabilmente originato dal fatto che quella per loro era una prima volta: la prima volta che si salutavano ad una partenza e nessuno dei due aveva idea di cosa dire all’altro.
-Jess!- urlò Lily dal fianco del taxi. Solo allora Rory si accorse che erano tutti pronti per partire e mancava solamente lui. Vide Sasha mettere una mano sulla bocca della bambina per zittirla e dar loro il tempo di dirsi quell’”arrivederci”, ma sembrava così difficile farlo. Non poteva trattarsi solo di inesperienza, forse centrava il fatto che quella settimana era trascorsa troppo in fretta e non avevano avuto il tempo di parlare un po’ di più; tra loro c’erano state brevi conversazioni in presenza degli altri e pochi momenti rubati nelle notti d’insonnia. Ma Jess sarebbe tornato ed entro la fine dell’anno anche lei sarebbe rimpatriata; si trattava solo di aspettare qualche mese e poi nel 1854 Meucci aveva inventato il telefono, no?
Sotto lo sguardo confuso del ragazzo, Rory cominciò a cercare nella borsa e, tra fazzoletti di carta, fogli, penne, uno specchietto e svariati rossetti, trovò un cartoncino che diede a Jess.
-è il mio biglietto da visita, ci sono il mio numero all’albergo e quello del cellulare- disse indicandoglieli –chiamami quando vuoi.
Lui fece cenno col capo, scrisse su un foglietto che aveva trovato in tasca e glielo porse; -questo è il mio, chiamami quando vuoi- l’informò ripetendo le sue ultime parole.
-grazie, lo farò-fu la risposta che gli diede cogliendo l’ironia delle sue parole: aveva intenzione di non perdere i contatti e se non fosse stato lui a fare la prima mossa, lei non ci avrebbe pensato due volte ad alzare la cornetta; -allora… arrivederci.
-“Arrivederci”?!-chiese Jess alzando un sopracciglio.
-preferisci “ciao”? Ok, ciao Jess.
-che ne dici di “ci vediamo”? O “alla prossima”!
-Mi stai prendendo in giro perché ho detto “arrivederci”?! Non posso crederci!
-hey!- continuò fingendo di non sentirla –che te ne pare di “il Signore sia con te”? E quando ci rivedremo io ti saluterò con un pomposo “Ave, o Rory”!
-non ti parlerò mai più!- protestò ignorando le sue parole e camminando verso il taxi, dove si trovavano anche Luke e Lorelai.
-quindi quando mi chiamerai resterai in silenzio? Credo che sia contro le regole di conversazione- disse seguendola con un ghigno sulle labbra: era divertente stuzzicarla.
-non ti telefonerò.
-così vieni meno alla parola data, Gilmore…
-non meriti che la mantenga se fai lo stupido.
-è troppo facile se mi saluti così… “arrivederci”
-i francesi dicono Au revoir!
-europea d’adozione, eh?- le chiese quando avevano raggiunto l’auto, accolti da un “finalmente” gridato dalla piccola Lily.
-hai ragione, scricciolo. Andiamo- disse Jess facendo entrare la sorella nel taxi, poi volgendosi a Rory -allora mi chiamerai?
-forse.
-e parlerai?
-forse.
-mi sembri indecisa.
-forse?-disse divertita.
-messaggio chiarissimo: dovrò sperare nella provvidenza.
-a presto Jess- lo salutò spingendolo nell’auto prima che il tassista si spazientisse completamente.
-arrivederci, Rory.
-idiota- rispose la ragazza sbattendo la porta tirando fuori la lingua, mentre il taxi si allontanava e diventava ogni secondo più piccolo, fino a scomparire.

Luke alzò gli occhi per l’ennesima volta solo per notare la nervosa figura della moglie alzarsi dal divano, prendere la decima rivista della serata, sfogliarla distrattamente, posarla sul tavolino ai loro piedi e risedersi sbuffando sonoramente incrociando le braccia sul petto. Contò mentalmente fino a cinque e, come previsto, Lorelai afferrò il telecomando per iniziare uno stressante zapping; cercò di concentrarsi sul suo quotidiano e l’articolo che rileggeva da almeno cinque minuti senza riuscire a finirlo, ma le voci interrotte dei vari presentatori o degli attori lo irritavano e deconcentravano, quindi richiuse le pagine senza alcun’attenzione e le lasciò cadere alla rinfusa sul pavimento. Da più di una settimana quella stessa scena si ripeteva ogni sera senza varianti e ormai era giunto il momento di smetterla.
-Lorelai- disse schiarendosi la voce –se non c’è nulla da vedere potremmo guardarci una videocassetta. Oppure andare direttamente a dormire, sono quasi le undici e domani dobbiamo lavorare.
-non ho sonno-fu la risposta annoiata e distratta che ricevette. Stringendo i pugni per mantenere tutto l’autocontrollo che possedeva, le prese con delicatezza il telecomando dalle mani e spense il televisore, noncurante delle sue proteste.
-ascoltami attentamente- le disse –so che non è mai facile per te, ma ormai dovresti esserci abituata, no? Non è più una bambina e non vive con te da anni! È naturale che ti manchi, tuttavia non esagerare!
-lo so, ma non posso farci nulla- si confessò la donna stringendosi le gambe al petto –è colpa mia se Rory mi manca? Negli ultimi sei mesi ci siamo viste solo una settimana, sette giorni in cui io ho preparato un matrimonio, mi sono sposata e ho dovuto dividerla con fidanzati, parenti e amici! Vorrei tornare indietro nel tempo a quando era solo una bambina e passava con me tutte le ore della giornata… non mi piace che sia cresciuta e soprattutto odio il fatto che sia a Parigi.
-se andassimo in Francia per il viaggio di nozze…
-no, deve lavorare e non avrebbe tempo per noi, Luke- disse sconsolata –mi sentirei solo più sola. Non ti senti mai sentito abbandonato?
-in un paio di occasioni…- ammise sospirando –Quando Liz è andata a New York e i miei genitori non c’erano più; quando Jess è partito. Anche quando Rory ha cominciato a venire a Stars Hollow sempre meno spesso ho sentito il vuoto che ha lasciato…
-scusami- rispose Lorelai stringendogli la mano. A volte era così presa da se stessa da dimenticare che anche Luke soffriva delle partenze. Ma a dispetto di lei, era meraviglioso a mascherare tutto e a sostenerla in ogni modo –so che per te è come una figlia, e anche Jess… spesso trascuro i tuoi sentimenti.
-no, ma cosa dici! Credo solo che uno dei due debba aiutare l’altro e se la mancanza di Rory ti fa vegetare in questo modo, sta a me risollevarti. Però se ti sbrigassi ad uscire da questo stato di fluttuazione nella tua malinconia…- le disse scherzando.
-grazie- rispose abbracciandolo –so di non essere sola e che tu ci sei, ma manca la presenza di mia figlia e tutto è diverso quando lei non c’è. Prendi Sookie e Jackson: hanno la bambina che corre per casa e tra poco ci sarà anche il secondo… è una gioia avere la confusione che solo loro sanno creare, ti fanno sentire vivo. Da quando lei è cresciuta questa casa è così silenziosa… anche tu puoi capirmi: ricordi quando Jess è venuto a vivere da te? La musica ad altro volume, i libri sparsi ovunque, i vestiti in ogni angolo… innervosiscono, lo so, ma fanno la differenza.
-in effetti quando le sue cose sono sparite dall’appartamento, quelle stanze mi sembravano così vuote! Mi era d’intralcio all’inizio, però il primo periodo senza di lui è stato molto triste ed infatti ti capisco benissimo, Lorelai, ma non dobbiamo abbatterci così. Sai, anche se devo ammettere che mi manca, sono contento di aver rivisto Jess questa settimana e soprattutto sono orgoglioso dell’uomo che è diventato.
-lo so- sorrise la donna –te lo leggo negli occhi e anche lui l’ha capito.
-davvero?
-sì. Immagino che sia valsa la pena dannarsi tanto per lui, no? Hai fatto un ottimo lavoro, Luke.
-ha fatto tutto da solo.
-no, tu gli hai dato la spinta iniziale. Sarai un buon padre un giorno.
-cosa?- chiese l’uomo irrigidendosi; all’improvviso collegò i discorsi che avevano fatto quella sera e tra bambini, donne incinte e capacità di essere un buon genitore, il dubbio s’insinuò nella sua mente –Lorelai, non sarai…
Il sorriso sornione di lei lo fece divenire ancor più teso e si sentì venir meno, ma fortunatamente Lorelai decise che il gioco poteva diventare pericoloso e, ridendo, scosse la testa. Luke emise un profondo sospiro di sollievo, mentre lei riprendeva a parlare: -ma mi piacerebbe avere un’altra piccola Rory per casa prima o poi. Ora che l’hotel è avviato avrei tempo per occuparmene come una buona madre. So che non ne abbiamo ancora parlato e adesso credo di volermi godere un po’ la vita da neo sposini, ma…
-anche a me piacerebbe- le rispose con sincerità. Aveva pensato mille volte di avere un figlio da lei e la possibilità si era concretata nel momento in cui aveva accettato di sposarlo –e credo che potremmo aspettare qualche mese o un anno e nel frattempo fare qualche tentativo…
-mi sembra un piano- rispose avvicinandosi pericolosamente, il pensiero della figlia dimenticato.
-lo è- rispose Luke baciandola- e credo che Rory ne sarà entusiasta.
-è quello che penso anch’io. Immagino che sia strano avere una sorella o un fratello a ventitré anni, ma conoscendola non vedrà l’ora di stringerlo tra le braccia! Ha sempre venerato i bambini e con Giorgia va d’accordo, per non parlare poi di Maggie: si adorano a vicenda! Devo chiamare e darle la buona notizia!- disse Lorelai scattando in piedi e correndo verso il telefono.
-a Parigi saranno le cinque di mattina, credo che Rory sarà felice di sapere la novità ad un orario decente… gliene parlerai domani, quando ti chiamerà- la convinse.
-ok, farò come dici a patto che…
-che?
-che tu, mister, venga a farmi compagnia su in camera… abbiamo un progetto ed è bene iniziare con un po’ di pratica, non credi?
Luke sorrise, mentre la sua sposa saliva le scale, e spense in fretta le luci per poi seguirla, con in mente il pensiero di una culla e l’immagine di una Lorelai che stingeva tra le sue braccia un fagotto che avrebbe portato il suo cognome.

-no, non c’era nessuno della mia età- rispose Lily all’amica mentre entrambe prendevano posto ad uno dei tavolini dell’Inferno –Giorgia era la più grande ed ha sette anni! E poi non è per nulla matura, sembra una bimbetta viziata. Avresti dovuto vedere sua madre: era costantemente al telefono o in bagno a truccarsi. Ho giocato un po’ con Maggie e l’ho trovata molto più simpatica di Giorgia, anche se ha solo cinque anni.
-da come ne parli sembra abbastanza noioso…
-no, anzi mi sono divertita molto! Le persone che vivono in quella città sono un po’ strane e ti fanno fare un sacco di risate. E poi ho conosciuto Luke e Lorelai: sono divertentissimi!
-e chi sono?- le chiese la ragazzina mescolando distrattamente il suo frullato con la cannuccia. Non vedeva Lily da più di una settimana e voleva sapere tutto di quel posto in cui era stata.
-Luke è lo zio di Jess: ha un locale e indossa sempre una camicia di flanella e il cappellino da baseball. In apparenza può sembrare un po’ burbero, ma è buffissimo. Una mattina l’ho anche aiutato ad cucinare i pancakes in cucina: lui non lo fa fare mai a nessuno- proferì con orgoglio.
-e perché?
-beh, mi hanno raccontato che una volta Lorelai ha tentato di cuocersi un hamburger e per poco tutto prendeva fuoco. Rory dice che è capace di fare solamente il caffè: l’elisir degli dei, noi non abbiamo bisogno d’altro. Mi hanno persino raccontato che se avesse potuto, Gesù all’ultima cena avrebbe preferito muffins e caffè al pane e vino… Non sono d’accordo, ma loro due ne sembrano convinte- continuò mettendosi in bocca un’enorme cucchiaiata del gelato che Jimmy le aveva appena appoggiato sul tavolo, ma l’espressione interrogativa di Tammy la costrinse ad abbandonare quella ghiottoneria e a spiegarsi meglio; -Lorelai è la moglie di Luke, mentre Rory è sua figlia.
-Oh. Beh, mi sembrano divertenti. Forse un po’ svitate…
-Stanne certa! Al matrimonio c’era anche la madre di Jess. Lei vive a New York e presto anche lui ci tornerà per lavoro- le confidò rassegnata. Tammy sgranò gli occhi e fissò il suo sguardo sull’amica in attesa di chiarimenti; aveva sempre avuto una certa adorazione per Jess: era così diverso dai maschi della loro età! Non l’aveva mai presa in giro, ma era sempre stato gentilissimo, anche se a volte un po’ scostante, ma quello faceva parte del suo carattere.
-si trasferisce? Ma sei sicura?
-sì, è successo all’inizio della settimana. Un progetto che a quanto pare aveva in mente da un po’ di tempo. Ho cercato di fargli cambiare idea, ma… ha promesso che ci sentiremo spesso.
-cavolo… New York è dall’altra parte dell’America!
-un po’ mi fa arrabbiare non poterlo vedere più molto spesso, ma sono anche contenta per lui: quella è casa sua, quella vera, ed è giusto che viva lì. È un sogno che si realizza e poi…
-poi?
-e poi c’è Rory, la figlia di Lorelai. Anche lei abita lì e potranno vedersi.
-sono amici?
-è una situazione un po’ strana- le spiegò Lily corrugando la fronte facendo mente locale per spiegarsi il più chiaramente possibile –al liceo, quando Jess viveva con Luke, stavano insieme, poi lui è venuto qui e non si sono più visti né sentiti. Ora lei ha un fidanzato e lavora a Parigi, ma presto tornerà negli Stati Uniti.
-Wow! Parigi è in Francia! Dev’essere una tipa in gamba!- esclamò Tammy quasi con ammirazione. Conosceva alcune ex di Jess e aveva una chiara idea del tipo di ragazza che era solito frequentare, ma sembrava che a Lily quella piacesse molto, quindi non era come le altre.
-sì: è intelligentissima e simpatica, spiritosa. E poi adora leggere, esattamente come mio fratello. Abbiamo chiacchierato diverse volte di libri e mi ha dato consigli, chiarimenti…
Aveva gli stessi interessi di Jess; ricordava la prima volta in cui lo aveva incontrato: era successo alcuni anni prima, a casa dell’amica, e lui se ne stava seduto sul divano, con della musica assordante a tutto volume e la sua attenzione completamente riversata nelle pagine di Anna Karenina … da allora ogni volta aveva fatto caso a cosa aveva tra le mani o nelle tasche dei pantaloni e mai una volta l’aveva trovato sprovvisto di un libro.
-…ed è bellissima- continuò l’amica aprendo lo zaino e prendendo alcune foto dalle pagine di un quaderno –guarda, è lei.
Tammy afferrò la fotografia: raffigurava un uomo e una giovane donna dai lineamenti quasi angelici. Scrutò attentamente quella ragazza che Lily le aveva indicato: aveva i capelli un poco più lunghi delle spalle, lisci, un sorriso che avrebbe potuto definire spontaneo, perché nel suo atteggiamento non sembra esserci nulla d’artificiale, premeditato, c’era naturalezza nel modo in cui i suoi occhi penetravano l’obbiettivo e soprattutto brillavano più di ogni altra cosa. Anche i suoi vestiti non avevano nulla di speciale: un paio di jeans e una maglietta che però non la facevano sembrare scialba; era come se lei stessa conferisse un aspetto più sfarzoso anche a quei miseri indumenti.
-e lui?- chiese indicando il ragazzo –è il suo fidanzato?
Lily fece cenno di sì con la testa e Tammy riprese a guardare le altre foto, soffermandosi su una in cui comparivano quella ragazza e Jess; -perché sei felice che torni a New York se lei ha già un ragazzo?- le chiese –non crederai che si metteranno insieme, vero? Lei ha già qualcuno e tuo fratello è talmente bello che ogni settimana esce con una ragazza diversa…
La piccola assunse uno sguardo malizioso e spiegò che le era sembrato che fosse geloso di Matt; -io non so molto di queste cose, ma c’era qualcosa tra loro… quando si guardavano… non so spiegartelo. È come nei film, quando i due innamorati hanno una di quelle scene romanticissime in cui si fissano intensamente e stanno per baciarsi con passione: tra Jess e Rory era come se ogni volta si presentasse quel momento prima del bacio. Inoltre il primo giorno, quando si sono visti, c’è stato un lungo abbraccio e se io non li avessi interrotti forse non si sarebbero mai staccati!
-esagerata!- l’ammonì credendo che stesse gonfiando qualcosa che in realtà non esisteva –forse ti stai immaginando tutto, Lil. Che mi dici di Kate?
-non stanno più insieme, lo sai- le rispose lapidaria. Odiava Kate. All’inizio le era indifferente, ma quando aveva saputo che stava facendo soffrire Jess aveva iniziato a disprezzarla con tutto il cuore.
-è vero, ma ieri ero da mia zia e c’era anche lei. Diceva che non era tardi e che gli avrebbe fatto capire quando fossero importanti l’uno per l’altra. Vuole tornare insieme a Jess.
-cosa?!- gridò scandalizzata da quella faccia tosta –è una strega, lui non la rivorrà mai, non ora che ha ritrovato Rory!
-ma…
-ti sta raccontando di Stars Hollow, vero?- l’interruppe Sasha arrivando alle spalle della figlia e vedendo le fotografie del loro soggiorno sparse sul tavolino, -la prossima volta potresti venire con noi. Lil si è divertita molto e quella è una città perfetta per i bambini.
-non siamo più delle bambine- la corresse Lil.
-oh, certo. Beh, allora Stars Hollow è perfetta delle ragazze della vostra età- disse sorridendo alla puntualizzazione di quella bimbetta di soli dodici anni.
-hey!- si aggiunse una voce alle loro spalle. Tammy balzò dalla sedia quando si accorse di Jess e sperò di non essere troppo in disordine. Sapeva che era inutile, lei era solo un’amica di sua sorella, ma ci teneva ad apparire presentabile in sua presenza.
-ciao Jess.
-ciao Tammy- le rispose alzando la mano che conteneva il libro che aveva letto lungo il tragitto alla spiaggia: Il codice da Vinci, di Dan Brown.
-Lil ha detto che lasci Los Angeles- gli disse ricevendo in cambio un semplice sì, mentre Sasha catturava la sua attenzione parlando della torta che avevano preparato quel pomeriggio e chiedendogli se sarebbe andato a cena da loro per assaggiarla. Rispose che non sarebbe mancato e che prima aveva alcune commissioni da sbrigare.
-non stare via troppo tempo- gli disse Sasha sorridendo –credo che qui un sacco di bambine sentiranno la tua mancanza!
Jess si lasciò sfuggire un sorrisetto al pensiero di tutte le compagne di Lil, Tammy compresa, che avevano una cotta per lui, il fratello maggiore della loro amica.
-decine di piccoli cuori spezzati!-continuò la fidanzata del padre, ricevendo in risposta un “sono piccole, le ferite si rimarginano in fretta alla loro età” detto senza pensare e seguito dall’immediata fuga per evitare di dare qualsiasi altra spiegazione.


 
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Elena_R
view post Posted on 23/8/2004, 17:58




# # Ho fatto un elementare calcolo di orari e, anche se non sono certa, vi lascio un paio di riferimenti dato che in questo capitolo si tratta in prevalenza di Rory e Jess, quindi Parigi e Los Angeles. Non ho idea se anche in USA o Francia vengono adottate l’ora solare e legale, se c’è questa distinzione, intendo, e i miei dati sono puramente indicativi, quindi lasciamo un margine di errore di 60 minuti circa, ok? Dalle info del mio cellulare ho ricavato che: se a Parigi è, per esempio, mezzanotte, a Los Angeles sono le 15.00 (del giorno prima, ovviamente) e a New York le 18.00. spero che non sia troppo noioso(l’idea iniziale era un po’ diversa, ma per renderlo davvero interessante avrei bisogno di un paio di attori e una telecamera… la telecamera ce l’ho ,ma gli attori no- anche se avere Milo qui non sarebbe male!-) e, per la cronaca, è ambientato all’incirca un mese e mezzo dopo il matrimonio.

Grazie mille e buona lettura. # #




Rientrando nei locali condizionati dell’ufficio, dopo aver passato l’intera mattinata a camminar per le strade di Parigi sotto un sole cocente, Rory si sentì rinascere. Fortunatamente il clima, in quella parte della Francia, non era tra i più torridi, ma c’erano giorni in cui sembrava di essere in Africa, tanto la temperatura era elevata. Il più delle volte quelle giornate estive erano accompagnate da un venticello fresco e rigenerante che attenuava l’effetto spossante del caldo, ma in quel martedì 19 luglio c’era proprio qualcosa di anomalo.

Entrata in ufficio aveva ricevuto la telefonata di un collega che diceva di correre dall’altra parte della città, dov’era in atto una rapina correlata di sequestro di persona. Rory aveva avuto appena il tempo di avvisare il suo redattore ed era corsa a prendere un taxi, ma si sa che se ne cerchi uno urgentemente, questo non arriva mai e l’attesa sotto la nostra grande stella, senza un centimetro d’ombra, non era ciò che le aveva fatto cominciare bene la giornata. Quando finalmente era riuscita a raggiungere la banca in questione aveva trovato l’anarchia totale: parenti, poliziotti, giornalisti e curiosi riuniti in una bolgia infernale in cui il caos regnava sovrano. La polizia non dava notizie e tutti erano nervosi per quell’ostinato mutismo, oltre che preoccupati per gli ostaggi tenuti prigionieri dall’orario di apertura. François, il fotografo che le era stato assegnato, si era trovato da quelle parti per caso quando tutto era accaduto e ciò aveva consentito al loro giornale di essere stato il primo ad avere la notizia, ma la situazione era incerta e non avevano idea di cosa fare. Data la testardaggine delle autorità nel non voler dire nulla, Rory era arrivata alla conclusione che starsene ferma ad aspettare i loro comodi non avrebbe portato a nulla, così aveva iniziato a fare domande in giro, scoprendo che tra gli ostaggi si trovava anche la sorella di uno dei ministri francesi. Dopo un paio d’ore iniziarono le trattative e lei rimase stupita ed affascinata da quelle procedure, tanto da prendere contemporaneamente appunti sia per l’articolo sulla rapina sia per un pezzo da scrivere per il Times sui rapporti tra autorità e criminalità e il loro punto d’incontro.

Erano le undici quando gli ostaggi furono rilasciati e da quel momento era corsa da una persona all’altra per ricavare notizie più dettagliate. Ognuna di esse si trovava in stato di shock, impaurita, ma felice e quella era la parte del suo lavoro che più odiava: dover entrare nella loro vita per chiedere delle sofferenze che avevano appena patito. Quegli uomini e quelle donne avrebbero meritato la calma più assoluta per potersi riprendere, ma lei doveva scrivere ed informare altri cittadini; per la comunità i sentimenti, i loro o i suoi, sarebbero passati in secondo piano.

