| Francis82 |
| | Titolo: “Gocce di cera” Autore: Francis82 Genere: Rory e Jess Stato: conclusa
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Breve descrizione da parte dell’autore:
Dopo qualche settimana di assenza, ho deciso di tornare a due delle mie passioni più grandi: la scrittura e “Gilmore Girls”… Per rilassarmi tra un esame e l’altro, infatti, ho deciso di buttare giù il primo capitolo di una nuova FF, nata per caso da un sogno fatto parecchie notti fa… sappiatemi dire, come sempre, cosa ne pensate! Niente spoiler della settima serie. Ha inizio più o meno dopo la puntata 6.16: in poche parole, quando Rory scopre che Logan si è dato da fare con quasi tutte le damigelle presenti al matrimonio della sorella… Mi raccomando, aspetto commenti… un bacio!
La notte si fece largo lentamente, senza farsi notare troppo all’interno del bar dai vetri oscurati: il tintinnare dei bicchieri trasportati da piacenti cameriere scoperte al punto giusto, le voci allegre dei clienti alle prese con l’ennesimo drink… ogni rumore di sottofondo si esaurì, lasciando il proprio posto alle malinconiche note di un disco jazz, messo sul piatto allo scopo non troppo velato di spingere gli ultimi avventori a lasciare il locale e consumare i postumi delle loro sbornie altrove. Fra questi ultimi reduci del venerdì sera si ritrovò anche Rory: sulle palpebre socchiuse pesava di certo una giornata faticosa, ma probabilmente non si trattava soltanto di quello… Era stata prelevata a casa di Paris da Logan, del quale aveva dovuto sopportare un’espressione da cane bastonato ed una serie di scuse patetiche riguardo le sue scappatelle con le damigelle della sorella. Certo erano ormai passati più di tre giorni, ma riusciva ancora a ricordare ogni singolo istante di quella giornata tremenda… dal pomeriggio passato tra i frenetici preparativi del matrimonio, fino alla sbronza in compagnia di Doyle e, infine, quella sfiancante discussione sul pianerottolo di Paris. Negli ultimi giorni, Rory si era ritrovata a rifletterci sopra più e più volte, giungendo all’amara conclusione di aver perdonato Logan soltanto per sfinimento… la delusione era stata talmente cocente da non ammettere altra reazione. Prese fra le mani la bottiglia quasi vuota e si perse nell’osservare, con aria assente, il liquido rosso rubino scivolare sulla parete del bicchiere e raggiungerne il fondo… sorrise del fatto di non essere in grado di calcolare la quantità di vino che era riuscita ad assumere nell’arco di circa un paio di ore… e sorrise nuovamente nel notare che erano ben più di due le ore che aveva passato a quel tavolo, sola. Bevve l’ultimo sorso e terminò l’azione con un lungo sospiro: le dita sottili s’infilarono rapide nella fessura della borsa, sfilando dal portafoglio un paio di banconote che vennero inserite sotto il bicchiere, tra i gusci vuoti di qualche arachide sgranocchiata nell’attesa dell’ordinazione. L’ostacolo più duro si presentò quando dovette infilare le braccia in modo assai goffo all’interno delle maniche della giacca, ma anche in quello Rory dimostrò una certa abilità. Dovette fare un paio di tentativi andati a vuoto prima di riuscire a rimanere in equilibrio stabile sulle proprie gambe e compiere qualche passo che l’avrebbe portata all’uscita. “Hai bisogno di una mano?” una cameriera le andò educatamente in soccorso con espressione preoccupata. “Sei gentile, davvero… abito dietro l’angolo e… si, penso che riuscirò a raggiungere casa prima che arrivi l’alba…” rispose, visibilmente intontita, passandosi poi il palmo della mano destra sulla fronte per sistemare la frangetta spettinata. Riuscì ad arrivare all’esterno del locale e percorse qualche metro, tenendo una mano sul muro alla propria sinistra, in modo da evitare di franare a terra, così da non dover compiere lo sforzo certamente titanico di rialzarsi sulle proprie gambe. L’andamento divenne via via sempre più dondolante, ma le permise comunque di raggiungere il palazzo. Il suo sguardo si perse di nuovo dinnanzi a se e alla propria solitudine: s’incantò di botto ad osservare le proprie scarpe, con quelle punte che sembravano allungarsi e accorciarsi come per magia, finché alzando il mento non notò con un certo stupore la propria automobile, parcheggiata