Avendo raccolto sufficiente materiale, lei e François erano rientrati “alla base” e si erano divisi: lui in laboratorio fotografico per lo sviluppo delle immagini, lei per raccogliere quelle frasi confuse e dare loro una coerenza. Riordinare le parole era facile, ma ciò che a volte la faceva impazzire era dare qual taglio accattivante e provocatorio, ma non troppo, che avrebbe attirato l’attenzione del lettore sui fatti. E su di lei. In inglese era molto più semplice, ma anche il suo francese era ottimo: ogni giorno studiava il dizionario e leggeva miriadi di libri in lingua. Eppure quella non era la sua e nulla poteva cambiare quella realtà. La Francia e Le monde erano una parentesi e forse un giorno sarebbe diventata davvero come Christiane Amapour, anche lei avrebbe parlato all’America da posti lontani, sarebbe stata al centro dello schermo con sullo sfondo immagini apocalittiche di luoghi con nomi impronunciabili che pochi conoscono. A volte temeva di essere troppo ambiziosa e di aver costruito un castello di sabbia che pensava potesse proteggerla, ma la sabbia vola con la più leggera brezza e quel castello avrebbe potuto rivelarsi un vano alloggio.

Scacciando questa negatività dalla testa si diresse immediatamente verso la scrivania dove quella mattina aveva dimenticato il suo termos di caffè preparato in hotel e se ne versò un’enorme tazza. Guardando l’orologio vide che mezzogiorno era passato e si rese conto del brontolio del suo stomaco. Lasciando la tazza vuota sul tavolo, raccolse i suoi appunti e camminò per alcuni metri, fermandosi da una ragazza concentrata ad ordinare sul suo foglio elettronico gli annunci di lavoro.

-Ciao Marie!

-Ciao Rory! Ho saputo della rapina- rispose la ragazza sfilandosi gli occhiali da vista –per fortuna è andato tutto bene.

-già. Ascolta, sto andando dal capo per fare il punto della situazione, ma dopo potremmo pranzare insieme.

-certo, allora a dopo!- disse rimettendosi al lavoro, mentre Rory la lasciava con un sorriso e andava ad affrontare Monsieur Bublè.


L’odore della notte era uno di quelli che preferiva. Camminando riusciva a distinguere perfettamente la fragranza emanata dalle piante che costeggiavano la carreggiata, la vernice fresca delle panchine pitturate lo stesso pomeriggio, l’odore dell’alcol e del fumo che impregnavano i suoi vestiti. Le strade erano quasi deserte, ad eccezione di pochi nottambuli come lui, e anche lo smog era salito in alto verso il cielo liberando le vie e facendo spazio al profumo della natura e della vita.

Arrivato al suo palazzo cercò le chiavi nelle tasche, e se non fosse stato consapevole di aver bevuto un paio di bicchieri in più avrebbe giurato di sentire anche l’odore del mare. Messo da parte questo pensiero (soprattutto perché viveva a decine di chilometri dall’oceano) salì le scale fino alla porta di casa e, dopo un paio di tentativi per aprire la serratura con le chiavi sbagliate, riuscì ad entrare.

Tutto taceva e le tenebre regnavano sovrane divorando l’arredamento. Lasciò cadere il mazzo di chiavi su un tavolino, che era certo fosse a sinistra della porta, e camminò in quell’immensità oscura senza la minima esitazione: conosceva la casa come le sue tasche e non aveva bisogno della luce per evitare i mobili. In pochi secondi la vista si era abituata al buio e riusciva a scorgere la sagoma del divano. Senza pensarci due volte vi gettò la giacca che aveva stretto tra le mani lungo tutto il tragitto fino a casa, e iniziò a sbottonarsi la camicia dirigendosi in cucina. Aveva la gola secca per aver parlato continuamente con i suoi amici, bevuto e inalato per ore null’altro che fumo, e di conseguenza ora aveva bisogno di qualcosa di assolutamente analcolico.

D’ora in avanti avrebbe chiamato il suo frigorifero “Sahara”: oltre ad una solitaria carota, mezzo limone e l’acqua, non c’era nulla, il deserto. Afferrando la bottiglietta di plastica si disse che domani avrebbe fatto un po’ di spesa. Oppure avrebbe fatto colazione in ufficio, come al solito, e cenato da Jimmy. La seconda ipotesi era quella che gli andava maggiormente a genio, tanto più che non lo vedeva da diversi giorni. Non era per nulla abituato a mangiare a casa e come casalingo era un vero disastro. Soddisfatto il suo bisogno d’irrigazione, si diresse verso la camera da letto e, passando nuovamente di fianco al divano, gettò con precisione la camicia sulla giacca.

I numeri rossi della sveglia segnavano le tre del mattino e Jess ringraziò mentalmente Sean per avergli permesso di iniziare a lavorare alle dieci il giorno dopo. In fin dei conti quella sera era stato lui il festeggiato. Con un rapido gesto scoprì il letto e lasciò che lenzuola e copriletto restassero ammucchiati in un angolo: nonostante fosse notte fonda c’era abbastanza caldo da fare volentieri a meno di qualsiasi indumento. Prima di cadere sul materasso e non rialzarsi più si forzò verso il bagno e qui dovette schiacciare l’interruttore. In un primo momento la luce improvvisa gli accecò gli occhi e fu costretto a chiuderli per diversi secondi. Lasciò le scarpe fuori dalla porta e, a torso nudo con indosso solo un paio di jeans neri, si guardò allo specchio: i capelli erano il solito disastro, arruffati, direzionati verso i quattro diversi punti cardinali; passava minuti interi la mattina a posizionarli correttamente con il gel e il caos lo decideva lui, però dopo un’intera giornata prendevano vita e facevano quello che volevano, ma nessuno aveva mai notato la differenza; la barba iniziava a crescere e le occhiaie scendevano verso il basso. Gli occhi sanguigni, quasi spiritati, avrebbero potuto farlo passare per un dipendente da qualsiasi cosa; per attenuare rossore aprì il rubinetto e fece scorrere l’acqua fredda per poi lavarsi la faccia: nessun cambiamento. L’effetto adrenalinico dell’alcol stava calando facendolo sentire molto stanco e accaldato. Mentre l’acqua continuava a scrosciare infilò la testa sotto il rubinetto: era gelata. Tornando a guardarsi allo specchio non notò alcun miglioramento e i suoi capelli erano ora appiccicati alla fronte: “orribile” era l’unica parola con cui potesse autodefinirsi. Capendo che non c’era nulla da fare, si lavò i denti in fretta, evitando con cura di cogliere di nuovo il riflesso di se stesso; spense la luce e, finalmente, lasciò cadere il suo corpo inerme sul desiderato letto. Non cercò nemmeno di togliersi i pantaloni, poiché in pochi minuti sarebbe stato nel mondo dei sogni e non ci avrebbe fatto più caso. Spostando distrattamente lo sguardo verso la finestra vide la spia rossa della segreteria telefonica che stava sul comodino: lampeggiava. Raccogliendo le sue ultime forze allungò il braccio e spinse il tasto Play, complimentandosi con se stesso per l’estenuante azione che aveva appena compiuto.

“ciao Jess!” disse la voce della sua sorella preferita mentre, pur restando sveglio, socchiudeva le palpebre; “quando ci siamo sentiti stamattina mi sono dimenticata di dirti una cosa: domani sera devi assolutamente venire a cena da noi… io e la mamma vogliamo prepararti una cosa che ti piacerà moltissimo. Ok? Ciao!”

Jess sorrise: il problema cibo era risolto e non aveva nemmeno dovuto autoinvitarsi!

“signor Mariano, salve. Sono Parker, dell’agenzia immobiliare. Volevo informarla che abbiamo un appartamento nel Greenwich Village che fa al caso suo. Mi sono permesso di mandarle alcune informazioni al suo indirizzo e-mail. mi faccia sapere cosa ne pensa. Buon giorno.”

Alla fine del secondo messaggio sospirò: anche se non sapeva la data precisa, il suo trasferimento a New York si avvicinava sempre più e non era ancora riuscito a trovare una casa adatta a lui: troppo grande, troppo piccola, troppo costosa, economica ma a pezzi… Liz si era offerta di ospitarlo, ma vivere insieme era pericoloso: non aveva intenzione di rivivere gli anni in cui tra loro era un inferno dividere le stesse quattro mura. Annotò mentalmente di controllare la posta il giorno dopo appena arrivato in ufficio, sperando che quella fosse la volta buona.

“Ciao Jess” iniziò la terza voce, la più dolce di tutte, e al solo udirla i suoi occhi si spalancarono, mentre i pensieri riguardo l’appartamento svanivano; “ho provato a chiamarti sul cellulare, ma era spento. Sono le… 10.30, quindi credo che in California sia all’incirca l’una e mezza di notte. Non immagini che confusione c’è qui: sono davanti ad una banca, c’è stata una rapina, alcuni ostaggi sono dentro con i rapitori da alcune ore e la polizia si diverte a non lasciar trapelare nessun’informazione.”

Jess sentì delle voci confuse in sottofondo, nessuna riconoscibile, poi i rumori si affievolirono facendosi più tenui, quasi fino a sparire; probabilmente Rory si era allontanata dal trambusto.

“e dato che ci ignorano completamente e non succede nulla, ho pensato di chiamarti. Dovevi uscire stasera, o sbaglio? Data l’ora immagino che sarai fuori a festeggiare… non so se riuscirò a richiamarti, perché oggi ho una giornata pienissima e, indovina? Niente caffè! Dalla fretta ho lasciato il mio preziosissimo termos in ufficio… oh, sembra che stia accadendo qualcosa. Scusami, ma devo andare. Spero di sentirti presto e, mi raccomando, fai il bravo...”

Ci fu una pausa e Jess credette che la telefonata fosse finita lì, ma… “…E buon compleanno!”

Un bip indicò che i messaggi erano finiti e lui, col sorriso sulle labbra, chiuse gli occhi, pronto per dormire, finalmente, cullato da un piacevole augurio.


Quando a New York le era stata comunicata la decisione di trasferirla in Francia, aveva iniziato a fare mille congetture sui nuovi orizzonti e aspettative, lavori meravigliosi, interessanti e pericolosi, segreti di stato, indagini su punti oscuri di quei francesi considerati l’èlite dell’intero universo. La Francia, caratterizzata dalla sua cucina, dai vini, i formaggi, la moda, re e regine, monumenti secolari e una storia ricchissima, corrispondeva esattamente all’immagine che per decenni aveva dominato nella sua mente. A casa si era sempre occupata di articoli su fatti minori di cronaca, nessun articolo sensazionale, ad eccezione di pochi apparsi in prima pagina. Lorelai Leigh Gilmore non era una rinomata giornalista, e quando la scelta di sostituta collaboratrice da Parigi era caduta su di lei, era stata costretta a pizzicarsi per rassicurarsi che quello non fosse un sogno: il braccio le aveva fatto male per almeno due ore e quella era la realtà. Non aveva idea del motivo per cui lei era stata tra le favorite; a suo parere almeno dieci colleghi avrebbero meritato quel posto più di lei. Eppure era stato fatto il suo nome, così aveva ripreso a sognare: l’Europa significava tradizione, politica, avventura, intrighi. E Rory n’avrebbe fatto parte. Si era immaginata tra persone importanti, le più alte cariche dello stato, con un bicchiere di vino bianco tra le mani e un sorriso seducente ma professionale mentre ascoltava il rappresentante francese a Strasburgo parlare dei progetti per l’Unione Europea. Avrebbe sorseggiato il suo aperitivo, detto la sua opinione, conquistato l’interesse del politico e arrossito con grazia ai suoi complimenti sulla competenza che dimostrava.

Ma la realtà era stata diversa, soprattutto all’inizio. La redazione l’aveva completamente ignorata, il redattore Bublè l’aveva giudicata “une jolie fille avec une cervelle d’oiseau * ”. Forse la colpa era stata sua: il primo giorno si era presentata con una gonna, quando invece un paio di pantaloni sarebbero stati più indicati e le avrebbero dato sicuramente un’aria maggiormente professionale. L’aveva letteralmente odiato e per alcuni giorni si era comportata esattamente come lui si aspettava: un paio di gambe privo di cervello. Se non fosse stato per Marie, non avrebbe avuto la forza di tirar fuori le unghie e dimostrargli che era un’ottima giornalista e che se era stata scelta per quel lavoro il motivo non era il suo bel faccino. La collega l’aveva incoraggiata ad uscire allo scoperto, a non avere paura di lui e delle sue battute, a fargli vedere che meritava quel posto e finalmente anche lui aveva iniziato a portarle il dovuto rispetto, anche se i lavori che le assegnava non erano mai tra i più importanti: altri fatti di cronaca, come a New York, qualche pezzo su argomenti specifici da pubblicare nei vari inserti e persino un paio di recensioni letterarie. Rory aveva adempiuto i suoi doveri senza battere ciglio e Monsieur Bublè aveva avuto prova di quanto fosse poliedrica.

Veniva messa costantemente sotto esame da più di tre mesi, ma era arrivato il momento della ribalta…

Finendo di battere al computer le ultime parole del suo articolo sulla rapina di quella mattina, sorrise ripensando al colloquio avuto pochi minuti prima nella sala riunioni: una video-conferenza con quelli del N.Y. Times per comunicarle una fantastica notizia, un’intervista importante per la quale scrivere un articolo destinato ad entrambe le testate, sia quell’americana che quella francese, e una registrazione di cinque minuti che sarebbe stata trasmessa dalla famigerata CNN. Alle parole del suo vecchio direttore si era pizzicata nuovamente il braccio e gridato un “Ahi!” di dolore che aveva fatto suscitato l’ilarità di tutti i presenti. Bublè aveva riso e detto espressamente che la spontaneità era una delle qualità che più apprezzava in lei. Spontaneità? Quanto era vero che quelle persone non la conoscevano! Rory non era mai spontanea con loro, non quanto avrebbe voluto. Era se stessa solo a casa, con Matt, con le persone più care, sua madre, Lane. Ma loro non erano a Parigi. Si liberava del carattere professionale e perfettamente impostato solo quando rientrava in hotel la sera e prendeva in mano il telefono per sentirli. A volte accadeva anche con Marie, si lasciava andare, ma riusciva sempre a fermarsi prima di rivelarle la “Rory più vera”, quella che era rimasta a New York. E le cose erano peggiorate da quando era tornata dal matrimonio… Scosse la testa, scrollando i pensieri cattivi, e salvò l’articolo. Raccolse le sue cose, spense il computer e si affrettò ad uscire: entro due giorni avrebbe messo piede nell’Eliseo per intervistare il presidente, e non aveva nemmeno un vestito decente per l’occasione.



(* una graziosa ragazza con un cervello da gallina = un’oca)



Il rumore continuo dei tasti battuti dagli impiegati ai loro computer, il trillare incessante dei telefoni e la solita risposta ripetuta simultaneamente da due o tre persone lo stavano facendo impazzire, nonostante avesse messo piede nell’edificio da due soli minuti. Camminando lungo il corridoio che portava al suo studio, diede un’occhiata alla mezza ciambella che non era ancora riuscito a finire e la gettò nel cestino più vicino, preferendo un sorso del caffè nero che aveva acquistato poco prima al bar. La testa gli scoppiava e al solo pensiero di immettere qualcos’altro di solido nel suo stomaco gli saliva la nausea: doveva smettere di bere smoderatamente, cominciava a soffrire troppo delle conseguenze.

-Hey, Jess!- lo salutò Keith, uno dei ragazzi che lavoravano per lui e Sean; erano amici da quando entrambi erano stati assunti alla casa editrice. Insieme ne avevano combinate di tutti i colori. Keith era come lui, uno sopra le righe che se ne fregava di tutto e di tutti. Si erano diplomati alla stessa scuola, ma a quei tempi Jess aveva evitato accuratamente di stringere amicizia con quel ragazzo che portava guai: non aveva bisogno di perdersi in altri casini. Aveva vissuto coi paraocchi per un anno, studiato da solo, ignorato ragazzi e ragazze. Erano stati dodici mesi di solitudine e riflessione, lontano da tutte le complicazioni della vita: aveva bisogno di chiarire troppe cose e distrarsi non rientrava nei progetti. Le loro strade, come per un segno del destino, si erano incrociate in quegli uffici: Keith era il fratello di un amico di Sean ed era stato assunto come fattorino, segno che per il capo le raccomandazioni non portavano favoritismi nella gerarchia. La loro era un’amicizia iniziata con una discussione e, per ironia della sorte, l’oggetto dell’intero discorso era stato Hemingway: il ragazzo provava un odio viscerale per le sue opere e Jess non era riuscito a convincerlo che invece i suoi testi sfioravano il meraviglioso.

Strano come molti degli incontri importanti della sua vita fossero legati alla letteratura…

I libri erano il suo punto d’incontro col mondo, la porta di sé che apriva per far entrare gli altri; e il vecchio Ernest in qualche modo era sempre presente.

-lascia che ti dica una cosa- continuò dopo che l’ebbe salutato –oggi fai proprio schifo.

-E’ commovente che tu abbia sempre una parola di conforto per me, Keith- rispose. Quel suo lato gli piaceva: nonostante fosse il suo capo, l’atteggiamento del compagno non era mutato; non erano il dipendente White e il signor Mariano, ma semplicemente Keith e Jess.

-e a questo che servono gli amici- continuò l’altro –ma fatico a credere che per due birrette tu abbia quell’aspetto così sbattuto.

-sai benissimo che le birre erano solo l’inizio. Non ricordo nemmeno più quanto ho bevuto. In questo momento ho davanti solo il tavolo ricoperto di bicchieri vuoti impilati uno sopra l’altro. E se cerco di contarli… la mia testa scoppia.

Passò oltre, ignorando la risatina di Keith, prendendo mentalmente nota di chiedergli spiegazioni più tardi. Sulla porta dell’ufficio trovò Claire, la sua efficientissima segretaria, sorridente e pronta a lavorare come sempre.

Dopo un rapido ‘buongiorno’ la ragazza cominciò ad elencargli le persone che avevano chiamato in sua assenza, leggere i messaggi lasciati e i cambi di appuntamento. Jess l’ascoltò con distrazione, troppo occupato a sedersi e ignorare il martello pneumatico nel suo cranio. Claire era una stacanovista ed era proprio grazie al suo zelo se lui riusciva bene nel suo lavoro. Come avrebbe fatto a New York senza di lei?

Quando non la sentì più parlare, alzò gli occhi al suo viso e la ringraziò, pregandola di lasciare le varie rettifiche sulla sua scrivania e portargli un’aspirina. Nel momento in cui il clic della serratura gli indicò che la ragazza era lontana e la porta chiusa, si scrollò di dosso il residuo di compostezza che aveva tenuto fino a quel momento e scivolò all’indietro sullo schienale della sua sedia. Concentrarsi sul lavoro l’avrebbe aiutato ad ignorare il dolore, quindi accese il computer e, come prima cosa, controllò la posta in arrivo. Tra le mail individuò immediatamente quella di Parker dell’agenzia immobiliare; dalle immagini allegate sembrava una sistemazione perfetta: un attico spazioso, ma non troppo dispersivo, nel Greenwich Village, poco lontano da quello che era ancora il cantiere e in una delle zone più belle dell’intera città. Finalmente l’agente aveva trovato ciò che corrispondeva esattamente ai suoi desideri ed era riuscito ad accontentarlo. Su un post-it annotò di chiamare Luke per controllare l’attico; avrebbe potuto coinvolgere anche Liz, dopotutto era sempre sua madre.

L’Est, la casa… tutto portava la sua mente ad un unico pensiero: Rory. Guardando l’orologio pensò che fosse un orario opportuno per chiamarla e ringraziarla per il messaggio che la sera prima aveva lasciato sulla sua segreteria; essendo amici era normale sentirsi, tanto più voleva ricambiare una cortesia, quindi perché farsi tante paranoie? Ovvio, non voleva sembrare ossessivo, non voleva che Rory capisse… se fosse stata una persona senza importanza non gli sarebbe passato nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di ringraziarla. Ma lei era importante, eccome se lo era!

Fissò insistentemente il telefono per alcuni secondi, poi si decise ad afferrarlo: si sentivano all’incirca un giorno a settimana ed n’erano passati già otto da quando avevano parlato per l’ultima volta. Respirò profondamente mentre digitava il numero che ormai conosceva a memoria, ma arrivato all’ultima cifra Claire fece il suo ingresso dalla porta, sorriso sulle labbra e aspirina e bicchiere d’acqua tra le mani.

-ecco a lei, signore- disse con la sua caratteristica educazione –l’informo che il suo primo appuntamento della giornata è arrivato: lo faccio entrare?

“Domanda retorica” pensò Jess rimettendo la cornetta al suo posto e sostituendola con il bicchiere di vetro gelido. Fece un cenno positivo con la testa e la ragazza sparì, mentre lui portava alla bocca la compressa bianca; non ci aveva fatto caso, ma per qualche minuto il mal di testa era stato dimenticato. Ora però tornava a farsi sentire.



-sono così orgogliosa di te, tesoro! Sapevo che prima o poi avresti avuto la tua occasione d’oro! Sei proprio in gamba, ma d’altra parte da una donna come me poteva nascere solo un essere eccezionale.

Rory sorrise all’entusiasmo della madre; -non immagini quanto sia tesa!- rispose guardandosi allo specchio mentre si metteva un paio di orecchini con pietre azzurre come i suoi occhi, -ho girato metà Parigi per trovare un vestito adatto, ma o erano abiti troppo seri, quasi funerei, o frivoli. Ma chi ha detto che la moda francese è tra le più belle ed eleganti?

-non chiederlo a me, tesoro. Sai che io vesto solo Cavalli- sentì dire dall’altra parte dell’apparecchio telefonico; -tuttavia qualunque cosa indosserai andrà bene, perché Chirac s’innamorerà di te!

-oh, certo! Ho perso dieci anni della mia vita china sui libri per diventare una professionista, quando sarebbe bastato un sorriso per far sì che il presidente della Francia si prendesse una cotta per me. Che stupida…

-potrebbe nascere un altro sex-gate: Clinton/Levinsky: il ritorno in versione parigina.

-che schifo!- gridò Rory indignata infilandosi velocemente le scarpe, -io sto per andare a cena e ora mi è passato l’appetito! Grazie mille, mamma. E poi non sono una stagista.

-non preoccuparti, ti tornerà nel giro di due minuti. Piuttosto non mi hai ancora detto se hai comprato qualcosa per Jacques oppure no.

-dopo aver camminato in lungo e in largo per chilometri, aver provato decine di abiti e aver fatto impazzire altrettante commesse, finalmente ho trovato un delizioso paio di pantaloni color avorio e una camicetta bianca molto raffinata: sobrio, ma elegante e professionale allo stesso tempo. Pensavo di indossar anche il filo di perle che Matt mi ha regalato per Natale e probabilmente terrò i capelli raccolti sulla nuca.

-ah- fu la risposta che ricevette, e quell’unico suono bastò a farle avere un attacco di panico.

-ah?! È tutto quello che hai da dire? E’ meglio che li tenga sciolti? O forse dovevo comprare una gonna! Lo sapevo… c’era quella bellissima linguette che gridava “sceglimi!” e la commessa mi aveva detto che sembrava fatta su misura per me, ma io non l’ho ascoltata. Anche tu mi hai sempre detto che sono delle bugiarde pronte a tutto pur di farti spendere i soldi nel loro negozio.