proprio lì davanti… era talmente fuori di se da non ricordare nemmeno da quanto tempo si trovasse a New Haven con precisione… era arrivata ieri? O due giorni prima? Fu senza soffermarsi a pensare troppo che si mise a frugare nella borsa e sul fondo vi trovò le chiavi: con gesto sicuro, nonostante la dose di alcol ancora in circolo, riuscì ad aprire la portiera e buttarsi sul sedile posteriore. Rise in maniera quasi isterica della propria condizione e allungò il braccio fino a richiudere lo sportello: gettò la testa all’indietro e si addormentò di colpo, con la borsa sotto la nuca e la gonna attorcigliata in modo stretto e scomposto attorno alle gambe. Quando finalmente riaprì gli occhi, notò una luce tenue e leggermente aranciata che illuminava l’intero abitacolo: era davvero giunta l’alba e con essa una sottile aria gelida che la fece rabbrividire. Si mise a sedere e finì involontariamente per notare la propria immagine riflessa sullo specchietto retrovisore: ne ebbe pena e scostò lo sguardo. Come si era ridotta? Finire in quelle condizioni, a smaltire una stupida sbornia nell’automobile parcheggiata davanti casa… quello era un comportamento tipico della Rory di qualche mese prima, del periodo passato lontana da Yale, quando ogni scusa era buona per partecipare a stupide feste con Colin, Finn e la “Brigata della vita e della morte” e per alzare il gomito… ora però si era ripulita, aveva capito i propri sbagli ed era tornata sul giusto binario. Era per caso finita all’interno dello stesso circolo vizioso senza rendersene conto? Le sensazioni furono le stesse di allora: il risveglio con la testa che sembra diventata un pallone, le percezioni alterate e un senso globale di malessere e frustrazione… Non le rimase da far altro che cercare di ricomporsi in qualche maniera: si abbottonò la giacca fino al colletto, passò più volte la mano sulle maniche della giacca così da eliminare le pieghe più evidenti e cercò di aggiustare le ciocche spettinate, raccogliendole con un cerchietto trovato fortunatamente nel vano portaoggetti. Prima di rimettere piede fuori dall’auto, si assicurò di essere sola ed evitare sguardi curiosi da parte dei passanti. Chiuse la macchina e attraversò la strada, ostentando una sicurezza a dir la verità un po’ eccessiva: mento alzato e atteggiamento quasi altero, intorno a se trovò una calma piatta, a tratti irreale. Non un rumore, nemmeno l’ombra di una persona… il vuoto più totale. Sospirò al pensiero di dover concepire in appena un paio di minuti una scusa plausibile da presentare a Logan: sicuramente si sarebbe infuriato nel vederla rientrare a quell’orario assurdo. Lo aveva lasciato a trastullarsi con una delle solite partite di poker in compagnia di alcuni amici nel salotto di casa, dicendogli che si sarebbe limitata a fare un salto veloce alla redazione per chiudere alcune bozze e probabilmente avrebbe fatto quattro chiacchiere con Paris. La mente ancora presa da una sorta di torpore, non riuscì a formulare nulla… stranamente, questo senso di impotenza non la turbò affatto e addirittura finì col dire a se stessa che comunque fosse andata a finire, non le sarebbe importato un accidente! Si era presa una sonora sbronza, ma non era nulla se posta al confronto col tradimento di Logan… una giustificazione probabilmente non troppo matura, ma che le bastò per sentirsi totalmente in pace con se stessa e con la propria coscienza. Mentre queste considerazioni avevano finito per portarla ad uno stato di sostanziale beatitudine, le porte dell’ascensore si riaprirono all’ultimo piano, conducendola suo malgrado dinnanzi alla porta dell’appartamento: in un automatico gesto di premura, si tolse le scarpe per non far rumore e le strinse forte al petto insieme alla borsa, mentre le chiavi entrarono silenziosamente nella toppa. Un pesante odore di sigaro l’avvolse, facendola arretrare un istante e provocandole un leggero senso di nausea, unito ai postumi della serata passata con la sola compagnia di due bottiglie costose di Merlot. Portandosi una mano alla bocca per evitare di respirare ancora quella esalazione così acre, finì col far scivolare a terra una scarpa: il contatto del tacco col pavimento diede origine ad un suono sordo. Alzò gli occhi al cielo, maledicendo la propria sbadataggine. I piedi scalzi avanzarono lenti e finalmente giunse in salotto: l’odore pungente proveniva da un posacenere che conteneva molta cenere e tre mozziconi ancora fumanti, mentre tutto intorno regnava il caos… Logan dormiva sul divano con la testa affondata tra le braccia… Finn russava da una poltrona accanto alla cucina… una bottiglia di whisky ormai vuota aveva macchiato il tavolo da biliardo, cosparso inoltre dai residui di uno spuntino notturno… Colin era finito in fondo al letto, in stato catatonico. Rory rimase per qualche istante immobile sulla soglia della camera: dormire in auto non era stata un’idea poi così sbagliata se paragonata ad un tale scenario! Subito dopo si rese conto che quella situazione per certi versi pietosa avrebbe giocato a suo favore. Dirigendosi in bagno, chiuse la porta a chiave il più silenziosamente possibile, pur sapendo che nemmeno una cannonata avrebbe destato i belli addormentati. I vestiti scivolarono via in un battibaleno, finendo nel cesto della lavanderia, così impregnati di quell’odore fastidioso.. l’odore di bar che sembra entrare nelle fibre allo scopo di rammentarti eventuali passi falsi e bicchierini di troppo… Quando la vasca fu colma di acqua bollente, vi si immerse completamente… tappò il naso e scese con il capo sotto il livello della schiuma, rimanendovi finché non le fosse mancato il fiato: sarebbe riuscita a lavare anche i propri dubbi, le proprie ansie? Almeno il profumo di miele, avvolgendola in una nube di piacevolissimo vapore, riuscì a cancellare una piccola parte di sensi di colpa, mentre lo sguardo seguì incantato le bolle formarsi a pelo d’acqua. Ripensò alla scena che si era trovata davanti poco prima e avrebbe probabilmente ritrovato intatta una volta uscita dal bagno: era talmente stanca di quegli scenari così decadenti… di atteggiamenti talmente irresponsabili da non ammettere più giustificazioni… ed era stanca di quelle frasi che continuavano a frullarle nella testa:
“Oh, tu sei quella Rory… mi dispiace, è successo tanto tempo fa… poco prima del giorno del Ringraziamento!” “L’ultimo Ringraziamento?” “Per me non ha significato niente…”
Rory era sempre stata una persona felice: era cresciuta con una madre fantastica, una donna meravigliosa che le aveva dato tante libertà, ma le aveva allo stesso tempo inculcato dei principi sani e una forte autostima... com’era possibile che questo fosse il massimo che avrebbe potuto ottenere stando accanto a Logan? Queste prese di coscienza vennero interrotte poi da una serie di rumori provenienti dalla stanza adiacente, segno che finalmente gli amici si erano destati. Si decise ad abbandonare quel nido piacevole e avvolse il proprio corpo bagnato nell’accappatoio del fidanzato, distante appena una decina di centimetri dalla propria testa, sopra la vasca. Raccolse i capelli ancora zuppi d’acqua in un soffice asciugamano azzurro e afferrò dalla mensola un barattolo di crema idratante, prima di lasciare il bagno: necessitava davvero di un ulteriore strato di profumo per cancellare il ricordo di quelle ultime ore. “Ehi, ragazzi… guardate chi c’è! La mia Scheggia…” Logan riemerse dal divano con un’espressione stordita, grattandosi la nuca nervosamente. Colin si limitò ad emettere un verso imprecisato, mentre Finn si drizzò sulla poltrona e, ancora con gli occhi chiusi, esordì con un farfugliato: “Buongiorno Rory!”. La ragazza sbuffò, domandandosi di nuovo cosa l’avesse portata a quel punto… era davvero seccata di vedere quei tre stupidi ridursi in quel modo. Fu appena dopo qualche secondo che si ritrovò a fare un po’ di sana autocritica: “Senti da che pulpito viene la predica… dopo due bottiglie di vino rosso ti sei addormentata sul sedile posteriore dell’automobile parcheggiata davanti casa! Pensi davvero di essere migliore di loro?”. Gettò uno sguardo annoiato a Logan e si diresse in cucina per preparare un bel bricco colmo di caffé: sarebbe stato un toccasana un po’ per tutti e quattro. “Quanti soldi vi hanno spillato?” domandò, versando la polvere scura dalla confezione. “Diciamo che la madre di Robert ci si potrà fare almeno un altro paio di lifting con tutti quei bigliettoni…” mormorò Logan, di nuovo precipitato fra i cuscini del divano. “La prossima volta andrà meglio…” commentò Finn, rialzandosi stordito. Fu allora che Rory non riuscì più a trattenere la propria irrequietezza e sbottò: “Non pensate sia giunto il momento di darci un taglio, ragazzi?” per poi terminare: “Per voi è sempre tutto un gioco! Quando maturerete un po’ e vi accorgerete che è giunto il momento di prendere in mano la vostra vita una volta per tutte?”