-Rory, calmati! Sono sicura che sarai bellissima, professionalissima e sobrissima.

-“professionalissima e sobrissima”?-le chiese arricciando il naso si fronte a quell’insolita e agrammaticale scelta di aggettivi.

-esattamente. Inoltre l’intervista verrà benissimo e tutta l’America ti apprezzerà come fossi veramente Christiane Amapour.

-davvero?

-beh, forse non proprio come lei, ma sicuramente Taylor farà istallare un maxi-schermo in piazza e ci riuniremo tutti per vederti nel video della CNN. Dammi solo il tempo di informarlo.

-non so se essere fiera o vergognarmene…

-io propenderei per la prima. È un enorme passo avanti, Rory; è il tuo sogno che si avvera sempre più. Da piccola fantasticavi sul tuo futuro come reporter famosa dall’estero e ora tutto questo è reale. Hai lavorato duro per arrivare dove sei ora e devi essere fiera di te stessa e delle tue capacità. E anche di una piccola città che ti sostiene come meglio può.

Rory sentì gli occhi riempirsi di lacrime e desiderò trovarsi sul divano di casa sua per poterla abbracciare; -grazie, mamma.

-sempre a disposizione.

-lo so. Ora scusami, ma sono le nove e avrei dovuto essere nella hall almeno cinque minuti fa.

-cena importante?

-sì, ci saranno diverse cariche pubbliche francesi e d’altre nazioni. Dovrebbero essere presenti anche un paio di senatori americani e io, in quanto giornalista americana del N.Y. Times e collaboratrice de Le monde, sono stata invitata.

-sei una privilegiata!

-credo di sì. Salutami Sookie e Luke, ok?

-ok, tesoro. E tu dì ciao a Matt quando lo senti.

-D’accordo- disse senza accorgersi di averlo fatto emettendo un profondo respiro.

-Rory, va tutto bene?

-come? Sì, certo. Ora devo proprio andare. Ciao mamma.

-ciao tesoro. A domani.

Rory appoggiò il cordless sul letto e si diede un’ultima occhiata nello specchio: quella era una serata importante, molto più di quanto aveva fatto intendere a Lorelai, e doveva essere perfetta ed impeccabile. Passò le mani sull’abito lungo che indossava stirando pieghe immaginarie, controllò il trucco e l’acconciatura per l’ennesima volta e respirò a fondo. Le parole di sua madre erano state confortanti, ma era certa che solo una persona avrebbe avuto il potere di farle passare quasi completamente quell’ansia. Dopo alcuni momenti d’indecisione afferrò il cellulare e sfogliò virtualmente la rubrica alla ricerca del numero di cui aveva bisogno, ma una volta trovato la reception l’informò che l’auto la stava aspettando. Diede un ulteriore sguardo al display del telefono e annullò tutti i comandi precedenti per poi metterlo nella borsetta e chiudersi la porta alle spalle.

Tanto a quell’ora Jess stava lavorando e non era il caso di disturbarlo per una banale, importante, vitale cena ufficiale.



-Spero che tu abbia un’ottima scusa per avermi fatto chiamare esattamente mentre andavo a pranzo- disse Jess entrando velocemente nell’ufficio di Sean. Dalla sera precedente non aveva quasi toccato cibo e ora il suo stomaco reclamava insistentemente qualcosa di sostanzioso brontolando rumorosamente.

-è ovvio, Jess- rispose alzandosi dalla sua sedia e indicando all’altro di accomodarsi; -sai, non ti ho mai visto in giacca e cravatta sul lavoro. Ora che occupi ufficialmente una posizione importante dovresti adeguarti anche nella scelta dell’abbigliamento. Jeans e camicia sono molto casual e ti donano, ma sarebbe meglio portarli fuori dall’ufficio.

-cosa?- chiese il ragazzo senza preoccuparsi di nascondere la sua incredulità a quel discorso –ma ti sei visto allo specchio? Sbaglio o quelli che hai indosso sono pantaloni con le tasche e una semplice ed anonima t-shirt?

Sean abbassò lo sguardo e si diede una rapida occhiata, poi si voltò verso la finestra; -stiamo parlando di te, non di me. E comunque oggi non devo incontrare nessuno, quindi non sono tenuto a…

-avanti, non ti ho mai visto con nulla che somigliasse anche vagamente ad un completo elegante e serio- lo schernì –e ora ascolta le mie parole, perché non le ripeterò una seconda volta: non ho intenzione di andare in giro vestito come un manichino. Se ti piace tanto, fallo tu.

-Non sei divertente…

-e tu non sei normale.

-faccio del mio meglio- rispose sorridendo e afferrando una fotografia incorniciata che si trovava sulla sua scrivania: era stata scattata il giorno del suo matrimonio e lo ritraeva, vestito di tutto punto, al fianco di una ragazza dai capelli biondissimi e lunghi, legati in una treccia decorata da piccoli fiorellini bianchi come il vestito. Era Ally; -qui ero un vero e proprio manichino.

Jess sorrise al ricordo di quella giornata: -sì, e non hai resistito più di due ore: al ricevimento la tua giacca era tutt’uno con lo schienale della sedia e usavi la cravatta come lazzo da cow boy per giocare con i bambini.

-mi sembrava adatto- rispose Sean innocentemente, quasi fosse una cosa del tutto normale.

-è quello che ho pensato.

-tu invece te la sei messa in tasca esattamente due secondi prima che il reverendo entrasse in chiesa.

-stavo soffocando- spiegò –e comunque l’intenzione c’era.

-ti ho invidiato per tutta la durata del rito; riuscivo a malapena a concentrarmi sulle parole del prete e Ally mi lanciava certe occhiate!

-è stata una cerimonia divertente, ma mi hai fatto venire per parlare di moda maschile e del tuo matrimonio?

Sean sorrise beffardamente, restando in silenzio per alcuni secondi durante i quali l’aria di Jess diveniva sempre più seccata ed infastidita: aveva fame, il resto non contava. Aveva sempre provato uno strano piacere nel vederlo sulle spine, cosa che accadeva di rado, perché non era facile che tipi come lui dipendessero da qualcun altro. Ricordava nitidamente il Jess che aveva assunto per fare delle fotocopie: un ragazzo come tanti, dallo sguardo duro e le idee chiare, un forte orgoglio dovuto ad un’altrettanta marcata personalità; il desiderio di indipendenza si leggeva chiaramente nei suoi occhi. Gli aveva dato un lavoro perché in quel periodo era a corto di personale e due braccia in più gli avrebbero fatto comodo; mai avrebbe immaginato che le cose avrebbero preso una piega inaspettata. Jess in qualche modo si era ritagliato uno spazio all’interno della casa editrice, e lo aveva fatto tanto discretamente da far sì che Sean non se n’accorgesse. Quel ragazzino di poche parole lo aveva esaminato con attenzione mentre lavorava, aveva letto ogni scritto che era entrato dalle porte dello stabile e aveva un’opinione su tutto. Silenziosamente aveva approvato ogni sua decisione, ma nel momento in cui le loro idee avevano preso binari diversi, si era fatto sentire. Aveva voluto prenderlo a pugni e pensato che fosse borioso, arrogante e troppo intelligente: gli piaceva. Dal giorno in cui aveva avuto il fegato di criticare la sua decisione, aveva iniziato a tenerlo d’occhio, a studiarlo a sua volta, e ciò che aveva scoperto ed imparato su Jess Mariano l’aveva portato a decidere di puntare su di lui. Sapeva che sarebbe stato un ottimo collaboratore e le sue previsioni si erano rivelate corrette: erano passati diversi anni e da quando lavorava con lui tutto era migliorato. Ora lo guardava e vedeva un uomo responsabile e serio, eppure nei suoi occhi non mancavano la stessa antica passione, l’orgoglio di un tempo e la stessa punta di tristezza o malinconia, non sapeva bene cosa fosse, che l’aveva sempre caratterizzato. Sarebbe stato facile imputarla a Rory, e in parte era certo che fosse per lei, ma c’era dell’altro: era il segno che la vita aveva lasciato su di lui, una vita che non era stata delle più idilliache.

-oggi sei più fuori del solito- disse Jess alzandosi dalla sedia –io me ne vado a mangiare.

-ok- replicò- ma c’è una cosa che devo dirti.

-ce la fai entro il prossimo anno?

-non ne sono certo…- scherzò.

-hai esattamente dieci secondi- lo informò alzando il polso su cui aveva l’orologio per cronometrare il tempo.

-Me ne basteranno meno- rispose mettendosi le mani in tasca e appoggiandosi allo spigolo della scrivania- ho una data: il 15 settembre, e un biglietto aereo per New York.

Il braccio ricadde al suo fianco e, senza una parola, riprese posto sulla sedia. Non sentiva più la fame.



La lancetta dorata dell’orologio dell’albergo segnava l’una esatta quando entrò nella hall e chiese alla reception la chiave della sua stanza.

Viveva in quell’hotel da quasi quattro mesi e iniziava fortemente a sentire la mancanza di una vera casa; a volte se ne stava seduta sul pavimento al centro della costosa suite che il giornale pagava per lei e immaginava la sua cucina minimale, colorata e tappezzata da piccole calamite che Lorelai aveva attaccato ovunque; in certi momenti riusciva persino a sentire l’odore del caffè appena preparato con la macchina che Luke le aveva regalato quando si era trasferita. Chiudendo gli occhi vedeva il suo piccolo, ma accogliente salotto: il divano blu, la coperta rossa, la televisione perennemente accesa sul canale della CNN, una tazza vuota sul tavolino sommerso di fogli di carta e appunti vari; spostando il fulcro della scena si ritrovava nella sua camera, l’unica stanza della casa in cui regnava l’ordine. C’erano il letto perfettamente rifatto, lo scrittoio in legno antico regalatole dal nonno occupato semplicemente dal suo portatile, un paio di penne e un’abat-jour, la cassettiera ricoperta di fotografie. Una era del giorno del diploma alla Chilton, poi c’era quella della laurea insieme ai nonni, Lorelai e Luke, una di quando era bambina mentre giocava nel giardino del vecchio Indipendence Inn, quella del suo primo giorno di scuola alle elementari di Stars Hollow, una con Lane, truccate e mascherate per Halloween, poi lei e Matt seduti sul divano mentre l’autoscatto compiva il suo dovere. Infine la libreria: i suoi libri ricoprivano un’intera parete, la coloravano, la rendevano viva. Ce n’erano di nuovi, di rilegati, di economici; alcuni risalivano ai tempi delle favole, ma la maggior parte di essi facevano parte della collezione che andava dall’adolescenza ai suoi vent’anni circa. Al college aveva avuto poco tempo per dedicarsi alla lettura e da quando lavorava le cose erano nettamente peggiorate; sarebbe stato bello avere una macchina del tempo per tornare una ragazzina le cui uniche preoccupazioni erano frequentare la scuola, uscire con Lane e andare in cerca di novità nella libreria di Andrew…

Nella suite a Montmartre c’erano solo una decina di testi in francese, un arredamento che non era il suo e l’ordine delle cose dovuto alla donna di servizio che ogni mattina si occupava delle pulizie: nulla che rispecchiasse ciò che veramente era. Adorava essere Parigi, ma avrebbe preferito caricare sull’aereo anche il suo piccolo appartamento del Greenwich Village. Forse con la lampada di Aladino…

L’addetto alla reception le porse le sue chiavi e Rory respirò a fondo; -è stata una bella serata, Paul- disse all’uomo che l’aveva riaccompagnata dopo la festa. Paul lavorava come segretario per uno dei senatori americani che quella sera si trovavano a Parigi e da quando erano stati presentati non l’aveva mollata un attimo. Era un bel ragazzo sui ventisei anni, intelligente e spiritoso, ma un po’ troppo insistente.

-meravigliosa- le rispose aspettando che l’invitasse a salire in camera –e non è detto che debba finire qui.

-ti ho già detto che ho un fidanzato?- gli chiese certa di avergliene parlato allontanandosi di un passo.

-sì, Lorelai. E, credimi, non sono affatto un tipo geloso.

Rory rise alla sua spavalderia e notò che non sentiva Matt da almeno due giorni; -ne sono sicura, ma lui lo è, quindi… bonne nuit.

Vide Paul sospirare, poi sorridere e sperò che quello fosse il suo modo di arrendersi, perché era stanca e voleva dormire, non sprecare altri minuti preziosi ed energie per trovare un modo gentile di scaricarlo.

-ok- disse finalmente- ho capito. Spero che il tuo uomo ti rispetti altrettanto. Sai, mi piacerebbe trovare una donna come te, ma credo che le producano in edizione limitata.

-la troverai, devi solo cercarla meglio- lo rassicurò –ora devo andare.

-certo. Buona notte, Lorelai.

-buona notte.

Aspettò che Paul fosse uscito dalla porta a vetri, poi camminò verso l’ascensore. Quelle sue parole si ripetevano nella sua mente: Matt le era veramente fedele come diceva?

Per gli uomini era più difficile stare senza la loro donna, o almeno così si diceva. Da quando era partita si erano visti solo un paio di volte, sempre per pochi giorni: gli bastava? Lei lo aveva fatto, lo aveva rispettato sempre, perché l’amava. Ma l’amore a volte faceva compiere le azioni più stupide e la sofferenza ti portava alla totale perdita del senno. Lei lo sapeva bene: al college era ancora innamorata di Jess quando era andata a letto con uno di cui conosceva a malapena il nome. Il più grande errore della sua vita…

Entrata in camera iniziò rapidamente a svestirsi ripensando al passato. Quella volta era successo, ma con Paul non aveva sentito il più remoto desiderio di stare insieme. Qualcosa le diceva che non era per i suoi sentimenti nei confronti del fidanzato o per una questione di rispetto. Pensandoci attentamente per la prima volta si rese conto che sarebbe stato facile tradirlo senza che lui lo venisse a sapere e, soprattutto, ne sarebbe stata capace. Come poteva pensare una cosa simile? Guardando la propria immagine riflessa nello specchio si riconobbe a stento: solo qualche mese prima si sarebbe fatta schifo per aver anche solo pensato di tradirlo, ma ora non provava nulla. La lontananza stava congelando tutto lentamente, giorno dopo giorno, e nessuno dei due se n’era accorto. Si chiese se anche lui aveva mai pensato alle stesse cose o se era solo una sua impressione e per Matt niente era cambiato. Chissà, forse era solo la stanchezza che, mischiata al vino, le faceva fare strani pensieri.

Dopo essersi infilata il pigiama e struccata del tutto si mise a sedere sul letto e diede una rapida occhiata all’agenda per controllare gli appuntamenti del giorno seguente, il 20 luglio. Non c’era nulla di particolare in programma, nessuna riunione o ricorrenza, eppure qualcosa le sfuggiva. Chiuse il libricino per poi appoggiarsi alla spalliera cercando si ricordare. In pochi secondi le fu tutto chiaro; si affrettò a riprendere l’agenda e nervosamente sfogliò diverse pagine, fino a trovare quella che cercava: non si era accora di aver due settimane di ritardo. Fece il calcolo dei giorni diverse volte, ma l’esito era sempre lo stesso.

Il suo cellulare iniziò a vibrare, ma lei lo ignorò deliberatamente e, stesa sopra le coperte, fissò il soffitto per un tempo che le sembrò un’eternità: era bianco, come quello del laboratorio di analisi in cui sarebbe stata seduta mentre un dottore in camice bianco le avrebbe prelevato il sangue per il test di gravidanza.



Quello che era iniziato come un pessimo mercoledì, tra la sveglia col sole negli occhi, l’emicrania, nausea, la prospettiva di un’altra lunga giornata di lavoro e la consapevolezza d’essere solo a metà settimana, aveva subito un quasi totale ribaltamento nell’istante in cui quell’imprevedibile Sean lo aveva colto alla sprovvista per l’ennesima volta: entro il 15 settembre i lavori di costruzione sarebbero terminati e a lui toccava pensare al resto: arredi, assunzione, e conseguente gestione, del personale e chissà cos’altro.

Sapeva da tempo che, indicativamente, in quel periodo si sarebbe trasferito, ma avere una data precisa rendeva tutto più tangibile, più reale; iniziava un vero e proprio conto alla rovescia e più le ore passavano, meno erano quelle che gli restavano da vivere ad L.A. Ora il pensiero di allontanarsi dalla California gli procurava una sensazione fastidiosa nello stomaco e non ne capiva la ragione… negli ultimi dieci anni aveva cambiato cinque case diverse, tre città e tre stati, quindi era abituato a cambiamenti di quel genere. Ma era anche vero che da ben cinque lunghi anni l’unico sole che aveva visto sorgere e tramontare era quello dell’ovest e la routine è come una trappola dalla quale è difficile liberarsi: viveva nel paradiso delle belle donne, dell’oceano e del surf; c’erano turisti tutto l’anno che girovagavano in cerca di vip hollywoodiani, ricche signore che entravano ed uscivano dai negozi di Rodeo Drive. Non che gli interessassero gli acquisti delle donne dell’alta società, ma ormai era diventato normale vederle camminare sommerse di borse firmate Prada, Versace e Cavalli.

Che cosa avrebbe fatto a New York? Poteva contattare i vecchi amici, vedere se erano gli stessi scapestrati di un tempo o se anche loro avevano “ritrovato la retta via”, se così poteva dire. I ragazzi… non aveva più sentito nessuno da quando Liz lo aveva letteralmente spedito a Stars Hollow e, anche se nel primo periodo in quella città aveva pensato spesso a loro, dopo poco li aveva quasi dimenticati. Ora, ripensandoci, era curioso di sapere come stavano, ascoltare le loro storie, i racconti delle notti a Brooklyn, i pomeriggi in giro per le strade di Manhattan, bere una birra ripensando ai giorni in cui si divertivano a rubare pacchetti di sigarette da fumare in tranquillità, sdraiati sull’erba di qualche parco o seduti sui cofani delle auto di sconosciuti, mentre fischiavano alle ragazze in minigonna che passeggiavano noncuranti davanti ai loro occhi.

Una birra, non di più…

Ringraziando mentalmente Sean per la seconda volta in poche ore per avergli dato il resto del giorno libero, sprofondò nel suo divano col portatile sulle ginocchia e decise di scrivere un abbozzo generale per il suo prossimo libro; poteva raccontare la storia vera di un ragazzo cresciuto a New York senza un padre e con una madre vagamente presente; poteva parlare di quel ragazzo e di suoi amici, dei casini in cui si mettevano continuamente, delle situazioni complicate che, in un modo o nell’altro, riuscivano sempre a risolvere; poteva nominare decine di ragazze, ma descriverne solo una che, per quanto suonasse cliché, l’aveva cambiato. Ma a lei avrebbe pensato in un secondo momento, ora contava solo la storia di base.

Stava battendo la terza pagina di Word quando fu distratto dal suono del campanello. Alzando lo sguardo vide che il sole era ancora lucente, ma iniziava a sfumare verso il rosso, segno che l’ora del tramonto era ormai vicina. Scioccato da quell’interruzione inattesa rifletté se fingere di non essere in casa o aprire la porta. Poteva essere importante… o forse no. Il visitatore bussò ancora e Jess capì che non si sarebbe arreso così facilmente, quindi si avviò a passi pesanti verso la porta e, una volta visto chi si trovava dall’altra parte, quasi gliela richiuse in faccia.

-cosa vuoi?- chiese senza alcuna intenzione di celare il fastidio che la sua vista gli procurava.

-dobbiamo parlare.

-non ho niente da dire.

-ma io sì…

-buon per te- le rispose cercando con tutta la sua forza di non sbatterla fuori a calci dal suo pianerottolo, senza contare che l’aria mesta che aveva in quel momento lo stava irritando sempre più.

-mi stai ignorando da almeno un mese- gli ricordò ancora ferma sulla porta, poiché Jess le sbarrava la strada.

-ah, allora l’hai notato!- disse fingendosi sorpreso dalla sua scoperta.

-lasciami entrare- lo pregò.

-non ce n’è bisogno, Kate.

-Jess!

-io non ho nulla da dirti e non ho nemmeno intenzione di ascoltarti, quindi: addio.

Quando stava per chiudere l’uscio, Kate lo bloccò mettendo da parte quella fittizia docilità che aveva mascherato il suo viso fino a quel momento e tirando fuori le unghie da tigre che aveva sempre avuto. Jess riconobbe immediatamente quell’aria decisa e sospirò, arrendendosi; -come non detto.

La ragazza entrò, con un sorriso orgoglioso sulle labbra, e si guardò intorno notando che nulla sembrava cambiato dall’ultima volta che aveva messo piede in quella casa, non che avesse fatto attenzione all’arredamento, dato che era impegnata a slacciare i bottoni della sua camicia mentre lo baciava: un’operazione impegnativa…

-stavi scrivendo?- gli chiese nel momento in cui il suo sguardo cadde sul portatile acceso abbandonato sul divano.

-no, mi piace lasciarlo in giro e consumare la batteria inutilmente. Dà una certa soddisfazione.

-ho letto il tuo libro- disse la ragazza ignorando il suo commento e scrutando con attenzione la sua espressione… inespressiva; -è bello- aggiunse non ricevendo alcuna risposta –un po’ malinconico. Il finale è pessimo.

-sai, ho finito di leggere quel libro di cui parlavano al matrimonio di mia madre, quello che avete pubblicato tu e Sean.

La sua voce era metallica a causa del telefono e della distanza, ma poteva capire perfettamente se mentre parlava sorrideva o era seria o faceva qualcosa d’altro mentre gli raccontava della sua lettura.

-si?

-sì e mi è piaciuto. Ovviamente è esattamente come avevo previsto, inconclusivo, però… è bellissimo. Mi piace questo scrittore…

Ora era lui a sorridere e sperò che Rory non lo capisse attraverso le sue parole: -mi fa piacere…


-lo dico perché finisce male- aggiunse come per rafforzare la sua tesi, mentre il ragazzo ritornava alla realtà.

-non è una favola, Kate, non tutto ha un lieto fine.

-e noi?

-noi cosa?-domandò inarcando il sopracciglio, incerto su ciò che la ragazza intendeva veramente.

-non abbiamo un lieto fine? Non potremmo vivere felici e contenti?

-è tardi, non credi?

-no, se tu lo vuoi.

-che senso avrebbe?- le chiese nervosamente cercando con gli occhi il pacchetto di sigarette che aveva comprato dopo essere uscito dall’ufficio; -l’idillio durerebbe poche settimane, ci siamo già passati e sappiamo che alla fine le cose degenereranno. Evitiamo di farci del male. Ancora.

Kate non ribatté subito e Jess si accorse che la sua attenzione era stata catturata da qualcosa, una foto, ritta sulla libreria, esattamente sopra il divano.

-L’hai tenuta- disse lei sorridendo.

-non ho avuto tempo di buttarla- rispose evitando il d’incrociare il suo sguardo concentrando tutte le sue attenzioni alla sigaretta stretta tra le sue labbra che stava accendendo. Era così bravo a mentire…

-fallo adesso- lo sfidò, confondendolo. Kate era sempre stata un mistero per lui e forse era anche per questo che se n’era… innamorato?