. Logan si drizzò a sedere: “Scheggia, ti sembra il momento adatto per una ramanzina del genere? Perché non ci lasci in pace? Ne riparleremo quando la mia testa avrà smesso di roteare, ok?”. “Proprio non lo capisci che stai gettando via il tuo tempo… che esiste un mondo fuori da questa stanza in cui il principale passatempo non è buttare i soldi dalla finestra e annegare le proprie frustrazioni in bottiglie costose di whisky d’annata…” e indicò il tavolo da biliardo, ricettacolo di chissà quali sostanze ormai. “Colin! Colin! Mi sa che è giunta l’ora di sloggiare… c’è una lite in corso…” Finn iniziò a scuotere l’amico, per poi caricarselo a fatica sulla schiena. “Fermatevi lì, ragazzi! Questo è il mio appartamento e decido io quando è arrivato il momento di farvi sloggiare!” urlò Logan. Rory sbuffò di nuovo, guardando il ragazzo con un’espressione che la diceva lunga sul proprio stato d’animo, sulla delusione che ormai accompagnava ogni suo risveglio da qualche giorno in avanti. Erano finiti i bei tempi dell’amore incondizionato; finita l’epoca delle frasi romantiche sussurrate all’orecchio per porre fine ad ogni genere discussione… non sembrò più esistere la complicità di una volta, aveva lasciato spazio a tutta una serie di rancori mai del tutto chiariti. “Fino a poco tempo fa ti divertivi proprio come noi e non ti lamentavi certo di perdere il tuo tempo a trastullarti nella dependance di casa Gilmore… mi sembra che tu abbia la memoria corta, Scheggia…”. “Sapessi quanti rimorsi ho di quel periodo… è stato un errore… un enorme errore, Logan! Però dagli errori si dovrebbe imparare qualcosa… ed io mi sono rimboccata le maniche per porvi rimedio. Purtroppo sono l’unica ad averlo fatto, a giudicare da ciò che mi si presenta davanti agli occhi!”. All’improvviso, Logan sfoggiò un sorrisetto beffardo, seguito da una delle sue solite stoccate: “Non mi sembri poi così diversa da allora, sai? Altrimenti non saresti rientrata all’alba con tutta l’aria di chi ha alzato parecchio il gomito…”. Rory questa volta non seppe ribattere e attese in silenzio che lui riprendesse la propria accusa: “Bella faccia di bronzo, complimenti… davvero credevi non ti avessi sentita poco fa? Ti conosco talmente bene, Scheggia… Non puoi nascondermi nulla, lo sai”. “Noi togliamo il disturbo, ragazzi… Credo che Colin abbia bisogno di una boccata d’aria per riprendere un colorito accettabile…” la voce di Finn interruppe quell’atmosfera pesante. Logan si limitò a salutarlo con un cenno della mano, mantenendo uno sguardo di sfida su Rory, la quale si morse nervosamente il labbro, per poi riprendere: “Sei talmente egoista che nemmeno te ne rendi conto! Prendi ciò che vuoi senza pensare neanche minimamente alle conseguenze dei tuoi gesti…”. Il ragazzo si sollevò da quella posa scomposta, ancora un po’ rintronato dall’alcol, e la raggiunse in cucina: “Hai detto di avermi perdonato…ma la verità non è questa, giusto?”. Rory lo fissò intensamente, posandogli una mano sul petto: “Non ce la faccio…” e non trattenne oltre un pianto carico di rabbia e delusione: “… Dio solo sa quanto ci sto provando”. “Rory, tu ed io siamo fatti per stare insieme e lo sai… lo sai da sempre… Ormai mi conosci più di quanto io conosca me stesso… Nel profondo del tuo cuore sai alla perfezione che non compirò mai più un passo falso, non metterò mai più a rischio la nostra relazione perché ti amo troppo!” e le prese le spalle tra le mani, avvicinandola ancor più a se. Quello che Rory sapeva, nel profondo del proprio cuore, era che non avrebbe mai perdonato del tutto quel suo gesto… che la sua fiducia non sarebbe stata in grado si sopportare quel peso… che meritava più di un mucchio di promesse sterili… Rimasero abbracciati a lungo, per poi finire a far l’amore… ma nemmeno quei gesti, nemmeno quelle carezze parvero avere più lo stesso sapore di una volta…