-io ti amo, Jess e non ho intenzione di rinunciare a te. Ho commesso questo errore una volta e ho capito di aver sbagliato.

Jess rimase immobile, pensieroso, mentre lei si faceva sempre più vicina; -perché mi dici questo, perché ora?

-perché è ora di smetterla con i giochetti. Perché è la verità e voglio che torniamo insieme, sul serio. Noi due siamo perfetti e lo sai anche tu- disse stringendogli il viso tra le sue mani –noi siamo uguali, ci capiamo…- concluse con un sussurro con cui le sue parole entrarono direttamente nella bocca del ragazzo, e lei stessa le sigillò lì, al sicuro, con un bacio. La lasciò fare, stanco di combattere contro di lei e le sue insistenze; era un bacio sfiorato, a fior di labbra, non impegnativo, assolutamente innocuo. O almeno così credette. Kate mise un po’ di distanza tra i loro visi, gettò un’ultima occhiata alla fotografia che li ritraeva abbracciati e aggiunse: -pensa bene alle mie parole e se veramente non t’importa nulla di me, buttala: non ha senso continuare a ricordare qualcosa che è finito.

Jess vide le sue spalle scomparire lentamente dietro la porta e udì il clic della serratura che si chiudeva. Rimase alcuni minuti fermo al centro della stanza, gli occhi sulla foto e la sigaretta ormai del tutto ridotta in cenere, mentre le ultime parole di Kate si ripetevano nella sua testa come un disco rotto che canta sempre lo stesso ritornello: “…non ha senso continuare a ricordare qualcosa che è finito”.

-già- disse a nessuno lasciando cadere il mozzicone nel posacenere e riprendendo tra le mani il computer fino a poco prima abbandonato a se stesso, cancellando le ultime parole che aveva digitato: C’è una ragazza;

-no, non ha senso…



Ps non ho idea di quando sia il compleanno di Jess, quindi ho preso una data a caso (19/07). Non mi pare che nel telefilm venga mai detto…


 
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Elena_R
view post Posted on 6/9/2004, 21:16







Devo sottolineare il fatto
che tutto quello che è in corsivo sono ricordi del passato? Nah, siete
tutti troppo intelligenti per non arrivarci da soli…



 


Capitolo 13


 


Il sole era calato da alcuni
minuti e tutt’intorno c’era solo del rosso: il cielo all’orizzonte
sembrava bruciare, mentre l’acqua dell’oceano era una distesa infinita di
fluido purpureo che avanzava sulla sabbia lucente della spiaggia; in lontananza
alcuni impavidi continuavano ad usare le tavole da wind surf spinte lentamente
dal lieve vento che soffiava da sud. Il chiosco di Jimmy era quasi del tutto
invisibile, nascosto dietro decine di donne e uomini dell’ufficio, amici di
suo padre e Sasha, colleghi dell’università, amici degli amici, conoscenti
degli amici… se fosse stato più popolare nella comunità di Los Angeles cosa
sarebbe successo? Quella era una vera e propria invasione e il desiderio di
diventare invisibile si faceva sempre più ingente. Destreggiandosi come un
abile atleta tra tutte quelle persone, metà delle quali non aveva mai visto in
vita sua, si ripeté che il prossimo a dire ‘congratulazioni’ avrebbe
ricevuto come ringraziamento un pugno dritto sui denti.


Al di là d’ogni dubbio la
laurea era un traguardo importante, ma le pubbliche relazioni non erano mai
state il suo forte e, onestamente, non capiva il motivo di organizzare un
ricevimento per festeggiare. Jimmy aveva finito col prendere sul serio il ruolo
di padre e quell’accozzaglia di ex hippy e ragazzi sorridenti con un mojito in
mano n’erano la prova. Ricevere quel tipo d’attenzioni lo imbarazzava.
Poteva attirare gli sguardi della gente facendo stupidi scherzi o battute
sarcastiche, o quelli delle ragazze semplicemente attraversando diagonalmente
una stanza; me essere sotto i riflettori perché finalmente era riuscito a
laurearsi, era un altro discorso. Nessuno si era mai detto fiero di lui: Jimmy
non c’era mai stato, Liz aveva ignorato puntualmente i buoni voti che aveva
portato a casa durante le elementari, così aveva deciso che non valeva la pena
impegnarsi. Avrebbe dovuto farlo per se stesso, ma all’epoca non poteva
fregargliene di meno…


Luke avrebbe voluto che
migliorasse e a Rory interessava tutto quello che faceva, ma non era stato
abbastanza. Se avessero potuto vederlo quel pomeriggio mentre riceveva il suo
“pezzo di carta” sarebbero stati felici per lui, n’era certo. Aveva
parlato con suo zio al telefono e aveva sentito un certo orgoglio nella sua
voce; se non l’avesse conosciuto bene avrebbe potuto giurare che stava per
piangere.
Bravo, Jess aveva detto e quelle due sole parole gli avevano
confermato che ne era valsa la pena.


Passando tra due signori
vestiti di lino bianco, con i capelli lunghi, delle collane colorate al collo e
quella che gli sembrava chiaramente una canna tra le dita che faceva da spola
tra loro mani, si chiese se quella era la realtà o stava sognando.
Allontanandosi dalle risate e dalle chiacchiere dei presenti alla sua
festa di laurea, si mise a sedere a pochi metri dal bagnasciuga. Appoggiandosi
una sigaretta tra le labbra si congratulò silenziosamente con se stesso: in
soli quattro anni era riuscito a diplomarsi e laurearsi, una cosa non da tutti.
Aveva compiuto molti sacrifici, passato notti in bianco per studiare in
compagnia della fioca luce di una vecchia abat-jour, litri di caffè molto forte
e il ronzio continuo delle lucciole e degli insetti notturni; venerdì e sabati
sera tra le pareti della sua stanza al campus, mentre i suoi colleghi oltre la
porta bevevano e ballavano con le ragazze. Era andato a lezione ogni mattina e
in alcuni pomeriggi, lavorato fino al tramonto quando non era a Berkley,
studiato di sera. Aveva avuto costanza e forza di volontà per non mollare; ciò
che più lo aveva sostenuto era stato il pensiero di Luke: aveva immaginato
mille volte il momento in cui gli avrebbe dimostrato che i suoi discorsi non si
erano sempre persi nel vuoto, che era stato importante, che lo aveva aiutato,
che era merito suo se aveva portato a termine gli studi. Azioni e non parole,
perché i Mariano, come i Danes, non perdono tempo in chiacchiere, ma usano i
fatti.


-Hey, Jess!-lo interruppe un
ragazzo con due bottiglie di birra tra le mani.


- Sean- lo salutò gettando
il mozzicone di sigaretta nella sabbia e prendendo la bionda che il capo gli
offriva. Pochi mesi prima aveva osato sfidarlo, mettere in discussione la sua
autorità e, oltre alla stima e all’amicizia, ci aveva guadagnato una
promozione.


-che ci fai qui? Dovresti
essere in mezzo a quella bolgia, sorridente e pronto a ricevere tutti i
complimenti degli amici dei tuoi.


-Sash non è mia madre- gli
ricordò. Liz lo era, teoricamente.


-lo so, ma è come se lo
fosse. O almeno così dice Ally.


-Ally, Ally, Ally… ma
quando te la sposi?-scherzò ricevendo in risposta solo un sorriso; -ti
consiglio di chiederglielo, prima che trovi casualmente l’anello che hai
nascosto nel comodino sotto i libri.


-non è più lì.


-no?


-no.Ieri sera l’ho messo
nel cruscotto della mia auto e la stavo accompagnando a casa quando un
poliziotto mi ha fermato per eccesso di velocità. Le ho distrattamente chiesto
di prendermi il libretto dal cruscotto e lei ha trovato l’anello.


-scherzi?


-affatto. Mi ha guardato con
un’aria del tipo “che diavolo ci fa questo coso qui?” e io non avevo idea
di cosa fare: c’era un poliziotto smanioso di multarmi alla mia sinistra e la
mia ragazza con un anello di brillanti tra le mani a destra…


-e allora?-chiese bevendo un
sorso di birra senza staccagli gli occhi di dosso. Era troppo curioso di sapere
come si era districato in quella storia.


-ho dato il libretto al
poliziotto, sono sceso dalla macchina, ho aperto la portiera del lato di Ally,
mi sono inginocchiato e le ho chiesto di sposarmi. Una dichiarazione in piena
regola.


A Jess quasi andò di
traverso la birra quando sentì le sue parole: -cosa? Le hai chiesto di sposarti
mentre ti facevano una multa?


-a dir il vero speravo che
vedendo quella scena il mio amico in divisa si commuovesse e chiudesse un
occhio.


-quindi?


-niente da fare: 150$ di
contravvenzione.


-no, intendo Ally.


-ah! Beh, sono esattamente
20 ore e 39 minuti che l’anello è al suo dito.


-wow. Congratulazioni.


-grazie.


A dire la verità non si
aspettava che Sean le avesse veramente chiesto di sposarlo; lui voleva solo
scherzare e prenderlo un po’ in giro per quell’affetto a volte esagerato nei
confronti di una ragazza, ma il suo capo lo aveva sorpreso e aveva agito; -è
strano pensare a te come ad un uomo sposato- gli confessò. Sean era un
cacciatore sempre in cerca di belle ragazze con cui uscire, o almeno lo era
stato nell’era pre-Ally.


-penso che ognuno di noi sia
destinato ad una di loro: passiamo la nostra giovinezza a cercarla e quando la
troviamo è naturale sentire il bisogno di volerla sempre con noi. La legge
della natura è implacabile, Jess. Tu mi conosci, sai che non sono il tipo
romantico che tutte le ragazze sognano, ma con lei è diverso: non ho bisogno di
sforzarmi per esserlo, perché lei mi capisce semplicemente guardandomi negli
occhi. E io capisco lei…- disse con uno sguardo però pensieroso –a volte.


-sei cotto- rise Jess –ti
stai legando per sempre ad una donna: sei sicuro d’essere pronto ad
abbandonare l’universo femminile dei locali?


-la mia ricerca è finita…
ora è tutto nelle tue mani. Se qualche mese fa qualcuno mi avesse detto che
entro la fine dell’anno mi sarei sposato, gli avrei dato del folle. Ma il
folle sono io. Non voglio più aspettare; se fosse per me la sposerei anche
subito, qui. E sai qual è la cosa più incredibile? Per lei è lo stesso! Ti
auguro di trovare la tua Ally molto presto, Jess.


Rimasero seduti in silenzio
per un po’ e lui ripensò alle parole di Sean, al furore che lo prendeva ogni
volta che nominava la sua Ally, all’impazienza di essere con lei.
All’orizzonte i due surfisti si erano arresi e ora l’acqua era libera da
ogni presenza umana.


-eccovi- disse una voce
femminile alle loro spalle interrompendo la quiete di quel momento.


-hey!- disse il compagno
salutando la sua fidanzata accompagnata da un’altra ragazza.


-cosa fate qui?se non
l’avete notato la festa è laggiù e il festeggiato dovrebbe girare tra la
gente sorridente ed orgoglioso raccontando aneddoti dei suoi anni al college.
Peccato che al nostro eroe non piacciano questo tipo di cose…


-tu sì che mi conosci -
rispose Jess spostando lo sguardo sulla ragazza che non conosceva.


-ah- intervenne Ally, alla
quale questo genere d’occhiate non sfuggiva mai: da quando l’aveva
incontrata la prima volta gli aveva presentato decine di ragazze, con alcune
delle quali aveva anche fatto coppia per un po’ di tempo; -Jess, questa è la
mia migliore amica, Kate. Kate, lui è Jess: il neo-laureato.


-ciao- disse la ragazza
stringendogli la mano; -Ally e Sean parlano spesso di te.


-se fossi in te non mi
fiderei di tutto ciò che dicono. Soprattutto di quello che dice Sean: è
inattendibile- disse col fare misterioso e seduttore di quando incontrava una
nuova ‘preda’.


-ah, sì? Di solito sono
cose carine, ma se mi dici così…


-cose carine? Allora forse
dovrei concedergli il beneficio del dubbio.


-o forse potrei giudicare
personalmente.


-mi sembra la soluzione
migliore- rispose Jess notando che quella era una ragazza intraprendente.


-Jess!-gridò Lily attirando
la soluzione dei quattro- devi venire qui, l’ha detto la mamma!


Sospirò e lanciò
un’occhiata sprezzante alla folla che aspettava solo lui.


-devi andare- disse Kate
notando la sua riluttanza nel muovere il primo passo.


-purtroppo. Cosa fai dopo la
festa?


-qualcosa mi dice che hai
una proposta…


-potrei darti l’opportunità
di conoscermi in modo che tu possa…


-va bene- lo interruppe; -la
mia macchina è parcheggiata al di là della strada, è una spider. Ti aspetto lì
alle undici?


-va bene. E’ stato un
piacere, Kate.


-anche per me. Ah,
congratulazioni.


Jess ricordò il pensiero
che aveva avuto pochi minuti prima: dare un pugno all’ennesimo che si sarebbe
congratulato. Diede un’altra occhiata alla ragazza che gli stava davanti: -le
donne non si toccano neanche con un fiore…-si disse. Poco male. Le avrebbe
dato qualcos’altro.


 


-la prima volta che ti ho
visto non mi è passato neanche per l’anticamera del cervello l’idea che
fossi un intellettuale- disse Kate addentando l’ennesima fragola.


-uh. E cos’hai pensato?-
le chiese distrattamente; la sua attenzione era completamente riversata sulla
ragazza sdraiata sul suo divano intenta a mordere quei frutti rossi in un modo
così sensuale che ogni altra cosa passava in secondo piano. Parte dei suoi
capelli castani, lunghi e luminosi erano sparsi sul bracciolo su cui posava la
testa, parte oscillava nel vuoto a pochi centimetri dal pavimento e alcune
ciocche restavano sulle sue spalle e scendevano sulla
sua camicia; Kate
aveva allacciato solo un paio di bottoni all’altezza del seno e, a causa della
sua posizione, i lembi scivolavano lungo i suoi fianchi lasciando scoperta la
pancia piatta e abbronzata dal sole della California. Jess fece scorrere una
mano sul suo ombelico e giocherellò col piercing azzurro che rifletteva la
luce. Oltre alla camicia e ad un paio di minimali slip, non indossava nulla e i
suoi occhi continuavano il loro viaggio lungo quelle gambe perfettamente lisce e
sinuose che percorrevano il divano nella sua lunghezza. Kate sembrava una Dea,
Venere: aveva un corpo perfettamente scolpito da poche ma costanti ore di
palestra, una grazia e una classe innate e, a completare il quadro della
perfezione, era una delle ragazze più intelligenti che aveva incontrato da
quando si era trasferito a Los Angeles. Si stava laureando in psicologia
infantile e aveva raggiunto il massimo dei voti in tutti gli esami che aveva
dato fino a quel momento.


-…avevi il fascino
dell’uomo che non deve chiedere mai.


-e “l’uomo che non deve
chiedere mai” è un analfabeta?-le chiese facendo scendere lentamente la mano
sulla coscia: un gesto che, sapeva, la faceva rabbrividire dal piacere.


-no… sa leggere…
benissimo- sussurrò con le palpebre chiuse sugli occhi verdi smeraldo. Jess
sorrise alla reazione che aveva provocato.


-Jess?


-che c’è?- chiese
prendendole la ciotola di fragole dalle mani appoggiandola sul tavolino lì
vicino, dove non correva il rischio di essere rovesciata; cambiando posizione si
stese su di lei e le baciò la zona sulla clavicola.


-tua sorella…lei…-
s’interruppe quando le labbra di Jess lisciarono la sua pelle e iniziarono a
giocare col lobo del suo orecchio.


-uh?


-Lily… mi… odia…


-no…-rispose continuando
la sua opera di seduzione mentre le mani della ragazza viaggiavano sulla sua
schiena.


-sì invece. Lei mi…
risponde sempre male e… mi saluta solo se costretta. Non le piaccio.


-a me sì- la baciò.


-ma io non sto parlando di
te.


Jess si fermò per un
istante e la guardò negli occhi: era deciso a chiudere quella conversazione al
più presto; -tu esci con me, non con la mia famiglia -Perché quelle parole gli
suonavano così familiari?-non pensare a Lily.


-quando esci con qualcuno
devi anche pensare alla sua famiglia, agli amici… è come un pacchetto: c’è
l’oggetto principale e tutti gli accessori e…


-IO sono il pacchetto, non
devi pensare a nient’altro.


-ok -rispose la ragazza
indecisa, ma pronta a lasciare da parte il discorso, mentre lo attirava a sé
facendo pressione con le mani sul suo collo.


-ok –disse a sua volta
felice di essere riuscito nel suo intento, anche se una strana sensazione
aleggiava intorno a lui: ricordava uno stupido cigno, la cena da Emily, un
litigio e un giro in barca con Luke.


-sai una cosa?- chiese Kate
interrompendo i suoi pensieri –mi è sempre piaciuto scartare i pacchetti! –
disse sfilandogli con destrezza la maglia e lasciandola cadere sul tavolino, di
fianco alle fragole, mentre la bocca di Jess era di nuovo sulla sua e le sue
mani avevano già trovato il modo di sbottonare i bottoni della sua camicia.


 


-mezz’ora di ritardo-
mormorò finendo di bere il suo secondo caffè, seduto ad un tavolino nel bar in
cui avevano appuntamento. Intorno a lui il locale era semideserto a causa di una
delle più emozionanti partite del Superbowl che si teneva quella sera. Jimmy e
Sasha lo avevano invitato a casa loro, ma sinceramente preferiva passare la
serata con la sua ragazza piuttosto che guardando una massa d’uomini sporchi e
sudati correre dietro una palla e pestarsi quasi a sangue per averla. O almeno
quello era il piano iniziale. Conosceva Kate e sapeva che era molto impegnata,
ma ultimamente si faceva attendere troppo; a che gioco stava giocando…? Si
guardò intorno per cercare il cameriere a cui chiedere qualcosa da mangiare,
quando il cellulare iniziò a suonare: -Hey!- rispose, riconoscendo il suo nome
sul display.


-Ciao Jess! Ti prego scusami
per il ritardo, ma c’è un incidente e non ho idea di quando riuscirò ad
uscire da quest’ingorgo.


-non importa, posso
aspettarti.


-potrei metterci
un’eternità e non mi va di saperti seduto in quel bar da solo. Va a casa mia
e aspettami lì, è meglio.


-non ho le chiavi.


-questo non ti ha mai
fermato prima. Potrei elencarti decine d’occasioni in cui sei sgattaiolato nel
mio appartamento con chissà quali trucchetti…


-sono i segreti del
mestiere…


-allora vai ad aspettarmi lì?


-ok. A dopo. Ma dovrai farti
perdonare…


-Ciao Jess!- chiuse la
ragazza, ridendo.


Rinunciando al proposito di
mettere qualcosa sotto i denti, si alzò e andò a pagare, poi uscì nell’aria
mite di quel febbraio. Kate abitava poco lontano da quel bar e Jess decise di
lasciare lì l’auto e fare due passi per le strade deserte che raramente aveva
visto a Los Angeles. Aveva un appartamento in un palazzo nella zona
residenziale; suo padre, il proprietario di un’industria informatica, le aveva
regalato quell’enorme casa e provvedeva alla maggior parte delle sue spese;
lei, dal canto suo, lavorava part-time in un asilo e il suo stipendio non le
avrebbe garantito la vita agiata a cui era abituata. Ma aveva grandi progetti e,
n’era certo, nel giro di pochi anni avrebbe iniziato a fare soldi a palate,
esattamente come il padre.


Quando arrivò lo stabile in
cui abitava Kate, la signora Zimmermann stava uscendo dal portone e,
conoscendolo, glielo lasciò aperto; Jess si trattenne con lei un paio di
minuti, rispondendo educatamente alle sue domande. Quell’anziana signora era
simpatica e arzilla e lo adorava: diceva che era un bravo ragazzo, che glielo
leggeva nello sguardo e che lei non sbagliava quasi mai. ‘quasi’ si era
ripetuto la prima volta che gli aveva detto cosa pensava di lui. A volte si
chiedeva se i suoi nonni erano stati come lei; capitava di starsene seduto sulla
spiaggia e vedeva spesso coppie di anziani che passeggiavano sulla riva proprio
come erano soliti fare i più giovani. Gli sarebbe piaciuto conoscere i suoi
nonni, vederli camminare mano nella mano o a braccetto, avrebbe voluto ascoltare
le storie di un tempo, dei tempi della guerra, del loro primo incontro; avrebbe
voluto sentirsi dire da loro che il vero amore esiste, rende felici e può
essere per sempre.


Prese l’ascensore fino al
quarto piano e si ritrovò davanti alla porta di mogano che conosceva fin troppo
bene; in un paio di secondi la violò e si fece avanti nell’ingresso
dirigendosi direttamente in cucina. Aprì il frigorifero per trovarvi solo dello
yogurt, alcune verdure, bibite dietetiche; beh, se Kate aveva quel fisico un
motivo c’era, no? Richiudendo l’anta notò che sul ripiano lì vicino
c’erano dei cracker.


-meglio che niente- disse
prendendo un paio di pacchetti e accasciandosi placidamente sul divano.
L’arredamento costoso e moderno comprato da papà lo guardava e controllava
che non facesse mosse sbagliate. Ignorando gli sguardi furtivi dello stereo
high-tech e di un vaso cinese, sfogliò alcune riviste scientifiche, fece un
po’ di zapping col telecomando e diede un’occhiata alla pila di cd
impolverati. Stava per mettere nel lettore l’ultimo dei Muse quando il
telefono iniziò a trillare; aspettò che la segreteria entrasse in funzione e
sorrise al messaggio lasciato da Kate mentre apriva la custodia. Una voce attirò
la sua attenzione e all’improvviso tutto il suo corpo s’irrigidì alle
parole del messaggio che stavano lasciando: -Hey bellezza! Sono io. Volevo solo
dirti che rifacendo il letto ho trovato il tuo orecchino sul materasso, quindi
non preoccuparti: non l’hai perso. Puoi passare a prenderlo quando vuoi, anche
domani se il tuo pseudo-ragazzo non ha altri programmi. So che n’abbiamo già
parlato, ma… vorrei che lo lasciassi presto. Questa situazione non è giusta
per nessuno, Kat, e lo sai anche tu. Devi dirgli tutto e farla finita.. Mi
manchi già.. se non avessi dovuto correre da lui ora saresti ancora qui, con
me. Ci sentiamo più tardi, ok? Ciao.


Con un gesto automatico
richiuse il cd nella sua custodia e lo appoggiò sullo scaffale da cui l’aveva
preso. Rimase immobile per alcuni secondi, con lo sguardo fisso sulla segreteria
dall’altra parte della stanza; sentiva l’impulso di prenderla e
scaraventarla contro la parete e poi saltarci sopra fino a ridurla un cumulo di
briciole di plastica. Doveva essere uno scherzo organizzato dalla sua ragazza
per vedere quanto teneva a lei, quanto era geloso. Se avesse controllato meglio
avrebbe trovato una telecamera nascosta, entro pochi minuti Kate sarebbe
rientrata col sorriso sulle labbra e l’avrebbe preso in giro fino allo
sfinimento per l’espressione che aveva mentre sentiva il messaggio. Gli
avrebbe fatto vedere la registrazione e insieme avrebbero riso, poi l’avrebbe
baciato e gli avrebbe detto che amava solo lui.