“Riuscirò mai a darmi una ragione di tutto ciò?” quando il proprio sguardo raggiunse la porta, Luke si fermò al centro del locale, con le ordinazioni ancora in mano ed un’espressione di resa totale stampata in volto. “Molti lo chiamano shopping compulsivo!” sorrise Lorelai, con le braccia completamente occupate da sacchetti di tutti i colori e dimensioni. “Metà di quelle cose finiranno nel dimenticatoio nell’arco di un paio di giorni, te ne rendi conto?” tentò un’ultima opera di convincimento, destinata a fallire in partenza. “Parli di questa utilissima coppia di spazzolini elettrici che emettono vibrazioni a tempo di musica?” domandò candidamente lei, sbattendo ad arte le sottili ciglia nere. Fu allora che le giunse in soccorso anche Rory, altrettanto carica di pacchi e buste: “Guarda che puoi scegliere tra sette melodie diverse! Il commesso ha detto che volendo puoi impostarne una per ogni giorno della settimana…”. “Voi siete completamente impazzite… ma perché spreco fiato?” sospirò, tornando al proprio lavoro con aria sconsolata. “Tesoro, puoi portare di sopra questo pacco, mentre io tento di convincere Luke di quanto sia indispensabile per un uomo come lui un porta-rasoio a forma di papera?” sussurrò Lorelai alla figlia, la quale annuì divertita. Rory salì le scale di corsa, sperando di riuscire a tornare al piano di sotto giusto in tempo per vedere il viso di Luke cambiare colore, nel tentativo di far capire a Lorelai che una serie di portatovaglioli decorati con le facce dei personaggi dei cartoni animati non si addice ad un locale come il suo. Lasciò il pacchetto sul tavolo della cucina e, voltandosi, notò tutta una serie di fotografie appese al frigorifero con calamite colorate, che erano di certo opera di sua madre. Un paio di queste raffiguravano Liz al suo stand di gioielli rinascimentali e TJ al suo fianco intento a fare smorfie buffe, uno scatto immortalava Lorelai e Luke sdraiati nell’amaca del giardino di Sookie e un’ultima foto aveva per protagonista Paul Anka, accucciato sul sedile anteriore della jeep, come faceva spesso nei momenti di paura. Sorrise di quei ricordi e di come fosse strano che uno come Luke, brontolone per natura, li conservasse in quel modo, li tenesse accanto a se, mostrando un lato più morbido, sentimentale. Tra i vari foglietti, alcuni dei quali con numeri di telefono e altri con vecchie liste della spesa, uno in particolare, più sgualcito degli altri, attirò la sua attenzione. Ne sollevò un lembo con l’indice e, dopo essersi guardata intorno con espressione scaltra, lo staccò con gesto secco, infilandolo nella tasca dei jeans. Aprì lo sportello del frigorifero e ne estrasse una bottiglietta d’acqua fresca: appoggiando un fianco alla base del lavello, ne sorseggiò un po’ e, approfittando di un minuto di pace per riposare la mente dopo quella frenetica mattinata in compagnia della madre e della sua maniacale ansia d’acquisto, si perse a contemplare l’ambiente dinnanzi a se. Inaspettatamente, una scia di ricordi riaffiorò nella sua mente…
“Sicura che non vuoi bere?” “Si, sono sicura…” “Per favore, fammi prendere qualcosa da bere… mi sento come un imbecille a stare qui in piedi”
Lorelai fece capolino dalla porta socchiusa, visibilmente entusiasta: “Niente da fare per i portatovaglioli, ma non ha resistito tanto alla trattativa sul porta-rasoio, lo sapevo! Alle papere non si può dire di no! Inoltre, per farmi star zitta, ha fatto preparare una porzione tripla di patatine… mi dai una mano a finirle? Temo che la chiusura dei jeans non reggerà ancora per molto!” e terminò massaggiandosi la pancia. “Certo, tutto quel correre per centri commerciali mi ha fatto venire una fame!”. “E’ inutile che fingi con me… ti ho vista prima! Hai approfittato della mia indecisione al reparto profumi per svoltare l’angolo e fare una visitina alla bancarella degli assaggi… Sei veramente senza ritegno…” e le fece l’occhiolino. “Tu mi accusi per un misero e triste assaggio di frittella ai mirtilli, quando l’altra sera, alla cena dei nonni, ho visto cadere dalla tua borsa una confezione gigante di bon-bon al cioccolato… madre ingrata!” la prese in giro la figlia. “Ne avrete ancora per molto?” la voce di Luke riecheggiò dalla rampa di scale, interrompendo la disputa sulla golosità. La decisione fu unanime: terminare il tutto con una sfida a colpi di patatine al ketchup. Prima di richiudersi la porta alle spalle, bloccando di colpo la mano sulla maniglia, Rory gettò un ultimo sguardo fugace al fondo alla stanza, a quel letto sempre intatto… per un istante sembrò che il suo viso s’illuminasse di una luce particolare… e sorrise… sorrise come non era più riuscita a fare da molti giorni a questa parte…
Il cielo si fece grigio e nuvoloso già dalle prime ore della mattina, fino a scoppiare in un grosso temporale: che fosse una giornata nata storta lo si capì nel momento in cui uno dei tergicristalli di Rory smise di colpo di funzionare. Accostò l’automobile sul ciglio della strada, dinnanzi ad una pompa di benzina, e si fece aiutare da un giovane inserviente: certo, era tornata nell’abitacolo completamente zuppa, ma almeno aveva risolto il fastidioso problema. Aprendo il vano del cruscotto, riprese di nuovo tra le mani una cartina sulla quale aveva diligentemente segnato il proprio percorso, finendo per bagnare anch’essa. Per fortuna, a calcoli fatti, non mancavano che una decina di chilometri alla meta del proprio viaggio. Nonostante quel tempo da lupi, i capelli completamente fradici ed il traffico congestionato, Rory parve felice, stranamente serena. Alzò il volume della radio e iniziò a cantare a squarciagola un vecchio brano dei Rolling Stones, sorridendo al conducente di un autobus che l’aveva affiancata al semaforo. Da cosa poteva derivare quella nuova energia? Abbassò il volume, dandosi un certo contegno, soltanto nel momento in cui il cellulare iniziò a squillare: “Pronto, tesoro? Ero qui a chiacchierare amorevolmente con Michel e non so perché, ma mi è venuta voglia di interrompere la nostra simpatica conversazione e fuggire sul retro a telefonarti! Com’è andato il test?”. “Ciao mamma! Sto uscendo proprio ora dall’aula del professoressa Carter… è andato tutto bene, non ti preoccupare. Però mi chiedevo se potessi coprirmi per la cena di stasera… sono davvero esausta e mi aspettano altre mille commissioni nel pomeriggio!” la menzogna uscì di getto e con tono assai convincente. “Nonna e nonno se ne daranno una ragione, vedrai. Peccato perché ti avrei raccontato le ultime pazzie di Kirk… si è dato alla regia e vorrebbe creare una piccola rete televisiva locale… ci credi? Un canale che coprirebbe a malapena la superficie di Stars Hollow! Mi sono già proposta per la conduzione del telegiornale, mi ci vedi come mezzobusto?”. “Ehi, la giornalista della famiglia dovrei essere io, non ricordi?” “Ah, già… c’è sempre l’assegno della rata di Yale a ricordarmelo!”. “Perché non ti butti nel ramo delle televendite, invece? Credo sarebbe più nelle tue corde, viste le ultime ricevute della carta di credito…” iniziò a ridere Rory. “Questa battuta esilarante farà si che tu finisca in cima alla lista dei candidati per la conduzione del programma di giardinaggio, in onda dalle cinque alle sei del mattino… direi perfetto!”. “E io direi che è giunto il momento di porre fine a questo dialogo surreale, che ne dici? Ti chiamo nei prossimi giorni e saluta Paul Anka, mi manca un sacco…”. “D’accordo… per la prima puntata preferiresti occuparti di piante grasse o magari della scelta dei migliori concimi per i gerani?”. “Ciao mamma!” tentò di concludere. “Hai ragione, i cactus saranno perfetti…”. “Sto per riagganciare!”. “Va bene, va bene… data la tua vena ambientalista, vedrò di organizzare una puntata dedicata alla lotta ai pesticidi!” e con una risata finale terminò la conversazione. Quando Rory alzò lo sguardo sulla palazzina in mattoni rossi che si ergeva dinnanzi a se, confrontando il numero civico con quello scritto sul foglietto prelevato a casa di Luke, capì di essere giunta a destinazione. Non poté esimersi dal darsi un’ultima occhiata nello specchietto, prima di scendere dall’automobile: un completo disastro! I capelli erano fradici, così come la giacca, che se strizzata avrebbe di certo inondato l’intero abitacolo. Ancora una volta i ricordi presero il sopravvento…
“Va di moda fare la doccia vestiti?” “Si, è divertente!” “Che c’è?” “Niente!” “Dove stai andando così di corsa?” “Il nostro presidente ha detto di fare moto ed io l’ho preso in parola!” “Ha detto di farlo zuppa?”