Eppure i conti iniziavano a
tornare: le mille cose da fare, i ritardi continui, l’essere spesso
irraggiungibile al telefono… avere due relazioni allo stesso tempo era
impegnativo e ancora di più lo era mentire. Lo sapeva bene.


Camminò verso il divano
senza riuscire a staccare gli occhi da quella maledetta segreteria che conteneva
la prova del suo tradimento. Rimase seduto tra i cuscini azzurri odoranti di
Chanel 5, il suo profumo preferito; non sapeva quanto tempo fosse realmente
passato, se pochi minuti o molto di più, quando sentì lo scatto della
serratura e balzò in piedi. Sorridente, Kate stava entrando sommersa di buste;
-allora ce l’hai fatta! Se un giorno avrò bisogno di uno scassinatore, so a
chi rivolgermi. Sei qui da molto?


-no- mentì, -sono appena
arrivato. Ho fatto un giro a piedi.


-infatti non ho visto la tua
macchina fuori- rispose avvicinandosi e baciandolo frettolosamente, per poi
dirigersi in cucina, dove voleva appoggiare le buste che aveva in mano.


-come sta tua madre?- le
chiese studiando con attenzione i cambiamenti d’espressione del suo viso,
senza però trovarne alcuno: era un’attrice dannatamente brava.


-bene, ti saluta. Ci ha
invitato a cena il prossimo sabato. Sai, sei il primo dei miei ragazzi a
piacerle: è sempre stata così ipercritica!- rispose abbandonando le scarpe
nell’ingresso e andando in salotto dove si trovava lui.


-nessuno è immune al mio
fascino. E le mamme non sono un’eccezione.


Lo disse con un tono quasi
soffocato, come se parlare fosse troppo difficile in quel momento, ma Kate non
se n’accorse e lui controllò il suo orecchio, mentre il messaggio di
quell’uomo si ripeteva nella sua testa; -ti manca un orecchino.


La ragazza si portò
entrambe le mani al lato del viso e sentì che uno dei lobi era senza il
perennemente presente brillante; -accidenti! Devo averlo perso in qualche
negozio. Sono quelli che mi hai regalato per il mio compleanno.


-lo so- rispose. Si sentiva
mancare. Un senso di nausea pervadeva ogni fibra del suo corpo e il cervello
aveva iniziato a ballare il tip-tap nel suo cranio.


-mi dispiace -la sentì
mormorare mentre lo stringeva in un abbraccio.


-anche a me- disse,
sforzandosi di fare lo stesso. Era stanco e non aveva voglia di discutere in
quel momento; gli serviva una soluzione, ma l’avrebbe cercata più tardi.


 


Era passato più di un mese
dalla sera in cui aveva sentito quel messaggio e da allora entrambi avevano
continuato quel sordido gioco di tradimenti. Per qualche tempo ci aveva creduto,
si era illuso che quella fosse la volta buona, che, per usare le parole di Sean,
Kate fosse la sua Ally.


Si sbagliava e odiava
ammetterlo.


Tutti continuavano a vederli
insieme, a dire che erano una coppia fantastica; loro sorridevano ai complimenti
e a lui andava bene così. L’accompagnava alle feste universitarie e ai
cocktail party della sua famiglia; lei era con lui ad ogni cena di lavoro. Non
erano quasi mai soli. Nelle ultime quattro settimane avevano fatto l’amore
solo tre volte; prima della crisi non passava giorno in cui non stessero
insieme. Ora capiva perfettamente come ci si sentiva ad essere traditi; durante
l’università aveva avuto decine di storie, tutte interrotte perché lui era
finito a letto con qualcun'altra. Non aveva mai cercato di capire lo stato
d’animo delle ragazze che tradiva, non dava peso ai sentimenti. Per lui non
era mai stato amore e non aveva mai fatto male. Ma con Kate era diverso: glie
era piaciuto giocare col fuoco e ora che si era scottato non aveva alcun diritto
di piagnucolare. Era amareggiato; era sempre stato un asso a deludere le persone
e ad uscire indenne da ogni situazione che implicava la sofferenza. Però
stavolta era il suo turno: Kate lo aveva deluso e sembrava provarci gusto.


Da quel giorno era stato a
letto con -quante?- dieci ragazze diverse, fidanzata esclusa. Ricordava i tempi
in cui quel gesto lo caricava d’adrenalina, lo eccitava. Ora era come
infliggersi una punizione: ogni sera una ferita diversa. E l’eccitazione era
sfumata. Lo faceva per vendetta nei confronti della donna perfetta che amava; lo
faceva perché non era ricambiato; lo faceva perché aveva troppo tempo libero;
lo faceva sperando ingenuamente di soffrire meno; lo faceva con automatismo,
come quando era a New York e non aveva nulla da fare e il sesso era l’unico
modo per eludere la rabbia e la frustrazione.


Con la coda dell’occhio
scorse la spider ormai familiare parcheggiata davanti al suo portone.


Fu la sua figura slanciata
ciò che vide nonappena entrò in casa. Era in piedi davanti alla finestra, gli
occhi fissi su un punto lontano, la luna forse, e l’espressione tirata del suo
viso non prometteva nulla di buono. Jess sospirò sollevato, perché sapeva
benissimo cosa sarebbe accaduto quella sera. Si chiuse lentamente la porta alle
spalle e lasciò le chiavi sul mobiletto che si trovava al suo fianco.


-avevi detto che saresti
rimasto a casa tutta la sera- iniziò Kate con un tono severo che non aveva mai
sentito nelle sue parole. Non disse nulla, data l’ovvietà della risposta e
lei continuò: -ti aspetto da tre ore. Il tuo cellulare è staccato e nessuno
dei tuoi amici aveva idea di dove fossi…


“ma tu sì” pensò.


-… ma io credo di aver
capito. Perché, Jess?


Da quando aveva iniziato a
parlare non l’aveva guardato negli occhi nemmeno una volta: il suo sguardo
continuava a vagare sulla città illuminata sotto di loro.


-potrei farti la stessa
domanda, Kate.


Cercava di restare
impassibile, ma lui vide che deglutiva a fatica e il suo corpo si era irrigidito
ulteriormente.


-non pensare di farmi una
scenata, perché tu ti sei comportata allo stesso modo e dio solo sa da quanto
ti scopi quel tipo!


-Jess…- ma non le diede il
tempo di replicare, perché sentiva la rabbia salire e se si fosse fermato non
le avrebbe detto più nulla.


-sono io a doverti chiedere
perché. Tutto andava benissimo tra noi, Kate, ma tu… TU hai rovinato tutto.
Chi diavolo è? Uno dei figli dei soci di tuo padre? O l’idraulico che è
passato da casa tua quando a Natale si è rotto il riscaldamento? Ti ha
riscaldata lui? O forse è il diligente fratello maggiore di uno dei bambini
dell’asilo? Bah, non so nemmeno perché stiamo qua a parlare quando non c’è
nulla da dire.


-da quanto lo sai?- gli
chiese timidamente.


-qualche settimana. Il tuo
“amico” ha lasciato un messaggio in segreteria il giorno in cui ti aspettavo
a casa tua. Siete stati davvero sfortunati- disse sarcasticamente.


-non mi hai detto nulla.


-non sapevo casa dire. Non
mi era mai capitato…


-mi dispiace.


-ma per favore!- rise –non
venirmi a dire che ti dispiace, perché ovviamente non è così. Anzi ti è
piaciuto eccome!


-sei impossibile!


-che c’è? Ti sei offesa?
Sono sicuro che avevi valide motivazioni per andare a letto con due uomini
contemporaneamente. La palestra ha aumentato il costo dell’abbonamento?


-non l’avrei mai fatto se
tu…


-è colpa mia quindi?


-no… sì… non l’avrei
fatto se tu mi avessi permesso di entrare nella tua vita.


-studiare psicologia ti sta
facendo saltare il cervello…


-tutti i tuoi segreti, Jess,
le cose che mi nascondevi, quel maledetto libro che stai scrivendo e di cui non
vuoi dirmi nulla solo perché devi ancora finirlo… sono la tua ragazza, devi
fidarti e appoggiarti a me!


-non posso credere di avere
le corna per via di un libro… e comunque non devo niente a nessuno. Tanto meno
a te.


-e poi … lascia stare. Hai
ragione: è inutile parlarne. Credo sia meglio finirla qui- disse raccogliendo
dal pavimento una scatola; -ho già preso le mie cose, così non dovrò tornare.


-avevi programmato tutto,
complimenti. Che idiota… pensare di innamorarmi di te. Come ho potuto essere
così ottuso?


-non lo sei. Io ti voglio
molto bene, Jess. Mi piaci davvero e tanto, ma…


-ami lui. Ok.


-no, non so se l’amo, ma
è quello che voglio scoprire.


-buona fortuna, allora- le
disse, e senza aspettare che gli rispondesse lasciò la stanza sbattendosi la
porta della camera da letto alle spalle.


Ascoltò i passi di Kate
farsi sempre più lontani, lo scatto della serratura, poi il silenzio. Si
sedette sul letto e aspettò alcuni minuti - cosa? L’arrivo di Godot?- e
decise di prendere l’agenda per sfogliarla alla ricerca del numero della
ragazza con cui aveva dormito quella sera. Come si chiamava? Jasmine?
Janice? Janine?
C’erano scritti i numeri di tre ragazze con quei nomi e
ne fece uno a caso: non aveva importanza chi; voleva solo un corpo da stringere
e un paio d’occhi sinceri.


 


Da allora erano passati solo
alcuni mesi; si era promesso di non ricadere più in quella trappola, aveva
giurato che Kate non avrebbe più messo piede in casa sua, che non si sarebbe
lasciato sedurre ancora dai suoi occhi verdi e da quel profumo costoso. Quando
ricordava i bei momenti della loro storia e si ritrovava a sorridere, lasciatosi
trasportare da antiche passioni, gli bastava recitare nella sua testa il
messaggio che l’amante aveva inciso nella segreteria. Aveva sempre memorizzato
passaggi dei libri che più amava, aforismi carichi di significato colati dalla
penna d’autori che ormai erano solo polvere, mentre adesso si ripeteva parole
vuote, innocue e quotidiane, ma affilate come la lama del coltello che gli
faceva a pezzi il cuore ogni volta che ripensava a quella sera: lui, un cd tra
le mani, la voce di quell’uomo. Ironico…


Odiava sentirsi in quel modo.
Era successo solo una volta prima di allora e anche a quei tempi aveva
fermamente deciso che non sarebbe più accaduto… beh, forse non così
fermamente.


Dal bagno sentiva lo stereo
suonare una melodia che non riconosceva: sembrava musica classica, Mozart,
forse. Il ritmo era lento, poi improvvisamente scoppiava un’esplosione di note
che gli fece accelerare il battito. Era un alternarsi di calma e irrequietezza,
debolezza e forza, la quiete prima della tempesta. Era un segnale? Forse stava
per accadere qualcosa e lui non era riuscito ad interpretare i simboli. La cosa
certa era che era ricaduto nella trappola: era stato un errore? Quando una
settimana prima si era presentata a casa sua, lui la odiava ancora, sentiva il
disprezzo crescergli dentro, ma il punto era un altro: aveva bisogno di qualcuno
che lo distraesse e Kate era la persona più adatta. Inoltre, nonostante la
rabbia, era ancora attratto da lei, la voleva. Era certo di non amarla più, non
come prima almeno, e forse ciò che l’aveva spinto ad andare da lei, a
proporle di riprovarci, anche se solo per poco, a baciarla come i primi giorni
in cui si erano frequentati era desiderio di rivincita. Voleva vedere se
l’amava veramente come aveva proclamato, se avrebbe sofferto nel momento
dell’addio.


Sentì il telefono suonare, ma
non si mosse dal bagno, incapace di interrompere la contemplazione della sua
immagine riflessa nello specchio. Dopo un paio di squilli, la sua voce sensuale
sovrastò la musica.


Gli ricordava Shane. In quel
frangente poteva metterle sullo stesso piano: una distrazione. Con un piccolo
sforzo riuscì a ricostruire il loro primo incontro, anche se molti dettagli
erano vaghi: era seduto su una panchina all’ombra di un albero. Quell’estate
era stata incredibilmente calda e Luke si era rifiutato di comprare un
condizionatore, così l’unica soluzione per non sciogliersi era uscire e
cercare un posto un po’ più fresco degli altri, anche se questo voleva dire
essere controllato continuamente dall’occhio vigile di Taylor. Stava fingendo
di leggere un libro, non ricordava esattamente quale perché la sua mente era
indietro nel tempo a tre settimane prima: il giorno del suo ritorno e del
matrimonio di Sookie. L’aveva baciato ed era fuggita a Washington senza dirgli
nulla, senza una spiegazione, senza chiarire le cose tra loro, e da allora non
l’aveva chiamato, non gli aveva scritto, nulla. Come se non avesse avuto
importanza.


-Che fai? Studi?- si era
sentito domandare. Si erano incrociati per i corridoi della scuola mille volte,
ma non erano mai stati presentati.


-no.


-leggi?


-a te cosa sembra?


-è interessante?- gli
chiese ancora dopo un attimo di silenzio, forse dovuto allo sconcerto delle sue
risposte brusche. Jess emise un sospiro e chiuse le pagine del libro con troppa
violenza, perché vide la ragazza sussultare.


-non ne ho idea- le rispose
sinceramente; -tu sei?


-Shane. E tu Jess.


-conosci il mio nome?- le
chiese con stupore.


-conosco i nomi dei ragazzi
carini e di quelli che fanno a botte con Chuck Presby, soprattutto se gli fanno
un occhio nero.


-è successo l’anno
scorso. Te ne ricordi?


-Jess Mariano, trasferitosi
da New York per vivere con suo zio, dopo una sola settimana a Stars Hollow pesta
il bullo della scuola. Sei stato sulla bocca di tutti per un po’. In questa
città le notizie corrono veloci e si sono dette molte cose sul tuo conto; il
problema è riuscire a distinguere il vero dal falso… e se mi offrissi un caffè
potrei scoprire cosa si sono inventati su di te.


-ok- le rispose senza
esitazione, -dopotutto non ho niente da fare.


Tre ore dopo si stavano
baciando sul retro del locale di Luke. Aveva aspettato tre intere settimane che
Rory si facesse viva: il tempo massimo era scaduto da un pezzo e lui non era
Dean.


Tutti quei pensieri gli stavano
facendo venire un fastidioso mal di testa; aprì la porta e tornò in camera,
dove Kate era distesa sul letto intenta a sfogliare uno dei libri che aveva sul
comodino.


-chi era al telefono?- le
chiese togliendosi i vestiti e restando in boxer, mentre la ragazza posava il
testo al suo posto.


-non lo so, hanno riattaccato. 
Forse era qualcuno che ha sbagliato numero.


-Forse.


-Jess?- disse Kate quando la
luce fu spenta ed erano l’uno canto all’altra, -pensi mai a quello che è
successo questa primavera?


-no- mentì.


-io sì. E se accadesse tutto
di nuovo? Se le cose andassero male…


-non accadrà- la interruppe
fissando il soffitto sul quale si rifletteva la debole luce che veniva dai
lampioni della strada; -ora dormi.


 


-ora calmati, tesoro- aveva
detto sua madre al telefono. Rory smise di camminare avanti e indietro per la
stanza e si sedette sullo spigolo del letto respirando a fondo.


-ok, sono… non calma, ma
meno agitata.


-bene. Ascoltami
attentamente: potrebbe essere un semplice ritardo…


-di due settimane!?- la
interruppe.


-sì, anche di due
settimane. La cosa più sensata è smettere di preoccuparsi e giungere a
conclusioni affrettate. Parla col tuo dottore, fatti prescrivere delle
analisi… è l’unico modo per avere la più assoluta certezza.


-ok, lo chiamo subito. No,
lo chiamo domani… qui sono le due di notte. Non credo che riuscirò a dormire,
mamma.


-lo so. È una strana
sensazione, vero? Ma devi provarci, Rory. Ci vorrà un po’ di tempo prima di
avere i risultati e hai bisogno di riposarti. Se solo fossi più vicina…


-grazie, so che verresti
subito, ma non devi preoccuparti. Io… mi riguarderò, farò yoga, chiamerò
Madonna per farmi dare qualche consiglio: lei sa sempre tutto su tutto.


-ok, ora va a dormire,
signora Ciccone. È stata una lunga giornata. Chiamami quando vuoi, ok? Ti
voglio bene.


Quelle erano state le parole
che Lorelai le aveva detto una settimana prima. Non aveva chiuso occhio quella
notte pensando e ripensando alla possibilità che dentro di lei stesse crescendo
un bambino. Aveva fatto le analisi ed entro pochi minuti le avrebbe ritirate, ma
sembrava non riuscire a mettere piede nell’ambulatorio: era passata davanti a
quella porta a vetri diverse volte, poi aveva deciso di aver bisogno di fare due
passi e senza accorgersene si era ritrovata a Nôtre Dame. Dall’alto della
cattedrale i gargoiles la fissavano con uno sguardo inquisitorio e Rory si
chiese se la stavano giudicando. Decisa ad evitare quelle occhiate che la
facevano sentire in colpa, si unì al gruppo d’inglesi che stavano davanti
all’ingresso ed entrò con loro in quella maestosa chiesa. All’interno
c’erano decine e decine di turisti nascosti dalla penombra che, silenziosi,
percorrevano le navate e corrugavano la fronte cercando di ricordare i
particolari architettonici delle sculture e rievocavano nozioni di storia
dell’arte sepolte sotto altre memorie; dei bambini camminavano al fianco dei
genitori intimoriti dall’aria solenne che quel luogo aveva, altri
sbadigliavano vistosamente. Conosceva bene Nôtre dame, l’aveva visitata molte
volte prima di quel momento, ma ogni volta era emozionante percorrere lentamente
ogni centimetro di quella chiesa ammirandola in tutti i suoi particolari. Eppure
quel pomeriggio non si sentiva in vena di fare la turista, così avanzò lungo
la navata centrale e si sedette in una delle prime panche.


“So bene di non essere
un’assidua praticante” disse dentro di sé rivolgendo lo sguardo al
crocefisso davanti a lei, “ e spesso dimentico del tutto l’aspetto religioso
della mia vita. E so anche che questa non è la mia chiesa, ma Dio, anche se lo
chiamiamo con nomi diversi, è uno solo per tutti, no? Ci sono popoli in guerra
a causa tua e persone come me che invece non riescono a prendersi due minuti per
parlarti… io spero che mi ascolterai anche se non sono una delle tue figlie,
perché ho veramente bisogno che qualcuno mi aiuti e tu non fai distinzioni di
alcun genere, giusto? Poveri, ricchi, peccatori, cattolici, protestanti,
musulmani… siamo tutti parte di una famiglia e adesso credo di aver bisogno di
un padre, dato che il mio è dall’altra parte del mondo con un’altra
famiglia e un’altra figlia.


È vero, non prego spesso e
forse, anzi sicuramente, sono un’egoista a rivolgermi a te solo ora, ma qui
sono da sola e non posso parlare con nessuno di ciò che mi sta accadendo. Mia
madre ha cercato di rassicurarmi, ma so che la mia paura di avere un figlio non
l’ha certamente resa orgogliosa: lei adora i bambini e vuole averne uno con
Luke, perché si amano, sono felici e sono sposati e non c’è motivo per cui
non debbano concludere in bellezza con un bel bambino, no? Però io… non
riesco ad immaginarmi a casa con un figlio e Matt. Voglio un gran bene al mio
fidanzato, mi è stato vicino per così tanto tempo, lo amo. Ma non voglio un
figlio, non ora. Non so perché, ma è così. Ok, il mio comportamento è strano
perché, diciamocelo, ogni donna farebbe qualunque cosa per trovarsi nei miei
panni e aspettare un figlio dall’uomo che ama. Mi sento confusa… questa cosa
non era nei miei programmi e odio quando i miei piani non vengono rispettati: io
dovevo laurearmi, diventare una giornalista famosa, girare il mondo. Poi mi
sarei sposata. Invece mi sono solo laureata e ci sono ancora troppe cose che
devo fare prima di pensare alla famiglia. Vorrei parlarne a Lane, ma non
capirebbe e poi nel giro di pochi secondi sicuramente l’intera città ne
verrebbe a conoscenza e siccome non c’è nulla di certo…


I risultati sono in laboratorio
e avrei già dovuto leggerli, ma fa paura: forse è solo un falso allarme, forse
no. Mi chiedo come fanno certe persone ad essere così introverse da non
confidarsi mai con nessuno. Io sto impazzendo! Stamattina stavo per dirlo a
Jess. Però quando ho sentito quella voce… quella di una donna… ho provato
una strana sensazione, sai? E ho riattaccato. Non so se sia più scioccante
scoprire che Jess esce, anzi dorme con qualcuno o l’idea di essere incinta. È
tutto cambiato da quando ci siamo rivisti quest’estate: posso parlargli di
qualunque cosa e lui mi risponde, mi consiglia; è come essere tornati indietro
nel tempo e non so cosa farei senza di lui. Ma quella voce… mi fa pensare alla
Kate di cui ho sentito parlare, al suo rifiuto di rispondere al telefono quel
giorno al locale di Luke. I miei propositi di confessione sono svaniti e ho
capito che per l’ennesima volta sto dipendendo da lui. Jess ha la sua vita e
io la mia, dovrei cercare di tenerle separate, segnare una linea di confine
nella nostra amicizia, perché ci sono cose che non si possono dire ad un amico.
Ma io mi comporto esattamente nel modo opposto e a volte mi sembra che il mio
fidanzato sia lui: l’affetto che provo per Jess mi fa dimenticare che è Matt
l’uomo che dovrei chiamare, quello a cui dovrei svelare le mie paure per
questo bambino. Accidenti, è Matt che deve sapere che forse sta per diventare
padre!


Disapprovi tutto questo, vero?
Per te i figli sono un dono e, credimi, anche io la penso così, ma in questo
caso non sono pronta… non credi che dovrei sentirmi preparata? Non si scrivono
articoli senza informazioni e non si parla ad una conferenza senza aver
preparato un discorso. Allo stesso modo non posso mettere al mondo un bambino di
cui non potrei prendermi cura al meglio, lo dico anche per il suo bene. Ci vuole
stabilità, una vita normale, genitori che si amano, sposati magari, che vivono
insieme, una posizione lavorativa salda e sicura per poter provvedere a lui e i
soldi non saranno un problema solo quando la mia carriera sarà avviata. Non mi
va di chiedere prestiti a mia madre o a mia nonna… voglio più certezze, perché
il mio bambino non merita di starsene seduto per ore sul pavimento della sua
stanza a chiedersi se un giorno mamma e papà torneranno insieme o di illudersi
che le cose stanno migliorando o di essere seduto su una poltrona umiliandosi e
pronto a rinunciare ai suoi sogni per colpa mia.