Si limitò a fare un profondo sospiro e scese di corsa dalla macchina, raggiungendo con pochi e rapidi passi l’ingresso del palazzo. Il portoncino di legno scuro era stato lasciato aperto per permettere ad un paio di facchini di trasportare dei mobili ingombranti, probabilmente in seguito ad un trasloco. Rory scorse velocemente la lista di nomi accanto ai relativi campanelli, per poi sgattaiolare dentro il condominio senza farsi notare dal via vai di operai. Davanti a se trovò ben presto una grande scala con una imponente ringhiera in ferro battuto e, senza dir nulla, iniziò a salirla: gradino dopo gradino, il cuore parve battere sempre più forte e non solo a causa dello sforzo fisico. Raggiunse finalmente il terzo piano e si fermò a prender fiato, appoggiandosi al parapetto che dava sulla tromba delle scale. Si sentì una pazza per il gesto che si accingeva a compiere, ma allo stesso tempo si sentì viva come non era stata negli ultimi tempi… Si voltò e lo trovò dinnanzi a se: un campanello che portava impresse semplicemente due iniziali, “J.M.”. Posò il palmo della mano sulla porta e chiuse gli occhi un istante, forse per assaporare a pieno quel momento speciale, quell’emozione penetrante che la fece tornare indietro nel tempo, a sensazioni che pensava di aver rimosso dai propri ricordi. Quando li riaprì, lasciò l’indice scivolare sul piccolo pulsante poco distante, per poi udire un trillo acuto che la fece quasi sobbalzare. L’attesa fu estenuante: i battiti accelerati, quelle gocce di pioggia che cadevano incessantemente dalle sue lunghe ciocche fino a spegnersi sul pavimento. Suonò ancora un paio di volte, finché non si arrese all’evidenza: l’avrebbe aspettata un’attesa ben più lunga di quanto non immaginasse quel pomeriggio. Sbuffò e si lasciò scivolare sul gradino più vicino… aveva viaggiato tutta la mattina per raggiungere Philadephia e non se ne sarebbe andata di certo così…
“Perché sei venuta?” “Che cosa?” “Ho detto: perché sei venuta? Hai perso la scuola, mezza giornata… non è da te! Perché l’hai fatto?” “Perché… non mi avevi salutata…” “Oh… ciao Rory…” “Ciao Jess…”
Il rumore di una serie di passi pesanti, certamente maschili, destò Rory dalla lettura del proprio romanzo e la fece ripiombare in quel tunnel di emozioni dal quale era uscita nel momento in cui aveva capito di aver trovato soltanto un appartamento vuoto dinnanzi a se. Alzò il mento di scatto, sbirciando tra le colonnine della ringhiera e vide un’ombra muoversi sempre più verso di lei. Quando finalmente raggiunse il piano, la figura che le si presentò davanti la salutò con un cortese “Ciao!”: si trattava di un ragazzo dalla corporatura esile e una testa di riccioli scuri, il quale portava con evidente fatica pesanti sacchetti della spesa. “Vuoi una mano?” domandò lei, gentilmente. “Grazie, ma sono quasi arrivato e…” disse, per poi bloccarsi con aria incuriosita. A quell’attenzione eccessiva, Rory si sentì un po’ in imbarazzo e addirittura temette di arrossire. Fu lui ad abbandonare a terra i sacchetti per porgerle la mano: “Mi chiamo Andrè… scusa, ora ti ho riconosciuta!”