Io e mio marito gli daremo
tutto ciò di cui ha bisogno e provvederemo a lui, ma ora non ci sono le
premesse perché tutto questo sussista: io vivo in un continente diverso da
quello di suo padre e me ne sto seduta in una chiesa sperando di non essere
incinta!  Non è così che deve
andare: dovrei essere felice, radiosa, guardarlo negli occhi e vedervi la gioia
che io stessa provo, magari anche qualche lacrima… poi dovrebbe abbracciarmi,
stringermi e cominciare a fare piani per il futuro, pensare allo sport che
praticherà, al college che potrebbe frequentare…”


Spostò lo sguardo dal viso
della statua appesa alla parete e si guardò intorno: i turisti sembravano
diminuiti e non si curavano di lei. Sentì il senso di colpa correrle nel sangue
mentre formulava il successivo pensiero; “e poi c’è un’altra cosa…
io… non sono certa di volere che Matt mi stringa anzi, ad essere sincera, temo
che il suo abbraccio mi spaventerebbe… abbiamo già chiarito che non voglio un
figlio ora, ma non ti ho detto che non voglio un figlio… da Matt. Mi serve
tempo per capire cosa mi sta succedendo ed è per questo che devi aiutarmi,
perché un bambino deve nascere anche in un clima diverso, d’amore e sua madre
dovrebbe ringraziarti per questo miracolo, non pregarti di cambiare le cose.”


Abbassò gli occhi, quasi
intimorita dalla sentenza che il Cristo avrebbe potuto emettere e vide una donna
con un bebè tra le braccia sedersi poco lontano da lei. Istintivamente si mise
una mano sulla pancia e il pensiero che qualcosa si stesse sviluppando la fece
deglutire a fatica. Scosse la testa e si alzò, pronta a dirigersi
all’ambulatorio con la chiara intenzione di entrare e dare un taglio a
quell’incertezza; camminò senza pensare a nulla, mentre l’eco dei suoi
passi sul pavimento della navata riecheggiava nella sua testa.


 


PS: Nôtre Dame è una chiesa
cattolica, ma purtroppo non ricordo se c’è un crocefisso all’interno. Si
svolgono delle funzioni quindi immagino di sì, comunque poiché non ne sono
certa, facciamo finta che sia così, ok?


 






 
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Elena_R
view post Posted on 26/9/2004, 16:59




siore e siori, spero che vi piaccia o che per lo meno non vi faccia venire voglia di uccidervi.
se volete mandarmi a quel paese perchè mi sto dilungando troppo potete farlo, ma bisogna avere pazienza e prima o poi rory e jess si rivedranno. dopotutto questa è "Ritorni" e indovinate chi deve tornare dove?
ora avanti con la ff...

Capitolo quattordici

L’innocua e immacolata busta bianca che l’impiegata le aveva consegnato col sorriso sulle labbra, aveva bruciato tra le sue mani. Era così fastidioso averla indosso che aveva corso fino alla stazione della metro per arrivare in albergo il prima possibile e poter leggere l’esito in pace, ma ora quel rettangolo di carta se ne stava pacioso e allo stesso tempo minaccioso al centro del tavolino della sua stanza e lei non riusciva a fare altro che avanti e indietro sul pavimento guardandola, avvicinandosi e ritraendosi subito dopo; più il tempo passava più capiva che non sarebbe stata un’impresa facile.
Il contenuto poteva cambiare la sua vita per sempre, mentre a lei le cose andavano bene così.
Ad ogni modo lasciare quella busta sigillata non sarebbe stato d’aiuto e, per trovare il coraggio di portare a termine quell’impresa, sentì di aver bisogno dell’unica persona che sarebbe riuscita a spronarla: Lorelai. A Stars Hollow era mattina presto e a quell’ora sua madre doveva alzarsi per andare a lavorare, quindi prese il telefono e iniziò a digitare la lunga serie di cifre che conosceva molto bene. Ad ogni squillo sentiva che il coraggio le veniva meno e stava per riattaccare, quando una voce maschile rispose: si sentì in trappola.
-Luke? Ciao, sono Rory.
-Rory! Va tutto bene? E’ molto presto…
-lo so, scusami- rispose evitando la sua domanda, -mia madre è già uscita?
Da un lato sperava che fosse già al Dragon Fly, in modo da rimandare ulteriormente l’apertura delle analisi, ma…
-no, sono appena riuscito a tirarla giù dal letto. Te la chiamo subito.
Respirò a fondo, la speranza era ormai morta e la rassegnazione si faceva largo a fatica tra quel casino di sensazioni che le attanagliavano lo stomaco. Cercò di controllarsi e di fermare il tremolio delle mani, mentre Luke gridava a Lorelai di piantarla con gli agguati al caffè e andare a rispondere al telefono.
-quell’uomo diventa sempre più bisbetico!- disse –puoi ricordarmi perché l’ho sposato?
-perché lo ami.
-no, dev’esserci qualcos’altro…
-perché il suo è il miglior caffè d’America.
-oh, esatto; dovrò scrivermi un promemoria. Ciao tesoro!
-ciao mamma.
-perché mi chiami alle… 7 di mattina?! Oh, le analisi!- gridò ricordando la ricorrenza. Qual è il verdetto?
-non ne ho idea.
-oh, bene. Che significa?
-significa che da due ore sul tavolo davanti a me c’è una bellissima e candidissima busta bianca ancora chiusa.
-dovresti aprirla, tesoro. Sempre che tu non abbia sviluppato dei superpoteri… per esempio la vista a raggi X.
-no, niente superpoteri, accidenti. Mi serve aiuto.
-ok, ma io non posso teletrasportarmi o volare fino a Parigi.
-lo so, ma puoi ascoltare mentre io cerco di sapere se…
-ok. Sono pronta. E tu?
-no, ma non credo di avere altra scelta. Ora la prendo.
-com’è?
-liscia. Carta di buona qualità, credo.
-è un buon segno: sono molto attenti al loro lavoro e sicuramente sono stati accorti anche nell’analizzare il tuo sangue. Ora procedi: aprila.
Rory si guardò intorno e afferrò il tagliacarte che Giorgia le aveva regalato prima di partire: era carino, con all’estremità un chicco di caffè di legno.
-fatto- disse strappando la busta e prendendo il foglio intestato che stava all’interno.
-bene. Ora leggi-le ordinò.
-hai incrociato le dita?
-anche quelle dei piedi.
Rory rimase in silenzio per alcuni secondi e le lacrime le offuscarono la vista quando tentò di leggere per la seconda volta il risultato.
-Rory?
-mamma…- disse piangendo.
-oh, tesoro! Mi disp—
-non sono incinta!
-cosa?
-non sono incinta!- ripetè più forte.
-e perché piangi?
-non lo so, credo di essere sollevata. E’ quello che volevo e forse la tensione che si è accumulata questa settimana… oh, dio.
-hai visto? Non c’era bisogno di allarmarsi, perché alla fine tutto si è risolto per il meglio. Stai bene?
-sì, sto bene. E’ solo che… ero certa di aspettare un bambino e sapere che invece non c’è mai stato nulla… è strano.
-arriverà il giorno in cui sarai pronta per avere un figlio e rimanere incinta sarà la cosa più meravigliosa del mondo- la rassicurò Lorelai con un po’ d’amarezza nella voce, perché le sarebbe piaciuto avere un nipotino da sbaciucchiare e viziare. Però quello era un momento inopportuno e doveva rassegnarsi ad aspettare ancora qualche anno.
-non avrei mai abortito, lo sai vero? Non avrei mai potuto fare una cosa del genere.
-non ho mai avuto dubbi. Ora devo andare: se arrivo tardi anche oggi Michel mi destituisce dal trono.
-ok. Grazie, mamma.
-ciao, Rory.
Si passò una mano sulle lacrime ormai seccate che rigavano il suo viso e rilesse ancora una volta il risultato: negativo. Era liberatorio, ma se fosse stato positivo avrebbe tenuto quel bambino e lo avrebbe amato come sua madre aveva fatto con lei. Rory stessa era arrivata al momento sbagliato, ma Lorelai le aveva dato una vita perfetta e gliene era grata; se avesse abortito lei non sarebbe esistita… non voleva nemmeno pensarci.
Ancora col telefono in una mano, decise di fare un’altra chiamata e anche stavolta ci volle molto prima che qualcuno rispondesse; temeva di sentire un’altra voce, ma la sua, assonnata, la fece sorridere.
-pronto.
-ti ho svegliato?
-Rory? No, stavo facendo le cento flessioni che faccio ogni notte alle… quattro in punto? Sono le quattro di mattina!
-ah, sì? Immaginavo che avessi qualche segreto per tenerti così in forma.
-Rory, devo ripeterti che ore sono?
-no, scusami- si sentiva un’idiota: come le era venuto in mente di chiamare a quell’ora? Non tutti vivono a Parigi, stupida! pensò.
-non ti preoccupare. Va tutto bene?
Come faceva a capire che qualcosa la turbava se era dall’altra parte dell’oceano? Perché lei non era capace di leggergli dentro? Sentì una lacrima scendere lungo la guancia e la cacciò via immediatamente col dorso della mano; -certo, va tutto… a meraviglia. È solo che non ho nulla da fare e mi sono dimenticata del fuso orario. Forse è meglio che ti lasci… fare le tue flessioni.
Sentì uno strano rumore venire dall’altra parte del telefono e pensò che stesse sorridendo: non poté fare a meno di farlo lei stessa.
-sicura?- le chiese cercando di spingerla a parlare, ma lei non aveva nulla da dire: ora tutto era a posto.
-si.
-ok. Allora… dato che da te è praticamente pomeriggio… buona giornata, Rory.
-buona notte, Jess.

-si può sapere perché ogni volta che ti parlo di cose serie tu fai finta di leggere il giornale?- chiese Sasha con un tono di voce adirato, piazzandosi davanti a lui e strappandogli dalle mani il quotidiano che ora giaceva sconsolato sul pavimento dall’altra parte della sala. Jimmy sospirò, chiedendosi perché ad un uomo non era concesso di leggere le notizie sportive senza dover essere continuamente interrotto. Se si fosse alzato per riprendere il giornale e avesse ricominciato a sfogliarlo, Sash si sarebbe imbestialita, quindi, nonostante fosse divertente fingere di non ascoltarla, arrivò alla conclusione che era meglio fare buon viso a cattivo gioco.
-tanto per la cronaca non fingo di leggere- puntualizzò –e comunque ha ventitré anni e può fare quello che vuole. Devo ricordarti che non mi sono mai permesso di intromettermi nella sua vita da quando è qui?
-devo ricordarti che è tuo figlio?- rispose lei con le mani sui fianchi.
-Sash- disse prendendola per un braccio e trascinandola a sedere sul divano accanto a lui; -so che Kate non ti è mai andata a genio e so che ora ti piace ancora meno, ma Jess sa qual è la donna giusta per lui, non credi?
-è ovvio! La donna giusta! Lei non lo è, Jimmy. Lei è… una…
-ok: non si è comportata bene, ma mio figlio sa cosa fa. Se ha ripreso ad uscire con lei c’è un motivo.
Sasha lo guardò incuriosita: -tu sai qualcosa che io non so, vero? Hai parlato con lui?
-no- le rispose sinceramente, anche se non aveva idea di come facesse a capire sempre tutto: avere un segreto con lei era impossibile. –ho incontrato Sean.
-E…?
-e ha detto che è una specie di relazione a scadenza determinata: stanno insieme fino a quando Jess parte per New York. Kate non ci guadagna niente.
-come sei ingenuo!- esclamò come se fosse un dato di fatto, -quella è talmente furba da sperare di farlo innamorare ancora e magari trasferirsi con lui. Vipera…
-non è così malvagia…
-ah, no? Bisogna avvertire Jess.
-No! Dobbiamo starne fuori e sta certa che stavolta non ci cascherà.
-non capisco perché sei così calmo di fronte a questa tragedia. Persino Ally, la sua migliore amica, è perplessa.
-conosco mio figlio. Ricordi quando si sono messi insieme?- chiese ricevendo in risposta un cenno d’assenso, -andava in giro con scritto in fronte ‘amo Kate’. Ora è diverso.
-forse non se n’è ancora reso conto.
-stai parlando di Jess: lui non si lascia coinvolgere da nulla e da nessuno se vuole. Ora il suo obiettivo è la gestione di una casa editrice dall’altra parte del paese e Kate non è nei suoi piani.
-è una visione molto cinica della vita quella che tu hai appena descritto. Jimmy, lui era così cinque anni fa, ma ora è tutto diverso.
-per certi versi sì, ma per quanto riguarda Kate, fidati, è tutt’un’altra cosa.
-non mi va di vederlo soffrire. Gli voglio bene come se fosse mio figlio e…
-e vorresti proteggerlo. Ma lui non te lo permetterebbe. Lascia le cose come sono, comportati normalmente e non roviniamo l’ultima settimana insieme, ok?
-ok- disse Sasha rassegnata – ma la tengo d’occhio. Se scopro che si sta prendendo gioco di lui la butto nell’oceano con un macigno legato alle caviglie e le catene ai polsi. A meno che non si chiami Hudini di secondo nome, non se la caverà.
Jimmy sorrise abbracciando quella donna meravigliosa e protettiva nei confronti di Jess; -lui ti darebbe volentieri una mano, lo sai?
-lo so. Ora andiamo a dare da mangiare ai cani- ordinò lei alzandosi di scatto e trascinandolo fuori nonostante le sue proteste.
Quando entrambi furono in giardino, l’anta dell’armadio si aprì lentamente e Lily uscì silenziosa dal suo nascondiglio; Jess e Kate di nuovo insieme: quella era una pessima notizia. Diede un’occhiata al plico di foto scattate a Stars Hollow che giacevano sul tavolino di fronte al divano poi, d’istinto, lanciò il libro che teneva in mano contro la parete. Fece un gran tonfo prima sbattendo sul muro poi cadendo sul pavimento, ma fu l’unica a sentirlo, perché l’abbaiare dei cani copriva perfettamente ogni suono.

Ogni giorno ringraziava io Signore per la seconda chance che le era stata concessa. Averlo tradito pochi mesi prima era stato il più grande errore della sua vita e quando Jason si era rivelato per il buono a nulla che era in realtà, tutto era diventato più chiaro. A Jess non importava nulla di suo padre, dei suoi soldi, dell’impero che un giorno avrebbe ereditato; Jason si era innamorato solo di quello ed era stato bravissimo a fingere con lei. Solo allora aveva capito di aver perso qualcosa di troppo importante. Gli aveva detto di amarlo ed era certa di quello che provava, perché di lui adorava tutto. Però c’erano giorni in cui lui era distante, pensava ad altro e non le diceva nulla.
Giorni come quello.
Da quando era entrata in casa sua, le aveva rivolto a malapena la parola e risposto distrattamente alle sue domande. In compenso aveva guardato l’orologio ogni due minuti: era impaziente e nervoso. Kate aveva pensato che fosse solo la fine di una brutta giornata e inizialmente si era tenuta in disparte, ma il problema non erano né la stanchezza né l’umore di Jess.
-Si può sapere così hai oggi?- gli chiese, mentre lui abbandonava i fornelli su cui stava cuocendo la loro cena e accendeva la televisione. Seguì ogni mossa, dal suo afferrare il telecomando all’incessante zapping dei canali, dal susseguirsi costante d’immagini sullo schermo al suo cadere placidamente sul divano. Finì di apparecchiare la tavola, gettandogli di tanto in tanto un’occhiata, poi lo raggiunse sedendosi al suo fianco e aspettando silenziosamente un fantomatico avvenimento. Ora la televisione era ferma sulla CNN e la sigla di un programma stava iniziando.
-cosa c’è d’interessante da guardare?- gli chiese giocando con i suoi capelli e baciandogli il collo.
- un’intervista- le rispose senza spostare gli occhi dallo schermo. Kate staccò le labbra dalla sua pelle e in quell’istante Jess le chiese di controllare che la pasta non si stesse scuocendo. Incredula, perché il suo fidanzato preferiva televisione e cena (in quell’ordine) a lei, si alzò per non dire qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. Sollevò il coperchio della pentola e quasi si mise le mani nei capelli: l’acqua bolliva, ma Jess si era dimenticato di buttare la pasta. Respirando a fondo per sbollire l’irrequietezza che la stava sopraffacendo, si convinse che una giornata no poteva capitare a tutti e Jess dopotutto era un essere umano come tanti altri. Una volta buttata la pasta nella pentola tornò in sala, dove lui era ancora immobile e preso da un servizio sul presidente francese.
-Che t’importa di Chirac?- domandò sorpresa da quell’inspiegabile interesse. Si parlava della Francia, del suo ruolo al parlamento europeo e, come al solito, presto sarebbe arrivato il momento dell’Iraq e delle emblematiche domande: “ONU o non ONU? Ritiro o non ritiro?” I giornalisti tendevano ad essere troppo prevedibili.
-mi piace sapere cosa succede nel mondo- fu l’unica cosa che sentì uscire dalla sua bocca.
Stava per rispondere qualcosa, ma Jess si mise un dito sulle labbra supplicandola di stare zitta almeno per il momento. Certa che anche se avesse detto qualcosa lui non l’avrebbe ascoltata, decise che era meglio tenere la lingua a freno; entro pochi minuti Chirac sarebbe scomparso e loro sarebbero tornati alla loro vita normale: l’avrebbe baciata, le avrebbe detto che un giorno sarebbero andati in Francia, ma non a Parigi, perché è troppo scontata, poi avrebbero cenato.
Si concentrò sulle parole del presidente e rise della sua pronuncia, soprattutto della “R” che non aveva nulla a che vedere con quella inglese. In un attimo il fuoco si spostò sull’intervistatrice: una ragazza americana estremamente giovane e bella. Il primo pensiero che ebbe fu che quella doveva essere una figlia di papà che, come lei, aveva tutte le porte spalancate e aveva fatto carriera in pochissimo tempo. Poi qualcosa catturò la sua attenzione: occhi blu che aveva già visto. Si alzò nuovamente ed entrò nella stanza di Jess senza che lui se ne accorgesse.
Quando era tornato dal matrimonio di suo zio aveva portato con sé alcune fotografie e gliele aveva mostrate…
-E questi chi sono?-gli chiese prendendo alcune foto dal comodino. Jess le guardò e alzò un dito indicandole le persone: -mio zio Luke. È con lui che ho vissuto per un paio d’anni prima di venire qui.
-davvero? E così questo è il famoso “Zio Luke”.
Fece un cenno con la testa e continuò; -lei invece è Lorelai, sua moglie. È stata scattata il giorno del matrimonio.
-lo avevo immaginato: nessuno va in giro in abito bianco, non credi?
-tu non la conosci: ne sarebbe capace!
-è una svitata?- gli chiese ridendo, contagiata dal suo stesso sorriso. Era così raro da quando era tornato…
-non proprio. Diciamo che è… particolare.
-che tradotto significa svitata. Oh, guarda! Tu e Lily! Che carini…- esclamò indicando i due ragazzi. Jess storse il naso per via dell’aggettivo usato e Kate sfogliò le altre foto; -e questa?- chiese indicando una donna che si stingeva al suo braccio e a quello di Luke.
-Liz.
-Liz nel senso: Liz, tua madre?
Jess asserì e prese le fotografie dalle sue mani per appoggiarle nuovamente sul comodino, ma Kate protestò dicendo che doveva vederne ancora alcune. Riprese a guardarle e nell’ultima vide i due sposini, Jess e una ragazza; -e lei?
-è la figlia di Lorelai.
Spalancò gli occhi, impressionata dalla rassomiglianza e dal fatto che sembrassero sorelle più che madre e figlia. Lui le spiegò che Lorelai era rimasta incinta a sedici anni e aveva scelto di tenere la bambina, mentre quello che allora era il suo fidanzato non si era accollato la responsabilità di una figlia e aveva fatto il padre a distanza, presentandosi di tanto in tanto alla loro porta.
-sono state molto coraggiose, soprattutto la moglie di tuo zio: non deve essere facile crescere una bimba da sola e per di più a quell’età! Forse è anche per questo che Lorelai è un po’… svitata: evidentemente il suo comportarsi giocosamente è un modo per esorcizzare le responsabilità che ha affrontato da giovane.
-oh, no. Credimi: lei e Rory sono così di natura.
-Rory?- ripeté. Quel nome le suonava familiare; -Rory era la tua ragazza al liceo.
Jess fece un cenno positivo con la testa e lei tornò a guardare la fotografia. Le aveva parlato di lei una sola volta e con poche parole: “Sono uscito con Rory per qualche mese, poi ho preso un autobus per la California e non l’ho più vista ne sentita”. Era tutto ciò che sapeva di lei e le aveva fatto quasi pena.
Rory era bella, molto più di quanto avesse immaginato, e non riusciva a staccare lo sguardo dai suoi occhi: erano grandi, magnetici e blu. Era persa in quella contemplazione quando Jess le strappò le foto di mano e le mise tra le pagine di un libro; seguì i movimenti della sua mano e non fece caso al bacio che le diede. Era come se le volesse far dimenticare ciò che aveva appena visto, ma ormai quel viso era impresso nella sua memoria.

Si avvicinò alla libreria e scorse con l’indice una ad una le copertine dei libri, finché trovò quello che le interessava. Lo fece scorrere tra gli altri e come previsto le foto erano ancora al suo interno. Quel giorno, dopo aver fatto l’amore, aveva visto Jess metterlo tra gli altri libri e probabilmente da allora se n’era dimenticato.
Rory era lì, tra le pagine di un libro, con il suo viso angelico e la chioma sciolta; e contemporaneamente era sullo schermo del televisore con lo stesso sorriso e i capelli raccolti in una coda. Gli occhi erano gli stessi e quelle due donne in realtà erano una sola.
Sentì alcuni rumori provenire dalla cucina e si affrettò a mettere tutto a posto e uscire; Jess aveva spento la tv e stava scolando la pasta. Rimase ferma sulla porta ad osservarlo mentre condiva la loro cena, mescolava i maccheroni e li divideva in due piatti con un certo sorriso sulle labbra. Avrebbe voluto fargli mille domande, sapere qualcosa in più sul passato misterioso che non le aveva mai interamente rivelato, conoscere la sua storia con quella ragazza, perché sapeva che era importante. Jess aveva l’abitudine di parlare solo delle cose che per lui non significavano nulla: le aveva raccontato di diverse sue ex e Rory era l’unica a mancare all’appello.
-Jess- disse avvicinandosi, incerta su cosa fare o dire. Le domande a cui lui non avrebbe mai risposto erano troppe, così decise di lasciar perdere; -sai che ti amo, vero?
La guardò con un’espressione stupita e incuriosita, poi le diede un bacio su una guancia e, sorridendo, le disse di sedersi, perché era pronto. Da quando erano tornati insieme non le aveva mai detto che l’amava.
Qualcosa non andava come avrebbe dovuto.

 
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Elena_R
view post Posted on 30/10/2004, 14:59




Salve! cominciavo a sentirmi in colpa per la mancanza di aggiornamenti... questo è un capitolo che avevo scritto quest'estate quindi era pronto da un po e ho pensato di metterlo su, però per il prossimo dovrete aspettare diverse settimane (spero non troppe, ma dipende dall'alma mater...)
per eventuali commenti sapete cosa fare. se volete scrivermi vi do il mio secondo ind e-mail: [email protected] ([email protected] è sempre attivo, ma sto cercando di dirottare la posta su hotmail... a voi la scelta.)
mi sento in dovere di dedicare questo capitolo a castagna, perchè è fantastica, e a pheebe come ringraziamento per quello che farà in futuro.
ma ora... buona lettura e scusate se è breve.

Capitolo quindici

-ho letto i tuoi reportage e ieri sera abbiamo visto l’intervista a Chirac: sei stata fantastica!
-grazie- rispose mentre passeggiava per le stradine della città.
Il caldo estivo si era attenuato da alcune settimane e al suo posto la brezza che la sfiorava era un rinfrescante per il viso arrossato dal complimento del fidanzato e dal fatto che camminava da decine di minuti. Ora che la temperatura si era abbassata, andare in giro a piedi, guardare le vetrine dei negozi e respirare l’aria di Parigi la rilassava. Spesso il traffico era insopportabile, ma in certi momenti riusciva ad estraniarsi da ciò che la circondava, momenti in cui si concentrava su una sola cosa, momenti come quello in cui tutte le sue attenzioni erano rivolte all’ascolto delle sue parole. Negli ultimi tempi era stata troppo assente, era capitato che non si sentissero per giorni e quando finalmente riuscivano a parlarsi era per pochi minuti, perché solitamente uno dei due aveva qualcos’altro d’urgente da fare. Doveva ascoltare Matt e capire.
-abbiamo?- gli chiese incuriosita.
-io e papà. Ti ha fatto molti complimenti.
-tuo padre mi odia- affermò con convinzione.
-non è vero, diciamo che non gli sei mai stata d’aiuto per la pessima pubblicità che hai fatto alla nostra impresa, ma ti stima. Credimi.
-dovrei?
-che c’è, adesso non ti fidi più di me?
-sì, ma… non lo so. Tuo padre è sempre così freddo nei miei confronti e ho l’impressione che non sia solo per i miei articoli. A volte mi guarda con degli occhi… è come se attraverso me vedesse lei. E mi fa paura.
S’interruppe aspettando una sua reazione, ma quel silenzio prolungato le fece temere di aver detto la cosa sbagliata. La madre di Matt era stata una giornalista per la BBC ed era morta in un agguato degli indipendentisti della Cecenia quando lavorava laggiù. Aveva sempre pensato che il signor Horizon non condividesse la sua unione col figlio, perché temeva che la storia potesse ripetersi e che un giorno Matt potesse ritrovarsi vedovo e con un adolescente a cui badare.
-lui non ne parla mai- le rispose dopo aver raccolto i pensieri –ma non pensare male di lui: forse si preoccupa per me e anche per te. So per certo che ti vuole bene e sa quanto tu sia importante per me. Hai scelto un lavoro che può diventare molto pericoloso e lui vorrebbe che io fossi felice e sereno, ma sa che lo sono solo con te ed è questo ciò che conta. E poi è stato lui a dire che l’intervista era fantastica.
-allora credo che dovrai ringraziarlo da parte mia. È bello sapere che il servizio vi è piaciuto: ero così tesa!
-lo so, me l’hai detto. Eppure in video sembravi a tuo agio e sicura di te.
-beh, tutti gli anni passati a lavorare sotto la pressione di Paris stanno dando i loro frutti.
-io lo chiamerei talento naturale. Oh, ora devo proprio andare: il lavoro mi aspetta.
-ok.
-ma prima devo dirti un’ultima cosa. Sei pronta?
-cosa c’è? È successo qualcosa?
-ho prenotato un volo per Parigi tra due settimane. Potremmo vederci, stare insieme per un paio di giorni… che ne pensi?
-è… meraviglioso.
-esattamente quello che ho pensato io. Ci sentiamo domani. Ti amo.
-sì, ciao.
Non gli aveva detto nulla di ciò che era accaduto alcune settimane prima e nascondergli quell’informazione era stato facile, ma affrontarlo faccia a faccia e passare del tempo insieme non le avrebbe facilitato le cose. Matt aveva sempre capito quando c’era qualcosa che non andava ed era certa che in qualche modo avrebbe percepito il sentore di un segreto. Rimettendo il cellulare nella borsa si rese conto che non lo voleva lì con lei e, soprattutto, si accorse che da diverso tempo non gli diceva le due semplici parole “ti amo”.

L’alone bianco si spostava ritmicamente a destra e a sinistra secondo il suo respiro. L’orologio era al suo polso e il polso sul petto; i raggi, prepotenti e accecanti già a quell’ora del mattino, si riflettevano sul vetro e rimbalzavano fino al soffitto dando vita a quel cerchio ballerino che studiava da diversi minuti. Al suo fianco Kate dormiva profondamente e, facendo meno rumore possibile per non svegliarla, voltò solo testa: era sdraiata sulla pancia, abbracciata al cuscino, i capelli sciolti si allungavano sulla sua schiena nuda e sul materasso. Era indubbiamente una delle più belle ragazze che conosceva e sentiva di volerle bene, dopotutto c’era stata una storia, ma oltre quell’affetto e l’attrazione fisica non era rimasto nulla: quel profondo sentimento che aveva provato nei suoi confronti era svanito da molto tempo e da allora non era più tornato. A dispetto di quel tentativo, non era ancora riuscito a perdonare il tradimento della persona amata; vedeva Sasha e Lily storcere il naso ogni volta che nominava Kate in loro presenza e non poteva dargli torto: erano protettive nei suoi confronti, volevano che non soffrisse più per una come lei e quella premura lo faceva sorridere: la donna di suo padre era una madre per lui più di quanto lo fosse Liz. Sasha era il Luke di Los Angeles, la sua versione al femminile… chissà come stava con una camicia di flanella? E lui con i capelli ossigenati?
A Stars Hollow aveva capito quanto Luke era importante e gli era mancato in quegli anni; forse ora, con quel trasferimento a New York, avrebbero avuto la possibilità di vedersi più spesso, recuperare un po’ del tempo perso… non avrebbe mai immaginato d’essere felice al pensiero di rivedere suo zio, ma d’altronde molte cose erano cambiate e Jess stesso era in cima alla lista. Entro una settimana lui e Lorelai sarebbero atterrati all’aeroporto di L.A. per il loro “viaggio di nozze” e quella sarebbe stata un’ottima occasione per riprendere da dove avevano lasciato alcuni mesi prima.
Stava per alzarsi quando il telefono iniziò a suonare. Cercando di muovere il meno possibile il materasso uscì dal letto e controllò che Kate non si fosse svegliata: aveva solo voltato la testa in direzione della libreria e mormorato qualcosa, ma i suoi occhi erano ancora chiusi.
-pronto?- rispose cercando un paio pantaloni per la stanza senza trovare altro che la biancheria della sua ragazza e… una benda? Forse era un foulard…
-ciao Jess.
Al suono della sua voce la ricerca arrivò alla fine e lui si avviò versa la porta per poter andare in sala e parlare senza il timore di disturbare Kate; -Rory. Buon giorno anche a te.
-nel mio caso sarebbe più appropriato dire buon pomeriggio, ma se insisti… come stai?
-non sto sanguinando o altro- citò una risposta data a Lorelai poco dopo essere andato a vivere a Stars Hollow, certo che Rory, avendo lo stesso umorismo della madre, avrebbe risposto come lei, o quasi.
-beh, allora direi che è una buona giornata, no?
Sorrise, orgoglioso della sua stessa perspicacia, e si sedette sul divano: -ho visto una cosa interessante ieri sera.
-sì?
- un’intervista.
-e… conosco la giornalista per caso?
-Lorelai Leigh Gilmore ti ricorda qualcuno?
-mi suona familiare.
-a me no- le disse in tutta onestà –è strano sentirti chiamare col tuo nome per intero. Contro natura, direi.
-anche a mia madre fa uno strano effetto, ma avrebbe dovuto pensarci ventitré anni fa, non credi? E comunque non posso presentarmi ad un presidente dicendogli “Rory, piacere.”
-è una persona come tante altre.
-so che tu saresti capace di stringergli la mano e offrirgli una birra parlandogli da pari a pari, ma io non sono così. Lui è… Chirac- disse come se quel nome fosse la spiegazione più chiara; -come ti è sembrata l’intervista?
-come ho detto prima, l’ho trovata interessante: domande precise, mirate. Niente banalità- rispose restando sul vago sapendo benissimo che Rory si aspettava un altro tipo di risposta.
-ok, ma ti è piaciuta?
-non ho cambiato canale.
-immagino che sia il tuo modo indiretto e fastidioso di dire sì. Beh, se continuate tutti a dirmi che è vi è piaciuta, dovrò credere veramente che l’intervista era ben fatta.
-hai qualche dubbio?- le chiese: ovvio, è sempre pronta a sminuirsi; -cosa intendi per “tutti”?
-Luke dice che me la sono cavata bene e che era scontato che fosse un successo, i miei nonni sono entusiasti e non mi meraviglio se daranno una festa in mio onore quando tornerò, Matt e suo padre mi hanno definita fantastica, i colleghi mi riempiono di complimenti, il redattore ha definito l’intervista ‘passabile’, il che significa ‘va bene’ e il direttore del N.Y. Times ha avuto addirittura il tempo di telefonarmi per dirmi quanto sono fieri di avermi nello staff.
-e parli ancora con i comuni mortali?- la schernì, passando sopra alla strana fitta che aveva sentito nel petto quando aveva nominato il suo fidanzato: sentire parlare di Matt gli faceva ancora un singolare effetto, non riusciva ad abituarcisi.
-cerco di non dimenticare gli amici.
Ancora la fitta: forse si stava ammalando; -e Lorelai?
-lei dice che l’abbinamento dei miei vestiti era estremamente fine, molto francese, le perle erano la ciliegina sulla torta, è orgogliosa di me ed ero bellissima.
-ha ragione.
Alcuni attimi di silenzio seguirono la sua affermazione e lui ebbe tutto il tempo per prendersi a calci da solo, frustrasi a sangue, correre per la casa intonando una canzoncina ridicola per punirsi della sua leggerezza e tornare al telefono per continuare la conversazione come se nulla fosse accaduto. Perché non teneva la bocca chiusa di tanto in tanto? Tutta colpa di Sasha…
-cosa?- le sentì chiedere e a quel punto provò l’irrefrenabile impulso di riattaccare, aspettare un paio di minuti per raccogliere le idee ed inventarsi qualcosa, poi richiamarla dicendo che era caduta la linea. Ma non lo fece.
-l’abbinamento, le perle… sì, era molto…
-fine?-lo aiutò.
-esatto- si alzò e camminò in cucina per prendere un bicchiere d’acqua, perché la gola era talmente secca da impedirgli quasi di parlare. Avrebbe dovuto inaridirsi prima, pensò cercando un bicchiere.
-sei in imbarazzo? Non ti ho mai sentito parlare di… vestiti.
-assolutamente no. Volevo solo dire che il tuo abbigliamento era consono alla situazione. Hai sentito che la Mastercard ha creato una carta di credito con la foto di Usher stampata sopra?
Rory rise del suo tentativo di cambiare discorso; -sì, lo sapevo. E grazie per aver visto l’intervista e… aver trovato adatto il mio abbigliamento.
-prego- rispose conscio che Rory era troppo intelligente per non aver capito che si riferiva a tutt’altro che una stupida camicia; ma almeno era passata oltre il suo momento di distrazione. Ricordati di Matt, diceva il suo grillo parlante con le sembianze di un calvo col cappellino da baseball, e di Kate. O degli altri quattro milioni di donne che vivono sul pianeta terra.
-Devo andare- le disse controllando l’orologio –se arrivo tardi in ufficio anche oggi, Sean mi taglierà fuori e addio New York.
-il D-day sì avvicina… quanto manca?
-due settimane.
-wow. Beh, buon lavoro e dì ‘ciao’ a Sean, ok?
-se arriverò tardi sarà una buona scusa per fargli dimenticare la mia negligenza: per te ha una venerazione che inizia a far preoccupare persino sua moglie…
-dille di non preoccuparsi: non sono una rovinafamiglie! Ciao, Jess.
-ciao, Rory.
Quando il segnale indicò che la linea era stata chiusa, appoggiò il telefono sul lavandino e bevve finalmente dal suo bicchiere, anche se ormai non n’aveva più bisogno. Era veramente tardi e avrebbe fatto meglio a sbrigarsi o Sean non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Si fiondò in camera e, passando davanti alla libreria, con la coda dell’occhio notò che uno dei suoi libri era stato spostato. L’istinto gli disse di prenderlo e all’interno apparvero le foto del matrimonio di Luke, foto che ormai aveva dimenticato: com’erano finite là dentro? Le sue dita si fermarono su quella che lo ritraeva con una lei sorridente e…
-… ed ero bellissima.
-ha ragione.

Perfettamente ragione. Spostò lo sguardo su un’altra bella donna, quella che teoricamente faceva parte della sua vita in quel momento e per qualche altro giorno. Se solo avesse saputo che da mesi non era null’altro che un passatempo forse non avrebbe acconsentito a tornare con lui. Ma Jess era egoista e aveva bisogno di pensare ad altro; e poi rendere felice Kate non gli interessava più. Chiuse il libro e lo rimise tra gli altri, le immagini rubate ad una Stars Hollow in fiore ancora tra quelle pagine, poi entrò in bagno per prepararsi chiudendosi la porta alle spalle. A chiave.
Kate respirò nell’aria il suo profumo, consapevole che non avrebbe potuto farlo ancora per molto, e aprì gli occhi: lucidi.
 
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Elena_R
view post Posted on 8/12/2004, 16:26




mea culpa... so che non aggiorno da tanto tempo e prego tutti coloro che stanno leggendo questa storia di avere un po' di pazienza...
ci tengo a precisare, per coloro che si stanno chiedendo se JEss e Rory si rincontreranno in questa storia, che sì, si rivedranno; mancano ormai pochi capitoli alla fine(ne prevedo al max una decina) e per i nostri Lit ci sono un paio di sviluppi in corso quindi, please, pazientate e sopportatemi.
e commentate!

Capitolo sedici

-Lorelai?- disse Lily con un’espressione preoccupata schiacciandosi contro la portiera dell’auto.
Luke era seduto al suo fianco con lo sguardo fisso nel vuoto, le mani appoggiate sulle ginocchia e il viso pallido: sembrava che stesse per vomitare.
-Sì?
-credo che non si senta bene- rispose indicando con l’indice l’uomo vicino a lei e ottenendo solo una risata come risposta.
Sta tranquilla, lo zio Luke ha scoperto di soffrire di mal d’aereo. Ci vorranno solo alcuni minuti per riprendersi, poi tornerà il brontolone che tutti conosciamo.
-non sono un brontolone- protestò muovendo solo le labbra –e mi sento benissimo. Sto solo ammirando il paesaggio.
-certo, amore. Dicevo così per dire-lo rassicurò sorridendo e voltandosi nuovamente in avanti.
Era l’inizio della loro luna di miele: dieci giorni da trascorrere sulle spiagge di Venice sotto il sole della California. Avevano discusso a lungo su DOVE andare e alla fine la scelta era caduta sull’ovest che nessuno dei due aveva mai visto. Sapeva che gli avrebbe fatto piacere vedere dove e come aveva vissuto suo nipote in quegli anni e anche lei era felice di poter conoscere meglio Sasha. Negli ultimi mesi si erano sentite diverse volte per telefono e avevano scoperto di avere molto in comune: sentiva che quella donna avrebbe potuto diventare una delle sue migliori amiche –dopo Rory e Sookie- e stare insieme per qualche giorno era un’ottima occasione per dare inizio a quel processo.
Sasha e Lily erano andate a prenderli all’aeroporto e li avevano accompagnati in hotel, dove avevano lasciato i bagagli. L’ora di cena si stava avvicinando e per quella sera erano stati invitati a casa di Jimmy; Jess stava ancora lavorando e li avrebbe raggiunti più tardi. A volte era ancora difficile accostare l’immagine del diciassettenne che aveva vissuto a Stars Hollow a quella invece diligente e responsabile dipinta solo di recente. Anche se non lo mostrava Luke era felicissimo che stesse per tornare a New York, perché significava averlo più vicino e vederlo più spesso. New York non era così lontana e d’ora in poi lo avrebbero costretto a trascorrere tutte le feste in famiglia: Luke e lui, e poi Liz. Si tornava ai vecchi tempi, peccato che nel quadro mancasse la sua Rory.
-Siamo Arrivati!- gridò Lily e Lor si rese conto che il motore era gia spento e Sasha stava scendendo dall’auto. Slacciò la cintura di sicurezza, mettendo da parte la nostalgia per i giorni in cui era una cosa sola con sua figlia, e guardò alla casa che aveva davanti: carina e colorata, soffocata da fitto giardino d’alberi e fiori profumati. Il piccolo cancello si aprì e dall’interno iniziò un assordante abbaiare.
-sono i nostri cani- le spiegò la donna sorridendo –non preoccupatevi, non mordono.
A dispetto di Luke, che se ne stava terrorizzato ad asciugarsi la fronte al lato della macchina parcheggiata sulla strada, deciso a non lasciare il suo angolo sicuro, Lorelai non se lo fece ripetere e, entrando, fu circondata da tantissime bestioline.
-Loro sono Angus e Chowder-le spiegò Lily indicandoli- mentre i gatti si chiamano Rufus, Jimmy Jam, Legolas, Mudball, Generale Lee, Caligula, Terry Lewis e Spot.
-WoW!- esclamò –sono tanti!
-la mamma te l’aveva detto, no? Lei non scherza mai su queste cose. E poi non hai ancora visto Danny il pappagallo e Claire la tartaruga!
Lorelai sorrise e la seguì all’interno della casetta, dimenticando il marito solo, ma la riparo da ogni attacco felino o canino.

-e domani andrete in gita allo stand di Jimmy- annunciò Sasha finendo di apparecchiare la tavola, mentre Luke sedeva sul divano e Lorelai si guardava intorno- sono sicura che Lily-Lou potrà farvi da guida. Io purtroppo ho una miriade di commissioni da fare e comunque la vostra è una luna di miele, non una vacanza di gruppo, no?
-oh, non ti preoccupare. Io e il mio timoroso maritino qui presente abbiamo tutte le notti per stare da soli, vero Lukie?
Lui non fece in tempo a rispondere, perché il sarcastico nipote che arrivava sempre al momento sbagliato lo anticipò: -Zio Luke, hai una certa età: dovresti riguardarti e quante volte devo dirti di lasciare stare il Viagra? Quella roba non ti fa bene, prenditela con calma. Lorelai capirà.
-pulisciti la bocca da queste insinuazioni- rispose alzandosi da divano- e comunque non ho bisogno di nessuna pillola.
-beh, se non vuoi che si sappia in giro ti capisco: rimarrà un segreto tra noi- disse strizzando un occhio e abbracciandolo frettolosamente.
-eri e resterai sempre un impertinente- lo rimproverò col sorriso sulle labbra.
-Se fosse diverso non sarebbe più jess, no?- disse Lorelai stringendogli la mano –dove sarebbe il divertimento? Lui è l’unico, oltre a me, ad essere capace di torturati come si deve.
-Parole sante, “zietta”- aggiunse il ragazzo ricevendo un’occhiataccia da lei.
-io ho una teoria- aggiunse Sasha –non credo che l’attitudine di Jess ad infastidire la gente sia genetica, perché spesso anche Jimmy pere le staffe di fronte alle sue battute.
-però- si sentì dire dall’oggetto del discorso entrato appena in tempo per sentire l’ultima frase –dietro quella facciata sarcastica c’è un bambolotto dolce e bisognoso di affetto.
-non è assolutamente vero, Jimmy- rispose Jess spostandosi dal centro della sala.
-sì, lo sei- confermò Sasha- e anche se adesso cerca di restarne fuori, tuo padre è esattamente come te.
-e anche Luke- aggiunse Lorelai con convinzione. Si comportano come uomini duri che possono contare solo sulle loro forze, ma in realtà sono dei cucciolini bisognosi delle carezze di una donna.
-Lorelai per Luke- esemplificò Sasha con un plateale gesto delle braccia.
-Sasha per Jimmy- l’imitò Lorelai.
E all’improvviso tutti gli sguardi si riunirono su Jess, ma nessuno disse nulla per alcuni secondi e lui ne fu grato; stava per fare una delle sue battute su quanto fosse l’unico vero uomo indipendente tra quei tre quando il telefonino squillò.
-io disapprovo- affermò Luke categorico con una smorfia vedendo che era quello del nipote.
-lo so, ma la preistoria e finita da un pezzo. Pronto? Ciao, Rory. Indovina?tua madre, Lil e Sash si sono alleate per farmi impazzire; almeno condivido le mie sofferenze con Luke e Jimmy. Perché chiami a quest’ora? È successo qualcosa? Cosa?! Grazie mille, Rory! Ora ti ci metti anche tu. Se non la pianti riattacco. Non scherzo… sto riattaccando… addio.
Chiuse lo sportellino del telefono e lanciò uno sguardo indignato a Lorelai: -voi Gilmore siete diaboliche.
-cosa voleva?- gli chiese Jimmy.
-essere solidale con loro- disse indicando i tre esseri dal cromosoma X presenti nella stanza –era certa che fossero a buon punto per mandarmi in manicomio e ha pensato di dar loro una mano.
-e tu le hai chiuso il telefono in faccia?!- chiese Sasha spalancando gli occhi per lo stupore e ricevendo in risposta un cenno positivo della testa; -sai che non è affatto educato, vero?
-non è la prima volta che capita e so che sta per richiamare.
-cosa? E come…
-cinque, quattro, tre…- contò guardando l’orologi che aveva al polso –due, uno- e il telefono riprese a squillare. Jess sorrise orgoglioso: -sono telepatico. Ror? Se ho riattaccato c’è un motivo, non credi? Puoi chiedermi scusa in ginocchio, frustrandoti a sangue con in sottofondo l’ultimo cd di Britney e giurando di non toccare più caffè per il resto della tua vita. E ti avverto che non cedo a compromessi… mi offri una cena e organizzi un incontro con i Coldplay? Puoi farlo veramente? Ok, allora: affare fatto. Va bene, buonanotte.
-allora?-chiese Luke vedendolo spegnere il telefono per la seconda volta in trenta secondi.
-saluta tutti e vi prega di lasciarmi in pace. Quando si mangia?
-Rory per Jess –affermò Lily dal nulla.
-cosa?-le chiese spaesato per un attimo avendo quasi dimenticato il discorso prima della telefonata.
-Lorelai per Luke, la mamma per Jimmy…- recitò –e Rory per Jess.
-non sono discorsi adatti ad una bambina- cercò di azzittirla.
-non sono più una bambina, ma una ragazza: ho tredici anni!- disse con presunzione elevandosi in tutta a sua altezza.
-ok: non sono discorsi adatti ad una ragazza di tredici anni.
-però…
-ah, lasagne! Chi ha cucinato?- disse ignorando la sorella e dirigendosi velocemente in cucina.