. “Temo tu mi stia confondendo con qualcun’altra, mi dispiace… Il mio nome è Rory!” commentò lei, stringendogli la mano. “Non ti ho confusa…” rispose lui, sorridendo. “Non vorrei contraddirti, ma è la prima volta che vengo a Philadelphia e non credo tu possa…” cercò di spiegare lei. “Sei la ragazza della fotografia… è per questo che ti ho riconosciuta” insistette il ragazzo, per poi concludere: “Ora mi andrebbe quell’aiuto che mi hai offerto poco fa… sai, stasera darò una festa e ho dovuto fare una bella scorta, la dispensa di casa mia è perennemente vuota!” e porgerle un sacchetto. “Beh, io…” Rory lo prese tra le mani, sempre più confusa, e finì col seguire il giovane fino al piano successivo. Quando furono all’interno dell’appartamento, si fermò sull’ingresso e cercò di chiarirsi le idee: “Di che fotografia parlavi?”. Andrè scomparve dietro una porta che sicuramente nascondeva un angolo cucina. Ricomparve qualche minuto più tardi: “Beh, cosa ci fai ancora lì, Rory? Entra pure… So che c’è un po’ di confusione, ma sono un disordinato cronico, non posso farci nulla!”. “Ti volevo chiedere della fotografia…” insistette lei, sempre in piedi come una statua di sale. “La fotografia? Ah, si… quella che Jess ha appesa nella sua camera…” rispose con una nota d’ingenuità nella voce. Rory rimase per un attimo stordita da quelle parole e, quando ebbe ripreso fiato, continuò: “Jess possiede una mia foto… tu conosci Jess?”. “Certo… abita qui sotto da quasi un anno! Siamo diventati come fratelli, ormai”. “Sono venuta giusto a fargli una visita… una sorpresa, a dir la verità e… sai a che ora torna dalla libreria?” i movimenti di Rory si fecero tutto d’un tratto goffi e incerti, tanto che quasi finì per urtare una lampada posta accanto alla porta. “Di solito torna per le otto, ma non stasera…” disse lui, scomparendo di nuovo dietro ad una porta. La ragazza spalancò gli occhi e alzò la voce: “In che senso: non stasera?”. “Nel senso che è fuori città da un paio di giorni! Mi ha detto soltanto che doveva sbrigare delle faccende di lavoro a New York e che avrebbe fatto visita allo zio, in un paesino del Connecticut di cui non ricordo mai il nome, ma ha a che fare con le stelle o qualcosa del genere”. “Stars Hollow…” mormorò lei. “Esatto, proprio quello!” annuì il ragazzo. In quell’attimo sembrò a Rory che il destino avesse di nuovo giocato a dadi con la sua vita… mentre lei era corsa a Philadelphia, Jess era tornato a Stars Hollow… ci sarebbe stato quasi da ridere! Il suo bel viso, invece, si rabbuiò di colpo e si strinse sconsolata nella giacca ancora umida di pioggia. “Qualcosa non va?” Andrè si avvicinò con fare premuroso. “Riflettevo… ho fatto un viaggio a vuoto, tutto qui…” sospirò lei. “Ho io la soluzione a quel broncio!” sorrise, per poi avvicinarsi ad un mobile ed estrarne qualcosa da un cassetto: “Jess sarà di ritorno domani. Se ti va di aspettare posso darti queste…” e finì col porgerle un mazzo di chiavi. “Non so se posso farlo…” rispose lei, imbarazzata. “Certo che puoi, hai l’aria di una ragazza affidabile e poi… quella fotografia testimonia il fatto che Jess ti conosce bene, quindi non ci sono problemi!”. Tenne quelle chiavi lucide tra le dita ancora per un po’, combattuta sul da farsi: forse il fatto che Jess fosse partito rappresentava un segno del destino al quale non avrebbe dovuto ribellarsi… o forse l’arrivo di Andrè e la sua proposta erano il vero segno del fato…
Edited by Francis82 - 18/8/2007, 16:04
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