E così quella era la casa che Jess aveva frequentato negli ultimi cinque anni: molto piccola, piena di mille minuscoli e strambi soprammobili, cuscino e coperte colorate sparsi ovunque; la cucina era chiara e luminosa, ma non abbastanza spaziosa da contenere tutti e in sala c’era appena il posto per passare, così Sasha aveva imbandito una tavola in giardino, immersa nel verde delle piante e, soprattutto, lontana dai cani. Quegli animali gli davano da fare: erano enormi e ringhiavano, due qualità che non apprezzava in nessun essere vivente; pensandoci bene Taylor le possedeva entrambe, quindi non era un caso che la sua vista lo terrorizzasse.
Si era scusato con gli altri lasciando ad intendere di aver bisogno del bagno, ma aveva iniziato a guardarsi intorno e a chiedersi cosa aveva quella casa in più del suo appartamento sul locale.
Un paio di porte erano chiuse e aveva supposto che si trattasse delle stanze di Jimmy e Lily, mentre una terza era socchiusa. Non ci volle molto per spalancarla e vedendo l’interno rimase senza fiato: le pareti erano quasi totalmente nascoste da una libreria zeppa di libri attentamente allineati ed ordinati, mentre tre pile si ergevano pericolosamente sullo scrittoio, che pareva avere una certa età. Nei pochi spazi liberi c’erano alcune foto di Jimmy e dell’Inferno (l’Inferno di Dante: La Divina Commediacome aveva fatto a non pensarci prima?), probabilmente scattate il giorno dell’inaugurazione; una con Sasha e un’altra insieme a Lily. L’ultima che vide gli spezzò quasi lo stomaco: erano tutti insieme, Jess compreso. Sembrava il giorno della laurea. Si avvicinò e strinse tra le mani la cornice nera come l’ebano, in contrasto con la luminosità dell’immagine: sentiva una grande rabbia scorrere lungo tutto il corpo, rabbia per non aver fatto abbastanza, rabbia per averlo cacciato di casa, rabbia per non essersi accorto di nulla, rabbia per non avergli dato un’altra chance, rabbia perché continuava a rinfacciarsi tutte quelle cose. Rabbia per essersi perso il suo passaggio da ragazzo che era all’uomo che era diventato e un po’ di sollievo, perché n’era valsa la pena.
-prova a dire che non sono fotogenico e io ti elencherò uno ad uno tutti i tuoi difetti e sarà una lista così lunga che dovrai strapparmi le corde vocali per zittirmi e, credimi, non ti renderò facile l’impresa.
Luke alzò gli occhi verso il nipote che nonostante i marcati cambiamenti, restava il rompiscatole di sempre. Jess poteva avere appreso il significato di vivere, lavorare e sacrificarsi, e poteva averlo fatto a tremila chilometri di distanza, ma in momenti come quello sentiva che tra loro continuava ad esserci una connessione familiare e piacevole. Potevano iniziare un battibecco che sarebbe durato all’infinito, ma decise che per una volta avrebbe soprasseduto.
-era l’ultimo dei miei pensieri- rispose sinceramente rimettendo a posto la fotografia- mi sarebbe piaciuto esserci.
Jess si limitava a fissarlo con uno sguardo incredulo appoggiato allo stipite della porta, così continuò quello che pensava sarebbe stato un imbarazzante monologo: -è impressionante. I libri, intendo: sono tanti e…
-già- lo interruppe –cinque anni fa ho capito perché mi è sempre piaciuto leggere.
-dev’essere nei geni.
-così pare. E non è l’unica cosa che ho capito.
-forse dovremmo tornare di là- suggerì senza muovere un passo. Jess voleva parlare, ma lui no. Non lì, non in quella casa, non in quello stato. Voleva uno scenario diverso per condividere il passato.
-non mi chiedi nulla? Non vuoi sapere perché sono rimasto qui, cosa o chi mi ha trattenuto? Perché una città quasi fiabesca e ai limiti della realtà come Stars Hollow non ha avuto alcun effetto su di me, mentre L.A. ha praticamente plasmato un’altra persona?
-mi interessa ciò che sei ora e quelle so al momento mi basta. Mi dispiace non aver avuto nessun ruolo in questa tua “mutazione”, ma ciò che conta è che ci sia stata. Come e perché è una lunga storia e avrò il tempo di ascoltarla quando saremo di nuovo a casa. Intendo nell’est.
-uh.
-e non credo che Stars Hollow non abbia influito sulla tua vita. Forse il Connecticut è stato il fattore scatenante e ha più importanza di quanto tu credi.
-io…
-e non replicare, perché ho una lista molto lunga di esempi che sarei costretto ad elencarti e dovresti strapparmi le corde vocali per zittirmi e, credimi, non ti renderò facile l’impresa- disse sorridendo mentre recitava le sue stesse parole di poco prima. Jess alzò gli occhi al soffitto borbottando suoni incomprensibili e uscendo dalla stanza, ma le parole di Luke, per quanto a volte ermetiche, gli avevano fatto piacere e anche per lo zio quella breve chiacchierata era stata una ventata d’aria fresca.

Con ancora l’accappatoio indosso dopo una doccia rilassante pienamente guadagnata, si buttò a peso morto sul morbido letto della sua stanza d’albergo. Lei e Luke avevano trascorso l’intera giornata in spiaggia e ora iniziava a sentire la stanchezza; da quando erano arrivati a Los Angeles, alcuni giorni prima, non avevano avuto un attimo di tregua: si era impegnata a trascinare il suo ozioso maritino per le strade della città noncurante delle sue vistose proteste: era divertente vedere la sua espressione annoiata e impacciata nei negozi di Rodeo Drive.
-and I sing to myself what a wonderful world!– sentì provenire dal bagno: Luke stava cantando sotto la doccia. Sorrise al pensiero di raccontarlo a Jess: lo avrebbe preso in giro fino alla morte.
I discorsi di qualche sera prima e la telefonata di Rory avevano riattivato nella sua testa il campanellino d’allarme che si era costretta a spegnere dopo il matrimonio. La sua voce mentre le parlava, i loro scambi verbali, quel chiuderle il telefono in faccia con la consapevolezza che entro pochi secondi –cinque contati!- l’avrebbe richiamato la riportarono indietro nel tempo a quando Rory giurava che erano solo amici e Dean cercava rassicurazioni chiedendo se la sua ragazza sarebbe stata capace di mentirgli. E in effetti lei non mentiva agli altri, non ne era quasi capace. Quasi perché quando capitava lo faceva a se stessa e ogni volta c’era di mezzo Jess.
-ieri sera ha chiamato Jess –le disse per telefono mentre sistemava la reception –avresti dovuto vedere Luke: era al settimo cielo!
-sì, lo so.
-lo sai?
-me l’ha detto Jess. Ci siamo sentiti poco fa –le rispose come se le stesse dicendo la cosa più normale del mondo.
-Ah.
-ah, cosa? Mamma, tutto ok?
-beh, tu e Jess- disse cercando di mettere insieme i pensieri –non sapevo che foste in contatto.
-circa una volta a settimana ci telefoniamo. Ormai è diventata una routine. Sai bene che lui, nonostante tutto quello è successo tra noi, è sempre stato uno dei miei migliori amici e mi è dispiaciuto molto non avere sue notizie durante questi cinque anni.
-amici?- chiese deglutendo a fatica. Suonava familiare…
-solo amici- la rassicurò.
-niente amore, dichiarazioni improvvise alla Danielle Steel, sesso telefonico…
-A.M.I.C.I. -disse la ragazza scandendo le singole lettere- nient’altro.

Ma quante volte avevano affrontato quell’argomento quando aveva sedici anni, quante volte Rory le aveva assicurato d’amare solo Dean, quante volte aveva alzato la voce per dirle che NO, tra lei e Jess c’erano solo interessi comuni e amicizia? Invece si sa come la storia era finita…
Non le aveva creduto mai, i dubbi su quella “amicizia” c’erano sempre stati e, anche se non voleva essere paranoica, c’era qualcosa di noto in quella situazione.
-Lorelai?- disse Luke –ti osservo da un po’ e non te ne sei accorta; a cosa pensi?
-non abbiamo visto ancora nessuna celebrità- rispose, sapendo come la pensava lui su Rory e Jess.
-c’è tempo. Ora dimmi qual è il problema.
-te l’ho detto.
-no, quello era il tuo modo per evitare di rispondere alla mia domanda. Qualcosa ti preoccupa e io, in vece di marito, ho il diritto di sapere cosa e il dovere di aiutarti. Allora?
-Rory- disse dopo una breve esitazione.
-è successo qualcosa?
-e Jess- continuò ignorando la sua domanda.
-e Jess? Ti spiace spiegarti meglio? Prova con soggetto, verbo e complemento…
-pensavo a questo nuovo rapporto che c’è tra loro: non lo vedo giusto.
-ora va meglio. Perché? Mi sembra di aver capito che parlano di tanto in tanto ed è una buona cosa dato che tra qualche mese si ritroveranno a vivere nella stessa città.
-New York è enorme, sai quante possibilità hanno di incontrarsi? Pochissime e quindi non c’è bisogno di tenersi così in contatto.
-noi siamo sposati, Lor, è normale che si comportino civilmente. E se riescono ad essere amici…
-è proprio questo il punto! Quando mai Rory e Jess sono stati amici?
-beh, prima di mettersi insieme al liceo erano… ah, ora capisco.
-vedi: c’è qualcosa sotto!
-Non sono più due ragazzini. E che mi dici di Matt? E di quella Fate?
-Kate- lo corresse –tra lei e Jess è tutta una buffonata. Me l’ha detto Sash.
-che significa?
-sveglia Luke! Quando Jess tornerà a New York credi che continueranno a stare insieme? No! E lui sarà libero di fare ciò che vuole e con chi vuole.
-parli di lui come se fosse un evaso dalla galera che sta organizzando un altro colpo… e Matt?
-Matt…- sussurrò. Ultimamente aveva capito che tra lui e Rory le cose stavano cambiando, soprattutto dopo la storia del falso allarme di gravidanza; c’era qualcosa nelle sue motivazioni che spiegava palesemente la sua più grande paura: il problema non era tanto avere un figlio, ma averlo da Matt ed essere legata a lui per sempre. Chissà se Rory l’aveva capito…
-tra loro va tutto bene?- chiese ancora Luke notando il suo silenzio, ma determinato a capire perché all’improvviso era così preoccupata.
- una relazione a distanza, sai com’è…non c’è nulla di certo. E poi…- s’interruppe. Nessuno sapeva cosa era successo a Rory ad eccezione di lei, perché la figlia le aveva fatto promettere di mantenere il segreto.
-e poi… forse hai ragione. Mi sto immaginando tutto; probabilmente è solo la mia paura di vederla soffrire ancora per Jess, ma è improbabile, no? Sono cresciuti, hanno vite diverse, persone accanto e di certo sono abbastanza maturi da non ripetere gli stessi errori.
-così mi piaci. Ora vestiti: la cena ci aspetta, signora Danes.
Lorelai imitò Luke, che aveva iniziato ad infilarsi gli abiti, e cercò di mettere da parte la sensazione che non era lei a sbagliarsi. Raramente Lorelai Victoria Gilmore aveva avuto presunzioni errate, soprattutto se si trattava di sua figlia. Sorrise di fronte a quel Luke premuroso e più attento del solito: se se ne fosse resa conto prima l’avrebbe sposato da tempo.

-lascia che ti dica solo quattro parole, zio Luke- disse Jess appena lo vide varcare la porta. Lorelai era salita in casa sua da pochi minuti e non aveva perso tempo a raccontargli la scena del bagno di un paio di giorni prima.
-vuoi farmi una predica? –gli chiese spaesato entrando nell’appartamento, mentre il nipote aveva quel sorriso sornione che non preannunciava nulla di buono stampato sulla faccia.
-What. A. Wonderful. World.
-e tu che ne sai? Lorelai, certo… possibile che non riesci mai a tenere quella bocca chiusa?- le chiese arrossendo.
-io so tenere la bocca chiusa- replicò –ma questa era un’esperienza che dovevo assolutamente condividere con qualcuno e Jess è la persona più adatta.
-certo: più adatta a prendermi in giro per il resto della mia vita!
-non preoccuparti, zio. Questo segreto non uscirà da questa stanza… tranne che nei momenti in cui sentirò di doveri ricordare queste doti canore: giorno del ringraziamento, Natale, il tuo compleanno… tutte le festività.
-anch’io avrei un paio di aneddoti che ti riguardano…- lo sfidò –per esempio: l’”attacco del cigno” ti ricorda qualcosa?
-forse possiamo trovare un accordo- sospirò il ragazzo mentre sul viso di Luke compariva un sorriso trionfante.
-perfetto! Il mio neo-marito mi nasconde i fatti divertenti e personali del mio caro nipote acquisito…- intervenne Lorelai.
-se non lo facessi ora non potrei ricattarlo- le spiegò.
-ok, ma non mi arrendo: scoprirò il tuo segreto, Jess.
-e io dovrò ucciderti.
-ti ringrazio per l’avvertimento, ma io sono una donna sprezzante del pericolo!-disse sorridendo. Quel suo rapporto con Jess così cordiale e amichevole era strano. Ricordava i tempi in cui lo aveva quasi odiato e giurato a se stessa che mai e poi mai lo avrebbe trovato simpatico, ma il tempo e le circostanze avevano davvero cambiato tutto e lo avevano fatto in un modo assolutamente inaspettato.
-e così questa è casa tua: non è male. L’ho sempre immaginata trasbordante di libri e meno ordinata. Ah, e il tuo frigo è vuoto!- rise guardandosi intorno –Mi ricorda il mio prima che Luke si trasferisse.
Non aveva la vocazione del casalingo ed era capace di applicare una logica solo ai libri che erano sempre perfettamente allineati sugli scaffali, mentre il resto della casa era spesso un vero e proprio disastro. Casa sua era una metafora esistenziale, perché la vita non poteva essere perfetta e un po’ di caos era inevitabile.
-e comunque, - continuò la donna –anche se non avrei mai creduto che queste parole potessero uscire dalla mia bocca, devo ammettere che hai buon gusto.
-è a questo che servono i soldi- rispose distrattamente senza rendersi conto che lo stavano ascoltando.
-allora non posso far altro che chiedermi da dove proviene la tua fortuna, dato che per quanto ne so hai risparmiato a lungo per poter entrare in società con Sean. C’è di mezzo la lotteria? Io ho sempre giocato, ma mai vinto nulla: mi chiedo se sia tutta una truffa.
-lo è, credimi –le rispose con sincerità –la verità è che qualche mese fa ho istituito un giro di prostituzione di lusso che mi rende un sacco di soldi.
Per un istante Lorelai e Luke si guardarono negli occhi con preoccupazione, perché l’espressione di Jess era talmente seria da poter far passare per vera quella storia delle squillo.
-il tuo umorismo è sempre fuori luogo, Jess –lo ammonì lo zio guardandosi intorno –e tutta questa tecnologia mi fa venire l’ulcera.
-mi costringi a ripetermi- rispose guardando di sfuggita il portatile che aveva abbandonato sul divano, come sempre del resto –è per lavoro.
-sei diventato così serio e responsabile…è contro natura- lo derise bloccandosi quando vide una fotografia: -e lei chi è?
Jess voltò lo sguardo in direzione dell’immagine che era talmente in vista da essere notata da chiunque mettesse piede in quell’appartamento entro tre minuti dal suo ingresso; strano quanto l’importanza di quella ragazza non eguagliasse la sua capacità di attirare l’attenzione, persino se era stampata su un pezzo di carta.
-è la ragazza con cui sto uscendo-rispose restando il più possibile sul vago.
-Kate?- si lasciò sfuggire Lorelai sorpresa dalla sua bellezza e dalla risposta di Jess: la ragazza con cui usciva? Quella era una fidanzata!
-Cosa sai di lei?- chiese inarcando un sopracciglio col sospetto che ciò che avrebbe preferito tenere per sé era già stato sbandierato ai quattro venti.
-Beh….- tentennò la donna in evidente difficoltà, mentre ricordava le parole di Sasha: “Non deve sapere che noi sappiamo e che anche tu sai…”, ma era tardi; -so che hai una ragazza e che si chiama Kate.
-e cos’altro?
-che… ehm… beh, io non…
-hai parlato con Sasha- affermò esasperato – voi donne siete impossibili: perché un uomo non può confidare un fatto privato che nel giro di dieci minuti tutto il mondo n’è al corrente?
-oh, non proprio tutto il mondo- lo rassicurò ricevendo in cambio un’occhiataccia che avrebbe fatto rabbrividire persino il Marte, dio della guerra.
-è tardi- disse ad entrambi praticamente sbattendoli fuori di casa –e io devo prepararmi per una cena di lavoro. Godetevi gli ultimi giorni di luna di miele e tu, zio Luke, ricorda sempre i miei consigli.
Se non avesse parlato a Sean di quello che era successo con Kate, lui non avrebbe esposto il problema ad Ally e lei non avrebbe detto nulla a Sasha e di conseguenza la notizia non avrebbe raggiunto Lorelai. E se Lorelai sapeva era molto, molto probabile che anche Rory fosse a conoscenza dell’intera vicenda.

L’atmosfera allegra e frizzante di Los Angeles le era entrata nel sangue dal primo momento e ora che il viaggio volgeva a termine si chiedeva come avrebbe fatto a riabituarsi al tram-tram quotidiano di Stars Hollow. L’indomani lei e Luke sarebbero saliti nuovamente su un aereo e avrebbero detto addio alle spiagge, all’oceano, ai mercatini e a tutti quei colori.
Il vento della sera le accarezzava il viso mentre ascoltava Sasha parlarle di Frankie, uno dei suoi tanti conoscenti, e del suo primo appuntamento disastroso con quella che poi era diventata sua moglie. Quei dieci giorni insieme a lei erano stati fantastici ed estremamente divertenti; Sasha era il tipo di persona che sprizzava energia da tutti i pori trasmettendo spensieratezza e ottimismo persino a Luke. Lui e Jimmy erano al chiosco a discutere di hot dog e hamburger e anche loro sembravano aver trovato un punto di incontro. Suo marito aveva avuto l’opportunità di vedere Jess nell’ambiente in cui era cambiato e con le persone che vi avevano contribuito; soprattutto l’aveva visto con suo padre e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, era felice di vederli insieme.
Stava guardando il suo uomo studiare un barattolo di cetrioli sott’aceto quando una ragazza si fermò al tavolo e salutò Sasha. Notò sul suo viso una quasi impercettibile smorfia di disprezzo e, guardandola meglio, riconobbe di chi si trattava. Era una bella morettina dai capelli lunghissimi e lucenti –e questo le fece invidia-, un viso dai lineamenti delicati e due occhi d’un verde acceso che non passavano inosservati, per non parlare del fisico talmente ben scolpito che scambiarla per una modella sarebbe stato l’errore più facile. Jess era sempre stato un bel ragazzo e lei era, almeno fisicamente, alla sua altezza.
-Lorelai ti presento Kate- sentì dire dall’amica mentre quella ragazza allungava la mano per stringere la sua.
-Piacere di conoscerti, Lorelai.
-la ragazza di Jess, giusto?- fu la prima cosa che le venne in mente.
-sì. Tu invece devi essere la moglie del famoso zio Luke.
-“Famoso”?- le chiese con curiosità. Da quando Jess, che di secondo nome faceva Riservatezza, parlava di sé e della sua famiglia agli altri?
-me ne parla spesso- rispose la ragazza –E’ molto legato a Luke, anche se non l’ha mai detto esplicitamente. Con lui bisogna sempre leggere tra le righe e interpretare i suoi discorsi.
Il sorriso di Kate cominciava ad accecarla. Da quando era arrivata non aveva smesso un attimo di mostrare i suoi denti bianchi e splendenti.
Sembrava che conoscesse Jess molto bene e in apparenza non era la strega che Sasha aveva dipinto; voleva sapere qualcosa di più da lei, ma prima che riuscisse a fare qualche domanda Lily e una sua amica arrivarono ad interromperla. L’espressione della ragazzina era molto curiosa: si era alzata dalla sabbia su cui era rimasta l’intero pomeriggio e aveva marciato in loro direzione con uno sguardo indiavolato. Era raro vederla così determinata e, soprattutto, così sgarbata: si era fermata di fronte a Kate e le aveva chiesto con un tono insopportabile che diavolo ci faceva lì. Non le era simpatica e non cercava nemmeno di nasconderlo… le ricordava Jess appena arrivato a Stars Hollow.
-Devo incontrare Jess qui –le rispose cercando di soprassedere il tono che la ragazzina aveva usato nei suoi confronti. Self-control, annotò Lorelai nella sua agenda mnemonica.
-Dovete uscire?- le chiese seguendo il suo proposito di indagare.
-sì, c’è una cena con alcuni dei miei colleghi e lui mi accompagna.
-pensavo che studiassi- continuò Lorelai ricordando parola per parola la confidenza di Sasha.
-Psicologia infantile. Oltre a studiare lavoro part-time in un asilo e di tanto in tanto faccio delle ricerche per l’università. Stasera ci saranno proprio i ricercatori a cena.
-Wow. Sei una ragazza molto impegnata. Se io fossi una studentessa credo che dormirei fino a tardi, andrei a lezione quando capita e non mi perderei nemmeno una festa! Adoro le feste: sono la mia passione. Infatti la città in cui vivo le organizza in continuazione per le più assurde ricorrenze. Oh, ma forse non ti interessa e come al solito io straparlo- si interruppe.
-no, affatto! Jess mi aveva accennato qualcosa, ma lui odia le feste…
-sì, non è il tipo.
-lo conosci bene, vero Lorelai?
-ha vissuto in città per un paio di anni e dato che io e Luke siamo sempre stati amici in pratica lo vedevo tutti i giorni- disse tralasciando il particolare che usciva con sua figlia. Forse Kate non lo sapeva, ma…
-se non sbaglio tu hai anche una figlia della nostra età… è una giornalista a New York, giusto?
-Rory, la mia meravigliosa bambina –rispose con tristezza –al momento è in Francia.
-è vero, io e Jess abbiamo visto una sua intervista qualche settimana fa. È molto carina, immagino che avrà una fila di spasimanti fuori casa…- disse Kate e Lorelai capì che era arrivato il suo turno di indagare nella vita di Jess.
-è più bella di sua madre, quindi è naturale che tutti gli uomini si prostrino ai suoi piedi! Le ho detto mille volte di divertirsi, ma lei continua a concedersi ad un solo ragazzo per volta…
-ha un fidanzato?- chiese Kate confusa.
-da quasi due anni.
-wow, è una cosa seria- disse con tanta gioia che a Lorelai non poté passare inosservata. Kate non stava indagando sulla vita di Jess, ma su quella di Rory.
-cosa è una cosa seria?- chiese una voce alle loro spalle e quando si voltò vide suo nipote.
-Jess!-esclamò Kate buttandogli le braccia al collo.
-hai conosciuto Luke e Lorelai?
-Solo Lorelai.
-senti: vado un attimo a parlare con Jimmy, poi possiamo andare, ok?- chiese già pronto ad raggiungere il padre, ma lei lo fermò chiedendogli di poterlo seguire per conoscere anche il famoso zio. Lorelai non poté non notare il fastidio sul suo volto quando Kate lo afferrò per un braccio e lo seguì e non le restò altro che chiedersi perché quella ragazza era così interessata alla vita sentimentale di sua figlia, anche se aveva già una risposta che qualcuno aveva tentato di farle seppellire nel luogo più lontano dalla ragione.
 
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